J. G. Fichte: Fondamenti dell`intera dottrina della scienza. Il destino

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J. G. Fichte: Fondamenti dell’intera dottrina della scienza.
Il destino di Fichte e dell'intero idealismo è strettamente legato al dibattito su Kant, che per forza di cose noi abbiamo
dovuto ridurre al confronto tra Reinhold e Schulze. Come avvenne per Reinhold, anche Fichte incontrò il pensiero di
Kant nel maturare del proprio impegno pedagogico-politico; e come Reinhold, anche Fichte si propose il compito di
completare la Critica - alla luce però non più della sola Ragion pura ma di tutte e tre le opere ormai pubblicate -,
accogliendo l'esigenza espressa dallo stesso Kant di un passaggio definitivo dalla semplice "filosofia critica" a un
sistema organico del sapere umano. In questo, Fichte non fece che concretizzare - e, bisogna dire, con grande
successo, fino a diventarne il portabandiera teoretico e ideologico - l'aspirazione culturale della nuova generazione di
intellettuali a una visione sistematica capace di unificare etica e teoretica, morale e conoscenza, di cui abbiamo
discusso all'inizio di questa conversazione. L'occasione a partire dalla quale prese avvio l'intervento di Fichte fu una
recensione dell'Enesidemo; il suo intento non era quello di difendere ad ogni costo il criticismo, ma di comprendere il
senso delle obbiezioni per rimediare ai "punti deboli" dell'argomentazione di Reinhold. Fichte dunque riconobbe la
fondatezza della critica di Schulze soprattutto al "principio di coscienza" così come era stato formulato da Reinhold, e
colse lucidamente la necessità di fornire quella "deduzione trascendentale" - o giustificazione logica - che mancava alla
fondazione della coscienza per farne davvero un principio assolutamente primo. Il problema è ormai ben noto: l'idea di
una unità della coscienza che comprenda in sé tutti i propri atti - teoretici e pratici - implica che non vi sia "prima" di tali
atti nessun principio logico o ontologico che ne giustifichi (ne fondi) l'esistenza. In altre parole: se si dimostra che la
coscienza - ovvero l'uomo - non ha prima di sé nessun principio causale che la determini, allora è dimostrato il valore
assoluto della libertà umana. Dunque, il principio primo di ogni attività del pensiero non può essere un fatto (oggettivo),
come pretendeva Reinhold, perché questo presupporrebbe l'esistenza di un ulteriore livello di coscienza (soggetto) che
sia consapevole di esso, in una spirale infinita di "principi" priva di senso. Il principio primo di ogni attività della coscienza
deve essere per forza un atto, e la giustificazione di tale atto deve avere, come insegna Kant nella prefazione della
Ragion pura, un carattere logico e non empirico, cioè autosufficiente e possibilmente tautologico. E ora vedremo perché.
Il "principio di coscienza" ha per R. un carattere evidente e intuitivo, di fatto [«la coscienza ci costringe
ad ammettere concordemente che ogni rappresentazione ecc.»], che l'autore non giustifica (in linguaggio kantiano:
non deduce logicamente).
Che Fichte identifica col "principio della filosofia", o del filosofare.
Vedi la differenza tra "libertà" come fatto e come atto posta da Kant nella Ragion pratica. Nell'ambito della
conoscenza, un atto è sempre incondizionato e soggettivo, cioè "pone in essere" qualcosa e non presuppone nessun
"oggetto" di fronte a sé.
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In questa unità
Testo: Storia delle idee
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Erica Pellizzoni
Editore: BBN
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