Recensione a Maurizio Ferraris, Nietzsche Gespenster

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Recensione a Maurizio Ferraris, Nietzsche Gespenster, Klostermann RoteReihe, 2016
Professor Andreas Kemmerling (Ruprecht-Karls-Universität Heidelberg)
[https://www.amazon.de/Nietzsches-Gespenster-menschliches-intellektuellesKlostermann/dp/3465042751/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1476789636&sr=81&keywords=nietzsche+gespenster]
Dato che potrebbe venir lunga, anticipiamo fin da subito che sono entusiasta di questo libro. Su una
scala da uno a dieci gli avrei dato il massimo dei punti. Non è solo un grandioso libro su Nietzsche,
ma anche un libro di filosofia scritto grandiosamente. E non parlo semplicemente dello stile – anche
in questo senso è piacevolissimo (complimenti sinceri al traduttore, anche se c’è un piccolo errore
che non svelerò) –, parlo bensì del fatto che Ferraris può e fa ciò che a ben pochi riesce, quando si
tratta di parlare allo stesso tempo di filosofia e dell’uomo che l’ha prodotta. Ferraris non cerca di
essere “obiettivo”, scomparendo, se possibile, dietro a ciò che scrive. Allo stesso tempo non si pone
mai in primo piano, in modo che alla fine si viene a sapere più di ciò che Ferraris pensa, che di ciò
che Nietzsche ha sofferto, pensato e fatto. Questo è quel che ritengo di eccezionale in questo libro:
innanzitutto Ferraris lascia parlare Nietzsche stesso, citando passi scelti ottimamente, anche da
lettere e testi meno conosciuti. In secondo luogo, Ferraris lascia parlare i fatti storici, anche questi
scelti sapientemente. Parlare di una scelta sapiente non è abbastanza, ciò che Ferraris menziona e
include, al fine di poter vedere il pensiero di Nietzsche in un contesto più allargato (detto in maniera
altisonante, ma con parole meditate: nel contesto della storia dello spirito occidentale dall’antichità
alla post-postmodernità), è ciò che rende questo libro di una classe a sé.
Sfogliando l’indice mi preparavo al peggio. Non vi sono capitoli, bensì una ripartizione in undici
sezioni con titoli come Kaputt, Femmes!, Nichilismo senza anti-depressivi, Nuovo cinema
Zarathustra. Caspita! Sotto tali titoli una lista variopinta di luoghi e date, con qualche aggiunta, del
tipo: Gerusalemme, 33 d.C. “diventa donna, diventa cristiana” oppure Basilea, 16. April 1943.
L’Electric Kool-Aid Acid Test. La prima impressione fu di qualcuno che voleva proporre qualcosa
di scanzonato. Si tratterà, mi dissi, di un pot-pourri di piccoli aneddoti. Uno di quegli eruditi italiani
alla Calasso vuole sfogare la sua rabbia associativa sul povero Nietzsche. Insomma, un intellettuale
leggero vuole ad ogni costo apparire originale, dotto e pieno di spirito.
Avevo già l’intenzione di mettere via il libro, meglio leggersi per l’ennesima volta l’originale.
Fortunatamente, pensavo, mi ero portato in vacanza anche due volumi di Nietzsche. In ogni caso,
un po’ per gioco mi metto a sfogliare ancora un po’ il libro, soffermandomi qua e là e leggendo
qualche passo – e dopo un quarto d’ora era successo: ero rimasto affascinato. Notai inoltre che il
libro aveva un certo ordine di pensiero, così cominciai, stavolta per bene, a leggerlo dall’inizio.
Qualcosa di giusto nella mia prima impressione c’era: questo libro è in effetti originale, dotto e
pieno di spirito. Non è però una raccolta di aneddoti, ma una libera composizione di fatti. Fatti
messi in ordine in maniera liberamente associativa, ma mai arbitraria. Il libro è dotto, ma non vi è
alcuno sfoggio di erudizione. Ho scoperto molto di Nietzsche che prima non sapevo e che mi
permette di porre in nuova luce le sue ambizioni filosofiche. Ad esempio che, appena più che
ventenne, soffrisse nel non aver ricevuto alcuna formazione scientifica nel suo liceo umanistico. (In
Ecce homo: “le realtà mancavano proprio alla mia scienza, e le ‘idealità’, chissà a cosa
servivano!”). Da autodidatta autonomo cercò di tenersi aggiornato, in maniera seria e non per breve
tempo. È evidente che, nel far ciò, la mera divulgazione popolare non gli bastasse. È ben
documentato che si cimentò anche con i lavori di Cantor, Helmholtz e Mach. Non venne mai meno
alla speranza di dare alle sue concezioni una seria fondazione scientifica e non solo di pubblicarle
sotto forma di aforismi apodittici, che al lettore istruito dovevano per lo più dare l’impressione di
arroganti supposizioni di una testa calda priva di consapevolezza scientifica.
Il libro di Ferraris è certamente anche pieno di spirito, ma nella maniera più piacevole: la pensa a
modo suo sia quando è dalla parte di Nietzsche, sia quando è contro di lui. Ma tutto questo non ‘dal
basso’, guardando con ossequio alla sovrastante figura sul podio, ma allo stesso tempo nemmeno
dall’alto (quando contraddice Nietzsche, cosa che fa a più riprese), in qualità di ben informato
filosofo di professione che spinge nell’angolo dei filosofi amatoriali il filologo Nietzsche, reo di
non aver mai compreso veramente Kant. Dove Ferraris contraddice Nietzsche (ad. es. sulla dottrina
dell’eterno ritorno, sul superuomo, sul rapporto fra interpretazione e verità o, nel suo insieme, sulla
sua filosofia morale), lo fa in qualità di semplice essere umano pensante, senza darsi arie o
pavoneggiarsi. Ferraris spiega al lettore in maniera chiara e concisa come Nietzsche comprende il
filosofema di turno e pone la domanda, probabilmente sorprendente per gli accoliti di Nietzsche e
che suonerà alle loro orecchie quasi indelicata, se non addirittura anti-filosofica: è proprio così, è
davvero tutto così chiaro o ha, perlomeno, un afflato di forza persuasiva?
Talvolta la risposta di Ferraris è un no deciso. Un no alla questione presa in esame, a ben guardare,
e niente di più (salvo una motivazione concisa, spesso solo accennata). Non vi è traccia di quella
punta di ‘disprezzo’ di cui parla la recensione della FAZ (13. Settembre, 2016). Ciò che il
recensore forse non sa è che tra filosofi il contraddittorio è il pane quotidiano, e quando si fa più
aspro, non è nient’altro che un segno di rispetto. E il libro di Ferraris è il libro di un filosofo, non di
un esperto di Nietzsche. (tra le due cose ci possono essere mondi di differenza). Nella stessa
recensione si dice che Ferraris era animato dall’intenzione di “lasciar apparire” il pensiero di
Nietzsche “come il più assurdo possibile”. Chapeau, questa è arte interpretativa ai massimi livelli,
ma da parte del recensore. A questa idea bisogna proprio arrivarci, peccato che sia completamente
falsa. Dal libro traspare ad ogni piè sospinto che Nietzsche ha toccato in profondità il cuore
dell’autore, il quale oscilla fra sensibilità e meditata distanza. Non c’è in quest’opera alcuna
condanna di qualcosa di assurdo.
Può anche darsi che Ferraris non comprenda le affermazioni di Nietzsche (altro rimprovero del
recensore della FAZ) e le prenda per “oro colato”, ma è davvero un segno d’ingenuità comprendere
Nietzsche partendo dall’assunto che egli veramente pensasse ciò che scriveva? E che lo pensava
proprio come lo scriveva? In fin de i conti stiamo pur sempre parlando di Nietzsche. Colui che, tra
le tante cose, ammiriamo per almeno due motivi: per aver avuto la testa e il coraggio per pensare
come ha pensato e per aver posseduto il raro dono di scrivere come egli scriveva. Non come un
oscuro suggeritore di profondità inesplorate, ma come un artista le cui frasi belle e chiare vanno,
come frecce, dritte al centro del pensiero – e non importa che opinione si abbia di quest’ultimo.
Le frasi di Nietzsche sono argute, sono, così per dire, esagerazioni acuminate, il cui senso è
trasparente. E non sarebbero frasi di Nietzsche se il loro senso dovesse scaturire da lambiccamenti
o venir svelato da esegeti di professione che riemergono dagli archivi dopo decenni di studio.
Se qualcosa nelle parole di Nietzsche ci porta a riflettere, ciò non è la domanda su quale possa mai
essere il loro senso. Spesso invece la questione è se in ciò che noi leggiamo non vi sia qualcosa di
mostruoso, se non addirittura di “spettrale”.
Bene, ci riferiamo come è ovvio alle ardite (temerarie?) uscite intellettuali che Nietzsche comunica
col suo linguaggio così trascinante. Questa è una cosa. Ma chi non si vuole semplicemente
ubriacare deve domandarsi in che rapporto stanno con la verità. Anche il pensiero filosofico più
audace, ‘al di là dei sentieri battuti’, non è mai solo una prova di coraggio.
Più si legge Nietzsche, più diviene chiaro che egli vuole essere letto come lui legge gli altri: con
intelletto vigile e la volontà di non voler dire pedissequamente sì, ma anzi di mantenersi di fronte a
quegli eterni grandi (Platone, Kant, ecc.) in una specie di ritrosia che può arrivare fino alla
resistenza a oltranza. Ferraris è il tipo di lettore che Nietzsche si sarebbe augurato per sé, anche se si
sarebbe presumibilmente augurato di trovare in lui maggior riscontro.
Chiediamoci allora di nuovo: è ingenuo o un semplice malinteso prendere Nietzsche alla lettera?
Può darsi. Ma in ogni caso è parte del rispetto che un filosofo deve ad un altro. Forse è davvero
meglio se la filosofia di Nietzsche non viene presa per oro colato (o anche ‘meglio’, se non viene
presa per tale), e ancora ci sono persone più assennate di Nietzsche che ci dicono come la si possa
comprendere meglio di come lui l’ha scritta. Questa è in fondo la buona tradizione ermeneutica
tedesca: capire l’autore meglio di quanto egli stesso si capisca. Ferraris non cerca di fare questo, e
alcuni lettori (che non sanno di meglio, come il sottoscritto) gliene sono grati.
Ferraris non scrive per esperti di Nietzsche, ma per lettori che vogliono pensare mentre leggono.
Non si tratta nel complesso né di un’introduzione, né di un manuale o di una biografia, non so
esattamente che cos’è questo libro.
Nella traduzione tedesca Ferraris fornisce un sottotitolo, ‘Un’avventura umana e intellettuale’.
Nell’originale italiano quest’avventura viene esplicitamente relazionata alle “catastrofi del 20.
secolo”. Nella versione tedesca il parlare di un’avventura può riferirsi anche al libro stesso. Esso si
sviluppa in maniera un po’ avventurosa, già nella scelta che Ferraris compie degli eventi storici che
formano le stazioni del suo percorso intellettuale. Ma le soste sono brevi, non si entra nel dettaglio,
eppure non ci sono nel libro due passi uno dietro l’altro ai quali avrei rinunciato. È un libro
divertente. Ferraris suona spesso brillante, irriverente, anche quando ciò su cui sta scrivendo è triste.
Ma non sbaglia mai il tono, e non è cosa da poco.
Nonostante la leggerezza dello stile e la chiarezza dell’espressione, il libro di Ferraris non è una
lettura facile. L’autore è molto colto e un po’ lo mostra consapevolmente. Mi ha costretto a far
delle ricerche. Cosa che comunque in sé si dimostrava spesso piacevole. Un esempio è offerto a
pagina 159. Non mi ero mai imbattuto nella figura di Ermanarico, in onore del quale il
diciassettenne Nietzsche voleva comporre una sinfonia. La ricerca su Google è valsa la pena, a mio
avviso, per farmi un’idea di cosa affascinava il giovane Nietzsche. Alla stessa pagina si trova la
“resurrezione lisergica” di Jim Morrison. Grazie alla ricerca correlata, ora so per che cosa sta la L
nell’abbreviazione LSD. Saperlo m’inorgoglisce moltissimo e mi lascia con la ferma intenzione di
utilizzare in futuro la parola con la stessa nonchalance con cui la usa Ferraris. Magari in
combinazioni sorprendenti come “quello che scrivi, mi suona come una chiacchiera lisergica”. Ma
anche se l’ho ricercato, non so comunque ancora che cosa succederebbe, se Jim Morrison risorgesse
lisergicamente. Ma una cosa la spero, e con tutto me stesso: che dopo la risurrezione non vada in
studio, nemmeno per comporre una sinfonia per Ermanarico. (la seconda metà degli anni settanta
sarebbe stata più bella se ogni serata in discoteca non fosse finita sulle note di Riders on the storm;
chi porta un po’ di Nietzsche nel cuore, se ne va nella notte più volentieri ascoltando il Passenger di
Iggy. Ma questo venne più tardi. Forse Ferraris non conosce Iggy? Impensabile, sarebbe una tale
lacuna culturale! Ma poi, cosa ci trova la gente in Jim Morrison? A meno che non si sia nell’età in
cui si legge Camus a lume di candela, magari un po’ fumati (per la verità, facendogli così un torto).
In ogni caso, il signor Ferraris è italiano e gli italiani sono notoriamente musicali, forse troppo
musicali per riconoscere nel Rock gli autentici da chi si da solo delle arie). Mettere insieme
Nietzsche e Morrison è per me la peggior gaffe associativa del libro. Altrimenti non ho nient’altro
di essenziale da eccepire.
Ma parliamo ora di qualcosa che rende questo libro così ben riuscito. Ferraris ci fornisce una traccia
della stratificazione e delle ‘molteplici sfumature’ di un atteggiamento spirituale che egli compendia
sotto l’etichetta di nichilismo. Egli non rimanda solo a certi aspetti del pensiero di Nietzsche o ad
altre impressioni, il cui senso è più smaccatamente filosofico. Molti degli eventi che egli introduce,
e dei pensieri che egli sviluppa in relazione a questi, gettano piuttosto una luce su come il
nichilismo fa presa sul sentire, pensare, scrivere e poi sul volere e sull’agire. Questi sono gli spettri
di cui scrive Ferraris. Essi non sono scomparsi con “le catastrofi del Novecento”. Nietzsche non ha
portato questi spettri nel mondo, ma piuttosto ne fu preda. Non li ha volutamente promossi. Non
volutamente. Sono spettri nel senso più terribile della parola, non buffe attrazioni da fiera per
divertire i bambini. Grazie al cielo Ferraris non cerca di ridurli a una manciata di astratti concetti
filosofici. Non cerca nemmeno di individuare il Ghostbuster filosofico o di introdurre una facile
diagnosi. Una cosa del tipo: “Ci fu Darwin, e fu un duro colpo per l’immagine dell’uomo
occidentale; poi c’era ancora la filosofia idealistica da cui tutti i presuntosi erano messi in
fibrillazione, con quel vedere il soggetto, tutto tronfio, farsi in qualche modo creatore del proprio
mondo (tutto il resto, forse anche sé stessi, non sarebbe altro che falsa apparenza); poi ci fu
l’industrializzazione con la miseria che porto con sé; poi ci fu ancora…; e quando tutto questo era
venuto, vennero allora anche le torture dei campi di concentramento”. Una cosa del genere Ferraris
non la fa, è troppo intelligente per caderci, dimostrando in questo modo di tenere in alta
considerazione il suo lettore. In questo libro l’orrore spettrale sembra insinuarsi in molti eventi
come in un dipinto. Come giustamente dice di sé in appendice all’opera, egli ha scritto un libro di
storia. Non solo un libro su Nietzsche.
Se 50 anni fa, quando cominciai a leggere Nietzsche (non l’immenso Zarathustra, per il quale
ancora oggi non me la sento), avessi avuto il libro di Ferraris da poter leggere, sarebbe stata una
fortuna. Dopo l’entusiasmo iniziale non avrei archiviato Nietzsche sotto la voce ‘non-filosofia’,
cosa che per lungo tempo feci. All’epoca mi sembrava un meraviglioso scrittore di aforismi, dotato
di una lingua plastica e di molto spirito, in qualche modo simile a Karl Kraus, altro autore che a
quel tempo amavo molto. Quello che mi poteva infastidire non lo prendevo particolarmente sul
serio, perché non volevo considerarlo un pensatore serio. Lo lasciavo da parte come espressioni
esagerate, di quelle che escono dalla penna di quelli che hanno come occupazione quotidiana il
produrre materiale per gli album di poesie dei presuntuosi. Per me Nietzsche non era un filosofo, lo
leggevo (con la condiscendenza del io-sono-filosofo) come se si trattasse di qualcuno che aveva il
dono della formulazione piena di spirito, uno che nella sua spocchiosa Kulturkritik (cosa che
all’epoca mi andava a genio) scivolava di tanto in tanto nel filosofico (dove però, troppo volentieri,
perdeva il controllo). Solo per questo lo prendevo talvolta in mano, per lo più in vacanza: letteratura
da amaca. Non leggevo così nemmeno gli aforismi di Zürau di Kafka. Per quelli devo sedere coi
piedi per terra. Per la ‘vera’ filosofia ho bisogno di una scrivania e di una gomma per cancellare
nella mano, per poter cancellare note a margine prese in precedenza. Per Nietzsche non ho mai
avuto bisogno della gomma. Ho solo sottolineato i passaggi più belli. E ne trovo sempre di nuovi,
senza dover cancellare i vecchi. Ferraris invece legge Nietzsche come un filosofo legge un filosofo
in quanto tale. E scrive in modo da darlo a comprendere, fornendo ampio materiale per la riflessione
in proprio. “Lascia al lettore, ciò di cui è capace anche lui” ha annotato una volta Wittgenstein.
Ferraris lascia al lettore molto. E ciò che egli ci lascia risveglia ancor più gioia nel leggere e
rileggere Nietzsche, per poi rileggerlo ancora. Prenderlo in parola, con gli occhi ben attenti,
prenderlo tanto seriamente, quanto lui intendeva. E dopo pensare in autonomia – è come un porsi in
rapporto al mondo per come lui è, oppure come un rapportarsi a ciò che di esso sappiamo come
innegabile. In una parola: un libro come pochi, bizzarro, splendido, personale, e diciamolo pure un
libro magnifico. Per tutti quelli che ‘in qualche modo’ amano Nietzsche, ma non voglio uscir di
senno quando lo leggono.
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