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Gli usi normativi e gli usi negoziali
La tematica degli usi normativi e degli usi negoziali assume una certa rilevanza nel mondo del
diritto soprattutto con riferimento all’interpretazione e all’integrazione del negozio giuridico.
Il discorso sugli usi normativi e sugli usi negoziali deve partire dalla loro individuazione e
definizione per meglio comprendere il loro meccanismo operativo.
L’uso normativo costituisce una fonte del diritto e rinviene la sua rilevanza nella consuetudine,
consuetudine che, nella gerarchia delle fonti, occupa l’ultimo posto.
Dal codice civile si evince chiaramente che la consuetudine opera solo se richiamata dalla legge: è
per questo motivo che si parla di consuetudine secundum legem.
Gli elementi costitutivi di questa fonte del diritto, che ha tradizione romanistica, sono due, uno di
carattere oggettivo e consistente nella ripetizione costante nel tempo di certi comportamenti da parte
di una cerchia indifferenziata di persone, ed uno di carattere soggettivo consistente nella
convinzione che quel dato comportamento sia vincolante : c.d. opinio iuris seu necessitatis.
L’elemento soggettivo della consuetudine è andato nel corso dei secoli erodendosi soprattutto per la
difficoltà probatoria di verifica dell’esistenza di un tale convincimento radicato nella collettività. E’
proprio la valorizzazione di questo requisito che dovrebbe consentire all’interprete una più agevole
distinzione tra gli usi normativi e gli usi negoziali.
L’uso negoziale si forma liberamente ed è liberamente osservato. Il comportamento conforme
all’uso negoziale è frutto di adesione non costretta da parte dei consociati proprio in quanto manca
l’elemento del vincolo giuridico.
Gli usi negoziali sono assai frequenti nel mondo delle contrattazioni commerciali ed infatti una loro
raccolta è contenuta presso le Camere di Commercio di Italia.
Quando il codice civile parla di usi interpretativi fa riferimento alle pratiche commerciali correnti
seguite nella stipula di certi negozi giuridici per illustrarne gli elementi oscuri; sembra, allora, che
vengano in rilievo proprio gli usi negoziali.
Secondo la dottrina l’uso negoziale costituisce un criterio oggettivo di interpretazione del contratto
utilizzabile in presenza di clausole oscure che alla verifica ermeneutica, fondata su regole
soggettive, risultino non correttamente illustrate o non chiare.
Il legislatore si riferisce agli usi anche come strumento di integrazione del contratto, insieme alla
legge e ai provvedimenti della pubblica autorità, capaci di sostituire anche quelle clausole che siano
con essi in contrasto.
La dottrina prevalente ritiene che gli usi in questione abbiano carattere normativo; sulla base di
questo assunto, proprio in quanto normativi, rientrano nell'ambito delle fonti del diritto e sono in
grado di inserirsi e di operare nel contenuto e negli effetti del contratto grazie al richiamo fatto ad
essi dalla legge.
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La conseguenza è che la loro conoscenza/ignoranza non rileva ai fini della loro applicazione e
trattandosi di norme essenzialmente dispositive le parti contrattuali potrebbero superare il dato
usuale normativo attraverso l’inserimento di apposite clausole che definiscono quegli aspetti del
contratto che in mancanza verrebbero definiti dall’uso normativo; sappiamo, infatti, che gli usi
subentrano nello schema contrattuale o per effetto di una legge o in presenza di una lacuna che le
parti contraenti non hanno colmato con apposita clausola.
Nel codice civile è possibile rinvenire richiami espliciti agli usi normativi come per esempio in
tema di formazione del contratto e più specificamente nell’ambito dello scambio proposta accettazione oppure nell’ambito della conclusione del contratto quando " per la natura dell’affare o
secondo gli usi….la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta….il contratto è
concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto esecuzione.." art. 1327 c.c. (c.d. negozi di
attuazione) oppure nell’ambito della definizione dell’oggetto della prestazione o in tema di modalità
di adempimento. E’ sempre ad essi che il legislatore fa, talvolta, riferimento in tema di vizi della
cosa compravenduta.
Da quanto sopra evidenziato sembra potersi affermare che l’uso normativo opera automaticamente
o assume valore sussidiario qualora le parti contraenti stabiliscano convenzionalmente quell’aspetto
regolato dall’uso in modo ad esso difforme.
Il meccanismo operativo dell’uso negoziale è differente perché l’uso negoziale non trova un
referente nella norma di legge e ciò in quanto non è, ancora, assurto a fonte del diritto.
Lo stesso spazio operativo risulta circoscritto a quei settori nei quali non sussista una disciplina
normativa ad hoc o che non sono disciplinati dagli usi normativi.
L’uso negoziale, definito come uso praeter legem, viene richiamato dalle parti contraenti quando
per certe contrattazioni manca la disciplina giuridica e necessiti chiarire o specificare alcuni aspetti
di rilievo del rapporto giuridico.
Così costruito, per la verità, l’uso negoziale presenta molte affinità con l’uso normativo presentando
in comune con esso la generalità e la ripetizione di certi comportamenti ma, si aggiunge, difetta il
profilo soggettivo.
Tutta la partita si gioca, allora, su questo elemento ma poiché non risulta agevole la sua certa
individuazione si afferma in dottrina che dovrà essere il legislatore, qualora l’uso negoziale si
presenti di costante affioramento e consolidamento nel mondo del diritto a richiamarlo ai fini della
disciplina di quel settore o di quel rapporto giuridico. E’ infatti il legislatore, e lui solo, a poter
conferire valore legittimante all’uso negoziale attribuendogli dignità di fonte del diritto.
La rilevanza giuridica dell’uso negoziale non è per questo diminuita in quanto risulta operante ed
emerge in molti settori della pratica commerciale anzi in questi contesti contrattuali gli usi negoziali
costituiscono una vera valvola dell’ordinamento in grado di assicurare dinamismo ai rapporti
giuridici costituiti mediante contratto e soprattutto svolgono un ruolo prezioso nell’ambito delle
contrattazioni atipiche rispetto alle quali manca per definizione una disciplina normativa.
L’uso negoziale trova il suo humus con riferimento a quelle materie o settori di materie non coperte
da riserva di legge o non regolate dagli usi normativi.
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Questa affermazione va, secondo alcuni, puntualizzata: infatti spesso lo schema contrattuale usato
dalle parti è volutamente lacunoso perché esiste un altro schema contrattuale simile tipico cui si è
inteso, anche implicitamente, far riferimento.
L’operatività degli usi negoziali va, allora, specificata con riferimento ai dati di struttura e
contenutistici del rapporto contrattuale che le parti intendono costituire; solo grazie a questa
indagine è possibile riscontrare o meno la presenza dell’uso negoziale ed escluderne l’operatività
qualora , per esempio, il contratto nei suoi dati di struttura o di contenuto rinvii ad altre figure
negoziali che pertanto regoleranno le lacune, lacune che si presentano allora solo apparentemente
tali: nel mandato di credito il momento formativo è senz’altro regolato dalle norme sul mandato in
generale mentre il momento esecutivo è disciplinato dalle norme in tema di fideiussione.
Secondo questa ricostruzione le parti potrebbero ignorare la presenza dell’uso negoziale e
ciononostante esserne sottoposti; questo potrebbe presentarsi pregiudizievole agli stessi contraenti
ecco perché parte della dottrina nega la funzione integratrice degli usi negoziali asserendo che essi
al più potrebbero avere una funzione esplicativa delle clausole dubbie.
Questa tesi è, però, smentita dallo stesso codice civile che non distingue chiaramente in tema di
integrazione e di effetti del contratto tra usi normativi e usi negoziali.
La questione resta e non è priva di rilevanza pratica perché mentre l’uso normativo ove disatteso o
male interpretato può costituire motivo di ricorso per cassazione, non altrettanto è possibile
affermare per gli usi negoziali e sempre a livello processuale, mentre per gli usi normativi è il
giudice che, in base al principio iura novit curia, deve valutarne l’applicazione nel caso concreto,
invece per gli usi negoziali è necessaria la richiesta della parte che se ne vuole avvalere mediante
specifica allegazione.
Anche sotto il profilo abrogativo gli usi negoziali e gli usi normativi divergono perché mentre per i
primi è sufficiente dimostrare che nella pratica commerciale l’uso è stato soppiantato da altro o è
divenuto desueto, per i secondi è necessario un riconoscimento giuridico da parte della legge anche
se, per la verità, c’è chi sostiene che trattandosi pur sempre di ipotesi di consuetudine, l’uso
normativo potrebbe risultare abrogato per facta concludentia e cioè senza l’intervento del
legislatore in tal senso e trovare conseguente applicazione il nuovo uso. L’applicazione dell’uso
normativo è, infatti, assicurata mediante rinvio mobile alla consuetudine esistente al momento del
sorgere della controversia e in quanto fatto fonte la sua abrogazione può essere la conseguenza di un
mutamento di fatto nella ripetizione di certi comportamenti e nell’opinio iuris.
Nell’ambito delle contrattazioni di massa, in cui lo schema contrattuale è unilateralmente
predisposto, ci si è posti il quesito del se gli usi negoziali possano assumere carattere di vessatorietà
e se per ciò debbano soggiacere alle regole dettate dagli articoli 1341 e 1342 del c.c. La risposta che
generalmente viene data è negativa muovendo dall’assunto che se gli usi negoziali sono da
considerare usi praeter legem non è possibile che deroghino alle norme giuridiche che svolgono
l’importante funzione di bilanciare e rendere equilibrato l’assetto degli interessi contrattuali. Più
problematico, invece, il discorso con riferimento agli usi normativi che come tali non sottopongono
il preponente all’obbligo di far conoscere né obbligano alla doppia sottoscrizione; si soggiunge in
dottrina, per altro, che l’uso normativo, in quanto tale, non può mai presentarsi in contrasto con
norme dispositive perché si atteggia sempre come uso secundum legem.
Il problema rimane aperto e si attende in materia una presa di posizione della Cassazione a Sezioni
Unite nonché si auspica un intervento del legislatore in grado di fare maggiore chiarezza.
Avv. Francesca Romana Fuxa Sadurny
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