stile accademico

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6/3/2017
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Roberto Casati
Diritto di critica
L’estate scorsa il lettore italiano ha avuto il privilegio di assistere a un curioso e istruttivo
dibattito sulla stampa quotidiana e settimanale. Curioso, perché si discuteva di questioni filosofiche
e metafilosofiche. Istruttivo, perché ha mostrato quanto poco l’idea di un dibattito—nel senso di
‘dibattito argomentato razionalmente’—sia parte della cultura italiana. Il caso che mi interessa è
quindi solo marginalmente filosofico e riguarda problemi generali quali la libertà di espressione e il
diritto di critica. Ma richiamerò dapprima brevemente i termini della questione.
Tutto nasce da una recensione pubblicata su questa rivista. Massimo Mugnai, che insegna
storia della logica a Firenze ha presentato (“Severino e il nulla”, La rivista dei libri, giugno 1997)
un’analisi di un libro di Emanuele Severino, docente di filosofia teoretica a Venezia (Tautótës,
Adelphi 1995). In particolare1 Mugnai rimprovera a Severino di non vedere la distinzione2 tra due
tipi di relazione espressi dalla copula “è”, rispettivamente l’identità (come in “Tullio è Cicerone”) e
la predicazione o l’appartenenza insiemistica (come in “Tullio è bravo”). È una distinzione sottile
ma cruciale per l’argomento di Severino, che intende provare la contraddittorietà del divenire.
Secondo Mugnai, Severino ha bisogno di interpretare ogni forma di predicazione come identità per
poter considerare come contraddittori gli enunciati che rappresentano il divenire, enunciati del tipo
“La legna è (diventata) cenere”. Infatti, se “è” esprimesse solo l’identità ci si contraddirebbe quando
si asserisce che la legna è cenere—dato che essere legna ed essere cenere sono proprietà tra loro
contrarie. Pertanto ogni asserzione del divenire sarebbe contraddittoria, e questo costituirebbe una
reductio ad absurdum della tesi per cui il divenire esiste.
L’argomento di Severino—la cui ricostruzione è certo sommaria—è poco convincente anche
indipendentemente dal problema della corretta rappresentazione teorica della copula. Una buona
parte del problema dipende dall’uso del linguaggio naturale nel fornire una premessa a una tesi
filosofica tanto impegnativa com’è quella dell’inesistenza del divenire. Non è chiaro con che diritto
si passi da “La legna è diventata cenere” a “La legna è cenere”. Non va da sé che quando si dice che
“La legna è cenere” si dicono due cose contrarie di uno stesso individuo—condizione necessaria
alla formulazione di una contraddizione nel nostro caso. Potremmo di contro voler dire che una
data porzione di materia si presentava come legna e si presenta come cenere; nessuna
contraddizione in vista qui, il divenire essendo proprio quel che ci permette di sfuggire alla
contraddizione. Non ci viene detto perché la contraddizione sia un problema—ed è noto che
esistono vari modi di arginare il suo potenziale dirompente. Non è chiaro come trattare l’identità
attraverso il tempo e non c’è una panacea teorica per le difficoltà che essa comporta.
Non vorrei però venir frainteso su questo punto. La tesi per cui il divenire non esiste non è di
quelle che sono fatte per imporre il consenso, ma non è una tesi risibile. Tentare di criticarla o di
difenderla è un interessante esercizio filosofico che mette in luce alcune assunzioni profonde sulla
natura del tempo e dell’identità, assunzioni che, per quanto radicate, non sono benedette dalla
necessità logica. Devo anche aggiungere che non tutto nella critica di Mugnai mi sembra
condivisibile. Per esempio, Severino non ha bisogno di assumere “che la copula del giudizio
1
La recensione di Mugnai tocca svariati aspetti; per brevità userò il filo conduttore della discussione
sull’identità.
2
Non intendo sostenere che la distinzione sia accettata universalmente. Tuttavia è opinione generale che negarla
richieda argomenti abbastanza solidi.
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2
equivalga comunque alla relazione d’identità”, come invece vuole Mugnai; gli basta sostenere che
equivalga all’identità nel caso de ‘la legna è cenere’, e Mugnai non fornisce un argomento per
mostrare che in questo caso particolare la copula non esprime la relazione d’identità. Il principio di
carità interpretativa imporrebbe qui di aggiustare l’argomento di Severino e, per esempio, riscrivere
la sua premessa come ‘la legna che ho messo nel camino un’ora fa è (identica al)la cenere che è nel
camino ora’ (in questo caso abbiamo a che fare con due descrizioni definite, come richiede anche
Mugnai; si pensi a un caso che può sembrare meno strano: ‘Il bambino che conobbi trent’anni fa è il
presidente degli Stati Uniti’3). Come abbiamo visto, da qui all’asserzione della nullità del divenire
la strada è ancora tanta, e tutta in salita; ma le asperità del cammino non dipendono direttamente da
un’errata concezione della copula.
Ciò detto, il problema è che Severino sembra comunque ritenere che la copula esprima
l’identità in tutti i casi e contro questo punto la recensione di Mugnai non fa che ricordare alcune
distinzioni che sono ormai parte integrante dell’attrezzatura concettuale di base delle logica e della
filosofia. Mugnai usa le sue obiezioni come punto di appoggio per una polemica più ampia
concernente lo scarso rispetto per le argomentazioni (e in generale per la logica) in filosofia e la
conseguente possibilità di contrabbandare tesi “estreme” (l’inesistenza del divenire) a partire da “un
insieme elementare di pensieri” che si può acquisire “con poca fatica”. Dato questo aspetto
polemico, la recensione richiama sicuramente una reazione robusta che non si fa attendere. Nello
scambio che segue (pubblicato sul numero di luglio della Rivista), Severino ribadisce alcuni dei
suoi punti, alzando un pochino il tono della polemica, e Mugnai riconferma a sua volta la propria
posizione.
Fin qui, se facciamo astrazione da una certa acidità di fondo, siamo nei limiti di una
controversia accademica su un dettaglio che rischia di non suscitare l’entusiasmo dei lettori. Ma al
di là del contenuto della critica l’episodio e le sue strane conseguenze hanno un certo interesse
socioculturale4 perché la polemica si sposta da un mensile come quello che state leggendo—che
tradizionalmente ospita recensioni critiche—alla stampa quotidiana e settimanale e in questo
movimento mette inevitabilmente in moto un meccanismo di analisi e di valutazione un po’
differente. Nell’inserto Domenicale del Sole 24 Ore Armando Massarenti (“Severino, ragioni sul
nulla”) annuncia il 1 giugno la pubblicazione imminente sulla Rivista dei Libri dell’articolo di
Mugnai dandone un resoconto favorevole. L’articolo di Massarenti non è né imparziale né
moderato: “prendersi gioco della filosofia di Severino, unica al mondo per il suo stravagante
‘ritorno a Parmenide’”, sarebbe “sin troppo facile”; è un articolo critico che tuttavia sul piano
fattuale non fa che riproporre le obiezioni di Mugnai.
Un’analisi degli interventi pubblici di Severino e di altri intellettuali nei mesi successivi alla
pubblicazione dell’articolo di Massarenti contiene molti indizi interessanti su come la cultura
accademica italiana concepisce il dibattito. Ricevere critiche non è piacevole come non è facile
farne. Ma questa dialettica fa parte del gioco, se si ritiene che la conoscenza avanzi anche tramite la
discussione; alla peggio si può sempre cogliere l’occasione per meglio chiarire i propri assunti ed
eventualmente per giustificarli. Ora, tanto per cominciare da alcune questioni di fatto, Severino non
fa niente di serio per difendere le sue idee, in quanto:
(1) Si limita a ripeterle5,
Severino mi sembra fare un’osservazione che va in questa direzione nel punto 2 della sua risposta a Mugnai,
“A proposito di ‘Severino, il nulla e l’identità’ di Massimo Mugnai”, La Rivista dei Libri, Luglio 1997.
3
Che è l’unico oggetto del presente testo. Sarebbe pertanto scorretto interpretare le mie osservazioni come una
valutazione complessiva della filosofia di Emanuele Severino.
4
E. Severino, “A Proposito di ‘Severino, il nulla e l’identità’ di Massimo Mugnai”, La rivista dei libri, Luglio
1997; cfr. la risposta di Mugnai, ivi.
5
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3
(2) Si appella a formulazioni superficialmente simili alle sue ma del tutto prive di pertinenza
o fuor di contesto...6: Per esempio, nella ricerca di pezze d’appoggio per la tesi dell’inesistenza del
divenire, sostiene che “...il matematico H. Weil, ancora a proposito della teoria della relatività,
scriveva: ‘L’universo “è”, e non “diviene” ’ ”. Usare questa affermazione di Weil è scorretto, in
primo luogo perché non è affatto certo che “diviene” sia usato da Weil nello stesso senso in cui lo
usa Severino, e soprattutto perché Weil non cerca di dimostrare che il divenire è contraddittorio, ma
cerca di mostrare la plausibilità di una descrizione del mondo in cui non vi sia bisogno di ricorrere
al concetto di divenire. Si noti che l’esistenza di una teoria in cui non sia necessario ricorrere al
concetto di divenire non prova di per sé che il divenire non esiste. Al massimo tutto quello che
prova è che si può tradurre da una teoria che fa esplicito uso del concetto di divenire a una teoria
che ne fa a meno.
(3) ...o addirittura in quanto non corrispondenti a quello che vorrebbe far loro dire7:
“Sfortunatamente per il professore [Mugnai], Russell scrive giustamente che ‘una delle proprietà di
x è quella di essere identica a x’... dove x è appunto il soggetto di cui si predica la proprietà di essere
x, e cioè identico a x”. In pratica, Mugnai non avrebbe capito che anche per Russell (come per
Severino) l’identità potrebbe venir predicata di un soggetto. Perché quest’obiezione non coglie nel
segno? Il punto è che sebbene essere identico a x sia una proprietà, non ne consegue che l’identità
sia una proprietà e non una relazione. Analogamente, essere compagno di Eva è una proprietà—
relazionale—di Adamo; ma essere compagno di è una relazione che vige tra Adamo ed Eva. Non si
predica, di un oggetto, l’identità, ma l’identità a qualcosa8.
Le azioni (1) e (2) sono anche interessanti per l’effetto retorico. Weil e Russell sono chiamati
in causa senza preavviso, in un contesto che non offre al lettore la possiblità di valutare il ruolo di
quest citazioni. Grandi firme che non possono che intimidirlo.
(4) Cita male il suo recensore stravolgendone le critiche9: “Il professor Mugnai vuole
insegnarmi, tra molte altre cose, che già per Aristotele, nelle due proposizioni ‘L’uomo è un
animale ragionevole’ e ‘L’uomo è bianco’, la copula ‘è’ ha un significato diverso. Nel primo caso
indica un’identità tra il soggetto e il predicato, nel secondo caso, invece, indica una “proprietà” di
Socrate. Credo di saperlo anch’io...”. Mugnai, come abbiamo visto, proprio non vorrebbe che nel
primo caso sia un’identità a essere espressa10.
(5) Accampa un interesse specialistico per il soggetto del dibattito (logica) giustificandolo
con un’esperienza di traduzione di un testo che peraltro è solo marginalmente un testo di logica11.
(6) Si paragona a Galileo, senza dirci perché mai dovremmo accettare il paragone12. L’unico
paragone che si evince riguarda il fatto che Galileo, come Severino, avrebbe visto le cose come
stanno, isolato tra i suoi detrattori. Una ricca aneddotica13 ha mostrato come questo tipo di
6
“Il nulla, i bambini e i maestri”, Il Sole, 8 Agosto 1997.
7
“L’ingiuria nobile arte”, Corriere della Sera, 31 agosto 1997.
8
Russell è citato particolarmente a sproposito se si pensa che riteneva la confusione tra predicazione e identità
un esempio di come “per mancanza di cura in partenza, vasti e imponenti sistemi filosofici siano costruiti su confusioni
sciocche e banali che si sarebbe tentati di definire giochi di parole se non fosse per il fatto abbastanza incredibile che
sono involontarie” (Nota 5 al cap. 2 de La conoscenza del mondo esterno).
9
“Il nulla, i bambini e i maestri”, Il Sole, 8 Agosto 1997.
10
M. Mugnai, “Professor Severino, per favore non mi citi a sproposito”, Il Sole, 15 Agosto 1997.
11
“L’ingiuria nobile arte”, Corriere della Sera, 31 agosto 1997; si tratta de La costruzione logica del mondo di
Carnap.
12
“L’ingiuria nobile arte”, Corriere della Sera, 31 agosto 1997.
13
Martin Gardner, Fads and fallacies in the name of science, Dover, 1952.
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4
riferimento a Galileo sia arrischiato in quanto costituisce un luogo retorico comune, quasi un segno
distintivo, dell’insignificanza scientifica.
Fin qui ci troviamo su un piano pur sempre approssimativamente intellettuale. Quando
passiamo dalle questioni di fatto a quelle di diritto, le cose prendono ben altra piega. Infatti
Severino
(7) Lancia oscuri messaggi. “Certo, a volte càpita di dover bocciare qualcuno nei concorsi
universitari” 14. “Una volta invece accadeva che io scrivessi da qualche parte un articolo, e che Il
Sole 24 Ore lo riproducesse per intero... poi sono arrivati i contrordini”15 [corsivo mio].
(8) Attacca obliquamente Massarenti scrivendo al direttore del Sole16. Nella lettera
Massarenti è definito “portaborse” di Mugnai e paragonato a un bambino perpetuamente in gita
scolastica; la lettera è accompagnata da una richiesta di pubblicazione “in base alla vigente
legislazione sulla stampa”, motivazione correttamente respinta da Massarenti (che ha comunque
pubblicato la lettera, facendo osservare che se pure il suo articolo poteva urtare la sensibilità di
Severino, non incorreva in un reato).
(9) Invoca il proprio prestigio e lo fa chiamando in causa persone che non sono
necessariamente competenti a giudicare la sua opera filosofica.
Dobbiamo dire qualcosa di queste persone chiamate in causa, e di quello che loro fanno.
Firmano una petizione raccolta da Umberto Galimberti e I. Valent, in cui esprimono il loro
“sconcerto per il tono palesemente screditante, non giustificato né dal legittimo fine polemico né
dalle comprensibili esigenze della divulgazione” dell’articolo di Massarenti e in cui asseriscono che
“operazioni giornalistiche di tal fatta incoraggi[a]no l’indifferenza-insofferenza per la cultura, intesa
come lavoro critico e come esercizio argomentativo”. Il 15 luglio questa di per sé strana petizione
viene inviata al Sole24 Ore ma non, come ci si potrebbe aspettare, sotto forma di una lettera a
Massarenti (una lettera che poniamo, recitasse “Caro Massarenti, crediamo che ti sbagli nel
comportarti così, ed esprimiamo il nostro sconcerto, ecc.”), ma sotto forma di un testo da
pubblicarsi sul Sole e accompagnata da una seconda lettera al direttore al quale, per l’appunto, viene
richiesta la pubblicazione. Ora uno può certo mandare le lettere e le petizioni a chi gli pare e con le
motivazioni che più gli aggradano, ma è abbastanza significativo che si insinui nella normale
articolazione del dibattito un richiamo all’ordine che non a caso passa per una via gerarchica.
La petizione non viene pubblicata e Massarenti risponde privatamente a Galimberti il 16
luglio 1997. Dal testo della sua lettera stralcio il seguente significativo passaggio: “Scopo dei
dibattiti che io ospito e lancio sulla pagina “Scienza e Filosofia” è proprio quello di mostrare che
una discussione razionale pubblica, basata su argomenti fondati, è possibile e produttiva anche su
un quotidiano. L’intento è quello di fare un servizio alla cultura, non certo di affossarla. Ora, con la
lettera che mi hai spedito, un gruppo di persone molto più importanti di me in pratica mi chiede —
anzi chiede la mio direttore — di smetterla e di tacere. Io dovrei rinunciare — forse per sempre? —
a criticare le idee di qualcuno solo perché questo qualcuno ritiene che le sue idee siano esenti da
ogni possibilità di critica? Ma non lo sapete che la libertà di parola e il diritto di critica [...] sono
sanciti dalla Costituzione? Mi stupisco che un gruppo di intellettuali oggi, in Italia, possa firmare un
appello così incivile, intollerante e liberticida. L’unico modo per continuare decentemente la
discussione è che il diretto interessato provi a mandare un altro intervento, magari fornendo
argomenti più solidi di quelli forniti finora.”
14
“L’ingiuria nobile arte”, Corriere della Sera, 31 agosto 1997.
“Il nulla, i bambini e i maestri”, Il Sole, 8 Agosto 1997. “Ordini” e “contrordini” immediatamente smentiti da
Armando Torno, responsabile delle pagine culturali del Sole.
15
16
“Il nulla, i bambini e i maestri”, Il Sole, 8 Agosto 1997.
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5
(10) Di fronte all’insuccesso della petizione Severino erge un dito accusatore contro Il Sole 24
Ore colpevole di non averla pubblicata17, prendendo lo spunto dall’uscita, sempre sul Sole, di un
articolo di Michele Dummett (docente di filosofia a Oxford) “così diverso dallo stile recentemente
adottato da questo giornale nei miei riguardi”. “In compenso trovo anche comprensibile che Il Sole
24 Ore abbia evitato di pubblicare la protesta che un gruppo di personalità italiane gli ha rivolto
relativamente a questo episodio. In effetti è duro per un giornale render noto che hanno espresso
dissenso per il suo comportamento uomini di cultura come Bo, Tadini, Martinazzoli, De Giovanni,
Sasso, Borgna, Gargani, Vitiello, Masullo, Semerano, Piro, Ceruti; e scienziati come Bertola,
Sindoni, Somalvico—su invito di un comitato promotore rappresentato da Galimberti e Valent
(tutte persone che qui ringrazio, ben sapendo che il loro intervento non riguarda tanto me, quanto
piuttosto il modo di fare cultura)”.
Massarenti il 1 agosto risponde (“Caro professore, le dispute si fanno con le idee non con le
firme”) che la pubblicazione dell’articolo di Dummett “non era intesa riscattare le malefatte” nei
confronti di Severino, e che il Sole sarebbe ovviamente ben disposto a pubblicare un intervento
argomentato di Severino.
Non ho bisogno di dilungarmi su come dovrebbe svolgersi un dibattito, perché la reazione di
Severino mostra praticamente tutti i modi in cui non dovrebbe svolgersi un dibattito. Si noterà oltre
tutto come questo comportamento tradisca una scarsa considerazione per il lettore e la sua
intelligenza. Come se non fossimo in grado, tutti noi che leggiamo Il Corriere o La Stampa o Il
Sole, di farci un’idea di chi scrive e del perché scrive; di capire se scriva per informarci o divertirci
o se invece non lo faccia per certi suoi fini particolari.
L’errore di Vattimo
Lo scambio tra Severino, Mugnai e Massarenti è venuto a saldarsi in modo apparentemente
accidentale a una discussione sulla natura della filosofia e sulla distinzione tra uno stile ‘analitico’ e
uno stile ‘continentale’ in filosofia. La saldatura è esile ma non è accidentale; ha un responsabile
nella persona di Gianni Vattimo, docente di Estetica a Torino. Vattimo (“Filosofia, la verità
pretesa”, La Stampa, 28 Luglio 1997) ha preso anch’egli spunto dalla pubblicazione dell’articolo di
Dummett di cui sopra per segnalare il suo dissenso dalla ‘linea’ del Sole riguardo a Severino.
Vattimo scrive: “Lo scritto di Dummett avrà probabilmente anche l’effetto indiretto, ma non meno
importante, di costituire un passo verso il superamento delle polemiche piuttosto aspre che proprio
sul supplemento domenicale del Quotidiano economico milanese si sono sviluppate nelle settimane
passate e che hanno avuto per obiettivo un grande filosofo italiano e ‘continentale’, Emanuele
Severino, attaccato, o se si preferisce l’eufemismo: discusso, proprio con argomenti che si rifanno
alla tradizione analitica”.
(Ora se apriamo una parentesi e riandiamo indietro di un mese a leggere “Troppo buon senso
anti-Severino”, su La Stampa del 16 giugno 1997) troviamo un’analoga presa di posizione di
Vattimo con una sfumatura un tantino diversa: “Figuriamoci se chi, come il sottoscritto, non
condivide per niente il neoparmenidismo di Emanuele Severino... non si è divertito a leggere la
polemica aperta due settimane fa dal Sole 24 Ore contro di lui, con il seguito di botte e risposte”.
Vattimo aggiunge che “...ciò che più colpisce, e dovrebbe far riflettere anche Massarenti e gli altri
responsabili culturali dell’ottimo supplemento domenicale del giornale milanese” [corsivo mio] “è
la sensazione che, almeno per quanto riguarda l’attualità filosofica, qui si stia esagerando in buon
senso”. Il grido d’allarme è di per sé condivisibile18; l’invito lo è meno.)
La discussione che si è in seguito spostata sulla distinzione tra filosofia analitica e filosofia
continentale è vissuta di vita propria—con varie proposte che vanno dai progetti conciliatori alla
17
“Il tramonto della verità”, La Stampa, 31 Luglio 1997.
18
Anche se Massarenti obietterà che “Il buon senso non è mai troppo” sul Sole del 22 giugno.
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6
riaffermazione delle differenze. Non è questo il luogo darne una valutazione e dirò quindi soltanto
che un filosofo professionale rischierà di far fatica a riconoscersi nell’una o nell’altra delle posizioni
che vanno sotto le etichette di ‘analitico’ e ‘continentale’ per come sono state presentate al
pubblico19.
Vattimo commette un errore di giudizio nel far ricadere le critiche rivolte a Severino sotto una
controversia più generale, e niente affatto ben definita, tra due correnti filosofiche. La controversia
ha tutti i diritti di procedere sulle sue gambe ma se viene associata al caso Severino è soltanto fumo
negli occhi. Non è in quanto filosofo continentale—si ha il diritto di sperare—che Severino rifiuta
di venir criticato.
Libertà di espressione
Giunti a questo punto manca soltanto la morale della favola. La quale è abbastanza semplice:
la cultura italiana20 fatica ad accettare il diritto di critica, dato che la critica è vista come un’azione
che ha come oggetto non le idee ma le persone che esprimono tali idee. In questo senso andrebbero
letti, temo, anche gli inviti soporiferi alla mutua conoscenza e al “dialogo” lanciati nello sviluppo
del dibattito. Come si spiega questa conclamata santità dell’espressione intellettuale? Che il fatto
stesso di avere espresso un’idea possa attribuire un diritto all’inviolabilità è semplicemente l’indice
di una cultura che ancora accetta lo stato di tutela in cui gli individui hanno qualcuno che pensa in
loro vece; oppure di una cultura che da poco si è liberata dalla tutela e fa i primi timidi passi nella
libertà di espressione. Un individuo che riesca ad esprimere una cosa con parole sue, che diamine, è
già quasi un miracolo. Mettere in dubbio la sua eccezionalità è un atto oscurantista. E a questo
punto si è facili vittime di un sofisma: in nome della libertà di espressione si giunge
misteriosamente a negare il diritto di critica. Siamo preda, qui come in altri campi della vita civile,
di un equivoco romantico che mostra quanto poco il senso profondo della rivoluzione illuminista sia
stato compreso e assimilato.
19
La ragione principale è che vengono date due immagini caricaturali della filosofia analitica e della filosofia
continentale. Anche autorità di grosso calibro come Giovanni Reale (“Siamo metafisici inutile negarlo” Il Sole, 12
Ottobre 1997) possono ancora scrivere che “solo a gran fatica si è cominciato da qualche tempo a liberarsi” dalle
“posizioni metafisiche estremistiche... assunte dai Neopositivisti del circolo di Vienna” e che non trovano ancora
adeguate “certe rivalutazioni della metafisica come quella di Ayer”.
20
Anche se non serve considerarsi provinciali. Le reazioni in Francia alla pubblicazione del di Sokal e Bricmont
Impostures intellectuelles (Parigi: Odile Jacob 1997) mostrano sin qui quanto alla cultura francese—in questo non
diversa da quella italiana—sia estranea la nozione di dibattito argomentato.
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