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Il lungo cammino dei simboli matematici
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COMPETENZA: MATEMATICA NELLA STORIA
Il lungo cammino dei simboli matematici
A cura di Franco Tonolini e Giuliana Zibetti
Tre fasi dell’algebra
L’algebra nei primi tempi del suo sviluppo mancava
di abbreviazioni e di simboli adeguati e veniva ancora
espressa a parole (algebra retorica). Esempi di risoluzione di problemi in cui i passi da seguire sono
espressi a parole si trovano già in tavolette babilonesi. In seguito vennero introdotti abbreviazioni e simboli utilizzati insieme alle parole (algebra sincopata).
Era pertanto laborioso scrivere operazioni e relazioni
matematiche e interpretare scritture senza conoscere i simboli utilizzati dai matematici (ogni matematico
ne introduceva dei propri a piacimento).
Fu necessario perciò trovare simboli che per la loro
semplicità e immediatezza diventassero il più possibile comuni. Il cammino per convergere su un simbolismo accettato dalla comunità dei matematici (algebra simbolica) fu lungo e accidentato.
Le equazioni e la nascita dell’algebra
La nascita dell’algebra è strettamente legata al concetto di equazione e di sistema di equazioni e si può
far risalire alla civiltà Assiro-Babilonese (dinastia di
Hammurabi, XVI-XVIII secolo a.C.). Anche nei papiri
Egizi si trovano vari problemi risolti con l’impiego di
equazioni. Nella cultura greca la vera matematica
era la geometria, pertanto la risoluzione delle equazioni veniva ricondotta al corrispondente problema
geometrico. In questa prospettiva, però, la scrittura
della generica equazione di primo grado ax ¼ b era
senza senso. Infatti per i Greci ax, essendo un prodotto, rappresentava un rettangolo e b rappresentava
un segmento: ma non è possibile uguagliare una superficie con una lunghezza. Un’equazione di primo
grado ammissibile, per i Greci, poteva essere, ad
esempio, ab ¼ mx. Tale equazione, però, non veniva
espressa in simboli, ma nel linguaggio corrente: ‘‘dato il rettangolo di lati a e b, determinare un rettangolo
a esso equivalente avente un lato pari a m’’.
metica, trattato in tredici volumi dei quali soltanto
dieci sono giunti fino a noi. Sei volumi erano conosciuti anche nell’antichità e vennero tradotti e stampati più volte nel Rinascimento. Inoltre, nel 1971, nella
biblioteca della Moschea di Mashad in Iran, sono
stati trovati sei libri dell’Arithmetica tradotti in arabo
circa mille anni prima. Di questi, soltanto due erano
già noti nel testo greco.
Quindi per questa via siamo a conoscenza di altri
quattro libri dell’opera di Diofanto.
Diofanto è forse il primo matematico dell’antichità ad
affrontare i problemi algebrici indipendentemente
dall’interpretazione geometrica. Prima di lui questo
tentativo era stato fatto dal matematico Erone, vissuto forse due secoli prima in Alessandria e noto per le
sue invenzioni, tra cui la pompa idraulica e l’eolipila.
La fama di Diofanto è principalmente legata a due argomenti: le equazioni di primo grado a coefficienti interi di cui si ricercano le soluzioni intere, dette appunto diofantee o diofantine, e il simbolismo matematico.
L’Arithmetica di Diofanto
Arithmetica di Diofanto, stampata in latino da Bachet
de Meziriac.
Diofanto di Alessandria (III sec a.C. – datazione non
confermata) scrisse un trattato sui numeri poligonali
e sulle frazioni, ma la sua opera principale è l’Arith-
Un’equazione diofantea è ad esempio:
ax þ by ¼ c
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a, b, c P N
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Il lungo cammino dei simboli matematici
A Diofanto si deve anche un famoso problema, che
egli stesso volle venisse scritto sulla propria tomba:
Questa tomba rinchiude Diofanto e, meraviglia! dice
matematicamente quanto ha vissuto. Un sesto della
sua vita fu l’infanzia, aggiunse un dodicesimo perché
le sue guance si coprissero della peluria dell’adolescenza. Dopo un altro settimo della sua vita prese moglie, e dopo cinque anni di matrimonio ebbe un figlio.
L’infelice (figlio) morı` improvvisamente quando raggiunse la metà dell’età che il padre ha vissuto. Il genitore sopravvissuto fu in lutto per quattro anni e raggiunse infine il termine della propria vita.
La soluzione si trova risolvendo la seguente equazione:
x
x
x
x
þ
þ þ5þ þ4¼x
6
12
7
2
Diofanto è vissuto x ¼ 84 anni.
Inoltre tutti termini positivi vengono premessi ai termini negativi. Con queste regole Diofanto riesce a
scrivere polinomi in una forma molto coincisa. Ad
esempio l’espressione 2x 4 5x 3 þ 3x 2 3 poteva essere scritta come:
" K " M̊ dove sono indicati con il quadrato dell’incognita,
con la sua potenza quarta con K il suo cubo,
con " il meno e con M̊ l’unità; , " e , sono, rispettivamente, i numeri 2, 5 e 3.
Come si può notare c’è una notevole differenza tra la
notazione diofantea e la notazione algebrica moderna, ma questo è il primo passo del lungo cammino
che ha portato i matematici a ideare i simboli dell’algebra come li conosciamo e come li usiamo oggi.
I simboli per indicare operazioni
I simboli utilizzati da Diofanto
Diofanto risolve problemi esprimendo tutte le quantità
incognite, dove possibile, in termini di una sola di esse.
Utilizza lettere dell’alfabeto greco per rappresentare
gli operatori aritmetici più comuni; ad esempio col
simbolo (iota) o (iota con la lettera sigma in apice) indica l’espressione isoi eisin che in greco significa ‘‘sono uguali’’, rappresenta l’incognita col simbolo
(simile alla lettera greca sigma quando è utilizzata
alla fine delle parole) oppure con il termine aritmos
(numero).
Rappresenta l’incognita al quadrato col simbolo (le lettere greche maiuscole delta e ipsilon, che stanno per dynamis, quadrato), con K l’incognita al cubo, con l’incognita alla quarta, con K rappresenta x 5 , con KK invece denota x 6 .
Diofanto scrive potenze superiori al cubo, una novità
nella matematica greca, poiché esse non avevano
un riscontro geometrico. Nel simbolismo di Diofanto i
coefficienti numerici vengono scritti dopo i simboli indicanti le potenze alle quali sono associati. Ricordiamo che i numeri presso i Greci venivano scritti utilizzando l’alfabeto; a volte, per non confonderli con le
lettere, veniva apportato sopra di essi un segno orizzontale.
L’addizione viene rappresentata scrivendo i simboli
dei termini da addizionare uno dopo l’altro, mentre la
sottrazione con una freccia posta davanti ai termini
da sottrarre.
Nel Medioevo Leonardo Pisano (1170-1250) detto Fibonacci usava i segni p e m per indicare le abbreviazioni delle parole latine plus e minus.
Ritratto di Leonardo Pisano detto Fibonacci.
I mercanti tedeschi però utilizzavano þ o per segnalare l’eccedenza o la mancanza di merci. Solo più
tardi þ e assunsero il significato di addizione e
sottrazione. Il segno della moltiplicazione introdotto da William Oughtred (1574-1660) fu ostacolato perchè poteva essere confuso con la lettera dell’alfabeto x (‘‘ics’’).
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La sbarretta orizzontale della frazione già nota agli
Arabi venne usata da Fibonacci ma comunemente
adottata solo nel XVI secolo. La sbarretta obliqua
venne introdotta addirittura
nel 1845.
pffiffiffi
Il segno di radice
, prima indicato con la lettera R,
fu adottato sempre nel secolo XVI.
L’uso degli esponenti si trova nell’algebra di Raffaele
Bombelli (XVI secolo).
Le parentesi tonde appaiono nel 1544, le quadre nel
1593. Per indicare le incognite Diofanto (III secolo
d.C.) già utilizzava delle lettere, ma Luca Pacioli (circa 1445- 1515) e i suoi contemporanei indicavano l’incognita ancora con la parola res (in latino), cosa (in
italiano), coss (in tedesco). Fu François Viète (15401603) a introdurre le lettere sia per le incognite che
per le quantità note.
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Per questo Viète può essere considerato il fondatore
dell’algebra letterale. Per consuetudine oggi indichiamo le incognite con x, y, z, ma sarebbe meglio alternarle con altre lettere poiché nelle formule delle discipline scientifiche per indicare le grandezze incognite sono utilizzate tutte le lettere dell’alfabeto italiano e di quello greco. (È cosı̀ radicato l’uso della lettera x che i raggi penetranti scoperti da Röntgen nel
1896 e allora di natura incognita sono chiamati ancora oggi raggi X anche se la loro natura non e‘ più incognita).
E a proposito del segno = il cui utilizzo ci pare oggi
cosı̀ ovvio? Fu inventato da Robert Record (15101577) nel secolo XVI, Viète usò prima la parola aequalis e poi il segno .
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