ARISTOFANE (Atene, 445 a.C. circa

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ARISTOFANE
(Atene, 445 a.C. circa - 388 a.C. circa)
Erma di Aristofane
Vita e opere.
È il principale esponente della Commedia Antica (l'Archaia) insieme a Cratino ed Eupoli, nonché
l'unico di cui ci siano pervenute alcune opere complete (undici).
Sul suo conto non si hanno informazioni precise: dovrebbe essere nato nel demo ateniese di
Cidatene verso il 445-444 a.C.; sappiamo che la sua prima commedia fu rappresentata nel 427,
quando egli era poco più che un ragazzo (17-18 anni) e dovette perciò servirsi di un prestanome.
Era appena iniziata (431) la Guerra del Peloponneso, e proprio l'impegno a favore della pace tra
Atene e Sparta, e la feroce opposizione nei confronti del regime democratico radicale, sono uno dei
moventi principali della discesa in campo del commediografo. Questo lo qualifica politicamente
come un "cimoniano" (democratico moderato) e lo pone perfettamente in linea con i presupposti
dell'Archaia, caratterizzata, come si ricorderà, da un intenso impegno politico.
Tuttavia, nonostante la passione ideologica che traspare dalle commedie, il poeta non prese mai
parte attiva alla vita politica ateniese. Sembra che fosse di carattere piuttosto schivo ed introverso,
l'esatto opposto di quello che si potrebbe dedurre dalla lettura delle sue commedie.
Secondo quanto lui stesso afferma negli Acarnesi, sembra che abbia avuto possedimenti nell'isola
di Egina. Inconsistente la notizia relativa ad un processo intentatogli da Cleone per usurpazione
del titolo di cittadino; è probabile invece che egli abbia subìto un processo, intentato proprio dal
demagogo ateniese, per diffamazione della pòlis ateniese di fronte agli "stranieri" (verosimilmente
in occasione della rappresentazione dei Babilonesi del 426); non conosciamo l'esito di questo
processo, ma non dev'essere stato troppo negativo, vista la costante presenza di Aristofane sulla
scena comica.
Morì ad Atene verso il 388 a.C.
Fasi della produzione aristofanea.
Fra gli studiosi è invalso l’uso di dividere la produzione aristofanea in tre fasi:
- la prima, dagli esordi sino alla Pace del 421 a.C., è caratterizzata da un vivace impegno
politico, con ricorrenti accuse personali (il famoso o\nomastì kwm§de_n, «sfottere per nome»),
elementi che costituiscono la cifra più caratteristica di tutta l'Archáia;
- la seconda, dagli Uccelli alle Rane del 405 a.C. (considerata come la data finale
dell’Archáia), segna il progressivo prevalere di tematiche fantastiche o apertamente
utopistiche, pur senza perdere di vista l'impegno politico;
la terza, posteriore al 405 a.C. (e dunque alla fine della guerra peloponnesiaca)
preannuncia ormai temi e stile della cosiddetta Commedia di Mezzo, se non addirittura
della Commedia Nuova, con la sua rinuncia definitiva all’impegno politico e il suo
ripiegamento su soluzioni di comicità utopica o su trame svincolate da ogni aggancio con
la realtà contemporanea.
Gli studiosi si sono a lungo interrogati sulle cause di tale involuzione: già nelle Nuvole del 423, a
dire il vero, Aristofane si scaglia contro la satira stereotipata e strasentita dei suoi rivali; ma la
ragione profonda risiede nelle mutate condizioni politiche e sociali: con la morte di Cleone, nel 421
a.C., veniva a mancare uno degli avversari storici di Aristofane; inoltre, a partire dal 415 a.C., il
decreto di Siracosio tolse (in parte) ai commediografi la parrhesìa di cui andavano fieri e proibì
loro di o\nomastì kwm§de_n.
Questo tuttavia non impedì al poeta di continuare a manifestare le sue convinzioni politiche
mediante allusioni e "nomi parlanti": gli Uccelli rimandano senza troppi veli alla vicenda
scandalosa e scottante degli Ermocopidi (lo scandalo che travolse fra gli altri Alcibiade nel 415
a.C.); la Lisistrata allude al clima da golpe imminente che non tardò a concretizzarsi nell’impresa
dei Quattrocento; e ancora le Rane difendono l’impegno civile e politico di Eschilo anteponendolo a
qualsiasi criterio di apprezzamento estetico.
Ma dopo la tragica sconfitta di Atene ad Egospotami (405 a.C.) verrà a cadere il movente politico
stesso: quasi animato (si direbbe) da una sorta di solidarietà nei confronti della sua città
abbattuta e sconfitta, Aristofane, che tante volte l'aveva messa in guardia, cessa ogni attacco e dà
l'impressione di fare fronte comune con i suoi concittadini, senza più fomentare le divisioni
interne. Le ultime commedie di Aristofane segnano il definitivo passaggio al disimpegno, con
importanti ricadute sulla stessa tecnica drammaturgica (ad esempio lo spazio sempre minore
riconosciuto al coro, in passato autentico protagonista della paràbasi, cioè di quella sezione
drammatica in cui la finzione scenica veniva interrotta e il pubblico interpellato direttamente su
alcune delle piú urgenti questioni sociali e politiche).
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PROMEMORIA: Com'è fatta una commedia "Archàia"
La commedia Archàia ha struttura fluida e dinamica, per cui non sempre le varie opere seguono la
stessa falsariga. In generale, però, essa si può considerare bipartita: risulta infatti dalla
giustapposizione di due parti piuttosto diverse, unite da una cerniera centrale, costituita dalla
paràbasi.
Prima parte: Si apre con un prologo molto ampio, recitato dai personaggi, in cui si espone sia la
situazione iniziale, sempre negativa, sia il piano che il protagonista si propone per
modificarla a suo favore.
Segue in genere l'ingresso del coro o pàrodo.
Quindi si sviluppa l'azione del protagonista, culminante nell'agone, una disputa
verbale costruita secondo precise corresponsioni metriche, in cui uno dei due
contendenti (in genere il protagonista o un suo rappresentante) riporta il successo e
stabilisce il nuovo ordine.
Si può dire perciò che la conclusione dell'azione drammatica si situi a metà della
commedia.
Paràbasi: è l'aspetto più caratteristico di questa commedia: situata in posizione centrale,
interrompe la finzione scenica per parlare di politica: ad un tratto gli attori escono
di scena, mentre il coro si spoglia del travestimento e sfila davanti agli spettatori, si
ferma e canta o recita di fronte ad esso un ampio brano, discutendo di argomenti di
attualità. Essa può precedere o seguire l'agone.
Seconda parte: mette in scena le conseguenze della vittoria riportata nell'agone: esse sono
rappresentate in una serie di brevi episodi (sketches), in genere di carattere
buffonesco, per lo più inframmezzati da intermezzi lirici del coro.
Chiude la commedia l'esodo, una gioiosa processione orgiastica (il kw%mov originario) in
cui si celebra il definitivo trionfo del protagonista.
Le prime commedie (perdute)
La prima commedia di Aristofane, i Banchettanti del 427, di cui restano alcuni frammenti,
trattava il rapporto tra l'educazione all'antica e quella "moderna" influenzata dalle novità
sofistiche, in modo non dissimile da quanto avverrà nelle Nuvole.
La seconda commedia, i Babilonesi, interamente perduta, andò in scena nel 426 a.C. e fece un
enorme scalpore: essa infatti aveva tra i suoi personaggi anche Cleone, il leader dei democratici
radicali, ne denunciava l'avidità di denaro e metteva a nudo la realtà imperialistica della Lega
delio-attica: infatti le pòleis alleate erano rappresentate come asini legati alla macina di Atene e
Cleone, ad un certo punto della commedia, vomitava del denaro che si era mangiato, appartenente
agli alleati.
Le commedie pervenute: sintesi essenziale delle trame.
PRIMA FASE
Acarnesi (425 a.C.): visto che la guerra non si decide a finire, il contadino ateniese Diceòpoli
stipula una paradossale ‘pace separata’ con gli Spartani. Nonostante l’opposizione dei vecchi di
Acarne (che costituiscono il coro), Diceopoli ha la meglio anche sullo stratego Làmaco, emblema
del bellicismo democratico, e si gode serenamente l’opulenza determinata dalla pace.
È una commedia estremamente divertente, con un ritmo travolgente e serrato.
Cavalieri (424 a.C.): Demo («il Popolo») è succube del suo schiavo Paflàgone (maschera di
Cleone); ma due servi, aiutati dal coro dei nobili cavalieri, aizzano contro di lui un nuovo politico,
il Salsicciaio, che alla fine ottiene il sommo potere e denuncia il malaffare di Paflagone, mentre
Demo, dopo essere stato bollito in un pentolone e ringiovanito per magia, può godersela con una
ragazza simbolo della pace.
Nuvole (423 a.C.): il contadino Strepsíade, per sfuggire ai creditori, vuole che il figlio Fidíppide sia
educato alla scuola di Socrate, il Phrontistérion («Pensatoio»). Il filosofo è rappresentato nel
sorprendente ruolo di sofista: egli infatti insegna come prevalere in ogni scontro dialettico, anche
partendo dal torto più manifesto. Siccome Fidippide non ne vuole sapere di andare a lezione da
Socrate, Strepsiade vi si reca personalmente, ma risulta troppo duro di comprendonio. Il figlio
accetta dunque di recarsi ad ascoltare una "lezione". Dopo aver assistito alla vittoria del Discorso
Ingiusto (personificazione della nuova filosofia) sul Discorso Giusto (personificazione dei valori
tradizionali), Fidippide si dimostra un allievo prontissimo ad imparare: allontana infatti i creditori,
ma subito dopo picchia il padre e sostiene di avere il diritto di farlo e di non essere tenuto
all'obbedienza. Esasperato, Strepsiade dà alle fiamme il Phrontistérion di Socrate: con il rogo del
filosofo e dei suoi discepoli si chiude questa cupa e memorabile commedia.
La "confusione" tra Socrate e i sofisti è intenzionale ed ha una matrice politica: allude al fatto che
molti sofisti, fra cui tutti quelli che tenteranno colpi di stato (vedi Carmide e Crizia), escono dalla
scuola di Socrate. Il filosofo inoltre è "confuso" anche con i physikòi e con Anassagora, con
evidente riferimento alla condanna a morte di quest'ultimo (salvato in extremis da Pericle) per
ragioni che si addicono perfettamente anche a Socrate (introdurre "nuovi dèi" e corrompere la
gioventù). In pratica Aristofane, creando l'equazione "Anassagora = Socrate", chiede la condanna a
morte di quest'ultimo, cosa che non dev'essere sfuggita al pubblico, che decretò il fiasco della
commedia, probabilmente proprio a causa della violenza del suo messaggio. Di questo si lamenta
Aristofane stesso nella parabasi delle Vespe dell'anno successivo, rinfacciando al pubblico di non
aver capito il senso profondo della commedia.
Vespe (422 a.C.): un ragazzo di nome Bdelicleòne («colui che ha in odio Cleone»), per evitare che il
padre Filocleòne («fan di Cleone») soccomba ancora alla mania giudiziaria che impera in Atene, lo
tiene segregato in casa. La commedia si apre, genialmente, con il tentativo di evasione del vecchio
attraverso il camino, fallito a causa della sua stupidità: infatti, quando il figlio, sentendo un
trambusto, gli chiede "Chi sei?", risponde "Sono fumo e me ne esco". Nonostante l’aiuto portatogli
dai giurati popolari ateniesi (le vespe del coro, con allusione all’acuminato ‘pungiglione’ delle
sentenze), Bdelicleone riesce infine a convertire il padre, mostrandogli le ipocrisie e le malefatte
della classe dirigente democratica.
Al vecchio, caduto in depressione, il buon giovane organizzerà un processo "casalingo", facendo
salire sul banco degli imputati un cane reo di avere rubato una caciotta, che il padre, stordito
com'è, assolverà per sbaglio.
Pace (421 a.C.): il contadino Trigèo decide di raggiungere il cielo per ottenere da Zeus la pace, ma
siccome non dispone di altri mezzi, nutre a più non posso uno scarabeo stercorario: proprio con la
ricerca collettiva di escrementi per la bestia si apre la commedia (uno degli incipit più surreali
della storia del teatro).
Finalmente egli si invola in groppa allo scarabeo, ma, giunto sull'Olimpo, scopre che gli dèi sono
stati scacciati da Pòlemos (il dio della guerra), un orrido mostro che mangia polpette di pòleis
greche e tiene prigioniera Irene (la dea della pace). A Trigeo non resta che darsi da fare per
liberarla, cosa che farà con uno stratagemma, riportandola sulla terra.
La seconda parte della commedia è decisamente più debole della prima, perché Aristofane fu
costretto a cambiarla in fretta e furia in seguito alla morte sia di Cleone che dello spartano
Brasida nel 421 ad Anfìpoli, con conseguente stipula della "Pace di Nicia": infatti Pòlemos si
lamenta di non riuscire più a triturare le città greche per mangiarsele, perché gli sono venuti a
mancare "il mortaio e il pestello" (Cleone e Brasida).
SECONDA FASE
Uccelli (414 a.C.): forse il capolavoro di Aristofane, commedia geniale, poetica e surreale.
Pistetèro ed Evèlpide, disgustati da Atene e dal clima del terrore che vi si è instaurato di recente
(allusione alla raffica di processi sommari per la mutilazione delle Erme), se ne vanno in un bosco
(elemento in sé utopico), dove, con l'aiuto degli uccelli, che compongono il più colorato e chiassoso
coro aristofaneo, costruiscono l’utopica città celeste di Nefelococcughìa ("Nubicuculia"),
strategicamente piazzata fra la terra e il cielo. Così facendo tolgono la vista dei mortali agli dèi,
che sono costretti a venire a patti con il protagonista, il quale ottiene la completa sovranità sul
nuovo, felice regno.
E Evèlpide (= "sperabene")?... È scomparso: non è dato sapere che fine abbia fatto. Ma l'ambiguo
"nome parlante" di Pistetèro (= "fedele compagno", o meglio "fedele ai compagni di eterìa") sembra
un'allusione antifrastica ad Andocide ed al suo tradimento dei compagni di eterìa; tanto più che lo
stesso Pistetèro alla fine, per tutto ringraziamento, si mangia alcuni degli uccelli che lo hanno
aiutato, giustificandosi col fatto che "si tratta di ribelli antidemocratici".
Lisistrata (411 a.C.): numerosissime donne provenienti da tutta la Grecia e guidate da
Lisístrata, stufe della guerra che dura ormai da vent'anni, mettono in atto il più singolare colpo di
stato: lo sciopero sessuale. Ben presto, grazie anche all'aristìa di Mirrina, che si "sacrifica" in un
finto convegno erotico con il marito, mandandolo poi a bocca asciutta, i maschi non ne potranno
più e capitoleranno miseramente.
C'è un'evidente allusione al colpo di stato "dei Quattrocento", ormai sentito come imminente.
Tesmoforiazùse (Le donne alle Tesmoforie) (411 a.C.): Euripide viene condannato a morte per
la sua misoginia dalle donne riunite per i misteri delle Tesmofòrie; fa allora infiltrare nel consesso
femminile un suo Parente, travestito da donna con l'aiuto del poeta Agatone (noto per la sua
effeminatezza); ma l’uomo si tradisce stupidamente, affermando che delle donne bisognerebbe dire
anche di peggio, e viene così catturato. Euripide è obbligato ad intervenire personalmente per
salvarlo, il che dà luogo a una diffusa parodia degli stilemi dei suoi stessi drammi: alla fine,
minacciando le donne di buttare per terra e calpestare la biancheria appena lavata contenuta in
una cesta, riesce a farle arrendere e a trarre in salvo il Parente.
Rane (405 a.C.): il dio Dioniso, afflitto per la morte del suo poeta prediletto, Euripide (defunto nel
406), decide di riportarlo in vita con l'aiuto del servo Xàntia. Per fare ciò si spaccerà per Eracle,
che nell'Ade è di casa. L'ingresso agli Inferi è comicissimo: i due si scambiano più volte il
travestimento, ed ogni volta che Dioniso viene creduto Eracle riceve un sacco di botte e di insulti,
mentre a Xantia tocca l'opposto. Dioniso affronta cosí un’avventurosa discesa agli inferi,
accompagnata dal coro gracidante delle Rane che vivono nella palude dello Stige, per finire a far
da giudice nella contesa che oppone Euripide a Eschilo per il titolo di miglior tragediografo
(Sofocle è stato eletto re dell'Ade e non partecipa alla contesa). Dopo un geniale e quanto mai
creativo agone, in cui Aristofane ha modo di parodiare più volte e in vari modi lo stile di entrambi i
tragediografi, a sorpresa Dioniso dichiara vincitore Eschilo, per il suo impegno civile e politico: è di
lui che ha bisogno Atene in questo momento di devastante crisi, ed è lui che il dio alla fine riporta
in vita.
Da notare il fatto che anche in questo caso l'attualità condizionò pesantemente la composizione
della commedia: infatti Sofocle morì proprio mentre essa stava andando in scena, impedendo ad
Aristofane di riservargli lo spazio dovuto e costringendolo ad una sistemazione frettolosa anche se
prestigiosa: quella appunto di re dell'Ade.
TERZA FASE
Ecclesiazùse (Le donne all’assemblea) (392 a.C.): le donne, insinuatesi di soppiatto
nell’Assemblea, riescono a ottenere con un colpo di stato il pieno controllo della città, sulla quale
impongono un ‘nuovo ordine’ ginecocratico che, pur fra eccezioni e malcontenti, realizza un
paradossale e godereccio ‘mondo alla rovescia’.
È una commedia esile, fondata su un'utopia poco significativa, perché non legata in nessun modo
all'attualità politica: mentre nella Lisistrata il tema politico era di estrema attualità (si alludeva al
colpo di stato dei Quattrocento), in questo caso si tratta di un puro divertissement, dal momento
che le donne, per definizione "non-soggetti" politici, non avevano alcun peso nella vita pubblica di
Atene.
Pluto (388 a.C.): l’ateniese Crèmilo, su consiglio dell’oracolo di Delfi, si porta in casa un vecchio
cieco che si rivelerà presto come Pluto, dio della ricchezza, accecato da Zeus perché il dio vuole
che il successo economico non si fondi su criteri morali, bensí sull’arbitrio e sul caso. Cremilo,
convinto del contrario, persuade il dio a farsi curare presso il santuario del dio medico Asclepio;
superate le resistenze di Penía (la Povertà), sconfitta in un agone dialettico nonostante le sue
ottime argomentazioni, Pluto può tornare a custodire il tempio di Atena, assicurando prosperità
alla pòlis e distribuendo finalmente le ricchezze in modo equo.
In questo caso non solo si tratta di un argomento utopico privo di ricaduta politica, come nel caso
precedente, ma è scomparsa anche la vis comica: Aristofane, con questa commedia intimista e
"borghese", apre addirittura le porte alla Commedia "Nèa" di Menandro.
L’ideologia aristofanea
Come si accennava, Aristofane è un convinto conservatore, che si rivolge costantemente ad un
target identificabile in quel ceto sociale che egli riteneva il nucleo piú antico e piú sano della
società ateniese: il piccolo proprietario terriero, con le sue debolezze e le sue tradizioni radicate
nell’ideologia della democrazia pre-periclea.
Aristofane, con i suoi attacchi a 360° - a "sinistra" attacca la democrazia radicale post-periclea
(Cleone), a "destra" i sofisti, Socrate ed Euripide -, è potuto apparire "qualunquista" agli occhi dei
critici superficiali e disattenti: questo perché non si è ben compresa la sua collocazione politica
all'interno dei "cimoniani", democratici moderati avversi tanto alla demagogia post-periclea quanto
alle tentazioni golpiste di certi ambienti aristocratici.
Anche il ‘pacifismo’ di Aristofane, per quanto sincero, va letto alla luce dell'opposizione nei
confronti della democrazia affaristica e imperialistica, quella stessa democrazia che la guerra
l'aveva fortemente voluta e continuava a fomentarla.
Al contrario di quello che potrebbe sembrare da certe sue volute e grossolane "confusioni" (tipica,
come s'è detto, quella tra Socrate e i sofisti), Aristofane è un profondo e geniale conoscitore
delle correnti intellettuali ed artistiche che derise per tutta la vita: i suoi "travisamenti" non
sono altro che interpretazioni del tutto personali del pensiero degli avversari, spesso così acute da
risultare profetiche: quando ad esempio egli auspica la condanna a morte di Socrate nelle Nuvole
del 423 adducendo motivazioni in apparenza stravaganti, non fa che anticipare di 24 anni ciò che
puntualmente avverrà, precisamente per gli stessi capi d'accusa, nel 399.
L'arte di Aristofane
Aristofane è uno dei piú importanti autori di tutta l’antichità greco-latina: l'eccezionalità
dell’impegno ideologico, la straordinaria inventiva linguistica, l’immensa varietà di soluzioni
comiche e di invenzioni fantastiche fanno di lui un genio assoluto della comicità.
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