Elisir - Società Filarmonia

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ORCHESTRA DELLA SOCIETÀ FILARMONIA
CORO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA
L’ELISIR
D’AMORE
MELODRAMMA IN DUE ATTI DI F. ROMANI
Musica di
GAETANO DONIZETTI
Circuito 2007
Presenta
Francesca Fransoni
Si ringrazia per la gentile collaborazione
il tenore Beniamino Prior e la M.a Enza Ferrari
D’AMORE
«La Gazzetta giudica de L’elisir d’amore e dice troppo bene, troppo, credete a me...troppo!»: così un raggiante e modesto (o incredulo) Donizetti comunicava a Mayr il clamoroso successo de
L’elisir. Forse si trattava anche di sano stupore, dato che l’accoglienza del pubblico milanese alle sue precedenti opere nella
maggior parte dei casi era stata tiepida.
L’opera ebbe un trionfo talmente vivo da rimanere in cartellone
per ben trentadue sere. Ci piace pensare che alla prima, la sera
del 12 maggio 1832 al Teatro della Canobbiana di Milano, ad
applaudire di più furono le donne, come ringraziamento per la
dedica dell’opera a loro rivolta (in una lettera all’editore Ricordi,
datata 31 luglio 1832, Donizetti esprime i suoi desideri per questa dedica: «Giacché a me per tua gentilezza lasci la scelta della
dedica dell’Elisir d’amore, io te ne sono gratissimo, e questa sia
Al Bel Sesso di Milano... chi più di quello sa distillarlo? Chi meglio
di quello sa dispensarlo?»).
Sino al trionfo dell’Anna Bolena nell’anno precedente, pareva suo
destino l’essere confrontato con Rossini e Bellini che il pubblico
gli preferiva. Dai tempi della sua prima opera, Enrico di Borgogna
L’ E L I S I R
che andò in scena a Venezia nel 1818, (subito oscurata
dall’Italiana in Algeri del Rossini) veniva spesso indicato tra i più
pedissequi imitatori del pesarese. La sua vena melodica facile e
abbondantissima era esposta ad accuse di leggerezza e di genericità espressiva, soprattutto se confrontata col carattere nettamente più innovatore e personale della melodia belliniana.
La produzione donizettiana ebbe alti e bassi e per questo non
possiamo certo guardare ad essa in senso evolutivo: tra la fortuna della Bolena e L’elisir, solo per dare un esempio, nel lasso di
tempo di soli due anni, si contano quattro opere oramai dimenticate. Ma con L’elisir il compositore bergamasco dette prova di
svincolarsi dalle convenzioni a lui contemporanee per attingere
ad una drammaticità più forte, più autentica. Ispirandosi al filone semiserio della «comédie larmoyant» dell’opéra-comique
francese, riuscì a trovare una propria elaborazione personale
dello stile comico tramite l’immissione dell’elemento sentimentale, superando così il modello rossiniano. Il contenuto affettivo
e psicologico della trama dilata il tempo dell’azione; pochi e
D’AMORE
brevi recitativi nulla aggiungono ad una vicenda che si sostanzia
nell’emozione e nell’interiorità. Dagli interni borghesi e dai giochi aristocratici l’azione si sposta all’aria aperta, con una ventata
di freschezza che può sembrare addirittura populista. Anche l’idea della fatalità dell’amore che si eleva sopra la logica e la
legge, ha contribuito a rendere L’elisir un capolavoro di lunga
fortuna.
Nel 1832 Donizetti si trovava a Milano; si preparava a rifare le
valigie e a tornarsene a Napoli, quando bussò alla sua porta il
«Napoleone degli impresari», Alessandro Lanari, che l’anno
prima aveva avuto in appalto la Scala. Al momento aveva ripiegato sul teatro della Canobbiana, una specie di Scala in piccolo,
di cui gestiva la stagione musicale. La Scala era il teatro dei
signori, la Canobbiana quello dei borghesi che imitavano i signori. Alla Canobbiana si rappresentavano opere divertenti e scorrevoli, gli autori erano poco importanti e anche i cast non erano
dei migliori. Mentre i cantanti erano impegnati sul palco in
rocambolesche agilità, il pubblico giocava a carte e addentava
cotolette, qui sicuramente con meno riserbo che alla Scala (per la
L’ E L I S I R
Canobbiana transitò come spettatore pure Hector Berlioz che, si
narra, non riuscì ad ascoltare lo spettacolo a causa del fracasso
continuo di piatti e pentole).
Quando il Lanari chiese a Donizetti un nuovo lavoro, in sostituzione di un’opera di altro compositore non consegnata in tempo,
questi non ci pensò due volte e con «procedura d’urgenza»,
assieme al più desiderato librettista dell’epoca, Felice Romani,
sfornò L’elisir.
La tradizione vuole che questo supremo fiore dell’opera comica
fosse scritto in quattordici giorni (alcuni storici sostengono che
probabilmente si trattò di un paio di mesi; difficile credere all’ipotesi delle due settimane, basti pensare alla raffinata strumentazione). Trovandosi nell’impossibilità di scrivere un libretto ex
novo, il Romani trasse la commedia musicale da Le philtre di
Eugéne Scribe, musicato da Daniel Auber. Il libretto di Romani
ricalca con fedeltà le linee fondamentali di quello di Scribe, al
punto che in vari luoghi se ne può considerare una traduzione.
La differenza però sta nel fatto che Romani monda Le philtre dai
D’AMORE
suoi tratti posticci e smaccatamente teatrali per creare un testo
dal realismo fine e squisitamente umano; il risultato finale è
decisamente superiore all’originale anche perché i personaggi
perdono qualsiasi meccanicità e sono inquadrati nell’equilibrio
di un ritmo scenico avvincente. Donizetti, dal canto suo, trasforma le già consumate e sfruttate macchiette dell’opera buffa in
creature vere, donando loro la schiettezza delle persone colte dal
vivo in tutta la gamma dei loro sentimenti. I toni dell’idillio villereccio e fittizio lasciano il posto ad un clima in cui si riverbera,
come ha sostenuto più di qualche critico, «quel dolce e nostalgico paesaggio lombardo così familiare al compositore»; nella
musica, ecco dunque palesarsi la corrispondenza di atmosfere
già sedimentate nella sua memoria. La felice ispirazione gli detta
una serie di pagine bellissime che culminano nella celebre e
malinconica romanza del tenore Una furtiva lagrima. Nonostante
il Romani, secondo la testimonianza della moglie, considerasse il
brano una «piagnucolata patetica», il pezzo (rimasto nel cassetto
a Donizetti, e preteso dal musicista contro il parere del poeta), ha
fortemente contribuito ad esaltare la figura chiave di Nemorino
L’ E L I S I R
e il suo canto «spianato», emblema di una nuova tipologia di
tenore per l’opera comica, il cosiddetto «tenore lirico-leggero» o
«tenorino di grazia». L’aspetto propriamente buffo è ampiamente rappresentato nelle parti di Dulcamara e di Belcore, anch’essi
figure tradizionali del teatro comico. Dulcamara, emblema del
più classico dei ciarlatani, spaccia miracoli con lo specifico che
distrugge topi e cimici, fa bene al mal di denti come al mal di
fegato, restaura l’avvenenza femminile, ringalluzzisce i settuagenari; figura quanto mai attuale di mascalzone e verboso imbonitore che, se ci pensiamo, vanta numerosi colleghi anche nella
società odierna, ha sulla scena qualità istrioniche, da cantanteattore dalla voce stentorea. Belcore, dal canto suo, è vanaglorioso e convinto di essere irresistibile, ma ci risulta irrimediabilmente goffo nel suo linguaggio esagerato.
Adina passa il tempo a studiare e leggere romanzi, è colta e
capricciosa, conferma che la donna è mobile ed infedele. Si ritrova poi a sospirare come tante ragazze della sua età che sognano
il grande amore. La sua melodia è ora ricca di fioriture, ora can-
D’AMORE
tabile e malinconica.
Il coro riveste un ruolo protagonistico nel dialogo con Giannetta
e nell’intera opera risente in generale del peso del teatro romantico e dell’influsso francese sia tragico che comico.
Leggendo la testimonianza della moglie di Romani, sembra che
Donizetti in occasione della rappresentazione avesse commentato perplesso al librettista: «Abbiamo una primadonna tedesca,
un tenore che balbetta, un buffo che ha la voce da capretto e un
basso francese che vale poco. Eppure dobbiamo farci
onore…Caro Romani, coraggio e avanti». Sul palco, la sera del 12
maggio 1832, cantarono Sabina Heinefetter (nel ruolo di Adina),
Giuseppe Frezzolini (Dulcamara), Henry Bernard Dabadie
(Belcore), Giovan Battista Genero (Nemorino). Di quest’ultimo
in realtà, la Gazzetta Privilegiata di Milano del 14 maggio 1832
diede un commento positivo: «la tessitura della sua parte è adattissima ai suoi mezzi ed ogni pezzo sostenuto da quel giovine
cantante venne applaudito unanimemente». E il Donizetti di
venti giorni prima dell’Elisir, in una lettera al padre confessava
che «il solo tenore è discreto, la donna ha bella voce ma ciò che
L’ E L I S I R
dice lo sa lei. Il buffo è canino». Nonostante i dubbi sul cast, l’esito dell’opera fu davvero felicissimo. L’esecuzione aveva poi
quale maestro al cembalo quel Vincenzo Lavigna che diventerà
maestro di Giuseppe Verdi, e come primo violino Alessandro
Rolla.
Con il suo Elisir Donizetti non solo riuscì ad appagare il gusto
milanese, ma in brevissimo tempo riuscì anche a conquistare il
pubblico di numerosi teatri sia in Italia che all’estero. Nella primavera del 1834 L’Elisir d’amore venne rappresentato al Teatro
del Fondo di Napoli e il 27 settembre 1835 al Teatro alla Scala con
il concorso di Maria Malibran: così come viene riportato nella
stampa musicale del periodo, l’opera entrò in voga molto rapidamente, fino ad essere la più rappresentata nella penisola tra il
1838 e il 1848. Nel 1834 l’opera venne messa in scena anche a
Berlino con il titolo Der Liebestrank, successivamente a Vienna,
nel 1836 al Lyceum Theatre di Londra, nel 1838 a New York e nel
1839 a Parigi con due straordinari interpreti come Fanny
Tacchinardi Persiani e Antonio Tamburini.
D’AMORE
Vent’anni dopo la prima milanese fu messa in scena anche una
versione in lingua piemontese, precisamente una riduzione tradot e ridott an dialet piemonteis da Anaclet como d’Alba, allestita nell’autunno del 1852 al Teatro Rossini di Torino.
Tutta Milano vide L’Elisir, ma Donizetti aveva fretta di ripartire
per il sud. A Firenze firmò un nuovo contratto con il Lanari, per
due nuove opere. A Roma firmò un altro contratto, poi corse a
Napoli, scrisse Sancia di Castiglia, la fece rappresentare. Gli
bastò il successo della prima e ripartì di nuovo per Roma a onorare i suoi impegni, portando con sé la moglie (la mite Virginia
Vasselli) certo disorientata per questo marito che sembrava incapace di tirar fiato tra un lavoro e l’altro.
Tante opere si succedevano con rapidità straordinaria; più che
quelli artistici, forse prevalevano i motivi professionali (i maligni
lo chiamavano «Dozzinetti», storpiando il cognome, per sottolineare che asservendosi a ritmi di produzione spossanti e disumani la sua musica era spesso dozzinale). C’è chi ha parlato
della venalità del compositore, chi ha tirato in ballo l’ansia di
produrre e la rapidità d’esecuzione come condizioni necessarie
L’ E L I S I R
per lo sbocciare del talento, chi addirittura ha visto in Donizetti
semplicemente uno schiavo di una macchina teatrale bulimica,
intollerante verso qualsiasi ripensamento. O forse l’attività lavorativa «matta e disperata» era anche un tentativo di reazione al
dolore smisurato per la morte dei figli e, dal 1837 in poi, per la
morte dell’adorata moglie.
Purtroppo l’unico elisir bevuto da Donizetti fu «lo sciroppo di
digitale a quattro cucchiai al giorno» al quale fu messo a regime
nell’ultima parte della sua vita. L’umiliazione a cui lo portò la
follia dovuta alla sifilide e la vergognosa speculazione di parenti e amici sul suo patrimonio lo portarono ad una fine estremamente ingrata. Davvero un affronto per chi tutto sommato,
anche se in forma non continuativa, aveva tentato di porgere un
«toccasana» all’opera italiana dell’epoca.
CRISTINA SCUDERI
D’AMORE
L’ E L I S I R
LA TRAMA
Atto primo
L’ingresso di una fattoria. Il coltivatore Nemorino, giovanotto semplice, timido
e innamorato, è in contemplazione di Adina, una ricca e capricciosa fittaiola, che
si burla volentieri di lui. Insistentemente pregata dai mietitori e dalle villanelle
che fanno la siesta, Adina legge loro un brano del libro che l’appassiona. E’ la
storia di Isotta che si arrende innamorata a Tristano, in virtù di un magico filtro.
Intanto il bel sergente Belcore giunge alla fattoria coi suoi soldati e, come al solito, corteggia Adina. Nemorino, che mal sopporta la palese fortuna dell’odiato
rivale, rinnova le sue proposte d’amore alla bella creatura, dalla quale, non
senza qualche rudezza, si vede respinto.
La piazza del villaggio. Tutti parlano dell’imminente arrivo del dottor
Dulcamara. L’illustre personaggio che si spaccia per miracoloso oracolo della
scienza, fa nascere nel cuore di Nemorino una luminosa speranza. Possiede
forse il gran dottore quel famoso filtro magico, di cui Adina leggeva nel libro gli
effetti miracolosi? Nemorino non s’è ingannato. Avendo subito capito con quale
ingegno credulone ha da fare, l’astuto ciarlatano vende all’innamorato
Nemorino un’ampolla dell’ ”Elisir magico”, che altro non è se non dell’ottimo
ed innocuo vino di Bordeaux. Il dottore prescrive ventiquattr’ore per constatare gli effetti: cioè il tempo che egli impiegherà per allontanarsi dal paese.
Nemorino, che frattanto ha speso ogni suo avere per compensare il dottore
attende felice il radioso domani, in cui spera avere tra le braccia, perdutamente
innamorata, la graziosa fittaiola. Ormai non teme più il sergente, anzi si rallegra
pensando alla ì beffa che costui riceverà fra poche ore. Tuttavia, a turbare la sua
rosea e fiduciosa felicità, ecco che Adina, indispettita dall’allegria dello spasimante sempliciotto, decide di affrettare, in quello stesso giorno, il contratto
nuziale col sergente.
Atto secondo
Interno della fattoria di Adina.
Tutti inneggiano lietamente al fausto avvenimento delle nozze fra Belcore e la
Villanella. Alla festa partecipa anche il dottor Dulcamara, che con Adina canta
il duetto della “Nina gondoliera”. Giunge intanto il notaro per redigere il contratto di nozze, e Nemorino, in un canto, profondamente avvilito, chiede al dottore un’altra dose di filtro, perché l’effetto abbia immediatamente esito. Ma il
dottore vuole altro denaro: Nemorino non ne ha più. Disperato, si arruola
immediatamente fra i soldati di Belcore, e con l’anticipo del suo soldo, soddisfa
la richiesta di Dulcamara.
Alcune ragazze commentano l’improvvisa fortuna capitata a Nemorino che ha
ricevuto in eredità da uno zio una cospicua sostanza. Con tale aureola d’oro,
Nemorino diventa così il più seducente partito della contrada, e già le donne se
lo contendono acccanitamente. Nemorino, che ignora il tutto, ma che ha bevuto
molto elisir, comincia a credere che tale concorde ammirazione muliebre provenga dalla meravigliosa bevanda. Egli gioisce godendo già della vittoria, che
non tarderà a venire, sulla bella Adina. Infatti questa non già per virtù del ciarlatano Dulcamara, ma per la sua volubilità, cerca il modo di riprendere
Nemorino. Il dottore offre anche a lei il suo farmaco portentoso, ma Adina è
troppo furba per lasciarsi abbindolare: ella ha, nei suoi occhi e nel suo viso la
ricetta migliore. Inoltre è lusingata e felice di sapere, per mezzo di Dulcamara,
che Nemorino l’ama ardentemente e che ha venduto la propria libertà per possedere il denaro bastante per comprare l’elisir meraviglioso. Allora, senza più
esitare, va verso Nemorino che, però, seguita a far l’indifferente. Ella gli porge
il contratto di arruolamento, comprato da Belcore, e gli offre contemporaneamente la propria mano, rendendo il giovane felice.
D’AMORE
L’ E L I S I R
THE PLOT
Act one
Scene one. The entrance to a farm-yard. Nemorino, a young, simple peasant lad,
shy and lovesick, is gazing in admiration at Adina, a rich and coquettish landowner, who evidently takes pleasure in making fun of him. A group of country boys and girls who are resting from their work in the fields beg Adina to
read them a passage from the book which seems to interest her so greatlu: it is
the tale of Iseult who falls in love with Tristan as a result of drinking a love-philtre. Meanwhile the handsome Sergeant Belcore arrives at the farm with his
troop and, as is his wont, pays court to Adina. Nemorino, distressed at the evident success of his hated rival, renews his declarations of love to the daly in
question, who sends him about his business, not without some asperity.
Scene two. The village square. The villagers are eagerly awaiting the arrival of
Dr. Dulcamara. This remarkable character, who gives himself out to be the miracolous fount of all knowledge. . Kindles a ray of hope in Nemorino breast does
he, perhaps deal in the famous love-philtre xhose astonishing results are described in Adina’s book? Well yes, he does. Seeing at once with what a credulous
simpleton he has to do, the cunning chartatan loses no time in selling Nemorino
a phial of “magic elixir” which in reality is nothing more nor less than the excellent and harmless product of the vineyards of Bordeaux. The doctorcautions
him that twenty-four hour elapse before the effects begin to be noticed: just
enough, that is, to allow him to get away from the village. Nemorino, who has
given his all to pay the doctor, cheerfully awaits the happy morrow on which
Adina, crazed with passion, must inevitably fall into his arms. No longer concerned about the sergeant, he gleefully anticipates the shock which he knows is
in store for the man. His happy confidence in this rosy future is somewhat
dashed, however, by Adina who, annoyed by the high spirits or her simpleminded swain, decides to bring forward to that very day her engagement to
Belcore.
Act two
Inside Adina’s farm. Everyone is celebrating the happy event of Belcore’s
betrothal to the young proprietress. Dr. Dulcamara is amongst the guests and
with Adina sings a duet, “Nina the Gondoliera”. The notary arrives to draw up
the contract, and Nemorino, in ha heartbroken air, begs the doctor for another
dose of the philtre so that its effect may be hastened on. The doctor must be
paid, but Nemorino has no more money. In despair, he enlists in belcore’s troop,
and with his “shilling” satisfies Dulcamara’s demands.
A group of girls are commenting on the unexpected turn taken by the fortunes of
Nemorino, whose uncle has just died, leaving him a considerable fortune. With his
new aureola of wealth, Nemorino at once becomes the best match in the district,
and the girls are already quarrelling over him. Nemorino, unaware of what has
happened but with plenty of elixir inside him, puts all this feminine attention
down to the effects of the magic drink. He is delighted to think that the moment
of his triumph over Adina is not far off. The latter indeed - not thanks to
Dulcamara’s quackery but because of her own changeable nature - has decided to
recapture Nemorino. The doctor offers her some of his potent medicine, but she is
too clever to be taken in: she has a more effective prescription in her own glances
and good looks. She is however gratified to learn from the doctor that Nemorino
is deeply in love with her and that he has even sacrificed his liberty in order to be
able to buy the wonderful elixir. At this point, without more ado, she approaches
Nemorino, who nevertheless feigns indifference. She offers him back his military
papers which she has bought from Belcore, and together with his freedom, she
bestows her hand upon the young man, whose happiness is now complete.
ATTO PRIMO
ne sapessi la ricetta,
conoscessi chi ti fa!
SCENA PRIMA
ADINA
«Appena ei bebbe un sorso
del magico vasello
che tosto il cor rubello
d’Isotta intenerì.
Cambiata in un istante,
quella beltà crudele
fu di Tristano amante,
visse a Tristan fedele;
e quel primiero sorso
per sempre ei benedì.»
Il teatro rappresenta l’ingresso d’una fattoria. Campagna
in fondo ove scorre un ruscello, sulla cui riva alcune
lavandaie preparano il bucato. In mezzo un grande albero, sotto il quale riposano Giannetta, i mietitori e le mietitrici. Adina siede in disparte leggendo. Nemorino l’osserva da lontano.
GIANNETTA E CORO
Bel conforto al mietitore,
quando il sol più ferve e bolle,
sotto un faggio, appiè di un colle
riposarsi e respirar!
Del meriggio il vivo ardore
Tempran l’ombre e il rio corrente;
ma d’amor la vampa ardente
ombra o rio non può temprar.
Fortunato il mietitore
che da lui si può guardar!
NEMORINO
Quanto è bella, quanto è cara!
(osservando Adina, che legge)
Più la vedo, e più mi piace...
ma in quel cor non son capace
lieve affetto ad inspirar.
Essa legge, studia, impara...
non vi ha cosa ad essa ignota...
Io son sempre un idiota,
io non so che sospirar.
Chi la mente mi rischiara?
Chi m’insegna a farmi amar?
ADINA
(ridendo)
Benedette queste carte!
È bizzarra l’avventura.
GIANNETTA
Di che ridi? Fanne a parte
di tua lepida lettura.
ADINA
È la storia di Tristano,
è una cronaca d’amor.
CORO
Leggi, leggi.
NEMORINO
(A lei pian piano
vo’ accostarmi, entrar fra lor.)
ADINA
(legge)
«Della crudele Isotta
il bel Tristano ardea,
né fil di speme avea
di possederla un dì.
Quando si trasse al piede
di saggio incantatore,
che in un vasel gli diede
certo elisir d’amore,
per cui la bella Isotta
da lui più non fuggì.»
TUTTI
Elisir di sì perfetta,
di sì rara qualità,
TUTTI
Elisir di sì perfetta,
di sì rara qualità,
ne sapessi la ricetta,
conoscessi chi ti fa!
SCENA SECONDA
Suono di tamburo: tutti si alzano. Giunge Belcore guidando un drappello di soldati, che rimangono schierati nel
fondo. Si appressa ad Adina, la saluta e le presenta un
mazzetto.
BELCORE
Come Paride vezzoso
porse il pomo alla più bella,
mia diletta villanella,
io ti porgo questi fior.
Ma di lui più glorioso,
più di lui felice io sono,
poiché in premio del mio dono
ne riporto il tuo bel cor.
ADINA
(alle donne)
(È modesto il signorino!)
GIANNETTA E CORO
(Sì davvero.)
NEMORINO
(Oh! mio dispetto!)
BELCORE
Veggo chiaro in quel visino
ch’io fo breccia nel tuo petto.
Non è cosa sorprendente;
son galante, son sergente;
non v’ha bella che resista
alla vista d’un cimiero;
cede a Marte iddio guerriero,
fin la madre dell’amor.
ADINA
(È modesto!)
GIANNETTA E CORO
(Sì, davvero!)
NEMORINO
(Essa ride... Oh, mio dolor!)
BELCORE
Or se m’ami, com’io t’amo,
che più tardi a render l’armi?
Idol mio, capitoliamo:
in qual dì vuoi tu sposarmi?
ADINA
Signorino, io non ho fretta:
un tantin pensar ci vo’.
NEMORINO
(Me infelice, s’ella accetta!
Disperato io morirò.)
BELCORE
Più tempo invan non perdere:
volano i giorni e l’ore:
in guerra ed in amore
è fallo l’indugiar.
Al vincitore arrenditi;
da me non puoi scappar.
ADINA
Vedete di quest’uomini,
vedete un po’ la boria!
Già cantano vittoria
innanzi di pugnar.
Non è, non è sì facile
Adina a conquistar.
NEMORINO
(Un po’ del suo coraggio
amor mi desse almeno!
Direi siccome io peno,
pietà potrei trovar.
Ma sono troppo timido,
ma non poss’io parlar.)
GIANNETTA E CORO
(Davver saria da ridere
se Adina ci cascasse,
se tutti vendicasse
codesto militar!
Sì sì; ma è volpe vecchia,
e a lei non si può far.)
BELCORE
Intanto, o mia ragazza,
occuperò la piazza. Alcuni istanti
concedi a’ miei guerrieri
al coperto posar.
ADINA
Ben volentieri.
Mi chiamo fortunata
di potervi offerir una bottiglia.
BELCORE
Obbligato. (Io son già della famiglia.)
ADINA
Voi ripigliar potete
gl’interrotti lavori. Il sol declina.
TUTTI
Andiam, andiamo.
Partono Belcore, Giannetta e il coro.
SCENA TERZA
Nemorino e Adina.
NEMORINO
Una parola, o Adina.
ADINA
L’usata seccatura!
I soliti sospir! Faresti meglio
a recarti in città presso tuo zio,
che si dice malato e gravemente.
NEMORINO
Il suo mal non è niente appresso al mio.
Partirmi non poss’io...
Mille volte il tentai...
ADINA
Ma s’egli more,
e lascia erede un altro?...
NEMORINO
E che m’importa?...
ADINA
Morrai di fame, e senza appoggio alcuno.
NEMORINO
O di fame o d’amor... per me è tutt’uno.
ADINA
Odimi. Tu sei buono,
modesto sei, né al par di quel sergente
ti credi certo d’ispirarmi affetto;
così ti parlo schietto,
e ti dico che invano amor tu speri:
che capricciosa io sono, e non v’ha brama
che in me tosto non muoia appena è desta.
NEMORINO
Oh, Adina!... e perché mai?...
ADINA
Bella richiesta!
Chiedi all’aura lusinghiera
perché vola senza posa
or sul giglio, or sulla rosa,
or sul prato, or sul ruscel:
ti dirà che è in lei natura
l’esser mobile e infedel.
NEMORINO
Dunque io deggio?...
ADINA
All’amor mio
rinunziar, fuggir da me.
NEMORINO
Cara Adina!... Non poss’io.
ADINA
Tu nol puoi? Perché?
NEMORINO
Perché!
Chiedi al rio perché gemente
dalla balza ov’ebbe vita
corre al mar, che a sé l’invita,
e nel mar sen va a morir:
ti dirà che lo strascina
un poter che non sa dir.
ADINA
Dunque vuoi?...
NEMORINO
Morir com’esso,
ma morir seguendo te.
ADINA
Ama altrove: è a te concesso.
NEMORINO
Ah! possibile non è.
ADINA
Per guarir da tal pazzia,
ché è pazzia l’amor costante,
dèi seguir l’usanza mia,
ogni dì cambiar d’amante.
Come chiodo scaccia chiodo,
così amor discaccia amor.
In tal guisa io rido e godo,
(anche: io me la godo)
in tal guisa ho sciolto il cor.
NEMORINO
Ah! te sola io vedo, io sento
giorno e notte e in ogni oggetto:
d’obbliarti in vano io tento,
il tuo viso ho sculto in petto...
col cambiarsi qual tu fai,
può cambiarsi ogn’altro amor.
Ma non può, non può giammai
il primero uscir dal cor.
(partono)
Piazza nel villaggio. Osteria della Pernice da un lato.
SCENA QUARTA
Paesani, che vanno e vengono occupati in vane faccende.
Odesi un suono di tromba: escono dalle case le donne con
curiosità: vengono quindi gli uomini, ecc. ecc.
DONNE
Che vuol dire codesta sonata?
UOMINI
La gran nuova venite a vedere.
DONNE
Che è stato?
UOMINI
In carrozza dorata
è arrivato un signor forestiere.
Se vedeste che nobil sembiante!
Che vestito! Che treno brillante!
TUTTI
Certo, certo egli è un gran personaggio...
Un barone, un marchese in viaggio...
Qualche grande che corre la posta...
Forse un prence... fors’anche di più.
Osservate... si avvanza... si accosta:
giù i berretti, i cappelli giù giù.
la cui virtù preclara
e i portenti infiniti
son noti in tutto il mondo... e in altri siti.
Benefattor degli uomini,
riparator dei mali,
in pochi giorni io sgombero
io spazzo gli spedali,
e la salute a vendere
per tutto il mondo io vo.
Compratela, compratela,
per poco io ve la do.
È questo l’odontalgico
mirabile liquore,
dei topi e delle cimici
possente distruttore,
i cui certificati
autentici, bollati
toccar vedere e leggere
a ciaschedun farò.
Per questo mio specifico,
simpatico mirifico,
un uom, settuagenario
e valetudinario,
nonno di dieci bamboli
ancora diventò.
Per questo Tocca e sana
in breve settimana
più d’un afflitto giovine
di piangere cessò.
O voi, matrone rigide,
ringiovanir bramate?
Le vostre rughe incomode
con esso cancellate.
Volete voi, donzelle,
ben liscia aver la pelle?
Voi, giovani galanti,
per sempre avere amanti?
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Ei move i paralitici,
spedisce gli apopletici,
gli asmatici, gli asfitici,
gl’isterici, i diabetici,
guarisce timpanitidi,
e scrofole e rachitidi,
e fino il mal di fegato,
che in moda diventò.
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
L’ho portato per la posta
da lontano mille miglia
mi direte: quanto costa?
quanto vale la bottiglia?
Cento scudi?... Trenta?... Venti?
No... nessuno si sgomenti.
Per provarvi il mio contento
di sì amico accoglimento,
io vi voglio, o buona gente,
uno scudo regalar.
SCENA QUINTA
Il dottore Dulcamara in piedi sopra un carro dorato, avendo in mano carte e bottiglie. Dietro ad esso un servitore,
che suona la tromba. Tutti i paesani lo circondano.
DULCAMARA
Udite, udite, o rustici
attenti non fiatate.
Io già suppongo e immagino
che al par di me sappiate
ch’io sono quel gran medico,
dottore enciclopedico
chiamato Dulcamara,
CORO
Uno scudo! Veramente?
Più brav’uom non si può dar.
DULCAMARA
Ecco qua: così stupendo,
sì balsamico elisire
tutta Europa sa ch’io vendo
niente men di dieci lire:
ma siccome è pur palese
ch’io son nato nel paese,
per tre lire a voi lo cedo,
sol tre lire a voi richiedo:
così chiaro è come il sole,
che a ciascuno, che lo vuole,
uno scudo bello e netto
in saccoccia io faccio entrar.
Ah! di patria il dolce affetto
gran miracoli può far.
CORO
È verissimo: porgete.
Oh! il brav’uom, dottor, che siete!
Noi ci abbiam del vostro arrivo
lungamente a ricordar.
SCENA SESTA
Nemorino e detti.
NEMORINO
(Ardir. Ha forse il cielo
mandato espressamente per mio bene
quest’uom miracoloso nel villaggio.
Della scienza sua voglio far saggio.)
Dottore... perdonate...
È ver che possediate
segreti portentosi?...
DULCAMARA
Sorprendenti.
La mia saccoccia è di Pandora il vaso.
NEMORINO
Avreste voi... per caso...
la bevanda amorosa
della regina Isotta?
DULCAMARA
Ah!... Che?... Che cosa?
NEMORINO
Voglio dire... lo stupendo
elisir che desta amore...
DULCAMARA
Ah! sì sì, capisco, intendo.
Io ne son distillatore.
NEMORINO
E fia vero.
DULCAMARA
Se ne fa
gran consumo in questa età.
NEMORINO
Oh, fortuna!... e ne vendete?
DULCAMARA
Ogni giorno a tutto il mondo.
NEMORINO
E qual prezzo ne volete?
DULCAMARA
Poco... assai... cioè... secondo..
NEMORINO
Un zecchin... null’altro ho qua...
DULCAMARA
È la somma che ci va.
NEMORINO
Ah! prendetelo, dottore.
DULCAMARA
Ecco il magico liquore.
NEMORINO
Obbligato, ah sì, obbligato!
Son felice, son rinato.
Elisir di tal bontà!
Benedetto chi ti fa!
DULCAMARA
(Nel paese che ho girato
più d’un gonzo ho ritrovato,
ma un eguale in verità
non ve n’è, non se ne dà.)
NEMORINO
Ehi!... dottore... un momentino...
In qual modo usar si puote?
DULCAMARA
Con riguardo, pian, pianino
la bottiglia un po’ si scote...
Poi si stura... ma, si bada
che il vapor non se ne vada.
Quindi al labbro lo avvicini,
e lo bevi a centellini,
e l’effetto sorprendente
non ne tardi a conseguir.
NEMORINO
Sul momento?
DULCAMARA
A dire il vero,
necessario è un giorno intero.
(Tanto tempo è sufficiente
per cavarmela e fuggir.)
NEMORINO
E il sapore?...
DULCAMARA
Egli è eccellente...
(È bordò, non elisir.)
NEMORINO
Obbligato, ah sì, obbligato!
Son felice, son rinato.
Elisir di tal bontà!
Benedetto chi ti fa!
DULCAMARA
(Nel paese che ho girato
più d’un gonzo ho ritrovato,
ma un eguale in verità
non ve n’è, non se ne dà.)
Giovinotto! Ehi, ehi!
NEMORINO
Signore?
Dulcamara
Sovra ciò... silenzio... sai?
Oggidì spacciar l’amore
è un affar geloso assai:
impacciar se ne potria
un tantin l’autorità.
NEMORINO
Ve ne do la fede mia:
nanche un’anima il saprà.
DULCAMARA
Va, mortale avventurato;
un tesoro io t’ho donato:
tutto il sesso femminino
te doman sospirerà.
(Ma doman di buon mattino
ben lontan sarò di qua.)
NEMORINO
Ah! dottor, vi do parola
ch’io berrò per una sola:
né per altra, e sia pur bella,
né una stilla avanzerà.
(Veramente amica stella
ha costui condotto qua.)
Dulcamara entra nell’osteria.
SCENA SETTIMA
Nemorino.
NEMORINO
Caro elisir! Sei mio!
Sì tutto mio... Com’esser dêe possente
la tua virtù se, non bevuto ancora,
di tanta gioia già mi colmi il petto!
Ma perché mai l’effetto
non ne poss’io vedere
prima che un giorno intier non sia trascorso?
Bevasi. Oh, buono! Oh, caro! Un altro sorso.
Oh, qual di vena in vena
dolce calor mi scorre!... Ah! forse anch’essa...
Forse la fiamma stessa
incomincia a sentir... Certo la sente...
Me l’annunzia la gioia e l’appetito
Che in me si risvegliò tutto in un tratto.
(siede sulla panca dell’osteria: si cava di saccoccia
pane e frutta: mangia cantando a gola piena)
La ra, la ra, la ra.
SCENA OTTAVA
ADINA
(Vuol far l’indifferente.)
NEMORINO
(Esulti pur la barbara
per poco alle mie pene:
domani avranno termine,
domani mi amerà.)
ADINA
(Spezzar vorria lo stolido,
gettar le sue catene,
ma gravi più del solito
pesar le sentirà.)
NEMORINO
La ra, la ra...
ADINA
(avvicinandosi a lui)
Bravissimo!
La lezion ti giova.
NEMORINO
È ver: la metto in opera
così per una prova.
ADINA
Dunque, il soffrir primiero?
NEMORINO
Dimenticarlo io spero.
ADINA
Dunque, l’antico foco?...
NEMORINO
Si estinguerà fra poco.
Ancora un giorno solo,
e il core guarirà.
ADINA
Davver? Me ne consolo...
Ma pure... si vedrà.
Adina e detto.
ADINA
(Chi è quel matto?
Traveggo, o è Nemorino?
Così allegro! E perché?)
NEMORINO
(Esulti pur la barbara
per poco alle mie pene:
domani avranno termine
domani mi amerà.)
Nemorino
Diamine! È dessa...
(si alza per correre a lei, ma si arresta e siede di
nuovo)
(Ma no... non ci appressiam. De’ miei sospiri
non si stanchi per or. Tant’è... domani
adorar mi dovrà quel cor spietato.)
ADINA
(Spezzar vorria lo stolido
gettar le sue catene,
ma gravi più del solito
pesar le sentirà.)
ADINA
(Non mi guarda neppur! Com’è cambiato!)
Belcore di dentro, indi in iscena e detti.
NEMORINO
La ra, la ra, la lera!
La ra, la ra, la ra.
ADINA
(Non so se è finta o vera
la sua giocondità.)
NEMORINO
(Finora amor non sente.)
SCENA NONA
BELCORE
(cantando)
Tran tran, tran tran, tran tran.
In guerra ed in amore
l’assedio annoia e stanca.
ADINA
(A tempo vien Belcore.)
NEMORINO
(È qua quel seccator.)
BELCORE
(uscendo)
Coraggio non mi manca
in guerra ed in amor.
SCENA DECIMA
ADINA
Ebben, gentil sergente
la piazza vi è piaciuta?
GIANNETTA
Signor sergente, signor sergente,
di voi richiede la vostra gente.
BELCORE
Difesa è bravamente
e invano ell’è battuta.
BELCORE
Son qua! Che è stato? Perché tal fretta?
ADINA
E non vi dice il core
che presto cederà?
BELCORE
Ah! lo volesse amore!
ADINA
Vedrete che vorrà.
BELCORE
Quando? Sarìa possibile!
NEMORINO
(A mio dispetto io tremo.)
Suono di tamburo: esce Giannetta colle contadine, indi
accorrono i soldati di Belcore.
SOLDATO
Son due minuti che una staffetta
non so qual ordine per voi recò.
BELCORE
(leggendo)
Il capitano... Ah! Ah! va bene.
Su, camerati: partir conviene.
CORI
Partire!.. E quando?
BELCORE
Doman mattina.
CORI
O ciel, sì presto!
BELCORE
Favella, o mio bell’angelo;
quando ci sposeremo?
NEMORINO
(Afflitta è Adina.)
ADINA
Prestissimo.
BELCORE
Espresso è l’ordine, che dir non so.
NEMORINO
(Che sento!)
CORI
Maledettissima combinazione!
Cambiar sì spesso di guarnigione!
Dover le/gli amanti abbandonar!
BELCORE
Ma quando?
Adina
(guardando Nemorino)
Fra sei dì.
BELCORE
Oh, gioia! Son contento.
NEMORINO
(ridendo)
Ah ah! va ben cosi.
BELCORE
(Che cosa trova a ridere
cotesto scimunito?
Or or lo piglio a scopole
se non va via di qua.)
ADINA
(E può si lieto ed ilare
sentir che mi marito!
Non posso più nascondere
la rabbia che mi fa.)
NEMORINO
(Gradasso! Ei già s’imagina
toccar il ciel col dito:
ma tesa è già la trappola,
doman se ne avvedrà.)
BELCORE
Espresso è l’ordine, non so che far.
(ad Adina)
Carina, udisti? Domani addio!
Almen ricordati dell’amor mio.
NEMORINO
(Si sì, domani ne udrai la nova.)
ADINA
Di mia costanza ti darò prova:
la mia promessa rammenterò.
NEMORINO
(Si sì, domani te lo dirò.)
BELCORE
Se a mantenerla tu sei disposta,
ché non anticipi? Che mai ti costa?
Fin da quest’oggi non puoi sposarmi?
NEMORINO
(Fin da quest’oggi!)
ADINA
(osservando Nemorino)
(Si turba, parmi.)
Ebben; quest’oggi...
NEMORINO
Quest’oggi! di’, Adina!
Quest’oggi, dici?...
ADINA
E perché no?...
NEMORINO
Aspetta almeno fin domattina.
BELCORE
E tu che c’entri? Vediamo un po’.
NEMORINO
Adina, credimi, te ne scongiuro...
Non puoi sposarlo... te ne assicuro...
Aspetta ancora... un giorno appena...
un breve giorno... io so perché.
Domani, o cara, ne avresti pena;
te ne dorresti al par di me.
BELCORE
Il ciel ringrazia, o babbuino,
ché matto, o preso tu sei dal vino.
Ti avrei strozzato, ridotto in brani
se in questo istante tu fossi in te.
In fin ch’io tengo a fren le mani,
va via, buffone, ti ascondi a me.
ADINA
Lo compatite, egli è un ragazzo:
un malaccorto, un mezzo pazzo:
si è fitto in capo ch’io debba amarlo,
perch’ei delira d’amor per me.
(Vo’ vendicarmi, vo’ tormentarlo,
vo’ che pentito mi cada al piè.)
GIANNETTA
Vedete un poco quel semplicione!
CORI
Ha pur la strana presunzione:
ei pensa farla ad un sergente,
a un uom di mondo, cui par non è.
Oh! sì, per Bacco, è veramente
la bella Adina boccon per te!
ADINA
(con risoluzione)
Andiamo, Belcore,
si avverta il notaro.
NEMORINO
(smanioso)
Dottore! Dottore...
Soccorso! riparo!
GIANNETTA E CORI
È matto davvero.
(Me l’hai da pagar.)
A lieto convito,
amici, v’invito.
BELCORE
Giannetta, ragazze,
vi aspetto a ballar.
GIANNETTA E CORI
Un ballo! Un banchetto!
Chi può ricusar?
ADINA, BELCORE, GIANNETTA E CORI
Fra lieti concenti gioconda brigata,
vogliamo contenti passar la giornata:
presente alla festa amore verrà.
(Ei perde la testa: da rider mi fa.)
NEMORINO
Mi sprezza il sergente, mi burla l’ingrata,
zimbello alla gente mi fa la spietata.
L’oppresso mio core più speme non ha.
Dottore! Dottore!
Soccorso! Pietà.
Adina dà la mano a Belcore e si avvia con esso.
Raddoppiano le smanie di Nemorino; gli astanti lo dileggiano.
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Interno della fattoria d’Adina. Da un lato tavola apparecchiata a cui sono seduti Adina, Belcore, Dulcamara, e
Giannetta. Gli abitanti del villaggio in piedi bevendo e
cantando. Di contro i sonatori del reggimento, montati
sopra una specie d’orchestra, sonando le trombe.
CORO
Cantiamo, facciam brindisi
a sposi così amabili.
Per lor sian lunghi e stabili
i giorni del piacer.
BELCORE
Per me l’amore e il vino
due numi ognor saranno.
Compensan d’ogni affanno
la donna ed il bicchier.
ADINA
(Ci fosse Nemorino!
Me lo vorrei goder.)
CORO
Cantiamo, facciam brindisi
a sposi così amabili
per lor sian lunghi e stabili
i giorni del piacer.
DULCAMARA
Poiché cantar vi alletta,
uditemi, signori:
ho qua una canzonetta,
di fresco data fuori,
vivace graziosa,
che gusto vi può dar,
purché la bella sposa
mi voglia secondar.
TUTTI
Sì si, I’avremo cara;
dev’esser cosa rara
se il grande Dulcamara
è giunta a contentar.
DULCAMARA
(cava di saccoccia alcuni libretti, e ne dà uno ad Adina.)
«La Nina gondoliera,
e il senator Tredenti,
barcaruola a due voci.» Attenti.
TUTTI
Attenti.
DULCAMARA
Io son ricco, e tu sei bella,
io ducati, e vezzi hai tu:
perché a me sarai rubella?
Nina mia! Che vuoi di più?
ADINA
Quale onore! un senatore
me d’amore supplicar!
Ma, modesta gondoliera,
un par mio mi vuo’ sposar.
DULCAMARA
Idol mio, non più rigor.
Fa felice un senator.
BELCORE
Andiamo a segnar l’atto: il tempo affretta.
TUTTI
Cantiamo ancora un brindisi
a sposi così amabili:
per lor sian lunghi e stabili
i giorni del piacer.
Partono tutti: Dulcamara ritorna indietro, e si rimette a
tavola.
ADINA
Eccellenza! Troppo onor;
io non merto un senator.
SCENA SECONDA
DULCAMARA
Adorata barcaruola,
prendi l’oro e lascia amor.
Lieto è questo, e lieve vola;
pesa quello, e resta ognor.
DULCAMARA
Le feste nuziali,
son piacevoli assai; ma quel che in esse
mi dà maggior diletto
è l’amabile vista del banchetto.
ADINA
Quale onore! Un senatore
me d’amore supplicar!
Ma Zanetto è giovinetto;
ei mi piace, e il vo’ sposar.
DULCAMARA
Idol mio, non più rigor;
fa felice un senator.
NEMORINO
(sopra pensiero)
Ho veduto il notaro:
sì, l’ho veduto... Non v’ha più speranza,
Nemorino, per te; spezzato ho il core.
ADINA
Eccellenza! Troppo onor;
io non merto un senator.
TUTTI
Bravo, bravo, Dulcamara!
La canzone è cosa rara.
Sceglier meglio non può certo
il più esperto cantator.
DULCAMARA
Il dottore Dulcamara
in ogni arte è professor.
Si presenta un notaro.
BELCORE
Silenzio!
(si fermano)
È qua il notaro,
che viene a compier l’atto
di mia felicità.
TUTTI
Sia il ben venuto!
DULCAMARA
T’abbraccio e ti saluto,
o medico d’amor, spezial d’Imene!
ADINA
(Giunto è il notaro, e Nemorin non viene!)
BELCORE
Andiam, mia bella Venere...
Ma in quelle luci tenere
qual veggo nuvoletto?
ADINA
Non è niente.
(S’egli non è presente
compita non mi par la mia vendetta.)
Dulcamara, Nemorino.
DULCAMARA
(cantando fra i denti)
«Idol mio, non più rigor,
fa felice un senator.»
NEMORINO
Voi qui, dottore!
DULCAMARA
Si, mi han voluto a pranzo
questi amabili sposi, e mi diverto
con questi avanzi.
NEMORINO
Ed io son disperato.
Fuori di me son io. Dottore, ho d’uopo
d’essere amato... prima di domani.
Adesso... su due piè.
DULCAMARA
(s’alza)
(Cospetto è matto!)
Recipe l’elisir, e il colpo è fatto.
Nemorino
E veramente amato
sarò da lei?...
DULCAMARA
Da tutte: io tel prometto.
Se anticipar l’effetto
dell’elisir tu vuoi, bevine tosto
un’altra dose. (Io parto fra mezz’ora.)
NEMORINO
Caro dottor, una bottiglia ancora.
Dulcamara
Ben volentier. Mi piace
giovare a’ bisognosi. Hai tu danaro?
NEMORINO
Ah! non ne ho più.
DULCAMARA
Mio caro
la cosa cambia aspetto. A me verrai
subito che ne avrai. Vieni a trovarmi
qui, presso alla Pernice:
ci hai tempo un quarto d’ora.
Partono.
SCENA TERZA
Nemorino, indi Belcore.
NEMORINO
(si getta sopra una panca)
Oh, me infelice!
BELCORE
La donna è un animale
stravagante davvero. Adina m’ama,
di sposarmi è contenta, e differire
pur vuol sino a stasera!
NEMORINO
(si straccia i capelli)
(Ecco il rivale!
Mi spezzerei la testa di mia mano.)
BELCORE
(Ebbene, che cos’ha questo baggiano?)
Ehi, ehi, quel giovinotto!
Cos’hai che ti disperi?
NEMORINO
Io mi dispero...
perché non ho denaro... e non so come,
non so dove trovarne.
BELCORE
Eh! scimunito!
Se danari non hai,
fatti soldato... e venti scudi avrai.
NEMORINO
Venti scudi!
BELCORE
E ben sonanti.
NEMORINO
Quando? Adesso?
BELCORE
Sul momento.
NEMORINO
(Che far deggio?)
BELCORE
E coi contanti,
gloria e onore al reggimento.
che doman la patria terra,
zio, congiunti, ahimè! abbandono.
Ma so pur che, fuor di questa,
altra strada a me non resta
per poter del cor d’Adina
un sol giorno trionfar.
Ah! chi un giorno ottiene Adina...
fin la vita può lasciar.)
BELCORE
Del tamburo al suon vivace,
tra le file e le bandiere,
aggirarsi amor si piace
con le vispe vivandiere:
sempre lieto, sempre gaio
ha di belle un centinaio.
Di costanza non s’annoia,
non si perde a sospirar.
Credi a me: la vera gioia
accompagna il militar.
NEMORINO
Venti scudi!
BELCORE
Su due piedi.
NEMORINO
Ebben vada. Li prepara.
BELCORE
Ma la carta che tu vedi
pria di tutto dêi segnar.
Qua una croce.
Nemorino segna rapidamente e prende la borsa.
NEMORINO
(Dulcamara
volo tosto a ricercar.)
BELCORE
Qua la mano, giovinotto,
dell’acquisto mi consolo:
in complesso, sopra e sotto
tu mi sembri un buon figliuolo,
sarai presto caporale,
se me prendi ad esemplar.
(Ho ingaggiato il mio rivale:
anche questa è da contar.)
NEMORINO
Ah! non sai chi m’ha ridotto
a tal passo, a tal partito:
tu non sai qual cor sta sotto
a quest’umile vestito;
quel che a me tal somma vale
non potresti immaginar.
(Ah! non v’ha tesoro eguale,
se riesce a farmi amar.)
(partono)
NEMORINO
Ah! non è l’ambizione,
che seduce questo cor.
Piazza nel villaggio come nell’Atto primo.
BELCORE
Se è l’amore, in guarnigione
non ti può mancar l’amor.
Giannetta e paesane.
NEMORINO
(Ai perigli della guerra
io so ben che esposto sono:
SCENA QUARTA
CORO
Sarà possibile?
GIANNETTA
Possibilissimo.
CORO
Non è probabile.
GIANNETTA
Probabilissimo.
CORO
Ma come mai? Ma d’onde il sai?
Chi te lo disse? Chi è? Dov’è?
GIANNETTA
Non fate strepito: parlate piano:
non ancor spargere si può l’arcano:
è noto solo al merciaiuolo,
che in confidenza l’ha detto a me.
A voi m’inchino.
NEMORINO
(fra sé meravigliato)
(Cos’han coteste giovani?)
GIANNETTA E CORO
Caro quel Nemorino!
Davvero ch’egli è amabile:
ha l’aria da signor.
Nemorino
(Capisco: è questa l’opera
del magico liquor.)
SCENA SESTA
CORO
Il merciaiuolo! L’ha detto a te!
Sarà verissimo... Oh! Bella affé!
GIANNETTA
Sappiate dunque che l’altro dì
di Nemorino lo zio morì,
che al giovinotto lasciato egli ha
cospicua immensa eredità...
Ma zitte... piano... per carità.
Non deve dirsi.
CORO
Non si dirà.
TUTTE
Or Nemorino è milionario...
è l’Epulone del circondario...
un uom di vaglia, un buon partito...
Felice quella cui fia marito!
Ma zitte... piano... per carità
non deve dirsi, non si dirà.
(veggono Nemorino che si avvicina, e si ritirano in
disparte curiosamente osservandolo)
SCENA QUINTA
Nemorino e dette.
NEMORINO
Dell’elisir mirabile
bevuto ho in abbondanza,
e mi promette il medico
cortese ogni beltà.
In me maggior del solito
rinata è la speranza,
l’effetto di quel farmaco
già già sentir si fa.
CORO
(E ognor negletto ed umile:
la cosa ancor non sa.)
NEMORINO
Andiam.
(per uscire)
GIANNETTA E CORO
(arrestandosi)
Serva umilissima.
(inchinandolo)
NEMORINO
Giannetta!
CORO
(l’una dopo l’altra)
Adina e Dulcamara entrano da varie parti, si fermano in
disparte meravigliati a veder Nemorino corteggiato dalle
contadine.
NEMORINO
Ah! ah! ah! ah! ah! ah!
ADINA E DULCAMARA
Che vedo?
NEMORINO
È bellissima!
Dottor, diceste il vero.
Già per virtù simpatica
toccato ho a tutte il cor.
ADINA
Che sento?
DULCAMARA
E il deggio credere!
(alle contadine)
Vi piace?
GIANNETTA E CORO
Oh sì, davvero.
E un giovane che merta
da noi riguardo e onor!
ADINA
Credea trovarlo a piangere,
e in giuoco, in festa il trovo;
ah, non saria possibil
se a me pensasse ancor.
GIANNETTA E CORO
Oh, il vago, il caro giovine!
Da lui più non mi movo.
Vo’ fare l’impossibile
per inspirargli amor.
NEMORINO
Non ho parole a esprimere
il giubilo ch’io provo;
se tutte, tutte m’amano
dev’essa amarmi ancor,
ah! che giubilo!
DULCAMARA
Io cado dalle nuvole,
il caso è strano e nuovo;
sarei d’un filtro magico
davvero possessor?
GIANNETTA
(a Nemorino)
Qui presso all’ombra
aperto è il ballo.
Voi pur verrete?
da pochi scudi,
ti fai soldato.
NEMORINO
Oh! senza fallo.
ADINA
Tu fai gran fallo:
su tale oggetto,
parlar ti vo’
CORO
E ballerete?
GIANNETTA
Con me.
NEMORINO
Sì.
CORO
Con me.
NEMORINO
Sì.
GIANNETTA
Io son la prima.
GIANNETTA E CORO
Soldato! oh! diamine!
NEMORINO
Parlate pure, parlate pure.
GIANNETTA E CORO
Al ballo, al ballo!
NEMORINO
È vero, è vero.
(ad Adina)
Or or verrò.
DULCAMARA
Io cado dalle nuvole!
Liquore egual non v’è.
CORO
Son io, son io.
ADINA
(trattenendo Nemorino)
M’ascolta, m’ascolta.
GIANNETTA
Io l’ho impegnato.
NEMORINO
Verrò, verrò.
CORO
Anch’io. Anch’io.
GIANNETTA E CORO
Al ballo, al ballo,
andiam, andiam.
GIANNETTA
(strappandolo di mano dalle altre)
Venite.
NEMORINO
Piano.
CORO
(strappandolo)
Scegliete.
NEMORINO
(a Giannetta)
Adesso.
Tu per la prima,
poi te, poi te.
DULCAMARA
Misericordia!
Con tutto il sesso!
Liquor eguale del mio non v’è.
ADINA
(avanzandosi)
Ehi, Nemorino.
NEMORINO
(fra sé)
Oh ciel! anch’essa.
DULCAMARA
Ma tutte, tutte!
ADINA
A me t’appressa.
Belcor m’ha detto
che, lusingato
ADINA
M’ascolta.
NEMORINO
(fra sé)
Io già m’immagino
che cosa brami.
Già senti il farmaco,
di cor già m’ami;
le smanie, i palpiti
di core amante,
un solo istante
tu dêi provar.
ADINA
(fra sé)
Oh, come rapido
fu il cambiamento;
dispetto insolito
in cor ne sento.
O amor, ti vendichi
di mia freddezza;
chi mi disprezza
m’è forza amar.
DULCAMARA
Sì, tutte l’amano:
oh, meraviglia!
Cara, carissima
la mia bottiglia!
Già mille piovono
zecchin di peso:
comincio un Creso
a diventar.
GIANNETTA E CORO
Di tutti gli uomini
del suo villaggio
costei s’imagina
d’aver omaggio.
Ma questo giovane
sarà, lo giuro,
un osso duro
da rosicar.
(Nemorino parte con Giannetta e le contadine)
ADINA
Come sen va contento!
DULCAMARA
La lode è mia.
ADINA
Vostra, o dottor?
DULCAMARA
Sì, tutta.
La gioia è al mio comando:
io distillo il piacer, l’amor lambicco
come l’acqua di rose, e ciò che adesso
vi fa maravigliar nel giovinotto.
Tutto portento egli è del mio decotto.
ADINA
Pazzie!
Dulcamara
Pazzie, voi dite?
Incredula! Pazzie? Sapete voi
dell’alchimia il poter, il gran valore
dell’elisir d’amore
della regina Isotta?
ADINA
Isotta!
DULCAMARA
Isotta.
Io n’ho d’ogni misura e d’ogni cotta.
ADINA
(Che ascolto?) E a Nemorino
voi deste l’elisir?
DULCAMARA
Ei me lo chiese
per ottener l’affetto
di non so qual crudele...
ADINA
Ei dunque amava?
DULCAMARA
Languiva, sospirava
senz’ombra di speranza. E, per avere
una goccia di farmaco incantato,
vendé la libertà, si fe’ soldato.
in amor sì fortunato!
DULCAMARA
Tutto il sesso femminino
è pel giovine impazzato.
ADINA
E qual donna è a lui gradita?
Qual fra tante è preferita?
DULCAMARA
Egli è il gallo della Checca
tutte segue; tutte becca.
ADINA
(Ed io sola, sconsigliata
possedea quel nobil cor!)
DULCAMARA
(Essa pure è innamorata:
ha bisogno del liquor.)
Bella Adina, qua un momento...
più dappresso... su la testa.
Tu sei cotta... io l’argomento
a quell’aria afflitta e mesta.
Se tu vuoi?...
ADINA
S’io vo’? Che cosa?
DULCAMARA
Su la testa, o schizzinosa!
Se tu vuoi, ci ho la ricetta
che il tuo mal guarir potrà.
ADINA
Ah! dottor, sarà perfetta,
ma per me virtù non ha.
DULCAMARA
Vuoi vederti mille amanti
spasimar, languire al piede?
ADINA
Non saprei che far di tanti:
il mio core un sol ne chiede.
Dulcamara
Render vuoi gelose, pazze
donne, vedove, ragazze?
ADINA
Non mi alletta, non mi piace
di turbar altrui la pace.
DULCAMARA
Conquistar vorresti un ricco?
ADINA
Di ricchezze io non mi picco.
DULCAMARA
Un contino? Un marchesino?
ADINA
(Quanto amore! Ed io, spietata,
tormentai sì nobil cor!)
ADINA
Io non vo’ che Nemorino.
DULCAMARA
(Essa pure è innamorata:
ha bisogno del liquor.)
DULCAMARA
Prendi, su, la mia ricetta,
che l’effetto ti farà.
ADINA
Dunque... adesso... è Nemorino
ADINA
Ah! dottor, sarà perfetta,
ma per me virtù non ha.
belle e brutte mi voglion per marito.
DULCAMARA
Sconsigliata! E avresti ardire
di negare il suo valore?
ADINA
E tu?
ADINA
Io rispetto l’elisire,
ma per me ve n’ha un maggiore:
Nemorin, lasciata ogni altra,
tutto mio, sol mio sarà.
DULCAMARA
(Ahi! dottore, è troppo scaltra:
più di te costei ne sa.)
ADINA
Una tenera occhiatina,
un sorriso, una carezza,
vincer può chi più si ostina,
ammollir chi più ci sprezza.
Ne ho veduti tanti e tanti,
presi cotti, spasimanti,
che nemmanco Nemorino
non potrà da me fuggir.
La ricetta è il mio visino,
in quest’occhi è l’elisir.
DULCAMARA
Sì lo vedo, o bricconcella,
ne sai più dell’arte mia:
questa bocca così bella
è d’amor la spezieria:
hai lambicco ed hai fornello
caldo più d’un Mongibello
per filtrar l’amor che vuoi,
per bruciare e incenerir.
Ah! vorrei cambiar coi tuoi
i miei vasi d’elisir.
(partono)
SCENA SETTIMA
Nemorino.
NEMORINO
Una furtiva lagrima
negli occhi suoi spuntò...
quelle festose giovani
invidiar sembrò...
Che più cercando io vo?
M’ama, lo vedo.
Un solo istante i palpiti
del suo bel cor sentir!..
Co’ suoi sospir confondere
per poco i miei sospir!...
Cielo, si può morir;
di più non chiedo.
Eccola... Oh! qual le accresce
beltà l’amor nascente!
A far l’indifferente
si seguiti così finché non viene
ella a spiegarsi.
SCENA OTTAVA
Adina e Nemorino.
ADINA
Nemorino!... Ebbene!
NEMORINO
Non so più dove io sia: giovani e vecchie,
NEMORINO
A verun partito
Appigliarmi non posso: attendo ancora...
La mia felicità... (Che è pur vicina.)
ADINA
Odimi.
NEMORINO
(allegro)
(Ah! ah! ci siamo.) Io v’odo, Adina.
ADINA
Dimmi: perché partire,
perché farti soldato hai risoluto?
NEMORINO
Perché?... Perché ho voluto
tentar se con tal mezzo il mio destino
io potea migliorar.
ADINA
La tua persona...
la tua vita ci è cara... Io ricomprai
il fatale contratto da Belcore.
NEMORINO
Voi stessa! (È naturale: opra è d’amore.)
ADINA
Prendi; per me sei libero:
resta nel suol natio,
non v’ha destin sì rio
che non si cangi un dì.
(gli porge il contratto)
Qui, dove tutti t’amano,
saggio, amoroso, onesto,
sempre scontento e mesto
no, non sarai così.
NEMORINO
(Or or si spiega.)
ADINA
Addio.
NEMORINO
Che! Mi lasciate?
ADINA
Io... sì.
NEMORINO
Null’altro a dirmi avete?
ADINA
Null’altro.
NEMORINO
Ebben, tenete.
(le rende il contratto)
Poiché non sono amato,
voglio morir soldato:
non v’ha per me più pace
se m’ingannò il dottor.
ADINA
Ah! fu con te verace
se presti fede al cor.
Sappilo alfine, ah! sappilo:
tu mi sei caro, e t’amo:
quanto ti féi già misero,
farti felice io bramo:
il mio rigor dimentica,
ti giuro eterno amor.
NEMORINO
Oh, gioia inesprimibile!
Non m’ingannò il dottor.
(Nemorino si getta ai piedi di Adina)
SCENA ULTIMA
Belcore con soldati e detti: indi Dulcamara con tutto il villaggio.
BELCORE
Alto!... Fronte!... Che vedo? Al mio rivale
l’armi presento!
ADINA
Ella è così, Belcore;
e convien darsi pace ad ogni patto.
Egli è mio sposo: quel che è fatto...
BELCORE
È fatto.
Tientelo pur, briccona.
Peggio per te. Pieno di donne è il mondo:
e mille e mille ne otterrà Belcore.
DULCAMARA
Ve le darà questo elisir d’amore.
NEMORINO
Caro dottor, felice
io son per voi.
TUTTI
Per lui!!
DULCAMARA
Per me. Sappiate
che Nemorino è divenuto a un tratto
il più ricco castaldo del villaggio...
Poiché morto è lo zio...
ADINA E NEMORINO
Morto lo zio!
GIANNETTA E DONNE
Io lo sapeva.
DULCAMARA
Lo sapeva anch’io.
Ma quel che non sapete,
né potreste saper, egli è che questo
sovrumano elisir può in un momento,
non solo rimediare al mal d’amore,
ma arricchir gli spiantati.
CORO
Oh! il gran liquore!
DULCAMARA
Ei corregge ogni difetto
ogni vizio di natura.
Ei fornisce di belletto
la più brutta creatura:
camminar ei fa le rozze,
schiaccia gobbe, appiana bozze,
ogni incomodo tumore
copre sì che più non è...
CORO
Qua, dottore... a me, dottore...
un vasetto... due... tre.
In questo mentre è giunta in iscena la carrozza di
Dulcamara. Egli vi sale: tutti lo circondano.
DULCAMARA
Prediletti dalle stelle,
io vi lascio un gran tesoro.
Tutto è in lui; salute e belle,
allegria, fortuna ed oro,
Rinverdite, rifiorite,
impinguate ed arricchite:
dell’amico Dulcamara
ei vi faccia ricordar.
CORO
Viva il grande Dulcamara,
dei dottori la Fenice!
NEMORINO
Io gli debbo la mia cara.
Per lui solo io son felice!
Del suo farmaco l’effetto
non potrò giammai scordar.
ADINA
Per lui solo io son felice!
del suo farmaco l’effetto
non potrà giammai scordar.
BELCORE
Ciarlatano maledetto,
che tu possa ribaltar!
Il servo di Dulcamara suona la tromba. La carrozza si
muove. Tutti scuotono il loro cappello e lo salutano.
ADINA
Un momento di piacer
brilla appena a questo cor
che s’invola dal pensier
la memoria del dolor.
Fortunati affanni miei,
maledirvi il cor non sa:
senza voi, no non godrei
così gran felicità.
Coro
Or beata appien tu sei
nella tua tranquillità.
Viva il grande Dulcamara,
la Fenice dei dottori:
con salute, con tesori
possa presto a noi tornar.
IVAN MAGRÌ Tenore
Nato a Catania, inizia lo studio del canto lirico con la professoressa
Monti. A Milano vince una borsa di studio per entrare in
Conservatorio, dove consegue il diploma. Vince poi un concorso, che
gli dà la possibilità di debuttare nel “Don Pasquale” di Donizetti. Ha
affrontato varie audizioni con diversi direttori artistici tra cui il M°
Riccardo Muti, il M° Bruno Bartoletti, e il M° Daniel Oren. In repertorio, i “Puritani” di Bellini, “L’Elisir d’amore”, il “Duca d’Alba” e “La
Favorita” di Donizetti, il “Rigoletto” e i “Lombardi” di Verdi,
“Madama Butterfly” di Puccini. Svolge un’intensa attività concertistica.
WALTER FRANCESCHINI Baritono
Studia canto con il M° Vito Maria Brunetti a Bolzano.
Nel settembre 2004 è vincitore del Terzo Premio al Concorso lirico
internazionale “Val di Sole” e, nel mese successivo debutta nel ruolo di
Giorgio Germont in “La Traviata” a S. Giovanni in Persiceto (BO); è nel
cast de “La Bohéme” a Bologna (gennaio 2005) e Pordenone (luglio
2005). Impegni internazionali lo portano prima in Romania e in
Repubblica Ceca per una serie di concerti.
Nel giugno 2006 debutta nel ruolo di Alfio in “Cavalleria Rusticana”, a
Udine, sotto la direzione del M° Alfredo Barchi e la regia di Francesco Bellotto e nei
“Carmina Burana”, ad Aquileia; ha al suo attivo numerosi concerti in diversi teatri, fra i
quali il “Donizetti” (Bergamo), la “Filarmonica di Stato” di Ramnicu Valcea (Ronania),
Praga e Belgrado.
Il 29 settembre 2006 canta nel duomo di Bolzano in prima esecuzione il “Requiem for the
President” scritto da A. Busellato, “in memoriam John Kennedy”. Successivamente al
Teatro Comunale di Bolzano e Teatro del Giglio di Lucca in “Ariadne auf Naxos” di R.
Strauss.
MONICA TARONE Soprano
Monica Tarone, soprano, si è diplomata nel settembre 2000 con il massimo dei voti e la lode nella
classe del soprano Silvana Moyso Bocchino presso il Conservatorio “G.
F. Ghedini” di Cuneo.
Vince, per il ruolo di Nannetta nel Falstaff, il prestigioso concorso
As.Li.Co del 2001; per lo stesso Ente ha debuttato nel 2002 il ruolo di
Jouvenot nell’Adriana Lecouvreur.
Per l’Ente Teatro alla Scala di Milano ha cantato ruoli solistici nella stagione 2002 nelle
opere “Le nozze di Figaro” (ruolo di Contadinella) e “Iphigénie en Aulide” (ruolo de La
Greca) sotto la direzione del M° Riccardo Muti, partecipando con quest’ultima opera all’inaugurazione della stagione lirica al Teatro degli Arcimboldi il 7 dicembre 2002 con trasmissione radiofonica diretta in Eurodiffusione.
Per la Fondazione Arena di Verona ha eseguito concerti sotto la guida del M° Fabio
Fapanni.
Ha vinto il concorso “Mattia Battistini” di Rieti edizione 2003, debuttando conseguentemente il ruolo di Norina nel “Don Pasquale” e di Zerlina nel “Don Giovanni”.
È stata in Germania dove ha ricoperto con grande successo il ruolo di Violetta ne La traviata di G.Verdi in una tournée che ha toccato città come Rosenheim, Norimberga,
Stoccarda, Francoforte.
È Susanna nelle Nozze di Figaro dirette dal M° Marco Berdondini per i Teatri trentini.
Ha svolto concerti con solisti dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Montecarlo e Nizza.
Nella stagione 2006 è Alice al Teatro Superga di Nichelino, Lisa (“Sonnambula”) al Teatro
Coccia di Novara e registra “Don Giovanni” (Zerlina) e Requiem di Mozart per la rivista
Panorama.
Partecipa ad una serie di concerti a Città del Messico e a Kansas City.
È Lucy (“Telefono” di Menotti) al Piccolo Regio di Torino e Adina (“Elisir d’amore”) a Irùn
(Bilbao).
A maggio è Irene ne “Il Ritorno di Don Calandrino” di Cimarosa a Salisburgo, diretta dal
M° Riccardo Muti. Quest’opera, in prima esecuzione mondiale, sarà ripresa, nei prossimi
mesi, in Italia e ancora all’estero.
ROBERTO BORTOLUZZI Basso
Nato a Treviso nel 1972, consegue la maturità scientifica nel 1992. Comincia a studiare
musica nel 1988 presso l’Istituto Musicale “F. Manzato” di Treviso. Studia canto con il
soprano Jolanda Michieli, teoria e solfeggio con il maestro Alessandro Loja e pianoforte
complementare con il M° Francesco Martignon. Nel 1998 consegue le licenze di compimento inferiore di canto, pianoforte complementare e teoria e solfeggio (ramo strumentisti) presso il Conservatorio Statale “F. Venezze” di Rovigo. Dal 2001 studia con il M°
Alessandro Pierfederici (direttore d’orchestra) e il soprano Lucia Mazzaria.
Nel 2000 è semifinalista al 5° Concorso Internazionale di Canto “Maria Callas”, indetto
dalla RAI.
Nel 2001 esordisce al Teatro Popolare Croato “Ivan de Zajc” di Rijeka nel ruolo di Germont
(G. Verdi – “La Traviata”); nel 2002 debutta i ruoli di Rigoletto (G. Verdi - “Rigoletto”) al
Teatro dell’Opera Nazionale di Bucarest, e Scarpia (G. Puccini - “Tosca”) al Teatro di
Minsk. Nel 2003 vince il concorso per il 3° Laboratorio Musicale del ‘700 “Enzo Dara”, a
seguito del quale nel 2004 canta presso il Teatro Bibiena a Mantova l’opera “Prima la musica e poi le parole” di A. Salieri. Nel 2005 debutta il ruolo di Marcello (G. Puccini - “La
Bohéme”) al Teatro dell’Opera Nazionale Lettone di Tallin.
Nel 2006 canta nei teatri di Zagabria, Rijeka, Belgrado e Sofia.
MARIANNA PRIZZON Soprano
Nata a Trieste, ha iniziato prestissimo gli studi di pianoforte. Durante gli studi universitari, Facoltà di Psicologia, ha intrapreso lo studio del canto, sotto la guida del mezzosoprano Mirna Pecile, diplomandosi presso il Conservatorio “G. Tartini” di Trieste in soli tre anni
nel 2000, col massimo dei voti e la lode, vincendo una borsa di studio. In seguito ha ottenuto il dimploma triennale di Perfezionamento presso la Fondazione Musicale Santa
Cecilia di Portogruaro - Venezia, con il M° Leone Magiera e il M° Mauro Trombetta.
In qualità di solista svolge dal 1997) un’intensa attività concertistica di musica da camera,
sacra, operistica, in Italia e all’estero (Austria, Slovenia, Croazia, Francia, Corea). Da segnalare i recenti Concerti accanto a famosi artisti quali il soprano Katia Ricciarelli (Teatro di
Massa Carrara), il soprano Raina Kabaivanska a Modena e il baritono Leo Nucci (Teatro comunale di Modena), quest’ultimi accompagnati magistralmente al pianoforte dal M° Leone
Magiera.
Ha partecipato a diversi Corsi di Alto Perfezionamento con Artisti e Maestri di chiara
fama: Raina Kabaivanska, Renata Scotto (all’Accademia Nazionale Santa Cecilia a Roma), Katia
Ricciarelli, Luciana Serra, Lella Cuberli, con il M° Leone Magiera (anche assieme al regista
Daniele Abbado, sull’opera “Don Giovanni” di Mozart) e con Antonietta Stella, Gianni
Raimondi, il regista Italo Nunziata e altri (Ateneo Internazionale della Lirica a Sulmona L’Aquila).
È laureanda presso l’Istituto Superiore di studi “Orazio Vecchi” a Modena (Biennio
Superiore di II livello) con Luciano Pavarotti e il M° Leone Magiera, ed è seguita per la preparazione scenica e interpretativa dal regista Francesco Esposito, dal soprano Lucia
Mazzaria, dal M° Alessandro Pierfederici e dal prof. Claudio Strudthoff.
Sta ultimando il Corso triennale di Musicoterapia presso l’A.R.T.E.M. a Udine.
Nel 2002 ha debuttato al “Forum Grimaldi” di Montercarlo accanto a Luciano Pavarotti e altri
artisti internazionali, fra i quali Fiorenza Cedolins, in un importante Galà Verdiano a favore
della F.A.O. registrato e trasmesso dalla RAI con l’Orchestra Sinfonica del Piemonte diretta
dal M° Leone Magiera.
È risultata semifinalista e finalista in importanti Concorsi Internazionali di Canto:”A.
Belli” - Spoleto 2002, Lignano Sabbiadoro 2002, “Carlo Cossutta” - Trieste 2003, Rosetum Milano 2003.
ALFREDO BARCHI - ORCHESTRA SOCIETÀ FILARMONIA
Titolare dal 1989 della cattedra di Esercitazioni Orchestrali presso il
Conservatorio “J. Tomadini” di Udine, ha studiato oboe con G. Siviero
e direzione d’orchestra con G. Massimi. Ha svolto attività concertistica con il Sestetto Poulenc. Nel 1979 è stato premiato da Goffredo
Petrassi al 2° Concorso Internazionale di Ancona ed è stato invitato al
Festival Internazionale di Langeais. Tra le registrazioni effettuate si
annoverano Un concerto per domani, trasmesso sulla prima rete nazionale a cura di G. Carli Ballola, e Nuovi Concertisti sulla terza rete R.A.I.
In seguito ha scelto la strada della direzione d’orchestra frequentando
un corso di perfezionamento a Brescia tenuto da Alceo Galliera. Ha collaborato come assistente preparatore di Daniel Oren per l’allestimento di Lucia di Lammermoor al Teatro Regio
di Parma, indi per Adriana Lecouvreur al Teatro La Fenice di Venezia. La sua prima direzione risale al 1984 al Teatro dell’Aquila di Fermo con il Requiem di Mozart. Dal 1991 al
1996 è stato direttore artistico e direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di Udine,
alla direzione della quale ha eseguito il maggiore repertorio sinfonico, Don Pasquale (1995)
e La Bohème (1996). Nel corso di questi anni ha accompagnato cantanti quali B. Prior, L.
Mazzaria, L. D’Intino, B. Giaiotti, A. Mariotti ed altri. Per il ventennale del terremoto in
Friuli ha diretto il Requiem di Luigi Cherubini, trasmesso sulla prima rete nazionale.
Nel 1998 Alfredo Barchi è stato tra i fondatori di Società Filarmonìa, di cui è direttore artistico e direttore d’orchestra principale per tutti i progetti concertistici promossi ed organizzati dalla stessa.
L’Associazione “Società Filarmonìa” è sorta con lo scopo di promuovere la cultura musicale e proporre concerti di alto profilo artistico riunendo esperienze e competenze musicali diversificate. Musicisti operanti nelle maggiori orchestre italiane sono quindi entrati a
far parte di una struttura assai duttile, al fine di assicurare la presenza di esecutori di elevato livello e di offrire opportunità ai talenti emergenti, sia in qualità di solisti che di membri dei due organici sinfonici costituitisi al suo interno, l’Orchestra della Società Filarmonia
e “I Virtuosi di Aquileia”.
La Società Filarmonìa è stata protagonista di numerosi appuntamenti concertistici di grande rilievo, tra i quali vanno ricordati: il concerto inaugurale della stessa, tenuto nell’ambito del cartellone Udine d’Estate 1998, i concerti udinesi per il “FAI - Fondo per l’Ambiente
Italiano” del 1998 e 1999, il “Grande Concerto d’Estate” per Udine d’Estate 1999, Rossiniana
in collaborazione con Friuli Doc 1999. Tra marzo ed aprile 1999 Alfredo Barchi ha diretto la
sua orchestra in Mozart, Concerti e Sinfonie al Teatro Nuovo di Udine (cinque appuntamenti
che hanno ottenuto il prestigioso patrocinio dell’Internationale Stiftung Mozarteum
Salzburg); nel novembre dello stesso anno è stato invitato nell’ambito del prestigioso cartellone della Società dei Concerti del Teatro Regio di Parma presentando un analogo programma mozartiano. A questo è seguita una seconda edizione di Mozart, Concerti e Sinfonie
presso il Giovanni da Udine tra gennaio e maggio 2001. Subito dopo è stato nuovamente
invitato dalla Società dei Concerti di Parma nella stagione 2000-2001.
Nell’aprile 2000 si è esibito nel concerto inserito nella stagione musicale del Teatro Nuovo
di Udine (solista, Stefan Milenkovich).
Il mese seguente è stato varato il progetto culturale Musica per il Friuli 2000, ricerca d’archivio, trascrizione ed esecuzione, spesso in prima assoluta, di pagine del repertorio sinfonico e sinfonico-vocale di autori friulani, giuliani ed istriani. I tre concerti tenuti al Teatro
Nuovo Giovanni da Udine nel maggio 2000 e nel marzo 2003, gli appuntamenti al Teatro
“Adelaide Ristori” di Cividale del Friuli nel novembre 2000, presso la Chiesa di S.
Francesco di Cividale del Friuli e la Sala Maggiore del Mozarteum di Salisburgo nel giugno 2001, e le esecuzioni di pagine sacre in diversi contesti liturgici presso il duomo di
Udine e il duomo di Pordenone, la basilica di Aquileia e l’abbazia di Rosazzo (Manzano),
hanno riportato alla luce pagine dimenticate dei più importanti compositori della Regione
Friuli-Venezia Giulia, contribuendo notevolmente all’attuale dibattito sulla cultura e l’arte
in Friuli negli ultimi due secoli.
A tutto questo si aggiungono: l’omaggio a Giuseppe Verdi nel centenario della scomparsa,
concerti sinfonico-vocali tenuti nel luglio 2001 all’Arena Alpe Adria di Lignano
Sabbiadoro, il concerto tenuto a Udine per il cartellone di Udine d’Estate, (serata ripetuta
ad Aquileia e Klagenfurt), il concerto per la Croce Rossa Italiana al Teatro Nuovo di Udine
nel novembre 2001, il progetto per l’estate 2002, “I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino..., Un
itinerario nella fiaba musicale”, interpretato da Paolo Villaggio.
Nel 2003 ha realizzato il CD Musiche in Friuli -Rare works of musicians from Friuli, per l’etichetta Bongiovanni. Nell’estate dello stesso anno ha presentato “Mediterraneo, Un itinerario fra poesia, canzone d’autore e...”, al quale hanno partecipato le voci di Pamela Villoresi
e Omero Antonutti, il concerto svolto nell’ambito del “Mittelfest” di Cividale del Friuli,
edizione 2003, il progetto Suite 1797, dedicato alla figura di Napoleone in Friuli e ai compositori contemporanei Valter Sivilotti, Marco Sofianopulo e Daniele Zanettovich (progetto inserito nel cartellone 2003-2004 del Teatro Nuovo Giovanni da Udine), il concerto-intervista “Omaggio del Friuli a Fellini” del 23 settembre 2004 con musiche di Rota, Bacalov,
Plenizio eseguite da “I Virtuosi di Aquileia”, con l’intervista all’attrice Sandra Milo curata
dalla giornalista Gloria De Antoni.
Nel maggio 2005 presso il Teatro Nuovo Giovanni da Udine ha diretto l’opera inedita multimediale Cagion d’Honore di Walter Sivilotti su testo di Renato Stroili Gurisatti (Teatro
Nuovo Giovanni da Udine). Il mese seguente, per il progetto Carro di Tespi ha diretto l’opera lirica Il Barbiere di Siviglia, itinerante in sei piazze del Friuli Venezia Giulia.
Il 27 maggio per il cartellone 2006 del Teatro udinese, l’Orchestra della Società Filarmonìa
è stata protagonista dell’evento musicale Il segreto della tredicesima luna del drammaturgo
Renato Stroili Gurisatti, con le musiche di Cristian Carrara, Daniela Terranova e Giulia
D’Andrea (balletto-fiaba per attori, danzatori, solisti e orchestra che ha coinvolto le migliori risorse artistiche giovanili della regione Friuli-Venezia Giulia).
Nell’Estate 2006 nuovamente nell’ambito del Carro di Tespi ha realizzato l’opera lirica
Cavalleria Rusticana in cinque città della Regione Friuli Venezia Giulia tra cui Udine e
Pordenone. Poco tempo dopo ha realizzato un concerto celebrativo per i cinquant’anni di
fondazione della Banca Credem, filiale di Boretto (RE). Ultimamente ha inciso il disco
Mozart, realizzato con l’Orchestra dei Virtuosi d’Aquileia, per l’etichetta Stradivarius.
Incide per Bongiovanni e Stradivarius.
CORO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA
Il Coro del Friuli Venezia Giulia ha debuttato presso il Teatro Nuovo di Udine nel gennaio
del 2001. Negli ultimi anni, in formazione cameristica, ha collaborato con due grandi jazzisti,
John Taylor e John Surman, nell’oratorio Proverbs and Song presentato a Udine, Modena e
Ruvo di Puglia. Nello stesso periodo, ha partecipato ad un lavoro di rivisitazione di musiche
popolari friulane rilette dal musicista jazz Glauco Venier con la collaborazione del saxofoni-
sta Klaus Gesing e del trombettista Enrico Rava, lavoro quest’ultimo registrato su CD. Nei
successivi anni il coro ha proposto un repertorio che va dalla musica rinascimentale a cappella fino alle grandi pagine sinfoniche. Da segnalare il Dixit Dominius di Haendel, la Johannes
Passion e molte Cantate di Bach con l’Orchestra Barocca “G. B. Tiepolo”, una tournèe con programma interamente dedicato alla policolorità e alla musica per doppio coro, la Petite Messe
Solennelle di Rossini nella versione per due pianoforti e in quella orchestrale con la Junge
Phiharmonie Wien, i Chichester Psalms di Bernstein, il Gloria di Vivaldi, la Grande Messa in do
minore di Mozart con l’Orchestra Sinfonica del FVG. Ha inoltre preso parte, spesso inaugurandoli, a stagioni e festival musicali tra i quali Carniarmonie, Nei Suoni dei luoghi, Estate in
città, Natale in musica, Talos Festival di Ruvo di Puglia, Festival Monteverdi di Cremona,
Concerti Sacri nel Duomo di S. Stefano a Vienna. L’altro Suono del Teatro Comunale di
Modena, Amici della Musica di Padova. Il 26 novembre 2002, in occasione dell’Anno
Internazionale della Montagna, il coro, in formazione virile ha cantato, in diretta Eurovisione
dal Monte Lussari, collegato via satellite con l’Orchestra Sinfonica di Pecs (H) che suonava in
Sala Nervi alla presenza di Papa Giovanni Paolo II. In collaborazione con l’Orchestra Barocca
“G. B. Tiepolo” nasce il progetto del coro che si prefigge l’obiettivo di eseguire tutte le oltre
200 Cantate di J. S. Bach nel corso degli anni, progetto a cui hanno già preso parte artisti quali
Emma Kirkby e Gustav Leonhardt. Il coro tiene circa 30 concerti l’anno suddivisi in 10 produzioni diverse ed è stato diretto da Enzo Rojatti, Paolo Paroni, Paolo Faldi, Davide De Lucia,
Davide Pitis, Francesco Belli, Paolo Pollastri, Michael Lessky, Ernst Hoetzl, Howard Moody,
Gustav Leonhart. Il maestro del coro fin dalla sua fondazione è Cristiano Dell’Oste.
ANTONIO PETRIS
Regista, scenografo e costumista, comincia i suoi studi musicali al
conservatorio “J. Tomadini” di Udine; si diploma all’Accademia
d’Arte Drammatica e consegue la laurea in Musicologia.
Tiene lezioni e conferenze in vari atenei, ha insegnato arte scenica
e drammaturgia e ha al suo attivo pubblicazioni musicologiche.
Inizia il suo percorso artistico lavorando i primi due anni in Italia
come attore e assistente alla regia, poi si trasferisce a Londra dove
lavora come assistente in: Rigoletto, La Traviata e Dido and Aeneas.
Torna in Italia e collabora alle seguenti opere: Turandot, La Traviata,
Rigoletto, Il Trovatore, Aida, Carmen, Lucia di Lammermoor.
Dal 1995 firma le sue prime regie: Rigoletto, La Traviata, Il Trovatore, Nabucco, Tosca.
Come assistente, affianca Denis Krief, nelle seguenti opere: Ballo in Maschera al Teatro
Comunale di Bologna, riprende poi l’opera a Modena, Ferrara, Reggio Emilia e
Piacenza e Lucia di Lammermoor al Teatro Lirico di Cagliari.
Dal 2000 firma regia scene e costumi per: Die Zauberflote, Teatro Municipale di
Grenoble; Hymnus, Teatro dell’Opera di Maribor; Carmen, Teatro Nazionale “Le
Manège”, La Roche-sur-Yon; Aida e Nabucco, Festival di Monchau e Schwentzingen;
Aida, Teatro dell’opera di Plovdiv; Nabucco, Teatro dell’Opera di Galati; Carmen,
Festival estivo di Mannheim; Nabucco, stadio di Berlino; La Serva padrona e Il Telefono,
Lione; Elisir d’amore e Barbiere di Siviglia, Udine; Idomeneo, Teatro dell’Opera
“Csokonai Szìnhaz”, di Debrecen; Oberto Conte di San Bonifacio, Teatro Lirico
Sperimentale di Spoleto e New National Theatre di Tokio; Aspire, musical in collaborazione con il West End di Londra e Broadway a Doha in Qatar. Nel 2005 mette in
scena Gozzano e dintorni, Teatro San Nicolò, Spoleto, con P. Zappa Mulas. A marzo del
2007 firma, regia scene e costumi di Aida al Teatro Politeama Greco di Lecce. A maggio 2007 va in scena al Teatro Caio Melisso di Spoleto lo spettacolo Io Chisciotte di cui
ne è autore e regista.
EMMANUELA COSSAR
Nata a Palmanova nel 1978, ha conseguito il diploma di operatore
della moda nel 1997 all’istituto Raimondo d’Aronco di Gemona del
Friuli. Successivamente, è stata ammessa al corso di laurea in
Progettazione della moda - specializzazione Costume teatrale
dell’Università degli Studi di Firenze. Durante la frequenza ha partecipato alla realizzazione di due sfilate, esponendo i propri costumi su
modelli rinascimentali alla Mostra dell’Artigianato di Firenze
(Fortezza da basso). Inoltre, nel 1999 e 2000 ha partecipato, sempre nel
capoluogo toscano, alla realizzazione di trucchi e costumi per gli spettacoli Sogno di una notte di mezza estate e Striga. Ha partecipato anche a uno stage alla sartoria teatrale De Valle di Torino. Nel 2002, poi, si è brillantemente laureata discutendo una
tesi multimediale (costumi, testi e immagini video) intitolata Il costume rock nelle copertine
dei dischi dagli anni’60 agli anni ‘80.
Ha partecipato inoltre alla realizzazione dei costumi per la Clavicola di re Salomone e Il giardino dei ciliegi per l’Accademia d’arte drammatica Nico Pepe di Udine. Nel 2003 progetta i
costumi per l’Otello di Giuseppe Verdi per la regia di Paolo Bosisio: i bozzetti sono stati
esposti al Teatro delle Erbe di Milano.
Nel 2004 e nel 2005 ha lavora alla Jato, azienda di ricami per l’alta moda, di San Lazzaro
di Savena.
Nel 2006 progetta e realizza a Udine i costumi per lo spettacolo “Il segreto della tredicesima luna” con la regia di Renato Stroili Gurisatti e nell’autunno dello stesso anno lavora
come assistente costumista presso lo “Stadttheather Klagenfurt” lavorando all’allestimento dell’opera “Elisir d’Amore” di Gaetano Donizetti con la regia di Valentina Simeonova.
Dal 2005 vive e realizza progetti in Austria, ma continua ad intrattiene proficui rapporti di
lavoro con diverse realtà culturali e creative del Friuli Venezia Giulia, collaborando fra l’altro con alcuni atelier friulani per i quali ha ideato più linee di accessori per l’abbigliamento.
MICHELE UGO GALLIUSSI
Nato a Udine nel 1963 ove vive e lavora.
Divide il proprio tempo tra l’insegnamento delle letteratura e della storia (presso scuole superiori della provincia di Udine) e le attività pittoriche e grafiche, da anni rivolte anche all’ideazione ed alla realizzazione di scenografie teatrali.
Dalle sue prime sperimentazioni scenografiche per le “via crucis” rappresentate sul sagrato del Duomo di Udine nel 1981 e 1982, si passa al
suo ripetuto intervento per le sacre rappresentazioni del venerdì santo
di Ciconicco di Fagagna (1987-1992; 1999-2000; 2006) e per le manifestazioni epifaniche di Tarcento (1993-2005).
Nel 1987 realizza le scene per la commedia in friulano “Il quilibrio”, di Alviero Negro, rappresentata al Palamostre di Udine.
Nel 1994 progetta l’allestimento cittadino di Udine in occasione del “Palio di S.Giorgio”,
dipingendo pure l’omonimo stendardo (ora conservato presso la chiesa del Carmine).
La collaborazione con il M° Alfredo Barchi ha origine con le scene dipinte del “Don
Pasquale” di Donizetti, messa in scena a Udine, in Piazza Matteotti, nel 1995.
Nel 1996, invece, realizza scene per i “Diari delle identità- testi di giovani friulani, giuliani, sloveni, istriani nel mondo”, opera presentata al Mittelfest di Cividale del Friuli.
Per quanto concerne l’allestimento della “Cavalleria Rusticana” di Mascagni (estate 2006),
Galliussi ha inteso rappresentare - nel rispetto dell’analisi verista, e per la precisione verghiana - una piazzetta dell’entroterra catanese (così come potenzialmente poteva apparire
allo scadere del XIX secolo); anche per quanto riguarda “L’Elisir d’amore” è rimasto fede-
le al libretto d’opera, in quanto le scene riproducono un piccolo centro rustico dei Paesi
Baschi del XVIII secolo.
Per la preparazione dei supporti si è avvalso della collaborazione delle cooperative “La
Ragnatela” di Majano ed “Hattiva” di Colugna.
HATTIVA
È una Cooperativa nata nel 1997 per volontà di un gruppo di famiglie coinvolte nelle problematiche dell’handicap. La Cooperativa si occupa dell’inserimento lavorativo di persone con disabilità psico-fisica, svantaggio sociale e della promozione di attività socio-educative e riabilitative.
Hattiva inoltre è nata per fornire servizi e prodotti nell’ambito della grafica pubblicitaria
e, negli anni, ha sviluppato anche una serie di servizi di assemblaggio e confezionamento
in cui opera un cospicuo numero di persone con disabilità.
Nel tempo i due settori sono stati aggiornati con attrezzature all’avanguardia e potenziati
con personale altamente qualificato attraverso cui possiamo attualmente rispondere alle
più svariate necessità progettuali e realizzative in ambito grafico e numerose esigenze di
confezionamenti e assemblaggi.
Hattiva non è solo produzione. L’obiettivo con cui è nata la cooperativa è quello di dare
una risposta variegata e il più possibile completa alla disabilità adulta, occupandosi di
molti aspetti della vita dei soci svantaggiati e non solo, dunque di quello lavorativo. In
questa prospettiva sono stati sviluppati numerosi progetti di formazione e sostegno.
RAGNATELA
La cooperativa Ragnatela è nata nel 2000 su iniziativa dell’Associazione Nostro Domani
Pontello Valentino ONLUS, è costituita da famiglie di ragazzi disabili del territorio della
Comunità Collinare del FVG. Si tratta di una cooperativa di tipo B che si propone come
obiettivo l’integrazione e la crescita dell’autonomia dei disabili attraverso l’inserimento
lavorativo in un ambiente protetto.
Nell’ambito della cooperativa prestano la loro attività persone qualificate, tecnicamente
preparate, che garantiscono la realizzazione di prodotti competitivi per qualità e convenienza.
La prima attività lavorativa è sorta a S. Daniele del Friuli con l’apertura di un laboratorio
tessile.
Nell’anno 2002 l’attività si è amplificata con l’apertura di un laboratorio di legno a Majano.
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