1989-1990 - Docenti.unina

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Anno accademico 1989-1990
1) Un aereo deve andare dalla città 𝐴 alla città 𝐡, distanti 100 π‘˜π‘š, volando in linea
retta con velocità costante di modulo 𝑣0 rispetto al suolo. In direzione
perpendicolare ad 𝐴𝐡 soffia un vento con velocità di 50 π‘šπ‘’π‘‘π‘Ÿπ‘–/π‘ π‘’π‘π‘œπ‘›π‘‘π‘œ.
(π‘Ž) Come deve muoversi l’aereo per poter raggiungere la città 𝐡?
(𝑏) Se il consumo dell’aereo è di 25 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘–/π‘˜π‘š, quale deve essere il minimo valore
di 𝑣0 perché l’aereo possa raggiungere 𝐡 con un rifornimento di 5000 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘– di
carburante?
(𝑐) Se il consumo dipende anche dal modulo della velocità (se cioè il consumo per
unità di percorso si può scrivere come 𝑐 = π‘˜π‘£), per quali valori di 𝑣0 l’aereo può
raggiungere 𝐡 con un rifornimento di 5000 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘– se
π‘˜ = 0.125 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘–/(π‘˜π‘š2 /π‘œπ‘Ÿπ‘Ž) ?
Si utilizza preliminarmente il riferimento cartesiano mostrato nella figura che
segue, in cui sulle ascisse sono posizionate le due città e lungo le ordinate soffia il
vento alla velocità assegnata di
𝑀 = 50
π‘š
π‘˜π‘š
= 180
.
𝑠
β„Ž
Si osserva che la distanza tra le due città vale
𝐴𝐡 = 100 π‘˜π‘š ,
mentre le altre due distanze sono pari a
𝐡𝐢 = 𝐴𝐡 tan 𝛼 , 𝐴𝐢 =
2
𝐴𝐡
.
cos 𝛼
Inoltre, sempre nella stessa figura, la velocità 𝑣⃗0 rappresenta la velocità dell’aereo
rispetto all’aria, mentre 𝑣⃗ è la velocità dell’aereo rispetto al suolo.
(π‘Ž) L’aereo parte dalla città 𝐴 e, per giungere nella città 𝐡, a causa della spinta del
vento, deve puntare verso un’altra località, indicata con 𝐢 e quindi deve muoversi
con velocità 𝑣⃗0 rispetto al sistema di riferimento adoperato. Indicato con 𝛼
l’angolo di rotta, per il principio dei moti relativi, la componente lungo π‘₯ della
velocità assoluta dell’aereo vale
𝑣π‘₯ = 𝑣0 cos 𝛼 = 𝑣 ,
mentre la componente lungo 𝑦 è pari a
𝑣𝑦 = −𝑣0 sin 𝛼 + 𝑀 = 0 .
Affinché l'aereo giunga in 𝐡 volando in linea retta, deve essere dunque essere
3
sin 𝛼 =
𝑀
𝑀
→ 𝑣0 =
.
𝑣0
sin 𝛼
(𝑏) La distanza tra le due città vale 𝐴𝐡 = 100 π‘˜π‘š, mentre quella che l’aereo deve
effettivamente percorrere è pari a
𝐴𝐢 =
5000 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘–
= 200 π‘˜π‘š ,
25 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘–/π‘˜π‘š
che rappresenta la massima distanza che può percorrere con un rifornimento a
disposizione. Segue allora che l’angolo di rotta risulta
cos 𝛼 =
𝐴𝐡 100 1
πœ‹
=
=
→ 𝛼 = = 60° .
𝐴𝐢 200 2
3
Pertanto, la minima velocità rispetto all’aria che l’aereo deve possedere risulta
𝑣0 =
𝑀
50
100 π‘š
π‘˜π‘š
=
=
≅ 208
,
sin 𝛼 sin 60°
β„Ž
√3 𝑠
mentre quella rispetto al suolo è la metà
𝑣 = 𝑣0 cos 𝛼 =
𝑣0
π‘˜π‘š
≅ 104
.
2
β„Ž
(𝑐) Supponendo, per comodità, di esprimere tutte le velocità in chilometri orari,
se il consumo è proporzionale alla velocità
𝑐 = π‘˜π‘£0 con π‘˜ = 0.125
4
πΏβ„Ž
,
π‘˜π‘š2
l’autonomia, espressa in chilometri, sarà 5000/(π‘˜π‘£0 ), per cui deve verificarsi la
disuguaglianza
5000
40000
40000
40000
≥ 𝑣0 𝑑 →
≥ 𝑣0 𝑑 → 𝑑 ≤
=
.
0.125𝑣0
𝑣0
𝑣2 + 𝑀2
𝑣02
D’altra parte, il tempo impiegato 𝑑, espresso ovviamente in ore, si può ricavare
dalla distanza tra le due città
𝐴𝐡 = 𝑣𝑑 → 𝑑 =
𝐴𝐡 100
=
,
𝑣
𝑣
per cui, in definitiva, risulta
100
40000
1
400
≤ 2
→
≤
→ 𝑣 2 − 400𝑣 + 1802 ≤ 0 .
2
2
2
𝑣
𝑣 +𝑀
𝑣 𝑣 +𝑀
Questa disequazione di secondo grado ammette la soluzione
20(10 − √19)
π‘˜π‘š
π‘˜π‘š
≤ 𝑣 ≤ 20(10 + √19)
,
β„Ž
β„Ž
che consente approssimativamente di concludere che l’aereo può raggiungere 𝐡
con un rifornimento di 5000 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘– se la velocità rispetto al suolo è compresa
nell’intervallo
113
π‘˜π‘š
π‘˜π‘š
÷ 287
.
β„Ž
β„Ž
5
2) In un vagone ferroviario chiuso con pareti trasparenti sono posti:
(𝑖) un oggetto sferico di massa π‘š, appoggiato senza attrito sul pavimento;
(𝑖𝑖) un palloncino riempito di elio, appoggiato senza attrito al soffitto del vagone.
Il vagone, inizialmente fermo, viene posto in moto rettilineo orizzontale con
accelerazione costante π‘Ž (prima fase) e, raggiunta una certa velocità 𝑣, prosegue
con moto rettilineo uniforme per un certo tratto 𝑙 (seconda fase), per poi essere
riportato in quiete con decelerazione costante π‘Ž (terza fase). Come si comportano,
staticamente e dinamicamente, l’oggetto sferico ed il palloncino rispetto ad un
osservatore che viaggia nel vagone e ad un osservatore fermo a terra durante le
tre fasi del moto?
Nota. Nel caso del corpo (𝑖), si prescinda dalla presenza dell’aria. Inoltre, si
supponga il vagone tanto lungo che i corpi (𝑖) e (𝑖𝑖) non possono mai toccare le
pareti di fondo del vagone.
Prima di entrare nel vivo della soluzione dell’esercizio, è opportuno fare qualche
premessa. Uno dei concetti principali che devono essere definiti nello studio della
fisica è quello del sistema di riferimento. Nello studio delle leggi del moto seguite
da qualsiasi oggetto, ad esempio un treno, è sempre importante definire rispetto
a quale osservatore queste leggi sono riferite. Il nostro treno, infatti, sarà fermo
per chi ci viaggia sopra, ma si muoverà per gli altri. In Fisica esistono due tipi di
sistemi di riferimento: quelli inerziali e quelli non inerziali. Un sistema di
riferimento inerziale si ha quando un corpo lasciato libero di muoversi, e senza
attrito, rimane nel suo stato di quiete o di moto a velocità costante. Se nel sistema
di riferimento sono presenti forze dette fittizie, che cambiano la velocità del
nostro corpo (l’accelerazione è la derivata della velocità) il sistema di riferimento
è detto non inerziale.
6
Si supponga ora, come richiesto dal testo, di porre una palla ferma sul corridoio
di un treno in corsa e si cerchi di intuire cosa stia accadenso: se il treno è su un
rettilineo e non accelera né frena, la palla continuerà a rimanere ferma per un
osservatore solidale con il treno ed a correre come il treno per un osservatore
fermo lungo i binari.
Galileo Galilei
Pisa, 15 febbraio 1564 – Arcetri, 8 gennaio 1642
Se ora il treno frena, per l’osservatore solidale la palla comincia misteriosamente
a correre sul corridoio, per chi è a terra invece il treno ha frenato e la palla, che
era libera di muoversi, ha continuato a correre indisturbata. Si ripensi
all’accaduto: all’inizio sia chi è sul treno, sia chi è lungo i binari si trovava in un
sistema di riferimento inerziali: infatti la palla per i primi era ferma, mentre per i
secondi si muoveva con velocità costante. Quando il treno ha iniziato a frena,
l’osservatore solidale con esso non è più in un sistema di riferimento inerziale, dal
momento che la palla ha improvvisamente cominciato a muoversi sotto l’azione
di una forza fittizia. Si ricorda che solo applicando una forza alla palla e quindi
7
un'accelerazione è possibile cambiarne la velocità. L’osservatore lungo i binari
non ha ovviamente risentito di tutto questo ed ha continuato a vedere la palla
correre liberamente.
In conclusione, se si decide di studiare il moto di un corpo da un sistema di
riferimento inerziale, cosa sempre molto conveniente, qualsiasi sistema venga
scelto si troverà sempre le stesse leggi fisiche, poiché non sono presenti nel
sistema prescelto forze non presenti negli altri. Se dunque ci si trova in un sistema
di riferimento inerziale, verranno osservate le stesse leggi che in un altro sistema
che si muove, rispetto ad esso, con velocità costante, dato che non sono possibili
accelerazioni e quindi forze fittizie. Questo è denominato Principio di Relatività di
Galileo e rappresenta il contenuto del Primo Principio della Dinamica. Ecco come
il grande scienziato pisano lo enunciò più di cinquecento anni or sono nel Dialogo
sopra i massimi sistemi del mondo.
Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coperta di alcun
grande naviglio, e quivi fate di aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi
anche un gran vaso d’ acqua, e dentrovi dei pescetti, sospendasi anco in alto qualche
secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’ acqua in un altro vaso di
angusta bocca, che sia posto in basso: e stando ferma la nave, osservate
diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le
parti della stanza, e i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i
versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’ amico
alcun cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso
questa, quando le lontananze sieno uguali, e saltando voi, come si dice, a piè giunti,
egual spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte
queste cose, benché niuno dubbio vi sia che mentre il vassello sta fermo non debbano
succedere così; fate muovere la nave con quanta si voglia velocità: ché (pur che il
moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima
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mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprendere se
la nave cammina oppur sta ferma.
Fatte queste premesse, si passa al problema assegnato e si consideri un sistema
di riferimento fisso, lungo i binari, ed un altro in moto rettilineo uniforme, sul
treno.
Se il treno è su un rettilineo e non accelera né frena, qualunque oggetto presente
in esso continuerà a rimanere fermo per l’osservatore solidale con il treno ed a
correre come il treno per chi osserva il fenomeno dai binari. Per entrambi gli
osservatori la palla verifica il principio di inerzia, per cui il corpo, essendo
soggetto solo a forze equilibrate, cioè a forze la cui risultante è nulla (la forza peso
e la forza di sostegno del pavimento), persevera nel suo stato di quiete, per
l’osservatore sul treno, o di moto rettilineo uniforme, per l’osservatore a terra.
Inoltre, interpretando i dati assegnati, si può dire che il vagone si muove con
andamento lineare della velocità durante la fase di accelerazione e di
decelerazione, mentre la velocità rimane costante nella parte centrale del moto,
proprio come suggerisce la figura riportata, in cui il fenomeno viene osservato per
9
un intervallo di tempo pari a 𝑇. L’intervallo di tempo di durata 𝑇0 rappresenta il
tempo di salita e quello di discesa della velocità, mentre la velocità è costante per
un tratto di binario lungo 𝑙, per cui
𝑙 = π‘Žπ‘‡0 (𝑇 − 2𝑇0 ) con 𝑇 ≥ 2𝑇0 .
Nei due punti di seguito discussi, si mostrerà che il comportamento del corpo
poggiato sul pavimento del treno è diverso da quello del palloncino di elio sospeso
al soffitto.
(𝑖) Quando un oggetto sferico di massa π‘š viene appoggiato sul pavimento, privo
di attrito, del treno, seguendo il grafico della velocità riportato, si può affermare
che, durante la fase in cui il treno accelera, si osserva l’indietreggiamento del
corpo di massa. L’osservatore fermo spiega l’arretramento del corpo, affermando
che esso tende per inerzia a mantenere inalterate le proprie velocità.
L’osservatore sul vagone, inconsapevole di essere in moto uniformemente
accelerato, vede il corpo procedere in direzione opposta al moto e ritiene che
sussista una forza apparente che lo spinge. Durante la fase a velocità costante,
10
l’osservatore inerziale rileva un moto uniforme, mentre quello solidale con il
treno osserva un moto rettilineo che prosegue in continuità con quello accelerato
della fase precedente. In entrambi i casi, comunque, il corpo continua ad
allontanarsi dal punto di partenza. Infine, quando la velocità diminuisce,
l’osservatore sui binari vede prima rallentare il corpo e poi invertire il verso del
moto, come pure quello sul treno lo vede, dopo qualche secondo, ritornare
indietro.
(𝑖𝑖) Si passa ora ad esaminare il moto del palloncino riempito di elio, appoggiato
senza attrito al soffitto del vagone. Si rammenta che l’elio è più leggero dell’aria,
che sostiene dunque il palloncino. Anche l’aria, come osservata all’interno del
treno, subirà le forze apparenti, quindi in fase di accelerazione tenderà a spostarsi
verso la parte posteriore del vagone. Questo fa in modo che il palloncino, pieno
d’elio e quindi più leggero dell’aria, si troverà spinto dall’aria verso la parte
anteriore a causa della spinta dell’aria. In fase di decelerazione, invece, accadrà il
contrario: l’aria tenderà a spostarsi avanti, spingendo il palloncino verso la parte
posteriore. Lo stesso vale in curva: l’aria si posterà di lato, verso l’esterno della
curva, spostando il palloncino verso l’interno. Quando il treno si muove a velocità
costante, continuerà a conservare per un poco la velocità che aveva durante
l’ultima fase di accelerazione e poi si fermerà a causa dell’attrito viscoso prodotto
dalle molecole di aria che lo circondano.
11
3) Un cilindro chiuso da un pistone mobile e contenente una mole di gas biatomico
è posto in contatto termico, attraverso la superficie di fondo, con una sorgente a
temperatura 𝑇0 = 300 𝐾. Il volume iniziale del cilindro è 𝑉0 = 6 π‘™π‘–π‘‘π‘Ÿπ‘–. Calcolare
P0. In maniera reversibile, il gas viene fatto espandere fino ad un volume finale
doppio di quello iniziale, mantenendo sempre il cilindro in equilibrio termico con
la sorgente. Calcolare il calore scambiato dal gas e il lavoro compiuto ed esprimere
i valori in joules.
Il risultato ottenuto vi sembra compatibile con il secondo principio della
termodinamica? Giustificate la vostra risposta.
Si osserva innanzitutto che, adoperando l’equazione dei gas perfetti con
𝑛 = 1 , 𝑉0 = 6 𝐿 , 𝑇0 = 300 𝐾 , 𝑅 = 0.082
π‘Žπ‘‘π‘š 𝐿
,
π‘šπ‘œπ‘™ 𝐾
si ottiene immediatamente il valore di pressione richiesta, per cui
𝑃0 =
𝑛𝑅𝑇0 0.082 βˆ™ 300
=
= 4.1 π‘Žπ‘‘π‘š .
𝑉0
6
Inoltre, il primo principio della termodinamica, anche detto, per estensione, legge
di conservazione dell’energia, stabilisce che l’energia di un sistema
termodinamico chiuso non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da
una forma a un’altra. Precisamente, considerati due stati 𝐴 e 𝐡, la variazione di
energia interna
βˆ†π‘ˆ = π‘ˆ(𝐡) − π‘ˆ(𝐴)
è pari alla differenza del calore assorbito 𝑄 = 𝑄(𝐴 → 𝐡) e del lavoro compiuto
π‘Š = π‘Š(𝐴 → 𝐡) dal sistema durante la trasformazione, in formula
12
βˆ†π‘ˆ = 𝑄 − π‘Š .
Nel caso in esame, trattandosi di un gas perfetto, dato che la temperatura rimane
costante, si può più semplicemente scrivere
2𝑉0
𝑄=π‘Š=∫
2𝑉0
𝑝 𝑑𝑉 = 𝑛𝑅𝑇0 ∫
𝑉0
𝑉0
𝑑𝑉
= 𝑛𝑅𝑇0 ln 2 ≅ 17.05 π‘Žπ‘‘π‘š 𝐿 .
𝑉
Ebbene, essendo
1 π‘Žπ‘‘π‘š = 101325 π‘ƒπ‘Ž , 1 𝐿 = 10−3 π‘š3 ,
il precedente lavoro diventa
π‘Š ≅ 1728 𝐽 .
Il dubbio sulla incompatibilità del fenomeno con il secondo principio potrebbe
venire fuori, se si assumesse il gas come sistema. Si ha infatti che il gas assorbe
calore da una sorgente e lo traduce interamente in lavoro, evenienza assurda per
il principio nella formulazione Kelvin-Planck. Tuttavia, l’unico risultato della
trasformazione termodinamica non è il compimento del lavoro, ma anche la
modifica della situazione iniziale, cioè della posizione del gas e del pistone. Inoltre,
l’entropia dell’universo è costante, dato che vi è uno scambio di calore a
temperatura costante. Pertanto, l’entropia acquistata dal gas coincide con quella
persa dalla sorgente.
13
4) Due fili rettilinei e indefiniti 1 e 2, paralleli tra loro, sono posti verticalmente in
posizione fissa a distanza 𝑑 l’uno dall’altro; in essi fluiscono le correnti 𝑖1 e 𝑖2
rispettivamente. Nel piano che li contiene e tra essi è posto un terzo filo 3,
parallelo ad entrambi, nel quale fluisce la corrente 𝑖3 ; il terzo filo è libero di
spostarsi lateralmente, mantenendosi parallelo a se stesso, nella porzione di
piano compresa tra i fili 1 e 2. Discutere le condizioni di equilibrio del filo 3.
Il campo di induzione magnetica sostenuto da un filo rettilineo indefinito,
percorso da una corrente assegnata 𝑖, è pari in modulo a
𝐡=
πœ‡0 𝑖
,
2πœ‹π‘Ÿ
essendo π‘Ÿ la distanza dal filo e πœ‡0 = 4πœ‹ βˆ™ 10−7 𝐻/π‘š la permeabilità magnetica del
vuoto.
Le linee del campo magnetico si avvolgono attorno al filo in tante circonferenze
concentriche al filo, orientate secondo la regola della mano destra, illustrata nella
figura precedente, in cui si immagina idealmente di afferrare il filo con il pollice
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puntato secondo la direzione della corrente nel filo: il verso di rotazione stabilito
dalle altre dita indica il verso delle linee del campo magnetico generato dal filo.
Per discutere compiutamente l’esercizio proposto, bisogna distinguere due casi:
1. le due correnti sono equiverse;
2. le due correnti sono controverse.
In entrambi i casi, comunque, i due fili sono posti a distanza 𝑑 l’uno dall’altro in
posizioni fisse: essi si attraggono se le due correnti hanno lo stesso verso, si
respingono nel caso contrario.
1. Se le due correnti hanno il medesimo verso, considerando la figura precedente
e quanto già detto sulle linee di forza del campo di induzione magnetica, esiste un
punto, indicato con 𝑃 nella figura e compreso all’interno del segmento che
congiunge i due fili, in cui il campo totale si annulla. I campi sostenuti dai due fili,
in questa regione, hanno versi opposti, per cui si può scrivere che
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βƒ—βƒ—1 =
𝐡
πœ‡0 𝑖1
πœ‡0 𝑖2
βƒ—βƒ—2 =
𝑦̂ , 𝐡
𝑦̂
2πœ‹π‘₯
2πœ‹(𝑑 − π‘₯)
essendo π‘₯ l’ascissa generica di un qualsiasi punto interno alla congiungente i due
fili, per cui risulta
0<π‘₯<𝑑.
L’equilibrio è dato allora dalla condizione di uguaglianza dei moduli dei due campi
di induzione magnetica 𝐡1 = 𝐡2 , vale a scrivere
πœ‡0 𝑖1
πœ‡0 𝑖2
𝑖1
=
→ π‘₯=𝑑
.
2πœ‹π‘₯ 2πœ‹(𝑑 − π‘₯)
𝑖1 + 𝑖2
Questa posizione di equilibrio è instabile se la terza corrente 𝑖3 , anche detta
corrente di prova, ha lo stesso verso di 𝑖1 e 𝑖2 , è invece stabile se la terza corrente
ha verso opposto. Ad esempio, volendo discutere il caso instabile, si verifica che,
se si avvicina il terzo filo al primo, il campo magnetico generato dal primo filo
prevale su quello generato dal secondo: quindi, essendo la forza sul filo di prova
attrattiva, la risultante delle forze agenti sul terzo conduttore sarà tale da
avvicinarlo ulteriormente al primo, allontanandolo dal secondo. La stessa cosa
accade se si avvicina il terso filo al secondo: l’azione attrattiva esercitata da
quest’ultimo prevarrà su quella del primo filo. Il contrario, invece, accade nel caso
stabile.
2. Se i due fili sono percorsi da correnti discordi, i due campi hanno versi opposto
nella regione esterna a quella compresa tra i due fili. Pertanto, nella zona di
interesse non esiste alcun punto di equilibrio in cui il campo totale si annulla. Se
dunque si pone il terzo filo in un punto appartenente alla regione piana compresa
16
tra i primi due, esso verrà attratto dal filo percorso da corrente dello stesso verso
di 𝑖3 e contemporaneamente sarà respinto dall’altro filo, in un’azione combinata
che lo porterà a muoversi verso il filo percorso dalla corrente equiversa.
17
5) Due cariche puntiformi 𝑄1 = 𝑄2 = 3 βˆ™ 10−9 π‘π‘œπ‘’π‘™π‘œπ‘šπ‘ sono poste nel vuoto alla
distanza di 10 π‘π‘š.
(π‘Ž) Qual è la forma della superficie equipotenziale di valore 𝑉0 = 1200 π‘£π‘œπ‘™π‘‘.
Si immagini ora di materializzare tale superficie con un conduttore cavo e isolato.
Si chiede di calcolare:
(𝑏) la capacità del conduttore;
(𝑐) la densità superficiale di carica nei punti di intersezione della retta passante
per 𝑄1 e 𝑄2 con la superficie esterna del conduttore.
Un utile strumento per la visualizzazione delle caratteristiche vettoriali del
vettore intensità di campo sono le linee di forza.
Como dimostra la figura precedente, esse possono essere facilmente ottenute per
via sperimentale e sono tracciate dovendo garantire che, dato un punto arbitrario,
il vettore intensità di campo presente in quel punto deve essere tangente alla linea
18
di forza che passa per quel punto. La direzione del campo risulta individuata dalla
direzione assegnata alla linea di forza.
Tuttavia, anche l’andamento del potenziale elettrostatico fornisce utili
informazioni sulla struttura spaziale del campo, per mezzo delle superfici
equipotenziali: si tratta di quelle superfici dello spazio tridimensionale nei cui
punti il potenziale elettrostatico ha lo stesso valore, cioè
𝑉(π‘₯, 𝑦, 𝑧) = costante .
Al variare del valore costante si ha una famiglia di superficie equipotenziali con le
seguenti caratteristiche:
ο‚· per un punto passa una ed una sola superficie equipotenziale;
ο‚· le linee di forza sono in ogni punto ortogonali alle superficie equipotenziali.
La prima proprietà dipende dal fatto che il potenziale elettrostatico è una
funzione univoca, mentre la seconda è conseguenza del fatto che il campo
elettrostatico non può avere una componente tangente ad una superficie
equipotenziale. Il verso del campo elettrostatico indica il verso in cui le superficie
equipotenziali diminuiscono in valore. Queste proprietà generali si riscontrano
facilmente negli esempi presenti in tutti i manuali di Fisica.
Per una carica puntiforme le superfici equipotenziali sono sfere concentriche con
centro nella carica. Nel caso di un filo indefinito il campo ha direzione ortogonale
al filo e le superficie equipotenziali sono superficie cilindriche aventi il filo come
asse. Nel caso di un piano indefinito il campo è ortogonale al piano e le superficie
equipotenziali sono piani paralleli al piano e la stessa geometria si ha all’interno
di due piani carichi con carica opposta.
Il problema in esame chiede di studiare le superfici equipotenziali di un sistema
di due cariche positive uguali. Per iniziare ad avere un’idea, la figura che segue
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mostra la proiezione in un piano di queste superfici, il cui reale andamento si
ottiene per rotazione attorno alla retta che contiene le due cariche: le linee di forza
sono continue ed ortogonali alle tracce delle superfici equipotenziali, che sono
invece tratteggiate.
Vale la pena notare che in prossimità di ciascuna carica sono molto vicine a sfere
che racchiudono interamente la carica e si ottengono per elevati valori del
potenziale. Ad una particolare distanza si ha una particolare superficie
equipotenziale, detta separatrice, oltre la quale le superfici equipotenziali
racchiudono entrambe le cariche. All’aumentare della distanza dalle sorgenti, le
superfici equipotenziali tendono a diventare prima simili a delle ellissoidi e poi a
delle sfere. Ad una notevole distanza dal baricentro delle due cariche, l’andamento
delle superfici equipotenziali si confonde con quello di una carica puntiforme di
valore pari alla somma delle due cariche. Il piano di simmetria interseca la
separatrice in un punto doppio, in cui il campo elettrico è nullo; la separatrice
separa l’intero spazio in due semispazi speculari, ciascuno contenente una sola
carica puntiforme, immagine dell’altra.
20
(π‘Ž) Per comprendere quale sia la forma della superficie equipotenziale che
corrisponde al valore 𝑉0 = 1200 π‘£π‘œπ‘™π‘‘, si supponga che le due cariche siano
posizionate in due punti dell’asse 𝑧 di un riferimento cartesiano nello spazio
𝑃1 = (0, 0, 𝑑) e 𝑃2 = (0, 0, −𝑑) con 𝑑 = 5 π‘π‘š
e si riduca, per semplicità, il problema allo studio di linee nel solo piano π‘₯𝑧, nella
certezza che le superfici si otterranno facilmente per rotazione attorno alle asse
𝑧. Ebbene, scrivendo il potenziale dovuto alle due cariche positive
π‘ž = 𝑄1 = 𝑄2 = 3 βˆ™ 10−9 𝐢
In un generico punto 𝑃 = (π‘₯, 𝑦, 𝑧) dello spazio, il potenziale sostenuto dalle due
cariche vale
𝑉(π‘₯, 𝑦, 𝑧) = π‘˜π‘ž (
1 1
𝑁
+ ) con π‘˜ = 9 βˆ™ 109 2 2 ,
π‘Ÿ1 π‘Ÿ2
π‘š 𝐢
essendo le due distanze pari a
π‘Ÿ1 = 𝑃𝑃1 = √π‘₯ 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑑)2 , π‘Ÿ2 = 𝑃𝑃2 = √π‘₯ 2 + 𝑦 2 + (𝑧 + 𝑑)2 .
Nei punti che appartengono al piano 𝑦 = 0, si può scrivere che
𝑉(π‘₯, 0, 𝑧)
1
1
=
+
.
π‘˜π‘ž
√π‘₯ 2 + (𝑧 − 𝑑)2 √π‘₯ 2 + (𝑧 + 𝑑)2
Sostituendo i valori numerici assegnati, si ottiene la relazione
21
𝑑
√π‘₯ 2 + (𝑧 − 𝑑)2
+
1
√π‘₯ 2 + (𝑧 + 𝑑)2
=𝛼=
𝑉0 𝑑 20
=
,
π‘˜π‘ž
9
che rappresenta la linea mostrata nella figura che segue.
Per comprendere l’andamento riportato, si faccia riferimento alle figura in
precedenza discusse. In particolare, si considerino le intersezione delle curve
equipotenziali con l’asse 𝑧, per cui
𝑑
1
+
=𝛼.
|𝑧 − 𝑑| |𝑧 + 𝑑|
22
Al variare della costante 𝛼 vi sarà un numero di intersezioni variabili:
precisamente, si può affermare che
οƒΌ quando 𝛼 > 2 sono presenti quattro intersezioni e le curve equipotenziali
saranno distinte;
οƒΌ quando 𝛼 = 2 sono presenti tre intersezioni e la curva equipotenziale sarà
intrecciata;
οƒΌ quando 𝛼 < 2 sono presenti due sole intersezioni e la curva equipotenziale
è una sola racchiudente le due cariche.
Ciò si deduce agevolmente dalla figura che segue, in cui è disegnata la funzione
𝑓(𝑧) =
𝑑
1
+
.
|𝑧 − 𝑑| |𝑧 + 𝑑|
23
Nel caso in esame 𝛼 = 20/9 > 1 e si avranno due linee distinte, ciascuna
contornante una singola carica e le quattro intersezioni saranno
𝑧𝐴,𝐢 = ±
𝑑
√10
≅ ±0.3162 𝑑 , 𝑧𝐡,𝐷 = ±
9 + √481
𝑑 ≅ ±1.5466 𝑑 .
20
(𝑏) La capacità 𝐢 del condensatore, una volta che le due superfici equipotenziali
sono state metallizzate, si può determinare facilmente, osservando che tutte le
linee di forza che partono da uno dei due conduttori si chiudono all’infinito.
Pertanto, si può scrivere che
𝑄1 𝑄2
π‘ž
3 βˆ™ 10−9
𝐢=
+
=2 =2βˆ™
𝐹 = 0.5 βˆ™ 10−12 𝐹 = 0.5 𝑝𝐹 .
𝑉0 𝑉0
𝑉0
1200
(𝑐) Per determinare la densità superficiale di carica nei punti di intersezione della
retta passante per 𝑄1 e 𝑄2 con la superficie esterna del conduttore, basta applicare
il Teorema di Coulomb, per cui il campo elettrostatico in corrispondenza della
superficie di un conduttore vale
𝐸⃗⃗ =
𝜎
𝑛̂ ,
πœ€0
in cui 𝜎 rappresenta la densità superficiale di carica, che varia da punto a punto
sul conduttore, la costante dielettrica del vuoto
πœ€0 = 8.85418781762 βˆ™ 10−12
24
𝐹
,
π‘š
mentre 𝑛̂ il versore normale al contorno del conduttore. Essendo lungo la
congiungente prescelta il campo elettrico diretto lungo l’asse 𝑧, si ottiene la forma
equivalente
𝐸⃗⃗ =
𝜎
𝑧̂ .
πœ€0
cioè il modulo del campo elettrico è proporzionale alla densità di carica.
Supponendo di voler determinare la densità di carica in corrispondenza del
conduttore che contorna la carica posta nel semispazio negativo, si può scrivere
che nel punto 𝐢 risulta
𝐸𝐢 =
π‘ž
1
1
−
[
].
4πœ‹πœ€0 (𝑧𝐢 + 𝑑)2 (𝑧𝐢 − 𝑑)2
un campo diretto secondo il verso positivo dell’asse 𝑧. Segue che la densità vale
𝜎𝐢 = 𝜎𝐴 = πœ€0 𝐸𝐢 =
π‘ž
1
1
πœ‡πΆ
−
≅
0.15
.
[
]
4πœ‹ (𝑧𝐢 + 𝑑)2 (𝑧𝐢 − 𝑑)2
π‘š2
Similmente, ragionando per la densità di carica nel punto 𝐡, si può scrivere
𝜎𝐡 = 𝜎𝐷 = πœ€0 𝐸𝐡 =
π‘ž
1
1
πœ‡πΆ
−
≅
0.3
.
[
]
4πœ‹ (𝑧𝐡 − 𝑑)2 (𝑧𝐡 + 𝑑)2
π‘š2
25
6) Come risponderebbero, succintamente, Newton e Einstein agli interrogativi di
questa riflessione di Sant’Agostino: “Che è, poi, il tempo? Chi saprebbe spiegarlo
facilmente e brevemente? Chi almeno saprebbe comprenderlo con il pensiero,
tanto da proferirne una parola? Eppure, quale cosa più familiare e più nota noi
menzioniamo nel parlare, che il tempo? e l’intendiamo benissimo, quando ne
parliamo: e altrettanto lo intendiamo quando ne parla un altro e noi l’udiamo β‹―.
Che è dunque il tempo? se nessuno me lo domanda, so cos’è; ma se qualcuno me
lo domanda e io cerco di spiegarglielo, non lo so più: eppure con fiducia dico di
sapere che, se niente passasse, non ci sarebbe tempo passato, e se niente
avvenisse, non ci sarebbe tempo avvenire, e se niente esistesse, non ci sarebbe
tempo presente.”
Il tempo rappresenta la dimensione nella quale si concepisce e si misura il
trascorrere degli eventi: esso induce la distinzione tra passato, presente e futuro.
La complessità del concetto è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e
scientifiche. La percezione del tempo è la presa di coscienza che la realtà di cui
siamo parte si è materialmente modificata. Se si osserva una formica che si muove,
la diversità delle posizioni assunte, o se si presta attenzione al susseguirsi dei
pensieri di un individuo oppure ai battiti del suo cuore, fatti fisiologici, ed in
ultima analisi, fisici, ciò certifica che è trascorso un intervallo di tempo. Si
evidenzia il termine intervallo a significare che il tempo è sempre una durata, che
è l’unico sinonimo di tempo, e come tale ha un inizio e una fine.
Il tempo secondo Sant’Agostino
Secondo Sant’Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all’Universo, ma la
sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e
il V secolo dopo Cristo, afferma ironicamente: «Se non mi chiedono cosa sia il
tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so». Tuttavia, Agostino critica una
concezione del tempo aristotelica inteso come misura del moto degli astri: nelle
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Confessioni afferma che il tempo è distensione dell’animo" ed è riconducibile ad
una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente, ha
coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell’attesa.
Aurelio Agostino di Ippona
Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28 agosto 430
Da sant’Agostino in poi nel pensiero cristiano il tempo è concepito in senso lineare
e progressivo, non più circolare e ciclico come nel mondo pagano. Dalla caduta di
Adamo l’escatologia cristiana procede verso la consumazione del tempo, il
riscatto dell’uomo verso Dio, il Giudizio Universale e l’eternità spirituale.
Il tempo secondo Newton
Il tempo è stato dunque considerato in vari modi nel corso della storia del
pensiero, ma le definizioni di Platone ed Aristotele sono state di riferimento per
moltissimi secoli, magari criticate o reinterpretate in senso cristiano, fino a
27
giungere alla rivoluzione scientifica. Di questo periodo è fondamentale la
definizione di Isaac Newton (1642ο€­1727), secondo il quale il tempo, al pari dello
spazio, è sensorium Dei, cioè il senso di Dio, e scorrerebbe immutabile, sempre
uguale a sé stesso; una concezione analoga è presente nelle opere di Galileo
Galilei.
Isaac Newton
Woolsthorpe, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1727
Per ascoltare le parole di Newton, si riporta la definizione del tempo, tratta dal
primo capitolo della Naturalis philosophiae principia mathematica.
Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione a nulla
di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello
relativo, apparente e volgare, è una misura, esatta oppure inesatta, sensibile ed
esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto
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del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno. Infatti i giorni naturali, che
di consueto sono ritenuti uguali, e sono usati come misura del tempo, sono inuguali.
Gli astronomi correggono questa inuguaglianza affinché, con un tempo più vero,
possano misurare i moti celesti. È possibile che non vi sia movimento talmente
uniforme per mezzo del quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i
movimenti possono essere accelerati o ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non
può essere mutato. Identica è la durata o la persistenza delle cose, sia che i moti
vengano accelerati, sia che vengano ritardati, sia che vengano annullati.
Degna di nota è la contesa tra Newton e Leibniz, che riguardava la questione del
tempo assoluto: mentre il primo credeva che il tempo fosse, analogamente allo
spazio, un contenitore di eventi, il secondo riteneva che esso, come lo spazio, fosse
un apparato concettuale che descriveva le interrelazioni tra gli eventi stessi.
Il tempo secondo Einstein
Fino ad Einstein, dunque, i concetti di tempo e spazio erano separati e considerati
oggettivamente, sulla base della geometria euclidea soprattutto. Lo spazio aveva
tre dimensioni ed il tempo era misurato con calendari di tipo solare o lunare. Con
Einstein tempo e spazio diventano una cosa sola, nel senso che, a causa della
velocità della luce, essi si influenzano reciprocamente. Il tempo ha smesso di
essere una questione oggettiva, indipendente dalle sensazioni e dalle opinioni
dell’uomo. Einstein in pratica fa capire che quanto più aumenta la nostra velocità
nello spazio, rapportata a quella della luce, tanto più il tempo rallenta.
Un grande progresso del pensiero è stato la formulazione della Teoria della
Relatività, nella forma ristretta nel 1905 e generale nel 1916, di Einstein, secondo
la quale il tempo non è assoluto, ma dipende dalla velocità e dal riferimento
spaziale che si prende in considerazione. Secondo Einstein è più corretto parlare
di spazio-tempo, perché i due aspetti, quello cronologico e quello spaziale, sono
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inscindibilmente correlati tra loro; esso viene modificato dai campi gravitazionali,
che sono capaci di deflettere la luce e di rallentare il tempo.
Albert Einstein
Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955
Secondo la relatività ristretta il tempo di un osservatore è uguale a quello di un
altro osservatore solo se viene moltiplicato per un certo fattore che dipende dalla
velocità relativa dei due osservatori. Più in particolare, valgono le formule di
Lorentz
π‘₯ ′ = 𝛾(π‘₯ − 𝑣𝑑) ,
𝑦′ = 𝑦 ,
𝑧′ = 𝑧 ,
𝑣2
𝑑 ′ = 𝛾 (𝑑 − ) ,
𝑐
{
30
in cui si è indicato con 𝑐 = 299792.458 π‘˜π‘š/𝑠 la velocità della luce nel vuoto, il
fattore di Lorentz con
𝛾=
1
√1 − 𝑣 2 /𝑐 2
,
con π‘₯, 𝑦, 𝑧 le tre dimensioni spaziali, con 𝑑 la dimensione temporale, con 𝑣 la
velocità, mentre l’apice indica un diverso sistema di riferimento.
Secondo l’ultima formula, che riguarda il tempo, rimanendo sulla Terra ad
osservare un razzo che viaggia velocissimo nello spazio, si vedrebbe che il suo
equipaggio si muove al rallentatore. Senza dubbio, questa formula, considerata
astrattamente, è vera, ma solo se l’uomo si pone in una condizione spaziotemporale metastorica. Nel senso cioè che quella formula, che pur pretende
d'essere vera sul piano fisico, può riferirsi ad una Fisica di cui l’uomo comune ha
ben poco bisogno. Peraltro, Einstein cercò di applicare quella formula anche al
livello metafisico, elaborando una propria concezione della relatività.
Si può accorciare il tempo? Relativamente, cioè sino ad un certo punto. Lo si può
fare oggettivamente? Certamente non lo si può fare. Spostandosi da un fuso orario
ad un altro, è possibile accorciare oppure allungare il tempo, ma è sempre in
riferimento al tempo iniziale: nessun altro si accorgerà di questo mutamento.
Il tempo non dipende unicamente dalla nostra percezione soggettiva: esso ha una
propria oggettività il cui significato ultimo, per il momento, è sfuggente, poiché
tutti sono suoi figli e suoi padri. Come non si riesce a vedere l’inizio del tempo,
così non se ne vede la fine. Non esiste un punto di riferimento preciso che non sia
la nascita personale, che peraltro non è dipesa dal soggetto. Non è possibile
prendere come punto di riferimento nemmeno la nostra morte, al fine di chiudere,
con un segmento, i due punti della vita. L’unico tempo veramente oggettivo che si
può esaminare è quello degli altri che sono venuti prima e che sono morti. Bisogna
rapportarsi a questi morti, coltivando una forte memoria storica, e vivere il nostro
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tempo, conformemente alle sue specifiche esigenze: un tempo presente che
sicuramente risulterà molto più chiaro a chi verrà dopo.
Einstein non ha scoperto la quarta dimensione dell’Universo, ma ha evidenziato
che nell’epoca contemporanea gli uomini hanno una grande angoscia del tempo
che passa. Sempre più infatti ci si chiede che senso abbia lo scorrere del tempo,
visto che questo fluire spesso è foriero di immani catastrofi, come ad esempio le
due guerre mondiali. Gli esseri umani hanno perso il senso del tempo, proprio
perché hanno perso il senso della Storia e il significato della loro stessa vita. Gli
uomini vorrebbero ridurre ad un nulla il tempo, proprio perché sanno che il fluire
di questa dimensione implica un’assunzione di responsabilità, cioè il bisogno di
aumentare l’impegno personale e collettivo nel cercare di risolvere i problemi
dell'umanità. Il tempo insomma è una dimensione in cui l’uomo deve giocarsi la
sua libertà. In un certo senso è il tempo stesso, col suo carattere di
unidirezionalità, che costringe l'uomo a tener conto che esiste un irreversibile
processo in avanti. Il tempo non è una condizione che ci obbliga, fatalisticamente,
a fare determinate cose. È soltanto una dimensione vincolante, all’interno della
quale è possibile muoversi con relativa libertà: la libertà assoluta, storicamente
parlando, non esiste. Chi tiene conto del tempo e lo vive in uno spazio adeguato,
non resta indietro, ma è conforme alla velocità del tempo.
Mettere in rapporto la propria velocità a quella della luce non ha senso per l’uomo
di questo mondo. Lo spazio in cui l’uomo deve vivere resta quello euclideo. Il resto
è speculazione arbitraria. Non a caso le teorie di Einstein portano a credere che il
tempo, in ultima istanza, non esista, in quanto esiste solo la percezione soggettiva
che si ha. Il tempo è uguale all’eternità e questa è uguale al nulla. Di conseguenza,
anche il movimento della massa o della materia è illusorio, irreale, in quanto,
sempre secondo Einstein, non esistono punti di riferimento oggettivi, in grado di
misurare la velocità della luce. E così il cerchio si chiude: Einstein è tornato alla
fissità astratta di Parmenide ed alle assurdità delle ipotesi di Zenone
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