Babilonesi - Dipartimento di Matematica

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La matematica babilonese
Le principali fonti documentarie sulle conoscenze matematiche dei
Babilonesi sono le tavolette d’argilla, alcune rinvenute nel 1854 dal
geologo W. K. Loftus nei pressi di Senkereh sull’Eufrate (risalenti al
periodo che va dal 2300 al 1600 a.C.), altre trovate a Boghazhoi sul
fiume Ali, relative al regno degli Ittiti (1800-1200 a.C.). Queste riportano
soprattutto calcoli aritmetici e problemi algebrici, scritti in caratteri
cuneiformi, dai quali risulta l’uso di una notazione di carattere
essenzialmente posizionale, in base 10 e 60, in cui si riscontra già l’uso,
sia pur parziale, di un simbolo avente la funzione di zero.
L’Algebra era notevolmente sviluppata: i Babilonesi sapevano estrarre
le radici quadrate e cubiche, riportate in apposite tavole. Colpisce la
loro abilità nell’approssimare le radici irrazionali: la radice di 2 è data
come 1,414213 (quando noi sappiamo che il valore esatto, troncato alla
sesta cifra dopo la virgola, è 1,414214...). Non c’è però motivo di
credere che i Babilonesi fossero consci del fatto che questi numeri
non avevano una rappresentazione decimale o sessagesimale finita. Essi
sapevano risolvere le equazioni quadratiche, e particolari sistemi di
equazioni in più incognite. Queste ultime venivano normalmente
indicate con speciali parole (l’uso, peraltro raro, di simboli pare sia
casuale) l’utilizzo di uś (lunghezza), sag (larghezza), aša (area)
induce a pensare che molti problemi algebrici traessero origine da
questioni di carattere geometrico.
Per calcolare
i lati di un rettangolo di cui si conoscano il
semiperimetro p e l’area a occorre invece risolvere un sistema di due
equazioni in due incognite:
{
x+y = p
xy = a.
Questo problema veniva ricondotto ad uno più semplice, fondamentale
dell’algebra babilonese: trovare un numero che, sommato al suo
reciproco, fornisca un numero fissato, in formule:
x + 1/x = b,
che, come noto,
dà luogo ad un’equazione di secondo grado. A volte
venivano usate parole sumeriche per denotare due incognite che fossero
l’una la reciproca dell’altra, come si legge sulle tavole di reciproci che
essi utilizzavano per i loro calcoli. Una delle iscrizioni dice:
che significa:
igi 2 gál-bi 30
½ = 30/60.
Un altro esempio di problema a due incognite riconducibile ad
un’equazione di secondo grado è il seguente:
Ho moltiplicato Lunghezza e Larghezza e l’Area è 10. Ho moltiplicato la
Lunghezza per se stessa ed ho ottenuto un’Area. L’eccesso della
Lunghezza sulla Larghezza ho moltiplicato per se stesso e questo risultato
per 9. E quest’Area è l’Area ottenuta moltiplicando la Lunghezza per se
stessa. Quali sono la Lunghezza e la Larghezza?
Il testo del problema, tutto espresso a parole, è un tipico esempio di
algebra retorica.
Il corrispondente sistema di equazioni è, nel moderno simbolismo:
{
9(x-y)2
xy = 10
= x2,
Da esso si ricava un’equazione biquadratica, e quindi, ancora, due
equazioni di secondo grado. Altri problemi geometrici, riguardanti i
volumi, conducevano all’estrazione di radici cubiche.
Se non fosse per il linguaggio arcaico, l’enunciato del problema
precedente potrebbe essere benissimo quello proposto da un insegnante
di una scuola media ai suoi allievi. Basterebbe introdurre una unità di
misura per lunghezza e larghezza, ad esempio il metro, e precisare che il
numero 10 si riferisce a 10 metri quadrati. Diversa è la situazione per
un altro enunciato, riportato da B. L. van der Waerden, che inizia così:
Lunghezza, Larghezza. Ho moltiplicato Lunghezza e Larghezza, ottenendo
l’Area. Quindi ho sommato all’Area l’eccesso della Lunghezza rispetto alla
Larghezza: 183.
Se anche in questo caso volessimo lavorare con metri e metri quadrati,
ci troveremmo in serie difficoltà: come sommare una quantità espressa
in metri quadrati ad un’altra espressa in metri? Bisognerebbe
contravvenire alla regola di bilanciare le unità di misura, commettendo
un bell’errore da matita blu. Per i Babilonesi il problema non sussisteva:
tutte le misure erano espresse semplicemente da numeri. Lo storico van
der Waerden chiama questa pratica algebra mista, distinguendola
dall’algebra geometrica, quella che si avvale di diverse unità di misura
per lunghezze, aree e volumi.
I Babilonesi sapevano anche calcolare le somme parziali di successioni
aritmetiche e geometriche, e conoscevano una formula per la somma dei
primi n numeri quadrati.
La Geometria rivestiva un ruolo meno rilevante, e veniva praticata
quel tanto che bastava a risolvere i problemi della vita quotidiana come
la divisione di un campo oppure la scelta del formato dei mattoni per
una data costruzione. Ci sono pervenuti soprattutto calcoli di aree di
figure piane regolari e dei volumi dei solidi più semplici. I disegni che
accompagnano le formule spesso sono così ambigui che è difficile
stabilire la correttezza del procedimento. Tuttavia pare ormai accertato
che i Babilonesi conoscessero la costruzione dell’esagono regolare,
oltre al Teorema di Pitagora ed alla nozione di similitudine fra triangoli.
Ciò è testimoniato soprattutto dalla tabella contenuta nella tavoletta
n.322 della Plimpton Collection della Columbia University. Essa risale al
periodo babilonese antico (1900-1600 a.C.), e presenta una lista di
possibili misure per i lati di un triangolo rettangolo: risulta che i
Babilonesi conoscevano molte terne pitagoriche, anche se nessuna
formula generale è mai stata trovata.
In un altro testo babilonese conservato al British Museum di Londra,
viene risolto il seguente problema:
Una canna è appoggiata verticalmente ad un muro. Se la sua sommità
scivola in giù di 3 lunghezze, la sua estremità opposta avanza di 9
lunghezze. Quanto è lunga la canna, quanto è alto il muro?
L’enunciato sottintende che l’altezza del muro coincida con la lunghezza
della canna.
La situazione iniziale è:
e quella finale:
3
9
Applicando il teorema di Pitagora
si ricava facilmente che la canna ed il
muro misurano 15 lunghezze. Un problema di analoga formulazione è
presente nella antica matematica cinese: una trave appoggiata
obliquamente alla sommità di un muro, di cui si conosce l’altezza, si
adagia al suolo se si allontana la sua estremità inferiore di una
lunghezza.
Altrove i Babilonesi determinano soluzioni approssimate: ad esempio
viene risolto il problema di determinare la diagonale d di un rettangolo
di altezza h e base w con il valore:
d = h+ w2/2h,
che, per h>w, è un’ottima approssimazione di  h2 + w2.
Il valore di π era approssimato dai Babilonesi a volte con 3, altre volte
con 3 + 1/8.
Le conoscenze matematiche trovavano applicazione, in astronomia, allo
studio ed alla previsione dei moti stellari, lunari e planetari, che
stavano alla base del calendario oltre che dell’astrologia.
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