USI E CONSUETUDINI NEL DIRITTO VIGENTE (relazione di Marilena Rizzo – Vice Presidente della Commissione Provinciale revisione usi) Nel nostro ordinamento esistono due categorie di usi o consuetudini , costituenti due distinti istituti giuridici, difformi sia per la loro natura che per i loro effetti: l’USO NORMATIVO, previsto dagli artt. 1 e 8 delle preleggi al codice civile, e l’USO NEGOZIALE, trovante il suo fondamento nell’art. 1340 cod. civ.. Quest’ultimo, a sua volta, costituisce categoria di riferimento per ciò che attiene agli USI INTERPRETATIVI, disciplinati dall’art. 1368 cod. civ., e alla c.d. PRASSI AZIENDALE, i quali appunto costituiscono sottospecie dell’uso negoziale. L’USO NORMATIVO richiede due requisiti, uno, di natura oggettiva, consistente nella uniforme, generale e costante ripetizione di un dato comportamento, l’altro, di natura soggettiva (o psicologica), consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica ( c.d. “opinio iuris seu necessitatis”). In quanto dotato delle caratteristiche e degli effetti di una norma giuridica, l’uso normativo deve possedere i requisiti dell’astrattezza e della generalità, anche se circoscritti ad una determinata zona. L’uso normativo è una fonte del diritto, se pure terziaria, posto che nella gerarchia delle fonti è posto dopo le leggi e i regolamenti ( cfr. art. 1 delle preleggi). Esso costituisce fonte sussidiaria del diritto nelle materie in cui manca del tutto la disciplina legislativa (uso c.d. “praeter legem”), mentre nelle materie regolate dalla legge o dai regolamenti ha efficacia solo se espressamente richiamato (uso c.d. “secundum legem”) – cfr. art. 8 comma 1 delle disposizioni delle leggi in generale, secondo cui << nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati>>. Dalle caratteristiche sopra delineate discende che : 1- il requisito oggettivo e il requisito soggettivo sono entrambi imprescindibili, posto che, in assenza, ad esempio, del requisito psicologico, il fenomeno consuetudinario si riduce ad una mera prassi; 2- l’uso normativo può essere “praeter legem”, allorché manchi del tutto una disciplina legislativa, e “secundum legem”, nella misura in cui è richiamato da una legge o da un regolamento (e in questo caso la norma consuetudinaria ha posizione subordinata rispetto a quella che la richiama, analogamente alla legge delegata rispetto alla legge delegante), ma non può mai essere “contra legem”; 3- in quanto norma giuridica, ha effetti indipendentemente dalla concreta conoscenza che gli interessati abbiano potuto averne; 4- pur non essendo il giudice tenuto a conoscere l’uso normativo (incombendo sulla parte che ne richiede l’applicazione la prova della sua esistenza), tuttavia, costituendo una vera e propria norma giuridica, se è noto al magistrato, è applicabile anche se la parte non ne abbia fornito la prova (mentre questa è necessaria solo se il giudice lo ignori). L’USO NEGOZIALE, invece, opera sullo stesso piano delle clausole contrattuali, e consiste in pratiche comportamentali di fatto normalmente adottate in una determinata zona e in determinati settori di attività, senza che la reiterazione delle condotte sia dovuta ad alcun convincimento di obbligatorietà . L’uso in questione, sostanzialmente coincidente con la c.d. PRASSI, si differenzia dall’uso normativo per la mancanza del carattere della generalità e del requisito della c.d. “ opinio iuris ac necessitatis”, oltre al fatto che esso vige normalmente solo in una determinata cerchia di contraenti (ad esempio: i commercianti, gli artigiani tessili, gli spedizionieri, gli industriali metalmeccanici, gli agricoltori, ecc) e corrisponde non già ad esigenze giuridiche, ma a motivi di opportunità. L’uso negoziale, pertanto, integra la volontà dei contraenti e concorre a disciplinare il contratto solo qualora le parti l’abbiano esplicitamente o implicitamente voluto (cfr. l’art. 1340 cod.civ. il quale testualmente prevede che << Le clausole d’uso s’intendono inserite nel contratto, se non risulta che non siano state volute dalle parti>>). 1 Da quanto sopra riferito discende pertanto che: 1- gli usi negoziali, in quanto integranti la volontà delle parti, ed inseriti nel regolamento contrattuale ”se non risulta che non sono stati voluti dalle parti”, prevalgono anche sulle norme di legge aventi carattere dispositivo; 2- per la loro sussistenza è solo necessario l’elemento oggettivo della reiterazione di fatto della condotta in una determinata cerchia di contraenti, di tal che, non occorre indagare in ordine ad alcun elemento psicologico; 3- sono inseriti in un contratto in virtù di una espressa o implicita manifestazione di volontà dei contraenti, di tal che non possono trovare applicazione ove sia da escludersi una presunzione di volontà delle parti nel senso della loro inserzione; 4- devono essere provati dalla parte che li allega; 5- pur non occorrendo il requisito della generalità a cui si è fatto riferimento con riguardo agli usi normativi, occorre che la condotta comportamentale sia condivisa almeno da una determinata categoria di operatori economici, di tal che non può ritenersi uso negoziale la prassi istituita tra le parti in occasione di precedenti contrattazioni, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1340 cod.civ.. Costituiscono usi negoziali e/o convenzionali sia gli usi interpretativi (disciplinati dall’art. 1368 cod.civ.), che i c.d. usi aziendali. L’uso interpretativo è un mezzo di interpretazione della volontà ambiguamente espressa dai contraenti e costituisce un criterio ermeneutico, sussidiario rispetto ai criteri della interpretazione c.d. soggettiva o storica del contratto a cui fanno riferimento gli artt. dal 1362 al 1365 cod.civ.. Il presupposto imprescindibile di applicabilità degli usi interpretativi è lo stato di incertezza in ordine alla volontà delle parti. L’uso aziendale è caratterizzato da ripetuti comportamenti, (aventi un determinato contenuto), del datore di lavoro e, in quanto uso negoziale (poiché privo dei caratteri della generalità e dell’”opinio iuris ac necessitatis”), si inserisce, ai sensi del già citato art. 1340 cod. civ., direttamente ed automaticamente nel contratto individuale di lavoro, di cui integra il contenuto in senso modificativo rispetto alla regolamentazione collettiva, purché in “melius” per il lavoratore, e a meno che non risulti che tale ricezione sia stata esclusa dalla volontà delle parti. Sia gli usi normativi (qualora non già conosciuti dal giudice) che gli usi negoziali devono essere provati dalle parti che ne richiedono l’applicazione. In questo ambito si evidenzia l’importanza della raccolta degli usi fatta a cura delle Camere di Commercio, la quale costituisce mezzo legale di accertamento dell’esistenza di un uso (cfr. art. 9 delle preleggi al codice civile), ma non è prova certa ed assoluta e quindi consente la dimostrazione del contrario. Tuttavia, in mancanza della predetta prova contraria, il giudice, senza procedere ad ulteriori accertamenti, deve accordare valore di piena efficacia di prova dell’uso locale al certificato rilasciato dalla Camera di Commercio che ne attesti l’esistenza nella sua raccolta ufficiale. Peraltro, in presenza di tale certificazione, non può ritenere operante un uso di contenuto diverso in base alla generica notorietà del medesimo, occorrendo, a tal fine, una dimostrazione concreta e rigorosa, idonea a contrastare l’efficacia probatoria di detta raccolta. Gli usi, sia normativi che negoziali, hanno nel nostro ordinamento un ruolo non secondario, solo che si rifletta circa la pluralità degli istituti che fanno loro riferimento. A titolo esemplificativo si consideri che gli usi normativi sono richiamati dagli articoli: 1374 c.c. (<< Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità>>); 230 bis, comma 6 c.c. (<< Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme>>); 770 comma 2 c.c. (<<Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi>>); 896 c.c. (<< Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel 2 suo fondo, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali. / Se gli usi locali non dispongono diversamente, i frutti naturalmente caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprietario del fondo su cui sono caduti. / Se a norma degli usi locali i frutti appartengono al proprietario dell’albero, per la raccolta di essi si applica il disposto dell’art. 843>>); 1181 c.c. (<<Il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente>>); 1182 comma 1 c.c (<< Se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è determinato dalla convenzione o dagli usi e non può desumersi dalla natura della prestazione o da altre circostanze, si osservano le norme che seguono.>>); 1183 comma 1 c.c. (<< Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente. Qualora tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice.>>); 1187 comma 2 c.c. (<< La disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi>>.); 1214 c.c. (<< Se il debitore ha offerto la cosa dovuta nelle forme d’uso anziché in quelle prescritte dagli articoli 1208 e 1209, gli effetti della mora si verificano dal giorno in cui egli esegue il deposito a norma dell’art. 1212, se questo è accettato dal creditore o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato>>); 2078 c.c. (<< In mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo si applicano gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge>>. Questa norma peraltro, in ossequio al “favor” riservato al prestatore di lavoro, deroga alla regola generale secondo la quale l’uso normativo non può mai essere “contra legem” in quanto prevede che l’uso più favorevole al lavoratore prevalga sulla disposizione legislativa di tipo dispositivo); 2109 comma 2 c.c.(il prestatore di lavoro << Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità>>); 2110, comma 1 e 2 c.c.(<< In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge non stabilisce forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità./Nei casi indicati nel comma precedente, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità>>); 2118 comma 1 c.c. (<< Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità>>); 2130 c.c.(<< Il periodo di tirocinio non può superare i limiti stabiliti dagli usi>>); 2240 c.c. (<< Il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico è regolato dalle disposizioni di questo capo, e, in quanto più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi>>); 2243 c.c.(<< Il prestatore di lavoro, oltre al riposo settimanale secondo gli usi, ha diritto ad un periodo di ferie retribuito, che non può essere inferiore a otto giorni>>). Sono peraltro numerose le norme codicistiche che richiamano espressamente questo istituto. Sempre a titolo esemplificativo, si consideri che fanno invece riferimento agli usi negoziali gli articoli 1340 cod.civ. (<< Le clausole d’uso s’intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti>>); 1368 cod. civ. (<< Le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso>>). Sempre esemplificando si fa presente come in giurisprudenza sono stati ritenuti usi negoziali le norme bancarie uniformi predisposte dall’A.B.I., in quanto imposte al cliente in base ad una prassi, se pure ineludibile in quanto richiesta dall’istituto bancario mediante clausole uniformi (cfr. Cass. n. 12507/1999); l’uso che in materia di locazione regoli il termine per il pagamento del canone, stante il suo mancato richiamo dall’art. 1587 n. 2 cc (cfr. Cass. n. 1141/1989); gli usi uniformi della camera di commercio internazionale, relativi ai crediti documentari (cfr. Cass. n. 1842/1996). Prato, 2 ottobre 2008 Marilena Rizzo 3