ars inveniendi - Aracne editrice

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ARS INVENIENDI

Direttore
Fabrizio L
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Comitato scientifico
Louis B
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Giuseppe C
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Domenico C
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Antonello G
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Matthias K
Martin Luther Universität Halle Wittenberg
Edoardo M
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Rocco P
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
José Manuel S F
Universidad de Sevilla
ARS INVENIENDI
Questa collana nasce come “porta” aperta al dialogo interculturale
con studiosi vicini e lontani dalla grande tradizione napoletana e
italiana. Lo scopo è di offrire un nuovo luogo di confronto senza
pregiudizi ma con una sola prerogativa, quella della serietà scientifica
degli studi praticati e proposti sui più aggiornati itinerari della filosofia
e della storiografia, della filologia e della letteratura nell’età della
globalizzazione e in un’Università che cambia.
Le pubblicazioni di questa collana sono preventivamente sottoposte alla procedura
di valutazione nella forma di blind peer-review.
Questa pubblicazione si avvale di un contributo finanziario dell’Università degli
Studi di Napoli “Federico II” (Ricerca dipartimentale % – ).
Andrea Bocchetti
Per una storia dell’io
Un nesso impensabile: Descartes–Nietzsche
Presentazione di
Fabrizio Lomonaco
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 
a Rosetta, mia madre
«Tutto quello che non è io è incomprensibile.
Sia che la vada a acercare sulla riva del Pacifico sia che la raccolga nelle contrade della
mia esistenza, la conchiglia che applicherò al
mio orecchio risuonerà della stessa voce che
prenderò per quella del mare e che non sarà
se non il rumore di me stesso.
Tutte le parole, se ad un tratto non mi accontento più di tenerle in mano come graziosi
oggetti di madreperla, tutte le parole mi permetteranno di ascoltare l’oceano, e nel loro
specchio uditivo non ritroverò se non la mia
immagine.
Il linguaggio qualunque cosa appaia si riduce
al solo Io e se ripeto una parola qualsiasi, essa
si spoglia di tutto quello che non è io fino a
diventare un rumore organico attraverso cui
la mia vita si manifesta».
L A, Io
Indice

Presentazione
di Fabrizio Lomonaco

Considerazioni preliminari

Capitolo I
Topologia cartesiana nel pensiero nietzschiano

Capitolo II
Heidegger e la presa di posizione di Nietzsche

Capitolo III
L’egologia della sostanza

Capitolo IV
Ichgefühl: sentire l’ego

Capitolo V
Selbst e Abgrund

Capitolo VI
Ego sans l’être

Conclusioni

Presentazione
Formatosi alla scuola napoletana sotto la guida del professor Alfonso
Di Maio, Andrea Bocchetti ha perfezionato i suoi studi filosofici lontano da Napoli, riportando il titolo di Dottore di ricerca in filosofia in
Italia e in Francia alla luce dei previsti accordi bilaterali di co—tutela.
È, questo, un tratto biografico non esteriore rispetto alla genesi della
ricerca che qui si presenta, perché i suoi tutors sono stati Giuliano
Campioni dell’Ateneo di Pisa, Giulia Belgioioso dell’Università del
Salento e Jean Luc Marion della Sorbonne, noti e accreditati studiosi
di Descartes e Nietzsche. Al filosofo Delle Carte, così come lo identificavano i dotti italiani del Sei—Settecento, Bocchetti è giunto dopo
un’«aspra e continova» meditazione (per parafrasare Vico, un gran
lettore di Cartesio), avviata sulle relazioni umanistiche tra retorica e
linguaggio di matrice lulliana, determinante, com’è noto, lo sviluppo
della logica moderna da Bruno a Leibniz. Da questo studio mancato
(spero provvisoriamente, perché degno di essere ripreso) è nata la
conoscenza mia del “transfuga” che ho seguito negli anni conclusivi
della sua conversione a tematiche più direttamente cartesiane fino alla
scelta finale di cambiar piano di studio, orientando la tesi dottorale
sul Cartesio di Nietzsche. E qui potrebbero concludersi le ragioni
piuttosto estrinseche della mia presentazione, refrattario come sono
(e non per civetteria) a dichiararmi “esperto” di auttori (Grozio, Cartesio, Gravina e Vico, Kant e Herder) che pure ho studiato molto e
continuo a farlo, se non avvertissi negli anni che passano il senso di
un’esperienza che sempre di più si alimenta anche dello studio di altri
compagni di viaggio. Da qui forse il principale titolo che mi riconosco
nel presentare una ricerca nata dalla partecipazione dell’Autore a un
progetto di ricerca su “L’io felice tra filosofia e letteratura”, coordinato
dal professor Pasquale Sabbatino del Dipartimento di Studi umanistici dell’Ateneo Fridericiano; una partecipazione assai coerente con
il tema centrale dell’asse Cartesio—Nietzsche: la copresenzialità di
volere ed esserci, l’auto—affezione come cominciamento costitutivo


Presentazione
dell’io al centro di un altro originale pensatore francese, Michel Henry,
studiato e utilizzato dal Bocchetti anche con riferimento all’«analitica
esistenziale» di un’altra, grande importante voce, quella di Heidegger,
che si staglia sullo scrittoio dell’Autore. E scrivo così, perché questi
procede nella sua analisi, costatando come per Nietzsche si tratti di
non eludere mai un «lavoro di contestualizzazione», di filologia e di
«integrazione ermeneutica». La sua meditazione si sottrae deliberatamente a una «concettualizzazione risolutiva», perché è il tentativo
di costruire una relazione filosofica che si imponga nella scrittura
attraverso la non casuale forma dell’aforisma senza più concedere spazio alla tradizionale interpretazione di senso e significato. Da qui la
complessità del nuovo linguaggio filosofico che non ha più punti di
riferimento e le difficoltà dell’interprete a seguire l’inversione della
tradizionale andatura del filosofare quale movimento convergente
verso l’interno. Gli scritti di Nietzsche eccedono ogni interpretazione, giacché non pongono il problema di decodificarne il senso ma il
diritto al controsenso, a una costante apertura nei confronti di forze
nuove che muovono dall’esterno del pensiero e lo fanno esplodere per
intensità. È la rottura — assai bene colta da Deleuze — dell’impianto
dogmatico che inaugura un discorso “nomade”, compie un viaggio in
nome di un’amicizia profonda che è antisaggezza, filosofia del senso e
del valore in quanto filosofia critica. La domanda astratta della metafisica «che cos’è» (a dispetto della lettura hedeggeriana che individua
nel rapporto Cartesio–Nietzsche una continuità della metafisica della
soggettività) si ritrova dunque declassata di fronte all’emergenziale
problema di carattere genealogico della creazione dei valori e della
ragione. Il pensiero che si propone è quello contrario all’autorità assoluta della ragione dentro la modernità che, per Nietzsche, è fatta
di pensieri su temi centrali in Cartesio e riannodabili intorno alla
questione dell’«egologia della sostanza» che Bocchetti acutamente
ricostruisce, privilegiando le teorie della forza e del rapporto “affettivo” tra le forze da cui dipende la volontà di potenza e l’impalcatura
stessa di un soggetto moderno plurale mai identitario che è, insieme,
il motivo di contatto e di distacco da Descartes. Si tratta, allora, di
studiare, come si fa nella parte prima di questa ricerca, la costituzione
della «morfologia dell’ego». In essa a emergere è la dimensione della
temporalità, intesa da Nietzsche come durata che rompe la stabilità del
tempo cronologico e, introducendo una vertigine nell’io, ne infrange
Presentazione

l’unità identitaria con l’inserimento della molteplicità eterogenea delle
differenze. Nietzsche ha così costruito la nuova immagine del pensiero che, per la prima volta, smette i panni dell’immagine dogmatica
del vero e conosce la dimensione violenta, aggressiva dell’esterno
che irrompe. Il render vero durevole misconosce il carattere stesso
di tale durare che attiene alle condizioni interne dell’ego, laddove la
peculiarità dell’io è nel continuo ricostituirsi, nel ritorno alla forma
con un’organizzazione dominante, con un impulso interno alla dissoluzione, considerato che le forze sottoposte non cessano mai la loro
pressione sulla forza personificata e impostasi come ego. E tutto ciò
rende ragione dell’insufficiente riconduzione della questione dell’ego
al velle pure proposta da Heidegger, come bene esamina Bocchetti
nella parte prima del lavoro, teso a mostrare assai acutamente come
l’egologia della sostanza apra alla decostruzione nietzschiana dell’ego,
alla consapevole affermazione delle condizioni interne—esterne di
produzione dell’io, condizioni, cioè, del volere come tale. Il limite di
Cartesio è l’errore che serve alla vita, la vita che serve con l’errore al
farsi forma dell’essente quale immediato e semplice vero che vuole
imporsi nel divenire. Su tale “logica” per la vita poggia l’impensabile
asse Descartes—Nietzsche di cui Bocchetti delinea efficacemente il
duplice movimento: quello della costituzione di una forma stabilizzata
(ego) e quello di una post—pressione che la tiene stabilizzata nella sua
posizione. Si pensi al rapporto tra coscienza e non coscienza con la
prima che è un sintomo, ovvero è il risultato di un insieme di forze che
si presentano dall’esterno a modificare l’equilibrio del corpo sensibile.
È qui che si consuma una significativa distanza da Cartesio più che dal
cartesianesimo, se con Spinoza si può capire come l’essere esprima
la propria pienezza quanto più si rende vulnerabile all’esterno, il che
significa che proprio nella potenza di essere affetto, di essere sensibile
di un corpo risieda il suo massimo grado di attività o di affermazione. Eppure, il rapporto con Cartesio non punta semplicemente alla
decostruzione, ma alla radicalizzazione della teoresi del pensatore
francese, come bene mostra Bocchetti, sottolineando l’acutezza e l’originalità di Nietzsche nel ricollocare l’ego in seno al volere, portando
all’«indeterminazione topologica» il volentesi primo e il privilegio
del sentire; il che comporta il ripensamento in termini assolutamente
originali (non estranei alle implicazioni cartesiane) dell’unità possibile
tra soggetto e oggetto che è ciò che si produce come volentesi uno.

Presentazione
La decostruzione di Nietzsche radicalizza il pensiero di Descartes dal
suo interno, riconoscendone le ambiguità e le difficoltà intrinseche in
relazione allo statuto dell’ego, al rapporto col corpo, alle privilegiate
modalità del sentire. La volontà deve precedere il pensiero e volere
oltre se stessa, se l’ego si definisce solo mediante il sentire. La felicità
dell’io è nella scoperta del privilegio del suo porsi come ciò che origina
il misconoscimento senza residui.
Napoli,  gennaio 
Fabrizio Lomonaco
Considerazioni preliminari
La ricomposizione di un filo argomentativo all’interno dell’opera
di un autore ha bisogno continuamente di sottoporsi alla prova di
un’organicità che non può non trovare il suo punto di consistenza nel
rimando testuale. La coerenza ricavata dal testo diviene perciò stesso
il terreno di fondazione di un discorso che può organizzarsi solo
mantenendo una trama di relazioni interne che portano ad evidenza
il suo procedere.
Tale operazione ha una problematicità che risiede in ogni tentativo
di verificare la tenuta interna di un pensiero o meglio di una sua corretta interpretazione. Tutto ciò è notevolmente amplificato allorché
ci si trova a confrontarsi con un pensatore come Nietzsche. Al di là
dell’immediato disagio che suscita la frammentarietà del suo discorso,
che nelle opere trova almeno un’organizzazione di carattere tematico,
ma che nei Nachgelassene Fragmente a causa della ricostruzione cronologica, seppur molto preziosa, non lo ha reso possibile, il pensiero
di Nietzsche scivola continuamente verso linee di fuga che rendono
estremamente problematico ogni tentativo di sistematizzazione. L’insistenza durante tutto l’arco dell’opera di Nietzsche di una tale scelta
stilistica, tuttavia, non può non essere in ragione di una convergenza
essenziale tra la forma adottata e ciò che tale forma esibisce.
A maggior ragione, dunque, confrontarsi con Nietzsche richiede
un lavoro di contestualizzazione e di reinterpretazione, che solo può
consentire di far emergere quella organicità e quella coerenza senza le
quali il suo pensiero si dissolverebbe nello spaesamento che segue ad
ogni frammento. Ed è bene sottolineare come solo una ricostruzione
attenta può consentire di districarsi con più agevolezza tra la massa
enorme di fili, rimandi interni ed esterni, allusioni, metafore cui si va
incontro quando ci si accosta a Nietzsche, e che sola consente di partire
da una prospettiva che intenda leggerlo come totalità. Gli strumenti
della filologia richiedono inoltre un’integrazione ermeneutica che non
deve temere le apparenti contraddizioni, le oscurità, le sintesi ad un


Considerazioni preliminari
primo sguardo incomprensibili, i cambi di posizione, il procedere non
raro per paradossi, i molteplici livelli del discorso, nonché l’immenso
patrimonio di immagini, simboli, riferimenti di cui Nietsche fa uso;
ancor più quando si tratta del materiale che lui stesso non ha avuto
modo di organizzare o che ha lasciato da parte nella selezione interna
alla composizione dei suoi scritti; un pensiero, quello di Nietzsche,
come ben sintetizza Vitiello, «sfuggente, polimorfo, costruito a strati» .
Leggere Nietzsche implica il rincorrere un pensiero che continuamente si sottrae ad una concettualizzazione risolutiva e che, nel medesimo
tempo in cui offre il frutto di ciò che svolge, immediatamente dopo
sembra ricadere in una nuova problematica apertura; come ebbe a
dire Bertram : «Egli [Nietzsche] è erede e compagno di destino di tutti
coloro la cui razza non si limita goethianamente ad uscire dal buio
alla luce, ma è spinta da profonda necessità a sprofondare dalla luce,
da tutto ciò che è illuminato, nuovamente nell’oscurità, nell’incerto» .
Un esempio di quanto detto, è rintracciabile in un aspetto specifico dell’opera di Nietzsche, vale a dire il suo confronto con delle
personalità che si costituiscono come il portato di argomenti, concetti,
posizioni, con le quali Nietzsche ama mettersi in contatto; non in
ultimo i filosofi. Neppure in questo caso, o forse qui ancora in modo
più rilevante, Nietzsche dà prova di una posizione riconducibile con
faciltà ad una sintesi; neppure quando si tratta di pensatori ai quali
egli si sente particolarmente legato (si pensi solo ai casi di Spinoza o
di Schopenhauer), Nietzsche si sottrae al suo metodo, passando da
posizioni elogiative a vere e proprie denigrazioni, oppure isolando
singoli aspetti e facendoli agire come degli organismi compiuti .
. V. V, Utopia del nichilismo, Guida, Napoli, , p. .
. E. B, Nietzsche, Il Mulino, Bologna, , p. .
. Il riperimento di luoghi in cui mostrare tali apparenti oscillazioni risulterebbe estremamente oneroso; ciò in ragione dell’enorme quantità di casi che non è qui possibile
riportare, ma che risulta evidente a chiunque si sia imbattuto nella lettura dei testi nietzschiani o nel suo corposo epistolario. Basti pensare, solo per citare un esempio, a quanto
afferma riguardo a Spinoza, certamente uno dei pensatori che Nietzsche sente più affine, in
una lettera a Overbeck, il  luglio : «“Sono pieno di meraviglia e di entusiasmo! Ho un
precursore e quale precursore! Io non conoscevo quasi Spinoza: per ‘istinto’ ho desiderato
ora di leggerlo. Ed ecco che non solo la tendenza generale della sua filosofia è identica
alla mia: — fare dell’intelletto la passione più poderosa; ma mi ritrovo ancora in cinque
punti capitali della sua dottrina; questo pensatore, il più abnorme e solitario, mi è vicino
in sommo grado appunto in queste cinque argomentazioni: egli nega il libero arbitrio; le
cause finali; l’assetto morale del mondo; il disinteresse; il male. Anche se tra Spinoza e me
Considerazioni preliminari

Tutto ciò si è reso nuovamente evidente allorché si è scelto di valutare
più in profondità il confronto che Nietzsche ha intrattenuto lungo tutta
la sua opera con Descartes, di cui si è dovuto ovviamente selezionare un
aspetto specifico. A dispetto di un’opinione dettata da numerose evidenze, tale confronto non sembra essere caratterizzabile come una mera
opposizione. In tal caso, si mancherebbe la possibilità di comprendere il
senso e lo sforzo di un tentativo di oltrepassamento che per darsi ha inteso procedere innanzitutto dall’interno. Nietzsche non smette di ritornare
a Descartes; la continuità della presenza di Descartes nelle riflessioni
di Nietzsche si mostra d’altronde con chiarezza attraverso l’analisi delle occorrenze nei frammenti postumi e nelle opere; riflessioni che si
svilupperanno e seguiteranno a riproporsi fino alla fine degli anni ’.
Questo legame non è tuttavia ascrivibile ad una mera costellazioni di incontri: esso è profondo nella misura in cui si sviluppa come
relazione; e se le questioni fondamentali della filosofia nietzschiana
si misurano spesso nei suoi diversi interlocutori, Descartes è certamente uno di quelli cruciali. La modernità è d’altronde il terreno da
restano enormi diversità, queste sono da attribuire soprattutto alla differenza dei tempi,
della cultura della scienza», allorché altrove ne prende le distanze in modo netto, come nel
Crepuscolo degli idoli dove afferma: «“Niente è meno greco che l’intessuta ragna concettuale
di un solitario, amor intellectualis Dei nello stile di Spinoza”», Götzen–Dämmerung, Streifzüge,
, ed. it. Crepuscolo degli idoli, Scorribande di un inattuale, , VI, , p. . D’ora in avanti
le citazioni riguardanti l’opera di Nietzsche saranno prese per il tedesco dalla Digitale
Kritische Gesamtausgabe Werke und Briefe (eKGWB) curata da Paolo D’Iorio e pubblicata
da Nietzsche Source (www. nietzschesource.org), che riproduce e rende disponibile, nella
versione più aggiornata, la versione digitale dell’edizione tedesca di riferimento per le
opere, i frammenti postumi e la corrispondenza di Nietzsche curata da Giorgio Colli e
Mazzino Montinari (Friedrich Nietzsche, Werke. Kritische Gesamtausgabe, Berlin/New
York, de Gruyter, – e Nietzsche Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe, Berlin/New
York, de Gruyter, –); per l’italiano si farà riferimento all’edizione delle Opere complete di
F. Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, . Dell’edizione italiana
si riporteranno inoltre il volume (in numeri romani), il tomo, e la pagina da cui sono tratte
le citazioni. Per i soli Frammenti postumi, sarà adottata la sigla FP (cui corrisponde nella
eKGWB la sigla NF), mentre per le opere si espliciterà per intero il titolo ad ogni citazione.
. Solo per quanto riguarda le occorrenze dirette, le prime sono infatti databili nel 
mentre le ultime sono riferibili al ; in particolare ancora nel frammento  [] del ,
viene ripetuta una delle formule più rilevanti, come si tenterà di mostrare, della decostruzione
nietzschiana, segno di un confronto mai interrotto, come mostrano le parole: «“Es wird
gedacht: folglich giebt es Denkendes”: darauf läuft die argumentatio des Cartesius hinaus».
Ciò è confermato ancor più nei riferimenti tematici, tra cui troviamo, solo per citare uno tra
gli esempi più evidenti, il capitolo del Götzen–Dämmerung, Die vier grossen Irrthümer, la cui
scrittura risale all’estate del , in cui il richiamo a Descartes e in particolare alla questione
della Ursache, appare emergere con grande decisione.

Considerazioni preliminari
cui Nietzsche trae numerosi intenti polemici, i quali afferiscono ai
temi centrali del suo pensiero: il soggetto, la volontà, la conoscenza,
il limite. Ma a parte le singole opposizioni, Nietzsche non smette di
ritornare a Descartes, per riattraversarlo, per radicalizzarlo, e sotto
certi aspetti, per compierlo. Se di compimento si può parlare, questo è innanzitutto nel senso di un approfondimento di colui che ha
inaugurato la fondazione di una soggettività la quale raccoglie il privilegio della fondazione del mondo. E se Nietzsche sente di dover
confrontarsi proprio con quel luogo di fondazione, di metterlo alla
prova metodicamente, ciò è in ragione del riconoscimento di una crucialità cui nessun pensatore posteriore a Descartes può sfuggire. Le
parole di Michel Henry trovano un esemplare punto di applicazione:
«Une philosophie radicale et prémière est la recherche du Commencement» . Ma il cominciamento non indica meramente il nuovo che
si impone, quanto piuttosto il suo stare come ciò che procede da ciò
che lo precede: «Le commencement n’est pas le nouveau, il est plutot
l’Ancien et le plus ancien. C’est vers celui–ci que consciemment se
tourne le projet cartésien afin de prendre appui sur lui et de pouvoir
commencer» . Nel medesimo senso è dunque da intendere la radicalità del cominciamento nietzschiano, ovvero dal suo instaurarsi in ciò
che lo avanza, per riattraversarlo come inizio.
In tal senso, l’intervento di Heidegger pesa ancora in modo decisivo: non solo la sua interpretazione del legame a cui Descartes e
Nietzsche appartengono, di quello Stesso che delinea un fondo che si
ritrova nell’incontro tra l’inizio e il compimento di un destino, quello
della storia della metafisica come nichilismo nella forma della declinazione in subjectum dell’ousìa; ma soprattutto nell’individuare nel
rapporto tra Descartes e Nietzsche una continuità della metafisica
della soggettività, che ha rinnovato, nella peculiarità moderna, il misconoscimento del senso d’essere dell’ente mediante la sua derivazione
dall’ente. Ma è esattamente in questo punto che la lettura del legame
tra Descartes e Nietzsche va approfondita, poiché è precisamente
in questo luogo che il superamento della metafisica, e non solo da
parte di Nietzsche, potrebbe aver trovato un percorso a parte di quello
determinato dal destino dell’oblio dell’essere.
. M. H, Généalogie de la psychanalyse, PUF, Paris, , p. .
. Ibidem.
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