Appunti di elettronica - Appendici

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APPENDICE A
TEOREMI DEI CIRCUITI
1. Teorema del massimo trasferimento di potenza
Il teorema del massimo trasferimento di potenza stabilisce le condizioni che
massimizzano la potenza ceduta da una sorgente sinusoidale a un carico, nell'ipotesi che i
circuiti considerati operino in condizioni di linearità e in regime sinusoidale permanente. In
questo caso la sorgente è completamente caratterizzata quando se ne conosce la tensione
d'uscita a circuito aperto e l'impedenza d'uscita ZS = RS + jXS; il carico è completamente
caratterizzato quando se ne conosce l'impedenza ZL = RL + jXL.
Indicando con v(t)=V cos(ωt) la tensione della sorgente a circuito aperto, la corrente
che scorre nel carico sarà i(t)=I cos(ωt+φ) con I=V/|ZS+ZL|. Pertanto la potenza assorbita dal
carico è
P=
(1)
I 2 RL V 2
RL
=
2
2
2 ( RS + RL ) + ( X S + X L )2
Il massimo di questa grandezza si ottiene eguagliando a zero le sue derivate rispetto a
RL e XL. Si ottengono così le due condizioni
(2)
RLo = RS
;
XLo = -XS
per cui si ha il massimo trasferimento di potenza dalla sorgente al carico (si noti che la
seconda corrisponde a imporre la risonanza del circuito). Tali condizioni si possono
esprimere nella forma più compatta
(3)
ZLo = ZS*
che stabilisce che l'impedenza del carico deve essere uguale alla coniugata dell'impedenza
della sorgente. Quando ciò si verifica, e in tal caso si dice che il carico è adattato alla
sorgente, la potenza assorbita dal carico assume il valore massimo
(4)
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V2
P=
8 RL
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pag. 1
Quando, come avviene spesso in pratica, occorre realizzare l'adattamento d'impedenza
(impedance matching) tra una sorgente e un carico che abbiano entrambi impedenze fissate a
priori, cioè non modificabili, si interpone fra la sorgente e il carico una rete detta di
adattamento.
Se le impedenze della sorgente e del carico sono ambedue reali, la rete di adattamento
sarà costituita da un trasformatore1. E occorre allora valutare attentamente gli effetti dei
parametri parassiti di questo componente: a bassa frequenza l'effetto dell'induttanza parallelo,
ad alta frequenza quello delle induttanze disperse e delle capacità parassite.
Se una delle due impedenze (o entrambi) non è reale, la rete di adattamento dovrà
contenere elementi atti a realizzare, oltre alla prima, anche la seconda condizione di
adattamento. Se è sufficiente ottenere l'adattamento soltanto a una frequenza ben determinata,
la soluzione è immediata: basta disporre in serie2 al carico (o alla sorgente) un elemento
reattivo (condensatore o induttore) di reattanza tale da soddisfare la condizione anzidetta. In
tal caso, supponendo per semplicità che si abbia RL = RS, l'elemento di adattamento dovrà
avere reattanza XA tale da verificare, alla frequenza considerata, la condizione:
XS + XL + X A = 0
(5)
Assai più complesso è il problema dell'adattamento quando esso debba essere
verificato su una banda di frequenze, dal momento che le reattanze (della sorgente, del carico
e della rete di adattamento) sono in generale funzioni della frequenza. Tale problema
(broadband matching) può essere risolto solo approssimativamente.
1
Questa non è l'unica soluzione: in determinate condizioni (se è sufficiente realizzare l'adattamento soltanto
nell'intorno di una determinata frequenza) si possono utilizzare schemi basati sull'impiego di circuiti risonanti
(sfruttando le proprietà di due o più oscillatori accoppiati) oppure, ad alta frequenza, si può usare un tratto di
linea di trasmissione di lunghezza opportuna.
2
L'adattamento si può realizzare anche disponendo l'elemento di adattamento in parallelo alla sorgente e al
carico, in tal caso la sua suscettanza dovrà esser tale da annullare la suscettanza totale.
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pag. 2
Esempio. Vogliamo realizzare l'adattamento d'impedenza alla frequenza di 1000 Hz fra una
sorgente resistiva con RS=1000 Ω e un carico costituito da un induttore di 10 mH in serie a un
resistore da 10 Ω. La prima condizione è verificata utilizzando un trasformatore con rapporto
spire n = (1000/10)½ = 10. La seconda condizione richiede l'inserimento di un elemento
reattivo, che nel nostro caso sarà evidentemente un condensatore. La capacità CA di tale
condensatore sarà diversa a seconda che lo si disponga in serie alla sorgente oppure al carico.
In quest'ultimo caso esso dovrà avere reattanza -1/(2π1000CA)= −2π1000×0.01, cioè capacità
CA=2.53 µF. Altrimenti la sua capacità sarà n²=100 volte minore.
2. Teorema di Helmholtz-Thévenin
Il teorema di Helmholtz-Thévenin3 fornisce una descrizione sintetica del
comportamento di una rete lineare attiva vista a una sua porta. Tale descrizione riguarda
esclusivamente il comportamento esterno della rete, rappresentata come un bipolo attivo,
quando ad essa si collega un carico di impedenza arbitraria.
Il teorema stabilisce che qualsiasi rete lineare attiva a una porta è equivalente al
circuito costituito da un generatore di tensione ideale Vo(s) disposto in serie a una impedenza
Zo(s), dove
ƒ
Vo(s) rappresenta la trasformata della tensione che si osserva alla porta della rete in
assenza di carico esterno (tensione a vuoto);
ƒ
Zo(s) rappresenta l'impedenza della porta (impedenza d'uscita).
Quest'ultima grandezza richiede una precisazione: essa s'intende definita quando tutti
i generatori indipendenti contenuti nella rete sono disattivati (cortocircuitando i generatori di
tensione ed eliminando i generatori di corrente), mentre restano invece attivi tutti i generatori
controllati4.
Quanto detto sopra fornisce utili indicazioni per l'esecuzione di misure atte a
determinare sperimentalmente i parametri Vo(s) e Zo(s) di una rete attiva. Ma in queste
3
Questo teorema è comunemente attribuito all'ingegnere telegrafico belga Leon Charles Thévenin che lo
presentò nel 1883, in un lavoro pubblicato nei rendiconti dell'Accademia Francese delle Scienze. In realtà il
teorema venne introdotto per la prima volta dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz nel 1853, in un lavoro
concernente l'elettricità animale (J.E. Brittain Thévenin's theorem IEEE Spectrum, marzo 1990, pag. 42).
4
Si tratta di un punto importante, dato che l'impedenza d'uscita di un circuito reazionato (amplificatori a
controreazione, regolatori di tensione, ecc.) dipende in modo essenziale dall'azione dei generatori controllati
presenti nel circuito stesso.
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pag. 3
misure è spesso necessaria una particolare attenzione per evitare l'insorgere di fenomeni di
nonlinearità (per esempio, per determinare l'impedenza d'uscita di una rete a bassa
impedenza5 è consigliabile applicare un generatore di corrente e misurare la tensione che si
stabilisce alla porta della rete, invece di applicare un generatore di tensione e misurare la
corrente che scorre nella rete).
Usando la descrizione di Helmholtz-Thévenin, si conclude che quando la rete è
collegata a un carico di impedenza Z(s) la corrente che scorre dalla rete al carico è
(6)
I(s) = Vo(s)/(Zo(s)+Z(s))
Questa, in condizioni di cortocircuito (ammesso che in tal
caso la linearità della rete sia ancora verificata), assume il valore
Io(s) = Vo(s)/Zo(s)
3. Teorema di Norton
Questo teorema costituisce il duale del teorema di
Helmholtz-Thévenin. Qui la rete lineare attiva a una porta viene
descritta in termini di un circuito equivalente costituito da un
generatore ideale di corrente Io(s) disposto in parallelo a una
ammettenza Yo(s), dove
ƒ
Io(s) rappresenta la trasformata della corrente che si
osserva cortocircuitando la porta della rete (corrente di cortocircuito);
ƒ
Yo(s) rappresenta l'ammettenza della porta (ammettenza d'uscita);
e si ha evidentemente:
Yo(s) = 1/Zo(s)
(7)
;
Io(s) = Yo(s) Vo(s)
Anche per il teorema di Norton valgono le precisazioni e le considerazioni fatte prima
a proposito del teorema di Helmholtz-Thévenin.
5
Si può usare questo metodo, per esempio, per misurare l’impedenza d’uscita di un alimentatore stabilizzato in
funzione della frequenza.
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pag. 4
4. Teorema di Millman
Il teorema di Millman stabilisce che, disponendo in parallelo n bipoli lineari attivi,
con tensione a vuoto Vi(s) e impedenza d'uscita Zi(s), la tensione risultante è:
V (s) =
(8)
∑ V ( s )Y ( s ) = ∑ V ( s ) Z ( s )
∑ Y (s)
∑ 1 Z (s)
i
i
i
i
i
i
i
i
i
i
e l'impedenza d'uscita è data dal parallelo delle impedenze Zi. A questo risultato si arriva
utilizzando il teorema di Norton e il principio di sovrapposizione degli effetti.
5. Teorema di Miller
Il teorema di Miller6 riguarda quelle reti lineari attive in cui la tensione di un nodo
determina univocamente la tensione di un altro nodo
(9)
V2(s) = K(s) V1(s)
per esempio grazie all'azione di un generatore controllato.
Il teorema stabilisce che un'impedenza Z(s) che sia collegata fra i due nodi può essere
eliminata sostituendola con due impedenze: Z'(s) collegata fra il primo nodo e il riferimento
di massa, Z"(s) collegata fra il secondo e massa, dove
Z′(s) =
(10)
Z (s)
1− K (s)
;
Z ′′ ( s ) =
K (s) Z (s)
K ( s ) −1
La rete così ottenuta è equivalente alla prima per quanto riguarda i valori delle
tensioni ai nodi e il comportamento esterno.
6
Nel 1919 il fisico americano John Milton Miller osservò che la capacità d'ingresso di un triodo subiva un forte
aumento quando questo funzionava come amplificatore. Studiando il fenomeno (chiamato oggi effetto Miller, in
qualsiasi tipo di dispositivo amplificatore si verifichi), egli trovò che era dovuto all'azione del guadagno del
dispositivo sulla capacità elettrostatica fra l'elettrodo d'ingresso (griglia) e quello d'uscita (anodo) del triodo.
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pag. 5
Il teorema si dimostra come segue. Se V1(s) e V2(s) sono le tensioni dei due nodi, la
corrente
che
scorre
attraverso l'impedenza nel
verso diretto dal secondo
nodo al primo è
IZ ( s ) =
(11)
V2 ( s ) − V1 ( s )
Z (s)
La corrente entrante nel primo nodo è allora
I1 ( s ) = − I Z ( s ) =
(12)
V1 ( s ) − V2 ( s ) V1 ( s ) (1 − K ( s ) )
=
Z (s)
Z (s)
e quella entrante nel secondo
I2 ( s ) = IZ ( s ) =
V2 ( s ) − V1 ( s ) V2 ( s ) (1 − 1 K ( s ) )
=
Z (s)
Z (s)
esattamente come se fra il primo nodo e massa e fra il secondo e massa fossero collegate,
rispettivamente, le impedenze Z'(s) e Z"(s) date dalla (10).
Esempio 1. Effetto Miller con impedenza resistiva.
Consideriamo un amplificatore di guadagno A reale con un
resistore R disposto fra l'ingresso e l'uscita. Applicando il teorema
di Miller (e trascurando l'impedenza d'ingresso dell'amplificatore)
si conclude che l'impedenza vista sul nodo d'ingresso è R/(1-A). Questa resistenza d'ingresso
è negativa se il guadagno è positivo, con modulo maggiore dell'unità, altrimenti è positiva.
Quando il guadagno ha segno negativo ed è molto elevato (come nel caso degli operazionali),
la resistenza d'ingresso R’ può assumere valori molto bassi (per esempio con A=-105 e R=100
kΩ si ha R'=1 Ω) e in tal caso si dice che il nodo d'ingresso si comporta come una "terra
virtuale" (pag. 39, parte VIII).
Esercizio. Calcolare l'impedenza d'ingresso, e individuarne la natura, di un amplificatore con funzione di
trasferimento A(s)=Ao/(1+τs) (Ao= −1000 e τ =1 ms) con un resistore R=10 kΩ disposto fra l'ingresso e l'uscita.
Il calcolo va eseguito approssimando 1-A(s) con -A(s) (e valutando poi il limite di frequenza entro cui tale
approssimazione è soddisfacente).
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pag. 6
Esempio 2. Effetto Miller con impedenza capacitiva.
Consideriamo un amplificatore di guadagno A reale con un
condensatore C disposto fra l'ingresso e l'uscita. Applicando il
teorema
di
Miller
(e
trascurando
la
capacità
d'ingresso
dell'amplificatore) si conclude che la capacità C’ che si manifesta
sul nodo d'ingresso è
C' = C(1-A)
Questa capacità è negativa se il guadagno è positivo, con modulo maggiore dell'unità,
mentre quando il guadagno è negativo C’ è positiva (e allora il circuito si comporta come
"moltiplicatore di capacità").
Il caso di guadagno positivo con A>1 presenta un certo interesse perchè permette di
realizzare una porta dotata di capacità negativa. A circuito aperto questo circuito è instabile,
mentre è stabile, e può risultare assai utile, quando quando ad esso venga collegata una
capacità (positiva) esterna che sia maggiore, in valore assoluto, di quella negativa.
Esercizio. Si abbia una sorgente di segnale a gradino che sia osservabile attraverso un circuito RC con RS=10
kΩ (in serie alla sorgente) e CS=100 pF (rispetto a massa). All'uscita del circuito RC si colleghi un amplificatore
ideale con guadagno A=10 e capacità C=10 pF fra ingresso e uscita. Calcolare la capacità negativa introdotta
dall'amplificatore, la capacità totale sul nodo d'ingresso dell'amplificatore e il tempo di salita del segnale,
confrontando quest'ultimo risultato con quello relativo al caso in cui si impieghi un amplificatore usuale.
Esempio 3. Effetto Miller in un amplificatore a emettitore comune.
Utilizziamo il teorema di Miller per analizzare il comportamento a piccoli segnali
dell'amplificatore
a
emettitore
comune mostrato nella figura,
sapendo che il transistore presenta
guadagno in corrente hfe=100 e
supponendo di aver già calcolato
la corrente di polarizzazione del
dispositivo (IC ≈ 3 mA, con 10 V
di alimentazione). Notiamo innanzitutto che il guadagno fra base e collettore è determinato
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pag. 7
approssimativamente dal rapporto fra il resistore di collettore e quello d'emettitore: A ≈ −10.
Utilizzando le formule (10) si hanno i seguenti valori per le due resistenze equivalenti in
parallelo all'ingresso e all'uscita:
R' ≈ 100 kΩ/(1-A) ≈ 9.1 kΩ
R" ≈ 100 kΩ × A/(A-1) ≈ 91 kΩ
La resistenza d'ingresso totale Rin, fra base e massa, è data dal parallelo di R' e della
resistenza d'ingresso del transistore (approssimativamente pari a hfeRE ≈ 22 kΩ) e si ha
pertanto Rin ≈ 6.4 kΩ. Questo ci permette di calcolare l'attenuazione fra la sorgente di segnale
e la base del transistore (trascurando l'impedenza del condensatore di accoppiamento):
Rin/(Rin+RS) ≈ 0.39. L'amplificazione totale Avs del circuito, fra la sorgente e l'uscita, vale
pertanto ≈ - 3.9.
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pag. 8
APPENDICE B
I DIAGRAMMI DI BODE
1. La rappresentazione grafica delle funzioni dei sistemi nel dominio della frequenza
Le rappresentazioni grafiche delle funzioni di rete e in generale delle funzioni di
trasferimento dei sistemi maggiormente usate sono i diagrammi di Bode (Bode plots) e i
diagrammi di Nyquist. I primi rappresentano in funzione della frequenza il modulo e la fase, i
secondi la parte reale e immaginaria in forma polare.
Il diagramma di Nyquist di una funzione F(s), posto
s=jω, è costituito dal luogo dei punti, al variare di ω, che
hanno per ascissa la parte reale della funzione e come ordinata
la parte immaginaria. Questo grafico si traccia di solito per
ω da 0 a ∞, ma a volte lo si completa chiudendolo, cioè
considerando anche i valori di ω fra -∞ e 0, come mostrato in figura per la funzione
passabasso F(s)|s=jω = 1/(1+jω). Sebbene assai compatta, oltre che molto efficace ai fini
dell’immediata visualizzazione degli andamenti asintotici del modulo e della fase, la
rappresentazione di Nyquist presenta vari inconvenienti. Infatti non è affatto immediato
tracciare questi diagrammi e sopratutto modificarli (per esempio quando si voglia cambiare il
valore di un parametro oppure considerare il prodotto della funzione graficata per una
seconda, volendo considerare un secondo sistema disposto in cascata al primo). I diagrammi
di Nyquist, inoltre, sono scarsamente leggibili nel caso delle funzioni il cui modulo presenta
variazioni di ordini di grandezza nel campo di frequenze di interesse.
Questi inconvenienti sono largamente superati quando si utilizzano i diagrammi di
Bode, grazie all’impiego di scale logaritmiche per la frequenza e per il modulo. Si perde,
tuttavia, in compattezza dato che questa rappresentazione richiede due grafici distinti.
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pag. 9
I diagrammi di Bode di una funzione ne rappresentano separatamente il modulo
espresso in decibel (Æ parte II) e la fase in funzione del logaritmo della frequenza. Questo è
il motivo per cui tali grafici consentono un esame globale dell’andamento di una funzione
anche su una gamma di frequenze molto estesa e nello stesso tempo garantiscono un buona
risoluzione di lettura anche in presenza di grandi variazioni del modulo della funzione. Un
altro pregio essenziale di questa rappresentazione sta nella facilità con cui si tracciano i
diagrammi in forma approssimata (diagrammi asintotici) delle funzioni e con cui si ottengono
i diagrammi del prodotto di due funzioni, che consistono semplicemente nella somma dei
diagrammi, rispettivamente del modulo e della fase, delle due funzioni.
2. I diagrammi di Bode dei fattori standard
Consideriamo una generica funzione di rete o di sistema F(s), rappresentata da una
funzione razionale fratta della variabile complessa s. Fattorizzando tale funzione e ponendo
s=jω, i termini che la costituiscono sono in generale una costante e una molteplicità di fattori
monomi, binomi e trinomi
(1)
K
;
(jω)±1
;
(1+jωτ)±1
;
(1+jω/Qωo-ω2/ωo2)±1
dei quali esaminiamo in quanto segue il tracciamento sui diagrammi di Bode.
Il termine costante K corrisponde alla costante 20 log K nel diagramma del modulo e
a fase nulla in quello della fase. Il fattore monomio (jω)±1, che a seconda del segno
dell’esponente corrisponde a un polo o a uno zero nell’origine, è rappresentato nel
diagramma del modulo da una retta con pendenza di ±20 dB/decade7 che attraversa l’asse
delle ascisse nel punto ω = 1, come
mostrato nella figura nel caso di uno
zero (esponente +1). La fase ha
valore costante, data dal prodotto
dell’esponente per π/2. Si ha infatti:
(2)
20 log |(jω)±1| = ±20 log ω
;
/(jω)±1 = ±π/2
7
20 dB/decade è approssimativamente uguale a 6 dB/ottava. Ricordiamo che una decade rappresenta un
intervallo di frequenza i cui estremi sono in rapporto 10; un’ottava, un intervallo i cui estremi sono in rapporto
2.
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pag. 10
Per quanto riguarda il fattore binomio, che a seconda del segno dell’esponente
corrisponde a un polo o a uno zero8 alla pulsazione ω = 1/τ, si ha:
20 log |(1+jωτ)±1| = ± 20 log [1+ω2τ2]±1/2
(3)
;
/(1+jωτ)±1 = ±arctang(ωτ)
Cioè nel caso di un polo, al crescere di ω, l’ampiezza prima è costante (0 dB) poi diminuisce
tendendo ad annullarsi, mentre la fase prima è nulla e poi tende a -π/2; nel caso di uno zero,
l’ampiezza prima è costante (0 dB) e poi aumenta tendendo all’infinito, mentre la fase prima
è nulla e poi tende a π/2. Alla pulsazione caratteristica (ω=1/τ), in particolare, il modulo vale
±3 dB e lo fase ±π/4.
Dalla (3) si ricava che il diagramma del modulo presenta due asintoti. Il primo, per
ω<<1/τ, è una retta orizzontale coincidente con l’asse delle ascisse; il secondo, per ω>>1/τ,
con equazione ±20log ωτ, è una retta con pendenza ± 20 dB, che attraversa le ascisse
(incrociando il primo) nel punto ω=1/τ corrispondente alla pulsazione di taglio. Tracciando il
primo asintoto da -∞ a 1/τ e il secondo da 1/τ e +∞ si ottiene il diagramma asintotico,
mostrato a tratto pieno nella figura, che costituisce una rappresentazione approssimata ma
spesso sufficiente. Lo scarto massimo fra il diagramma asintotico e quello esatto, mostrato a
tratteggio, è infatti di 3 dB. Più precisamente, lo scarto è di 3 dB alla pulsazione ω=1/τ, e di 1
dB un’ottava sotto e una sopra, come si ricava dalla (3).
Figura. Diagrammi di Bode
esatti
(a
tratteggio)
e
approssimati (a tratto pieno)
per la funzione 1/(1+jωτ).
Anche per la fase si può utilizzare una rappresentazione approssimata,
considerandola nulla fino a una decade sotto la pulsazione di taglio (1/10τ) e pari al valore
asintotico (±π/2) oltre una decade sopra (10τ), e raccordando le due semirette con un
segmento. In questa approssimazione lo scarto massimo, arctang(0.1) = 5.7°, si ha nei due
punti di raccordo, cioè per ω = 1/10τ e ω = 10/τ.
8
Un caso particolare, sebbene poco frequente in pratica, si ha quando la parte reale dello zero è positiva; in tal
caso lo sfasamento è in ritardo, anzichè in anticipo, variando fra 0 e -π/2 al crescere di ω.
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pag. 11
Consideriamo infine il fattore trinomio, che rappresenta una risonanza (più
precisamente una risonanza quando l’esponente vale –1, un’antirisonanza quando vale +1) ed
è caratterizzato dalla pulsazione ωo e dal fattore di merito Q9. Le espressioni esatte sono le
seguenti:
(4)
±20 log [(1 - ω2/ωo2)2 + (ω/ωoQ)2]½
(4a)
±arctang [(ω/ωoQ)/( 1 - ω2/ωo2)]
Il diagramma del modulo presenta due asintoti, come nel caso del fattore binomio, che si
incrociano nel punto ω =ωo: uno orizzontale e l’altro inclinato, ma con pendenza doppia (±40
dB/decade). Ma qui lo scarto fra i diagrammi asintotici e quelli esatti dipende dal valore del
fattore di merito Q (o dello smorzamento ξ, ricordando che ξ=1/2Q). Se Q =½ (vedi nota 9),
lo scarto massimo è 6 dB a ω = ωo. Al crescere di Q lo scarto massimo tende a 20 log Q,
come è mostrato nella figura a sinistra che rappresenta il diagramma del modulo per vari
valori di Q nel caso di esponente –1 (due poli complessi coniugati).
ω/ωo
Anche il diagramma della fase dipende fortemente dal fattore di merito, come mostra la
figura a destra: si nota in particolare che al crescere del fattore di merito la variazione della
fase diventa sempre più rapida in prossimità della frequenza caratteristica, dove peraltro ha
sempre valore costante ±π/2.
9
Si noti che per valori di Q<½ il fattore trinomio degenera nel prodotto di due fattori binomi (corrispondenti a
due poli reali distinti); per Q=½, nel quadrato di un fattore binomio con τ = 1/ωo.
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pag. 12
Consideriamo infine la presenza nella funzione F(s) di un fattore di ritardo exp(-sT):
questo termine può rappresentare un ritardo effettivo oppure l’effetto di poli e zeri non
modellizzati nella funzione, perchè intervengono a frequenze più alte della regione che si
intende considerare, ma che offrono contributi non trascurabili alla fase in tale regione10. In
particolare, la fase dovuta a poli e zeri reali non modellizzati può essere rappresentata
approssimativamente così: [Πj (1+τzjs)/Πi (1+τpis)]≈exp(-Στpis +Στzjs) = exp(-Ts).
Il termine di ritardo exp(-Ts) presenta modulo unitario (0 dB) e ritardo di fase
linearmente crescente con ω, cioè con andamento esponenziale nel diagramma della fase.
3. La composizione dei diagrammi di Bode
L’esame preliminare di una funzione F(s) consente di stabilirne i valori asintotici del modulo
e della fase per ωÆ0 e per ωÆ∞, e di verificare che i diagrammi rispettino queste condizioni
limite. Scrivendo la funzione nella forma generale
m
N (s)
=
F (s) =
D (s)
(5)
∑b s
j
∑a s
i
j =0
n
i =0
j
i
il limite per ωÆ∞ del modulo di F(jω) è (bm/an)ωm-n, a cui corrisponde nel diagramma di
Bode un asintoto ad alta frequenza con pendenza 20(m-n) dB/decade; il limite della fase è
costante e vale (m-n)π/2.
Se la funzione non possiede poli o zeri all’origine, e allora i coefficienti ao e bo sono
entrambi diversi da zero, il limite per ωÆ0 del modulo di F(jω) è costante, di valore (bo/ao), e
la fase è nulla. Se la funzione possiede p poli o z zeri all’origine (e allora saranno
corrispondentemente nulli certi coefficienti del denominatore o del numeratore), il limite per
ωÆ0 del modulo della funzione è proporzionale a ω-p oppure a ωz, a cui corrisponde nel
diagramma del modulo un asintoto a bassa frequenza con pendenza -p oppure +z; il limite
della fase è costante e vale –pπ/2 oppure +zπ/2.
I diagrammi di Bode della funzione scritta in forma fattorizzata si ottengono
tracciando i diagrammi asintotici di tutti i fattori che la costituiscono e sommandone i
contributi. Se lo si ritiene necessario, si apporteranno le correzioni: per i fattori binomi, 3 dB
10
Abbiamo visto che un polo reale ritarda la fase di ≈0.1 rad ≈5.7° una decade sotto la frequenza di taglio.
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pag. 13
alla frequenza di taglio e 1 dB un’ottava sotto e un’ottava sopra; per i fattori trinomi,
utilizzando l’espressione esatta (4) oppure i grafici riportati in vari testi11.
Esempio 1. Si considera la funzione F(s)=10s/(1+s/102)(1+s/104)(1+s/3*104), con uno zero
nell’origine e tre poli reali. La figura a sinistra, che rappresenta i moduli, mostra i diagrammi
asintotici dei termini che costituiscono la funzione e il diagramma asintotico complessivo, in
tratto spesso, costruito sommandoli. La figura a destra, costruita analogamente, rappresenta la
fase.
Esempio 2. Si considera la funzione F(s) =(1+s/10)/(1+s/100)(1+s/1000), con due poli e uno
zero reale. Qui al diagramma asintotico del modulo (tratto grosso) sono state apportate le
correzioni per ottenere il diagramma esatto (tratto sottile).
11
Per esempio in Savant, Roden, Carpenter Electronic Design-Circuits and Systems Benjamin/Cummings,
Redwood City, 1991, pag. A50; G.V. Pallottino Cibernetica La Goliardica, Roma, 1969, pag. 80
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pag. 14
Esercizio 1. Tracciare i diagrammi di Bode della funzione di trasferimento di una rete “anticipatrice di fase”:
H(s) = 0.1(1+104s)/(1+103s). Disegnare un circuito che realizza tale funzione: a) usando elementi passivi R e C,
b) usando un amplificatore operazionale ed elementi passivi R e C.
Esercizio 2. Tracciare i diagrammi di Bode della funzione di trasferimento di una rete “ritardatrice di fase”:
H(s) = 0.5(1+103s)/(1+104s). Disegnare un circuito che realizza tale funzione: a) usando elementi passivi R e C,
b) usando un amplificatore operazionale ed elementi passivi R e C.
Esercizio 3. Un amplificatore con guadagno 106 viene impiegato in un circuito a controreazione con funzione di
trasferimento ad anello aperto12 L(s) = -106β/(1+s/2π10)(1+s/2π103)(1+s/2π104). Tracciare i diagrammi di Bode
della funzione per stabilire il valore del parametro β per cui l’amplificatore reazionato diventa instabile, cioè vi è
una frequenza a cui la fase di L(jω) assume il valore -2π e il modulo è unitario (0 dB).
Osservazione finale: qualora per tracciare i diagrammi di Bode si ricorra al
calcolatore, occorre fare attenzione alla corretta determinazione della fase per evitare i
problemi menzionati a pag. 23 della parte V.
12
vedi pag. 3 parte VIII
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Appunti di Elettronica - Appendici
pag. 15
APPENDICE C
L’AFFIDABILITA’
1. Cenni sull’affidabilità
L’affidabilità (reliability) R(t) di un oggetto (elemento, circuito o sistema)
rappresenta la sua probabilità di sopravvivenza funzionale in condizioni operative specificate
(per esempio la temperatura) dopo un tempo t dalla sua messa in funzione13.Questa funzione
può essere stimata sperimentalmente mettendo in funzione N(0) oggetti a un dato istante
(t=0) e determinando quanti di essi N(t) sopravvivono in funzione del tempo trascorso t. Si
ottiene così la stima (funzione del tempo):
(1)
R(t) = N(t)/N(0)
Il complemento all’unità dell’affidabilità è la probabilità di guasto F(t) o
inaffidabilità:
F(t) = 1 – R(t)
Derivando la (1) rispetto al tempo si ha: dR/dt = (1/N(0))dN/dt. Dividendo membro a
membro per la (1) si ricava: (1/N(t)) dN/dt = (1/R(t)) dR/dt , che rappresenta la variazione
relativa degli oggetti nel tempuscolo dt. Questa grandezza, cambiata di segno, prende il nome
di tasso di guasto (failure rate):
λ (t ) = −
(2)
1 dN
1 dR
=−
N (t ) dt
R(t ) dt
Integrando la precedente e tenendo conto che R=1 per t=0, si ricava infine:
 t

R(t ) = exp  − ∫ λ (τ )dτ 
 0

(3)
Se il tasso di guasto λ non dipende dal tempo, allora si trova che l’affidabilità segue la
legge di decadimento esponenziale:
13
I. Bazovsky Principi e metodi dell’affidabilità Etas Kompass, Milano, 1969
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pag. 16
(4)
R(t) = exp (-λt)
Il reciproco di λ prende il nome di tempo medio fra i guasti MTBF (mean time
beween failures): MTBF = 1/λ. Questa grandezza viene misurata in pratica come il valor
medio degli intervalli di tempo fra un guasto e l’altro di un apparato in prova.
In generale il tasso di guasto λ non è costante nel ciclo di vita dell’oggetto
considerato. In molti casi di interesse pratico l’andamento è quello a forma di vasca da bagno
(bathtube), mostrato nella figura. La parte iniziale della curva (mortalità infantile) dipende da
difetti di fabbricazione o di montaggio che si manifestano nel primo periodo di
funzionamento (circa 1 anno per i circuiti integrati). La parte successiva, che dipende dai
guasti casuali (random failures), si estende su tempi assai più lunghi (in particolare, per i
componenti elettronici). La parte finale, con una crescita lenta e graduale di λ, rappresenta
l’invecchiamento o il deterioramento dei componenti.
λ(t)
mortalità
infantile
invecchiamento
tempo
L’affidabilità R(t) di un sistema costituito da più componenti, ciascuno dei quali sia
essenziale per il suo funzionamento (in tal caso si dice che tali componenti sono “in serie” dal
punto di vista affidabilistico) è data dal prodotto delle affidabilità Ri(t) di ciascuno di questi:
R(t) = Π Ri(t). Nel caso di guasti casuali (λi = cost) si ha:
R(t) = Π Ri(t) = Π exp (-λit) = exp (-λt)
(5)
dove il tasso di guasto complessivo è λ = Σλi
Ne consegue che l’affidabilità di un sistema costituito da più parti componenti
diminuisce assai rapidamente al crescere del numero di queste. E qui sono evidenti i vantaggi
offerti dall’elettronica integrata: un singolo circuito integrato, che può comprendere un
numero anche assai elevato di elementi, ma che costituisce un unico oggetto fisico, ha
Theory of Reliability a cura di A.Serra e R.E.Barlow, Atti della scuola internazionale di fisica Enrico Fermi
(1986), North Holland, Amsterdam, 1986
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affidabilità assai maggiore di quella di una realizzazione in forma “discreta”, cioè ottenuta
mettendo assieme i singoli elementi (pensiamo soltanto al numero delle saldature necessarie).
2. I criteri per ottenere elevata affidabilità
I criteri seguiti nella progettazione dei sistemi allo scopo di ottenere elevata
affidabilità consistono in generale: a) nell’impiego di componenti di alta affidabilità (ottenuti
anche mediante tecniche di scelta o vagliatura (screening) dei componenti); b) nel prevedere
che i componenti siano impiegati a livelli di sollecitazione (elettrici, termici, meccanici, ecc.)
inferiori a quelli per cui essi sono stati progettati); c) nell’uso di tecniche di ridondanza o
tolleranza ai guasti (fault tolerance).
Il criterio della ridondanza consiste nel far sì che il funzionamento di un sistema non
dipenda criticamente dal funzionamento di tutti i suoi componenti. Si dice, in tal caso, che i
componenti dal punto di vista affidabilistico non sono disposti “in serie” (in tal caso il guasto
di uno di essi produrrebbe il guasto dell’intero sistema), ma “in parallelo” (e allora il sistema
è soggetto a guasto solo quando si sono guastati tutti i componenti disposti “in parallelo”).
Questo criterio consente di migliorare notevolmente l’affidabilità. Per esempio, ponendo “in
parallelo” due elementi con probabilità di guasto F1 = 1 - R1 ed F2 = 1 - R2, la probabilità di
guasto del loro insieme diventa F = F1 F2, sicchè l’affidabilità complessiva è R = 1 - F = 1 F1 F2 = R1+R2 - R1R2, cioè assai maggiore di quella dell’uno o dell’altro dei due componenti.
Questa soluzione può essere adottata anche a livello del singolo componente
impiegando la configurazione denominata quad. Cioè sostituendo il componente (per
esempio un condensatore di filtraggio di un alimentatore) con quattro identici collegati
circuitalmente in serie-parallelo come indicato sotto.
Esercizio. Calcolare la probabilità di guasto F del quad, in funzione delle probabilità
di guasto del singolo componente (fc per il guasto in corto ed fa per il guasto a circuito
aperto), considerando separatamente la probabilità di guasto per cortocircuito e per circuito
aperto. Valutare, a seconda del rapporto fra le probabilità di guasto per cortocircuito e per
circuito aperto del componente, l’opportunità di mantenere o eliminare il collegamento (al
centro dello schema) indicato con tratto più marcato.
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La ridondanza viene attuata di solito, più significativamente, a livello di sottosistema.
Per esempio disponendo “in parallelo” due amplificatori e utilizzando poi un deviatore (che
ovviamente deve essere assai più affidabile del resto) per scegliere quale di questi utilizzare
effettivamente. O addirittura (criterio di riconfigurabilità) affidando al software di un sistema
digitale il compito di utilizzare l’uno o l’altro sottosistema (per esempio un banco di memoria
o un microprocessore) a seconda del suo stato di funzionalità.
Per disporre di componenti di elevata affidabilità si seguono varie strade, in ogni caso,
ovviamente, utilizzando oggetti già rodati, cioè che abbiano già “vissuto” a sufficienza,
superando la fase della mortalità infantile. Una di queste consiste nell’utilizzare dispositivi
(evidentemente assai più costosi del normale) costruiti in condizioni controllate, in linee di
produzione speciali per le esigenze del mercato militare e spaziale. Un’altra consiste nel
“qualificare”14 i componenti, eseguendo su di essi varie prove (cicli termici ripetuti,
vibrazioni meccaniche, prove radiografiche, prove di rumore, ecc.). Queste prove sono mirate
sia a scoprire difetti (contaminazioni superficiali, difetti strutturali, ecc.) che si sarebbero
potuti manifestare in tempi successivi, sia a verificare il comportamento dei dispositivi in
condizioni di elevate sollecitazioni.
Un altro criterio consiste nel prevedere che i componenti siano impiegati in condizioni
di sollecitazione (elettrica, termica, meccanica, ecc.) decisamente inferiori a quelle per cui
essi sono stati progettati. Il motivo è che, in generale, l’affidabilità dipende dal livello di
sollecitazione in condizioni di esercizio. Essa, in particolare, diminuisce all’aumentare della
temperatura (del resto è ben noto che un resistore che “scalda troppo” finisce male presto!)
sicchè conviene “deratare”, cioè, tutte le volte che è possibile, scegliere componenti più
“robusti” rispetto a quanto strettamente necessario. Per esempio, scegliere un resistore da 1
W e non da 250 mW quando la dissipazione prevista è di 100 mW; usare un transistore con
tensione limite inversa di almeno 100 V quando si prevede che esso sarà soggetto a non più
di 30 V; ecc.
In particolare, il fatto che l’affidabilità diminuisce all’aumentare della temperatura
viene sfruttato nelle prove di vita accelerate a caldo (burn in) a cui si sottopongono talvolta i
componenti, prima di impiegarli, allo scopo di fargli attraversare più rapidamente il periodo
iniziale caratterizzato da alto tasso di guasto. Notiamo anche che la dipendenza
14
In realtà quello che si qualifica è il lotto o la linea di produzione, non il singolo componente maltrattato dalle
prove.
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dell’affidabilità dalla temperatura viene posta spesso in relazione con la legge di Arrhenius
(la velocità delle reazioni chimiche in soluzione raddoppia per ogni aumento di 10 K della
temperatura), attribuendogli dunque una dipendenza esponenziale dalla temperatura. Si
considera allora il modello
R(T ) = R (To ) exp  − kEa

(6)
(
1
T
)
− T1o 

dove k è la costante di Boltzmann, Ea l’energia di attivazione caratteristica del processo di
degradazione (con valori tipici di una frazione di eV).
Notiamo infine che i calcoli di affidabilità sono spesso poco affidabili in assoluto e
dunque solamente indicativi (in pratica sono verificati sperimentalmente entro mezzo ordine
di grandezza), sopratutto per la difficoltà di procurare dati di affidabilità sui componenti, che
siano a loro volta sufficientemente affidabili. Ma questi calcoli sono certamente utili nel
confronto fra diverse soluzioni di progetto.
Nei calcoli di affidabilità si usa impiegare opportuni fattori, per esempio relativi alla
effettiva temperatura di lavoro dei componenti e al livello delle sollecitazioni ambientali, che
vanno a moltiplicare i valori di λ. Valori approssimati di questi coefficienti sono i seguenti.
Per la temperatura
Per le sollecitazioni ambientali
apparati fissi di terra 1
apparati mobili
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T (°C)
4
0-20
1
40
1,3
60
2
80
4
apparati su missili
100
10
120
30
10
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