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LA LEZIONE
LE LETTERATURE ROMANZE
L’uso scritto del volgare
Il passaggio assai significativo
dall’uso parlato all’uso scritto
del volgare procede in due
direzioni diverse e successive
una all’altra; dapprima il volgare
viene utilizzato per testi con una
finalità pratica (testamenti, libri
contabili…),
successivamente
assurge
alla
‘dignità’
della
finalità
letteraria.
Questo
impone in primo luogo la
necessità
di
selezionare
il
lessico, scegliendo solo termini
se non solenni comunque lontani
da ambiti semantici popolari,
quotidiani o volgari; quindi, il
bisogno di fissare la lingua in
una regola, per sottrarre il
volgare alla flessibilità tipica di
tutti gli idiomi orali. Si trattò,
com’è evidente, di un’operazione culturale e linguistica complessa, portata avanti,
ovviamente, da uomini di vasta cultura, da intellettuali padroni tanto del latino quanto
del volgare, capaci di costruire morfo-sintatticamente la nuova lingua letteraria e di
selezionarne un lessico.
La tradizione provenzale
La prima lingua a essere sperimentata nella produzione poetica fu il volgare della
Francia meridionale, il provenzale (chiamato anche lingua d’oc) presente nelle
corti e utilizzato dai cosiddetti “trovatori” (da trobar = comporre) per la
composizione in versi e in prosa, tra la fine dell’XI e la fine del XIII secolo. In questa
fase, i testi poetici erano accompagnati dalla musica (composta anch’essa dai
medesimi poeti di corte), suonata di solito su strumenti a corda. Il tema centrale è
l’amor cortese (perché, appunto, nato nella corte), o fin’amor, inteso come forma
di elevazione spirituale del poeta che, attraverso l’esperienza totalizzante di
questo sentimento nei confronti di una donna spesso ignara, talvolta inesistente,
sempre idealizzata, innalza il suo spirito. Nei confronti della donna amata, spesso
nominata tramite un senhal, uno pseudonimo volto a tutelarne l’onore, il
poeta/cantore ha un atteggiamento reverenziale, di adorazione discreta, di lode
smisurata, di amore silenzioso, di “servitù d’amore”, insomma. Pare qui opportuno
ricordare che la cultura cortigiana è basata sulla cavalleria, che soggiace a un codice
rigido e a una ritualità a sfondo religioso; pertanto il patto di devozione che lega il
poeta alla donna amata è completamente assimilabile al patto d’onore che lega il
cavaliere al suo signore. Parimenti, il poeta si aspetta una ricompensa al suo
amorevole servizio: lo sguardo della domina, della signora del suo cuore.
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Accanto alla produzione amorosa, sono presenti anche altri temi: quello politico,
quello militare (spesso il cavaliere e l’amante sono la stessa persona), quello morale,
basato sui valori della devozione religiosa nei confronti del signore.
Gli autori più significativi della tradizione provenzale, ai quali peraltro si ispireranno i
poeti siciliani della corte di Federico II, sono Guglielmo IX d’Aquitania (signore
feudale dell’XI secolo, amante dell’arte, della guerra e della letteratura, autore di
alcuni componimenti lirici), Jaufré Rudel (inventore del cosiddetto “amore lontano”,
un sentimento che nasce anche in assenza della donna amata) e Bernart de
Ventadorn.
La forma metrica più usata è la canzone, caratterizzata da un complesso schema, in
parte ripreso successivamente nella produzione di Petrarca. Dal punto di vista
stilistico, la produzione dei trovatori prende essenzialmente due strade: quella del
trobar clus (comporre chiuso, difficile, complesso) e quella del trobar leu (comporre
leggero, giocoso, facile).
La produzione in lingua d’oil
Nel periodo immediatamente successivo, nel nord della Francia, in un volgare
diverso, la cosiddetta lingua d’oil, si diffondono altri tipi di componimenti, che
consistono soprattutto in canzoni di gesta e romanzi cavallereschi. Hanno come
oggetto essenzialmente le avventure dei cavalieri, impegnati nella difesa del loro
signore e della fede cristiana. Tra tutti, il testo in assoluto più famoso è la
Chanson de Roland, del XII secolo; si tratta di un lungo componimento in 291 lasse
(strofe) per un totale di 4004 decasillabi, privi di un vero e proprio sistema di rime,
ma ricchi di assonanze. Come con l’epica classica, anche in questo tipo di opere si
presume l’esistenza di una tradizione orale popolare, poi assemblata da un autore, in
questo caso Turoldo, che sistematizza ciò che la tradizione tramandava in modi e
forme diversi già da tempo. Le gesta di Orlando, paladino di Carlo Magno, e
soprattutto la sua morte eroica rimangono ancora oggi come uno dei momenti più alti
della letteratura medioevale francese; l’argomento sarà ripreso, con molte variazioni
di genere e temi, dalla letteratura rinascimentale italiana delle corti dell’Italia centrosettentrionale. Le canzoni di gesta formano il cosiddetto ciclo carolingio, a fianco al
quale si pone il ciclo bretone, che ha come oggetto essenzialmente le gesta
avventurose, magiche e amorose di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda.
Questa tradizione deriva da un’opera storica, l’Historia regum Britanniae (1136), del
chierico gallese Goffredo di Monmouth, una ventina di anni dopo tradotta in volgare
francese. Anche a questo genere attingerà la letteratura rinascimentale italiana,
soprattutto con autori come Boiardo, Ariosto e Tasso, alcuni dei quali giungeranno alla
mescolanza dei due cicli, innovando sensibilmente l’antica tradizione francese.
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