Anno accademico 1989-1990 1) Un aereo deve andare dalla città π΄ alla città π΅, distanti 100 ππ, volando in linea retta con velocità costante di modulo π£0 rispetto al suolo. In direzione perpendicolare ad π΄π΅ soffia un vento con velocità di 50 πππ‘ππ/π ππππππ. (π) Come deve muoversi l’aereo per poter raggiungere la città π΅? (π) Se il consumo dell’aereo è di 25 πππ‘ππ/ππ, quale deve essere il minimo valore di π£0 perché l’aereo possa raggiungere π΅ con un rifornimento di 5000 πππ‘ππ di carburante? (π) Se il consumo dipende anche dal modulo della velocità (se cioè il consumo per unità di percorso si può scrivere come π = ππ£), per quali valori di π£0 l’aereo può raggiungere π΅ con un rifornimento di 5000 πππ‘ππ se π = 0.125 πππ‘ππ/(ππ2 /πππ) ? Si utilizza preliminarmente il riferimento cartesiano mostrato nella figura che segue, in cui sulle ascisse sono posizionate le due città e lungo le ordinate soffia il vento alla velocità assegnata di π€ = 50 π ππ = 180 . π β Si osserva che la distanza tra le due città vale π΄π΅ = 100 ππ , mentre le altre due distanze sono pari a π΅πΆ = π΄π΅ tan πΌ , π΄πΆ = 2 π΄π΅ . cos πΌ Inoltre, sempre nella stessa figura, la velocità π£β0 rappresenta la velocità dell’aereo rispetto all’aria, mentre π£β è la velocità dell’aereo rispetto al suolo. (π) L’aereo parte dalla città π΄ e, per giungere nella città π΅, a causa della spinta del vento, deve puntare verso un’altra località, indicata con πΆ e quindi deve muoversi con velocità π£β0 rispetto al sistema di riferimento adoperato. Indicato con πΌ l’angolo di rotta, per il principio dei moti relativi, la componente lungo π₯ della velocità assoluta dell’aereo vale π£π₯ = π£0 cos πΌ = π£ , mentre la componente lungo π¦ è pari a π£π¦ = −π£0 sin πΌ + π€ = 0 . Affinché l'aereo giunga in π΅ volando in linea retta, deve essere dunque essere 3 sin πΌ = π€ π€ → π£0 = . π£0 sin πΌ (π) La distanza tra le due città vale π΄π΅ = 100 ππ, mentre quella che l’aereo deve effettivamente percorrere è pari a π΄πΆ = 5000 πππ‘ππ = 200 ππ , 25 πππ‘ππ/ππ che rappresenta la massima distanza che può percorrere con un rifornimento a disposizione. Segue allora che l’angolo di rotta risulta cos πΌ = π΄π΅ 100 1 π = = → πΌ = = 60° . π΄πΆ 200 2 3 Pertanto, la minima velocità rispetto all’aria che l’aereo deve possedere risulta π£0 = π€ 50 100 π ππ = = ≅ 208 , sin πΌ sin 60° β √3 π mentre quella rispetto al suolo è la metà π£ = π£0 cos πΌ = π£0 ππ ≅ 104 . 2 β (π) Supponendo, per comodità, di esprimere tutte le velocità in chilometri orari, se il consumo è proporzionale alla velocità π = ππ£0 con π = 0.125 4 πΏβ , ππ2 l’autonomia, espressa in chilometri, sarà 5000/(ππ£0 ), per cui deve verificarsi la disuguaglianza 5000 40000 40000 40000 ≥ π£0 π‘ → ≥ π£0 π‘ → π‘ ≤ = . 0.125π£0 π£0 π£2 + π€2 π£02 D’altra parte, il tempo impiegato π‘, espresso ovviamente in ore, si può ricavare dalla distanza tra le due città π΄π΅ = π£π‘ → π‘ = π΄π΅ 100 = , π£ π£ per cui, in definitiva, risulta 100 40000 1 400 ≤ 2 → ≤ → π£ 2 − 400π£ + 1802 ≤ 0 . 2 2 2 π£ π£ +π€ π£ π£ +π€ Questa disequazione di secondo grado ammette la soluzione 20(10 − √19) ππ ππ ≤ π£ ≤ 20(10 + √19) , β β che consente approssimativamente di concludere che l’aereo può raggiungere π΅ con un rifornimento di 5000 πππ‘ππ se la velocità rispetto al suolo è compresa nell’intervallo 113 ππ ππ ÷ 287 . β β 5 2) In un vagone ferroviario chiuso con pareti trasparenti sono posti: (π) un oggetto sferico di massa π, appoggiato senza attrito sul pavimento; (ππ) un palloncino riempito di elio, appoggiato senza attrito al soffitto del vagone. Il vagone, inizialmente fermo, viene posto in moto rettilineo orizzontale con accelerazione costante π (prima fase) e, raggiunta una certa velocità π£, prosegue con moto rettilineo uniforme per un certo tratto π (seconda fase), per poi essere riportato in quiete con decelerazione costante π (terza fase). Come si comportano, staticamente e dinamicamente, l’oggetto sferico ed il palloncino rispetto ad un osservatore che viaggia nel vagone e ad un osservatore fermo a terra durante le tre fasi del moto? Nota. Nel caso del corpo (π), si prescinda dalla presenza dell’aria. Inoltre, si supponga il vagone tanto lungo che i corpi (π) e (ππ) non possono mai toccare le pareti di fondo del vagone. Prima di entrare nel vivo della soluzione dell’esercizio, è opportuno fare qualche premessa. Uno dei concetti principali che devono essere definiti nello studio della fisica è quello del sistema di riferimento. Nello studio delle leggi del moto seguite da qualsiasi oggetto, ad esempio un treno, è sempre importante definire rispetto a quale osservatore queste leggi sono riferite. Il nostro treno, infatti, sarà fermo per chi ci viaggia sopra, ma si muoverà per gli altri. In Fisica esistono due tipi di sistemi di riferimento: quelli inerziali e quelli non inerziali. Un sistema di riferimento inerziale si ha quando un corpo lasciato libero di muoversi, e senza attrito, rimane nel suo stato di quiete o di moto a velocità costante. Se nel sistema di riferimento sono presenti forze dette fittizie, che cambiano la velocità del nostro corpo (l’accelerazione è la derivata della velocità) il sistema di riferimento è detto non inerziale. 6 Si supponga ora, come richiesto dal testo, di porre una palla ferma sul corridoio di un treno in corsa e si cerchi di intuire cosa stia accadenso: se il treno è su un rettilineo e non accelera né frena, la palla continuerà a rimanere ferma per un osservatore solidale con il treno ed a correre come il treno per un osservatore fermo lungo i binari. Galileo Galilei Pisa, 15 febbraio 1564 – Arcetri, 8 gennaio 1642 Se ora il treno frena, per l’osservatore solidale la palla comincia misteriosamente a correre sul corridoio, per chi è a terra invece il treno ha frenato e la palla, che era libera di muoversi, ha continuato a correre indisturbata. Si ripensi all’accaduto: all’inizio sia chi è sul treno, sia chi è lungo i binari si trovava in un sistema di riferimento inerziali: infatti la palla per i primi era ferma, mentre per i secondi si muoveva con velocità costante. Quando il treno ha iniziato a frena, l’osservatore solidale con esso non è più in un sistema di riferimento inerziale, dal momento che la palla ha improvvisamente cominciato a muoversi sotto l’azione di una forza fittizia. Si ricorda che solo applicando una forza alla palla e quindi 7 un'accelerazione è possibile cambiarne la velocità. L’osservatore lungo i binari non ha ovviamente risentito di tutto questo ed ha continuato a vedere la palla correre liberamente. In conclusione, se si decide di studiare il moto di un corpo da un sistema di riferimento inerziale, cosa sempre molto conveniente, qualsiasi sistema venga scelto si troverà sempre le stesse leggi fisiche, poiché non sono presenti nel sistema prescelto forze non presenti negli altri. Se dunque ci si trova in un sistema di riferimento inerziale, verranno osservate le stesse leggi che in un altro sistema che si muove, rispetto ad esso, con velocità costante, dato che non sono possibili accelerazioni e quindi forze fittizie. Questo è denominato Principio di Relatività di Galileo e rappresenta il contenuto del Primo Principio della Dinamica. Ecco come il grande scienziato pisano lo enunciò più di cinquecento anni or sono nel Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo. Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coperta di alcun grande naviglio, e quivi fate di aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anche un gran vaso d’ acqua, e dentrovi dei pescetti, sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’ acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto in basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza, e i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’ amico alcun cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno uguali, e saltando voi, come si dice, a piè giunti, egual spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niuno dubbio vi sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succedere così; fate muovere la nave con quanta si voglia velocità: ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima 8 mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina oppur sta ferma. Fatte queste premesse, si passa al problema assegnato e si consideri un sistema di riferimento fisso, lungo i binari, ed un altro in moto rettilineo uniforme, sul treno. Se il treno è su un rettilineo e non accelera né frena, qualunque oggetto presente in esso continuerà a rimanere fermo per l’osservatore solidale con il treno ed a correre come il treno per chi osserva il fenomeno dai binari. Per entrambi gli osservatori la palla verifica il principio di inerzia, per cui il corpo, essendo soggetto solo a forze equilibrate, cioè a forze la cui risultante è nulla (la forza peso e la forza di sostegno del pavimento), persevera nel suo stato di quiete, per l’osservatore sul treno, o di moto rettilineo uniforme, per l’osservatore a terra. Inoltre, interpretando i dati assegnati, si può dire che il vagone si muove con andamento lineare della velocità durante la fase di accelerazione e di decelerazione, mentre la velocità rimane costante nella parte centrale del moto, proprio come suggerisce la figura riportata, in cui il fenomeno viene osservato per 9 un intervallo di tempo pari a π. L’intervallo di tempo di durata π0 rappresenta il tempo di salita e quello di discesa della velocità, mentre la velocità è costante per un tratto di binario lungo π, per cui π = ππ0 (π − 2π0 ) con π ≥ 2π0 . Nei due punti di seguito discussi, si mostrerà che il comportamento del corpo poggiato sul pavimento del treno è diverso da quello del palloncino di elio sospeso al soffitto. (π) Quando un oggetto sferico di massa π viene appoggiato sul pavimento, privo di attrito, del treno, seguendo il grafico della velocità riportato, si può affermare che, durante la fase in cui il treno accelera, si osserva l’indietreggiamento del corpo di massa. L’osservatore fermo spiega l’arretramento del corpo, affermando che esso tende per inerzia a mantenere inalterate le proprie velocità. L’osservatore sul vagone, inconsapevole di essere in moto uniformemente accelerato, vede il corpo procedere in direzione opposta al moto e ritiene che sussista una forza apparente che lo spinge. Durante la fase a velocità costante, 10 l’osservatore inerziale rileva un moto uniforme, mentre quello solidale con il treno osserva un moto rettilineo che prosegue in continuità con quello accelerato della fase precedente. In entrambi i casi, comunque, il corpo continua ad allontanarsi dal punto di partenza. Infine, quando la velocità diminuisce, l’osservatore sui binari vede prima rallentare il corpo e poi invertire il verso del moto, come pure quello sul treno lo vede, dopo qualche secondo, ritornare indietro. (ππ) Si passa ora ad esaminare il moto del palloncino riempito di elio, appoggiato senza attrito al soffitto del vagone. Si rammenta che l’elio è più leggero dell’aria, che sostiene dunque il palloncino. Anche l’aria, come osservata all’interno del treno, subirà le forze apparenti, quindi in fase di accelerazione tenderà a spostarsi verso la parte posteriore del vagone. Questo fa in modo che il palloncino, pieno d’elio e quindi più leggero dell’aria, si troverà spinto dall’aria verso la parte anteriore a causa della spinta dell’aria. In fase di decelerazione, invece, accadrà il contrario: l’aria tenderà a spostarsi avanti, spingendo il palloncino verso la parte posteriore. Lo stesso vale in curva: l’aria si posterà di lato, verso l’esterno della curva, spostando il palloncino verso l’interno. Quando il treno si muove a velocità costante, continuerà a conservare per un poco la velocità che aveva durante l’ultima fase di accelerazione e poi si fermerà a causa dell’attrito viscoso prodotto dalle molecole di aria che lo circondano. 11 3) Un cilindro chiuso da un pistone mobile e contenente una mole di gas biatomico è posto in contatto termico, attraverso la superficie di fondo, con una sorgente a temperatura π0 = 300 πΎ. Il volume iniziale del cilindro è π0 = 6 πππ‘ππ. Calcolare P0. In maniera reversibile, il gas viene fatto espandere fino ad un volume finale doppio di quello iniziale, mantenendo sempre il cilindro in equilibrio termico con la sorgente. Calcolare il calore scambiato dal gas e il lavoro compiuto ed esprimere i valori in joules. Il risultato ottenuto vi sembra compatibile con il secondo principio della termodinamica? Giustificate la vostra risposta. Si osserva innanzitutto che, adoperando l’equazione dei gas perfetti con π = 1 , π0 = 6 πΏ , π0 = 300 πΎ , π = 0.082 ππ‘π πΏ , πππ πΎ si ottiene immediatamente il valore di pressione richiesta, per cui π0 = ππ π0 0.082 β 300 = = 4.1 ππ‘π . π0 6 Inoltre, il primo principio della termodinamica, anche detto, per estensione, legge di conservazione dell’energia, stabilisce che l’energia di un sistema termodinamico chiuso non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma a un’altra. Precisamente, considerati due stati π΄ e π΅, la variazione di energia interna βπ = π(π΅) − π(π΄) è pari alla differenza del calore assorbito π = π(π΄ → π΅) e del lavoro compiuto π = π(π΄ → π΅) dal sistema durante la trasformazione, in formula 12 βπ = π − π . Nel caso in esame, trattandosi di un gas perfetto, dato che la temperatura rimane costante, si può più semplicemente scrivere 2π0 π=π=∫ 2π0 π ππ = ππ π0 ∫ π0 π0 ππ = ππ π0 ln 2 ≅ 17.05 ππ‘π πΏ . π Ebbene, essendo 1 ππ‘π = 101325 ππ , 1 πΏ = 10−3 π3 , il precedente lavoro diventa π ≅ 1728 π½ . Il dubbio sulla incompatibilità del fenomeno con il secondo principio potrebbe venire fuori, se si assumesse il gas come sistema. Si ha infatti che il gas assorbe calore da una sorgente e lo traduce interamente in lavoro, evenienza assurda per il principio nella formulazione Kelvin-Planck. Tuttavia, l’unico risultato della trasformazione termodinamica non è il compimento del lavoro, ma anche la modifica della situazione iniziale, cioè della posizione del gas e del pistone. Inoltre, l’entropia dell’universo è costante, dato che vi è uno scambio di calore a temperatura costante. Pertanto, l’entropia acquistata dal gas coincide con quella persa dalla sorgente. 13 4) Due fili rettilinei e indefiniti 1 e 2, paralleli tra loro, sono posti verticalmente in posizione fissa a distanza π l’uno dall’altro; in essi fluiscono le correnti π1 e π2 rispettivamente. Nel piano che li contiene e tra essi è posto un terzo filo 3, parallelo ad entrambi, nel quale fluisce la corrente π3 ; il terzo filo è libero di spostarsi lateralmente, mantenendosi parallelo a se stesso, nella porzione di piano compresa tra i fili 1 e 2. Discutere le condizioni di equilibrio del filo 3. Il campo di induzione magnetica sostenuto da un filo rettilineo indefinito, percorso da una corrente assegnata π, è pari in modulo a π΅= π0 π , 2ππ essendo π la distanza dal filo e π0 = 4π β 10−7 π»/π la permeabilità magnetica del vuoto. Le linee del campo magnetico si avvolgono attorno al filo in tante circonferenze concentriche al filo, orientate secondo la regola della mano destra, illustrata nella figura precedente, in cui si immagina idealmente di afferrare il filo con il pollice 14 puntato secondo la direzione della corrente nel filo: il verso di rotazione stabilito dalle altre dita indica il verso delle linee del campo magnetico generato dal filo. Per discutere compiutamente l’esercizio proposto, bisogna distinguere due casi: 1. le due correnti sono equiverse; 2. le due correnti sono controverse. In entrambi i casi, comunque, i due fili sono posti a distanza π l’uno dall’altro in posizioni fisse: essi si attraggono se le due correnti hanno lo stesso verso, si respingono nel caso contrario. 1. Se le due correnti hanno il medesimo verso, considerando la figura precedente e quanto già detto sulle linee di forza del campo di induzione magnetica, esiste un punto, indicato con π nella figura e compreso all’interno del segmento che congiunge i due fili, in cui il campo totale si annulla. I campi sostenuti dai due fili, in questa regione, hanno versi opposti, per cui si può scrivere che 15 ββ1 = π΅ π0 π1 π0 π2 ββ2 = π¦Μ , π΅ π¦Μ 2ππ₯ 2π(π − π₯) essendo π₯ l’ascissa generica di un qualsiasi punto interno alla congiungente i due fili, per cui risulta 0<π₯<π. L’equilibrio è dato allora dalla condizione di uguaglianza dei moduli dei due campi di induzione magnetica π΅1 = π΅2 , vale a scrivere π0 π1 π0 π2 π1 = → π₯=π . 2ππ₯ 2π(π − π₯) π1 + π2 Questa posizione di equilibrio è instabile se la terza corrente π3 , anche detta corrente di prova, ha lo stesso verso di π1 e π2 , è invece stabile se la terza corrente ha verso opposto. Ad esempio, volendo discutere il caso instabile, si verifica che, se si avvicina il terzo filo al primo, il campo magnetico generato dal primo filo prevale su quello generato dal secondo: quindi, essendo la forza sul filo di prova attrattiva, la risultante delle forze agenti sul terzo conduttore sarà tale da avvicinarlo ulteriormente al primo, allontanandolo dal secondo. La stessa cosa accade se si avvicina il terso filo al secondo: l’azione attrattiva esercitata da quest’ultimo prevarrà su quella del primo filo. Il contrario, invece, accade nel caso stabile. 2. Se i due fili sono percorsi da correnti discordi, i due campi hanno versi opposto nella regione esterna a quella compresa tra i due fili. Pertanto, nella zona di interesse non esiste alcun punto di equilibrio in cui il campo totale si annulla. Se dunque si pone il terzo filo in un punto appartenente alla regione piana compresa 16 tra i primi due, esso verrà attratto dal filo percorso da corrente dello stesso verso di π3 e contemporaneamente sarà respinto dall’altro filo, in un’azione combinata che lo porterà a muoversi verso il filo percorso dalla corrente equiversa. 17 5) Due cariche puntiformi π1 = π2 = 3 β 10−9 πππ’ππππ sono poste nel vuoto alla distanza di 10 ππ. (π) Qual è la forma della superficie equipotenziale di valore π0 = 1200 π£πππ‘. Si immagini ora di materializzare tale superficie con un conduttore cavo e isolato. Si chiede di calcolare: (π) la capacità del conduttore; (π) la densità superficiale di carica nei punti di intersezione della retta passante per π1 e π2 con la superficie esterna del conduttore. Un utile strumento per la visualizzazione delle caratteristiche vettoriali del vettore intensità di campo sono le linee di forza. Como dimostra la figura precedente, esse possono essere facilmente ottenute per via sperimentale e sono tracciate dovendo garantire che, dato un punto arbitrario, il vettore intensità di campo presente in quel punto deve essere tangente alla linea 18 di forza che passa per quel punto. La direzione del campo risulta individuata dalla direzione assegnata alla linea di forza. Tuttavia, anche l’andamento del potenziale elettrostatico fornisce utili informazioni sulla struttura spaziale del campo, per mezzo delle superfici equipotenziali: si tratta di quelle superfici dello spazio tridimensionale nei cui punti il potenziale elettrostatico ha lo stesso valore, cioè π(π₯, π¦, π§) = costante . Al variare del valore costante si ha una famiglia di superficie equipotenziali con le seguenti caratteristiche: ο· per un punto passa una ed una sola superficie equipotenziale; ο· le linee di forza sono in ogni punto ortogonali alle superficie equipotenziali. La prima proprietà dipende dal fatto che il potenziale elettrostatico è una funzione univoca, mentre la seconda è conseguenza del fatto che il campo elettrostatico non può avere una componente tangente ad una superficie equipotenziale. Il verso del campo elettrostatico indica il verso in cui le superficie equipotenziali diminuiscono in valore. Queste proprietà generali si riscontrano facilmente negli esempi presenti in tutti i manuali di Fisica. Per una carica puntiforme le superfici equipotenziali sono sfere concentriche con centro nella carica. Nel caso di un filo indefinito il campo ha direzione ortogonale al filo e le superficie equipotenziali sono superficie cilindriche aventi il filo come asse. Nel caso di un piano indefinito il campo è ortogonale al piano e le superficie equipotenziali sono piani paralleli al piano e la stessa geometria si ha all’interno di due piani carichi con carica opposta. Il problema in esame chiede di studiare le superfici equipotenziali di un sistema di due cariche positive uguali. Per iniziare ad avere un’idea, la figura che segue 19 mostra la proiezione in un piano di queste superfici, il cui reale andamento si ottiene per rotazione attorno alla retta che contiene le due cariche: le linee di forza sono continue ed ortogonali alle tracce delle superfici equipotenziali, che sono invece tratteggiate. Vale la pena notare che in prossimità di ciascuna carica sono molto vicine a sfere che racchiudono interamente la carica e si ottengono per elevati valori del potenziale. Ad una particolare distanza si ha una particolare superficie equipotenziale, detta separatrice, oltre la quale le superfici equipotenziali racchiudono entrambe le cariche. All’aumentare della distanza dalle sorgenti, le superfici equipotenziali tendono a diventare prima simili a delle ellissoidi e poi a delle sfere. Ad una notevole distanza dal baricentro delle due cariche, l’andamento delle superfici equipotenziali si confonde con quello di una carica puntiforme di valore pari alla somma delle due cariche. Il piano di simmetria interseca la separatrice in un punto doppio, in cui il campo elettrico è nullo; la separatrice separa l’intero spazio in due semispazi speculari, ciascuno contenente una sola carica puntiforme, immagine dell’altra. 20 (π) Per comprendere quale sia la forma della superficie equipotenziale che corrisponde al valore π0 = 1200 π£πππ‘, si supponga che le due cariche siano posizionate in due punti dell’asse π§ di un riferimento cartesiano nello spazio π1 = (0, 0, π) e π2 = (0, 0, −π) con π = 5 ππ e si riduca, per semplicità, il problema allo studio di linee nel solo piano π₯π§, nella certezza che le superfici si otterranno facilmente per rotazione attorno alle asse π§. Ebbene, scrivendo il potenziale dovuto alle due cariche positive π = π1 = π2 = 3 β 10−9 πΆ In un generico punto π = (π₯, π¦, π§) dello spazio, il potenziale sostenuto dalle due cariche vale π(π₯, π¦, π§) = ππ ( 1 1 π + ) con π = 9 β 109 2 2 , π1 π2 π πΆ essendo le due distanze pari a π1 = ππ1 = √π₯ 2 + π¦ 2 + (π§ − π)2 , π2 = ππ2 = √π₯ 2 + π¦ 2 + (π§ + π)2 . Nei punti che appartengono al piano π¦ = 0, si può scrivere che π(π₯, 0, π§) 1 1 = + . ππ √π₯ 2 + (π§ − π)2 √π₯ 2 + (π§ + π)2 Sostituendo i valori numerici assegnati, si ottiene la relazione 21 π √π₯ 2 + (π§ − π)2 + 1 √π₯ 2 + (π§ + π)2 =πΌ= π0 π 20 = , ππ 9 che rappresenta la linea mostrata nella figura che segue. Per comprendere l’andamento riportato, si faccia riferimento alle figura in precedenza discusse. In particolare, si considerino le intersezione delle curve equipotenziali con l’asse π§, per cui π 1 + =πΌ. |π§ − π| |π§ + π| 22 Al variare della costante πΌ vi sarà un numero di intersezioni variabili: precisamente, si può affermare che οΌ quando πΌ > 2 sono presenti quattro intersezioni e le curve equipotenziali saranno distinte; οΌ quando πΌ = 2 sono presenti tre intersezioni e la curva equipotenziale sarà intrecciata; οΌ quando πΌ < 2 sono presenti due sole intersezioni e la curva equipotenziale è una sola racchiudente le due cariche. Ciò si deduce agevolmente dalla figura che segue, in cui è disegnata la funzione π(π§) = π 1 + . |π§ − π| |π§ + π| 23 Nel caso in esame πΌ = 20/9 > 1 e si avranno due linee distinte, ciascuna contornante una singola carica e le quattro intersezioni saranno π§π΄,πΆ = ± π √10 ≅ ±0.3162 π , π§π΅,π· = ± 9 + √481 π ≅ ±1.5466 π . 20 (π) La capacità πΆ del condensatore, una volta che le due superfici equipotenziali sono state metallizzate, si può determinare facilmente, osservando che tutte le linee di forza che partono da uno dei due conduttori si chiudono all’infinito. Pertanto, si può scrivere che π1 π2 π 3 β 10−9 πΆ= + =2 =2β πΉ = 0.5 β 10−12 πΉ = 0.5 ππΉ . π0 π0 π0 1200 (π) Per determinare la densità superficiale di carica nei punti di intersezione della retta passante per π1 e π2 con la superficie esterna del conduttore, basta applicare il Teorema di Coulomb, per cui il campo elettrostatico in corrispondenza della superficie di un conduttore vale πΈββ = π πΜ , π0 in cui π rappresenta la densità superficiale di carica, che varia da punto a punto sul conduttore, la costante dielettrica del vuoto π0 = 8.85418781762 β 10−12 24 πΉ , π mentre πΜ il versore normale al contorno del conduttore. Essendo lungo la congiungente prescelta il campo elettrico diretto lungo l’asse π§, si ottiene la forma equivalente πΈββ = π π§Μ . π0 cioè il modulo del campo elettrico è proporzionale alla densità di carica. Supponendo di voler determinare la densità di carica in corrispondenza del conduttore che contorna la carica posta nel semispazio negativo, si può scrivere che nel punto πΆ risulta πΈπΆ = π 1 1 − [ ]. 4ππ0 (π§πΆ + π)2 (π§πΆ − π)2 un campo diretto secondo il verso positivo dell’asse π§. Segue che la densità vale ππΆ = ππ΄ = π0 πΈπΆ = π 1 1 ππΆ − ≅ 0.15 . [ ] 4π (π§πΆ + π)2 (π§πΆ − π)2 π2 Similmente, ragionando per la densità di carica nel punto π΅, si può scrivere ππ΅ = ππ· = π0 πΈπ΅ = π 1 1 ππΆ − ≅ 0.3 . [ ] 4π (π§π΅ − π)2 (π§π΅ + π)2 π2 25 6) Come risponderebbero, succintamente, Newton e Einstein agli interrogativi di questa riflessione di Sant’Agostino: “Che è, poi, il tempo? Chi saprebbe spiegarlo facilmente e brevemente? Chi almeno saprebbe comprenderlo con il pensiero, tanto da proferirne una parola? Eppure, quale cosa più familiare e più nota noi menzioniamo nel parlare, che il tempo? e l’intendiamo benissimo, quando ne parliamo: e altrettanto lo intendiamo quando ne parla un altro e noi l’udiamo β―. Che è dunque il tempo? se nessuno me lo domanda, so cos’è; ma se qualcuno me lo domanda e io cerco di spiegarglielo, non lo so più: eppure con fiducia dico di sapere che, se niente passasse, non ci sarebbe tempo passato, e se niente avvenisse, non ci sarebbe tempo avvenire, e se niente esistesse, non ci sarebbe tempo presente.” Il tempo rappresenta la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi: esso induce la distinzione tra passato, presente e futuro. La complessità del concetto è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche. La percezione del tempo è la presa di coscienza che la realtà di cui siamo parte si è materialmente modificata. Se si osserva una formica che si muove, la diversità delle posizioni assunte, o se si presta attenzione al susseguirsi dei pensieri di un individuo oppure ai battiti del suo cuore, fatti fisiologici, ed in ultima analisi, fisici, ciò certifica che è trascorso un intervallo di tempo. Si evidenzia il termine intervallo a significare che il tempo è sempre una durata, che è l’unico sinonimo di tempo, e come tale ha un inizio e una fine. Il tempo secondo Sant’Agostino Secondo Sant’Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all’Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo, afferma ironicamente: «Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so». Tuttavia, Agostino critica una concezione del tempo aristotelica inteso come misura del moto degli astri: nelle 26 Confessioni afferma che il tempo è distensione dell’animo" ed è riconducibile ad una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente, ha coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell’attesa. Aurelio Agostino di Ippona Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28 agosto 430 Da sant’Agostino in poi nel pensiero cristiano il tempo è concepito in senso lineare e progressivo, non più circolare e ciclico come nel mondo pagano. Dalla caduta di Adamo l’escatologia cristiana procede verso la consumazione del tempo, il riscatto dell’uomo verso Dio, il Giudizio Universale e l’eternità spirituale. Il tempo secondo Newton Il tempo è stato dunque considerato in vari modi nel corso della storia del pensiero, ma le definizioni di Platone ed Aristotele sono state di riferimento per moltissimi secoli, magari criticate o reinterpretate in senso cristiano, fino a 27 giungere alla rivoluzione scientifica. Di questo periodo è fondamentale la definizione di Isaac Newton (1642ο1727), secondo il quale il tempo, al pari dello spazio, è sensorium Dei, cioè il senso di Dio, e scorrerebbe immutabile, sempre uguale a sé stesso; una concezione analoga è presente nelle opere di Galileo Galilei. Isaac Newton Woolsthorpe, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1727 Per ascoltare le parole di Newton, si riporta la definizione del tempo, tratta dal primo capitolo della Naturalis philosophiae principia mathematica. Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione a nulla di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura, esatta oppure inesatta, sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto 28 del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno. Infatti i giorni naturali, che di consueto sono ritenuti uguali, e sono usati come misura del tempo, sono inuguali. Gli astronomi correggono questa inuguaglianza affinché, con un tempo più vero, possano misurare i moti celesti. È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere accelerati o ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato. Identica è la durata o la persistenza delle cose, sia che i moti vengano accelerati, sia che vengano ritardati, sia che vengano annullati. Degna di nota è la contesa tra Newton e Leibniz, che riguardava la questione del tempo assoluto: mentre il primo credeva che il tempo fosse, analogamente allo spazio, un contenitore di eventi, il secondo riteneva che esso, come lo spazio, fosse un apparato concettuale che descriveva le interrelazioni tra gli eventi stessi. Il tempo secondo Einstein Fino ad Einstein, dunque, i concetti di tempo e spazio erano separati e considerati oggettivamente, sulla base della geometria euclidea soprattutto. Lo spazio aveva tre dimensioni ed il tempo era misurato con calendari di tipo solare o lunare. Con Einstein tempo e spazio diventano una cosa sola, nel senso che, a causa della velocità della luce, essi si influenzano reciprocamente. Il tempo ha smesso di essere una questione oggettiva, indipendente dalle sensazioni e dalle opinioni dell’uomo. Einstein in pratica fa capire che quanto più aumenta la nostra velocità nello spazio, rapportata a quella della luce, tanto più il tempo rallenta. Un grande progresso del pensiero è stato la formulazione della Teoria della Relatività, nella forma ristretta nel 1905 e generale nel 1916, di Einstein, secondo la quale il tempo non è assoluto, ma dipende dalla velocità e dal riferimento spaziale che si prende in considerazione. Secondo Einstein è più corretto parlare di spazio-tempo, perché i due aspetti, quello cronologico e quello spaziale, sono 29 inscindibilmente correlati tra loro; esso viene modificato dai campi gravitazionali, che sono capaci di deflettere la luce e di rallentare il tempo. Albert Einstein Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955 Secondo la relatività ristretta il tempo di un osservatore è uguale a quello di un altro osservatore solo se viene moltiplicato per un certo fattore che dipende dalla velocità relativa dei due osservatori. Più in particolare, valgono le formule di Lorentz π₯ ′ = πΎ(π₯ − π£π‘) , π¦′ = π¦ , π§′ = π§ , π£2 π‘ ′ = πΎ (π‘ − ) , π { 30 in cui si è indicato con π = 299792.458 ππ/π la velocità della luce nel vuoto, il fattore di Lorentz con πΎ= 1 √1 − π£ 2 /π 2 , con π₯, π¦, π§ le tre dimensioni spaziali, con π‘ la dimensione temporale, con π£ la velocità, mentre l’apice indica un diverso sistema di riferimento. Secondo l’ultima formula, che riguarda il tempo, rimanendo sulla Terra ad osservare un razzo che viaggia velocissimo nello spazio, si vedrebbe che il suo equipaggio si muove al rallentatore. Senza dubbio, questa formula, considerata astrattamente, è vera, ma solo se l’uomo si pone in una condizione spaziotemporale metastorica. Nel senso cioè che quella formula, che pur pretende d'essere vera sul piano fisico, può riferirsi ad una Fisica di cui l’uomo comune ha ben poco bisogno. Peraltro, Einstein cercò di applicare quella formula anche al livello metafisico, elaborando una propria concezione della relatività. Si può accorciare il tempo? Relativamente, cioè sino ad un certo punto. Lo si può fare oggettivamente? Certamente non lo si può fare. Spostandosi da un fuso orario ad un altro, è possibile accorciare oppure allungare il tempo, ma è sempre in riferimento al tempo iniziale: nessun altro si accorgerà di questo mutamento. Il tempo non dipende unicamente dalla nostra percezione soggettiva: esso ha una propria oggettività il cui significato ultimo, per il momento, è sfuggente, poiché tutti sono suoi figli e suoi padri. Come non si riesce a vedere l’inizio del tempo, così non se ne vede la fine. Non esiste un punto di riferimento preciso che non sia la nascita personale, che peraltro non è dipesa dal soggetto. Non è possibile prendere come punto di riferimento nemmeno la nostra morte, al fine di chiudere, con un segmento, i due punti della vita. L’unico tempo veramente oggettivo che si può esaminare è quello degli altri che sono venuti prima e che sono morti. Bisogna rapportarsi a questi morti, coltivando una forte memoria storica, e vivere il nostro 31 tempo, conformemente alle sue specifiche esigenze: un tempo presente che sicuramente risulterà molto più chiaro a chi verrà dopo. Einstein non ha scoperto la quarta dimensione dell’Universo, ma ha evidenziato che nell’epoca contemporanea gli uomini hanno una grande angoscia del tempo che passa. Sempre più infatti ci si chiede che senso abbia lo scorrere del tempo, visto che questo fluire spesso è foriero di immani catastrofi, come ad esempio le due guerre mondiali. Gli esseri umani hanno perso il senso del tempo, proprio perché hanno perso il senso della Storia e il significato della loro stessa vita. Gli uomini vorrebbero ridurre ad un nulla il tempo, proprio perché sanno che il fluire di questa dimensione implica un’assunzione di responsabilità, cioè il bisogno di aumentare l’impegno personale e collettivo nel cercare di risolvere i problemi dell'umanità. Il tempo insomma è una dimensione in cui l’uomo deve giocarsi la sua libertà. In un certo senso è il tempo stesso, col suo carattere di unidirezionalità, che costringe l'uomo a tener conto che esiste un irreversibile processo in avanti. Il tempo non è una condizione che ci obbliga, fatalisticamente, a fare determinate cose. È soltanto una dimensione vincolante, all’interno della quale è possibile muoversi con relativa libertà: la libertà assoluta, storicamente parlando, non esiste. Chi tiene conto del tempo e lo vive in uno spazio adeguato, non resta indietro, ma è conforme alla velocità del tempo. Mettere in rapporto la propria velocità a quella della luce non ha senso per l’uomo di questo mondo. Lo spazio in cui l’uomo deve vivere resta quello euclideo. Il resto è speculazione arbitraria. Non a caso le teorie di Einstein portano a credere che il tempo, in ultima istanza, non esista, in quanto esiste solo la percezione soggettiva che si ha. Il tempo è uguale all’eternità e questa è uguale al nulla. Di conseguenza, anche il movimento della massa o della materia è illusorio, irreale, in quanto, sempre secondo Einstein, non esistono punti di riferimento oggettivi, in grado di misurare la velocità della luce. E così il cerchio si chiude: Einstein è tornato alla fissità astratta di Parmenide ed alle assurdità delle ipotesi di Zenone 32