Filosofia e Arte

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Filosofia e Arte. Tornare ad Aristotele
1. Leggendo il titolo del convegno, Filosofia e Arte, mi è subito venuto in mente il nome di
Aristotele, perché comunemente ritenuto il primo filosofo che ha saputo collegare queste due
attività umane, distinguendole previamente con chiarezza e preservando la loro reciproca
autonomia. Filosofia e Arte, non filosofia o arte, e tutte e due con la dignità che la maiuscola
vuole attribuirvi.
La Poetica di Aristotele non è, infatti, un’estetica in senso moderno, una teoria
speculativa dell’Arte, ma più semplicemente una filosofia della poesia, un’analisi filosofica
mirante a conoscere cosa sia “l’arte poetica in sé”1. Aristotele non sembra interessato a
costruire una propria proposta su ciò che dovrebbe essere la poesia e, più in generale, l’arte,
ma a indagare su un fenomeno presente nella propria tradizione culturale e dotato di connotati
specifici, al punto di distinguerlo da qualsiasi altro prodotto culturale, senza possibilità di
confonderlo con nessuno di essi: “C’è differenza (…) fra un’arte qualsiasi e la poesia”2.
Aristotele preserva dunque l’autonomia propria della poesia, evitando che sia confusa con le
altre arti e anche con il sapere filosofico. “La grande conquista del pensiero aristotelico –
scrive Carlo Gallavotti – consiste (…) nell’avere scoperto l’autonomia della poesia,
superando una concezione profondamente radicata nella coscienza greca: nell’intero mondo
della grecità arcaica ogni manifestazione umana è subordinata alla vita della polis, alla
comunione della società, per cui da Esiodo a Senofane e ai sofisti fino a Platone si considera
la poesia in rapporto alla società e si chiede al poeta di dire il vero o l’utile, o di educare ai
buoni sentimenti e ai nobili ideali. Tutto ciò, dice Aristotele, è estraneo all’essenza della
poesia”3.
Ciò che a parere di Aristotele tutti ritengono la dimensione specifica della poesia, è la
sua condizione di letteratura mimetica, vale a dire testi scritti con l’oggetto di imitare: “il
nome di poeta spetta a chiunque riesce a produrre la mimesi”4. A differenza di altri testi
scritti, in verso o in prosa, quelli del poeta non pretendono di descrivere le cose così come
sono o come sono accadute, non sono né testi scientifici né racconti storici, ma di produrre
mimesi, raccontare “fatti che possono avvenire e fatti che sono possibili nell’ambito del
verosimile o del necessario”5. Il poeta, a differenza del filosofo e dello scienziato, non si
1
Poetica 1, 1447 a 8.
Poetica 25, 1460 b 14-15.
3
Aristotele, Dell’arte poetica, a cura di C. Gallavotti, A. Mondadori, Milano 19999, Introduzione xviii.
4
Poetica 1, 1447 b 21.
5
Poetica 9, 1451 a 38-39.
2
1
riferisce a ciò che è e che dovrebbe essere spiegato, ma a ciò che è plausibile. Non è il poeta il
più filosofico degli scrittori, perché i suoi lavori non hanno come oggetto né la verità né il
bene, e non dovrebbero di conseguenza essere giudicati sulla base di tali criteri6.
Aristotele cerca, dunque, nella Poetica di dare ragione, in quanto filosofo, del
fenomeno artistico, spiegare – si direbbe oggi – cosa è e come funziona ciò che gli uomini
chiamano poesia: “le sue forme, quale capacità possiede in virtù di ciascuna, e in che modo
essa deve costruirsi i racconti se vuole che l’opera di poesia riesca bene, e ancora di quanti
elementi è costituita”7. Aristotele tenta di capire cosa sia la poesia, più specificamente la
tragedia, fino a individuare la sua essenza – ne propone infatti la definizione8 -, ma partendo
sempre dai fatti, dall’opinione comune e dall’esperienza estetica, propria e altrui.
È chiaro che la Poetica presenta un contenuto altamente propositivo, prescrittivo.
Aristotele non si limita nel suo trattato a descrivere ciò che era stata e tuttora era la poesia
greca, ma avanza anche tante concrete prescrizioni, affinché “l’opera di poesia riesca bene” 9.
Aristotele sa bene però che, nell’ambito del sapere poietico, le regole e le prescrizioni non
bastano a garantire la riuscita del prodotto; sarà sempre compito del retore o del poeta
dimostrare la propria capacità tecnica e creativa, retorica o poetica, e soltanto a lavoro
compiuto si potrà giudicare sulla riuscita delle proprie composizioni e, dunque, del suo
effettivo sapere poietico. Ciò che è però importante notare, è che le prescrizioni della Poetica
non possono essere slegate dalle sue descrizioni, dalle analisi precedenti; i criteri in base ai
quali misurare la validità o meno di una determinata opera d’arte, devono essere criteri
artistici, tratti dunque dalle stesse creazioni poetiche10. Compito del filosofo nella sua
riflessione sull’arte è appunto chiarificarli, portarli alla luce. Non è la dimensione veritativa o
morale di una tragedia a determinare la sua riuscita artistica, ma il risultato, il piacere
specifico, la catarsi, che, attraverso la mimesi, è in grado di produrre negli spettatori11.
2. Come altri trattati di Aristotele, la Poetica contiene una chiara risposta alle tesi platoniche.
Sono ben note le differenti posizioni intorno all’arte dei due filosofi, e sono molti i punti in
cui le loro proposte appaiono contrapposte. Senza pretese di completezza, e in modo sintetico,
si potrebbero ricordare quelle che sembrano più evidenti, a cominciare dalla stessa decisione
6
Cfr. N. Gulley, Aristotle on the Purposes of Literature, in Articles on Aristotle, v. 4, Psychology & Aesthetics,
ed. by J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji, Duckworth, London 1979, pp. 166-176.
7
Poetica 1, 1447 a 8-11.
8
Cfr. Poetica 6, 1449 b 24-28.
9
Poetica 1, 1447 a 10.
10
In questi passi possono trovarsi, a modo di esempio, giudizi valutativi sull’arte in base a criteri artistici:
Poetica, 9, 1452 a 10-11; 13, 1453 a 24-25; 1453 a 34-39; 18, 1456 a 5-8; 1456 a 20-22; 26, 1461 b 26-32.
2
aristotelica di scrivere un trattato su un’attività alla quale Platone negava la dignità dell’arte12.
Per Platone, infatti, tanto la poesia come la retorica, restavano fuori dell’ambito del sapere e,
dunque, della techne. La poesia, proprio per la sua condizione di mimesi, era ritenuta da
Platone – alla stregua della retorica -, “una pratica priva di arte”13, un’abilità14, perché
incapace di rendere ragione di ciò che imita15. L’arte mimetica, questo il principale capo di
accusa del libro X della Repubblica, è lontana dal vero16. Tale mancanza di conoscenza rende
il lavoro degli artisti attività irrazionale, alogos pragma17, poco seria, non molto differente dal
gioco, di modesta portata18, senza regole né principi, attività “che tendono al piacere e questo
solo producono, ignorando il meglio e il peggio”19.
Aristotele sembra quasi voler rispondere nella Poetica alla sfida platonica del Gorgia e
della Repubblica, e indagare la natura e la causa del piacere estetico, affinché la poesia possa
acquisire la dimensione e la dignità dell’arte20; difenderla dalle accuse21, come lo stesso
Platone si augura, e addurre le ragioni a suo favore allo scopo di ottenere “diritto di
cittadinanza in uno stato ben organizzato”22. Aristotele, infatti, capovolge le affermazioni
platoniche stabilendo la peculiare razionalità dell’arte mimetica, così come la specificità del
piacere che le sue opere destano.
Rilevare la razionalità dell’opera d’arte non significa però annullare la capacità
creativa del suo autore; la creatività in se stessa non è razionalizzabile, e Aristotele non si
azzarda nel suo trattato a soffocarla sottomettendola a rigide regole. Anzi, segnalando il
verosimile come oggetto proprio dell’imitazione poetica, apre all’artista un campo creativo
che lui ritiene sconfinato. Ciò che Aristotele fa notare è che l’artista, nella sua libertà creativa,
non può dimenticare di rivolgersi con le sue opere ad uomini, ad essere razionali. Perciò, se
scopo dell’arte mimetica, e in questo Aristotele concorda con Platone, è il successo, il
gradimento del pubblico, non potrà mai prescindere nelle sue opere della dimensione logica.
L’opera d’arte appare ad Aristotele, contrariamente a quanto affermava Platone, un prodotto
11
Cfr. Poetica 6, 1449 b 27.
Sulla critica di Platone all’arte, cfr. I. Murdoch, The Fire and the Sun. Why Plato banished the artists, Chatto
and Windus Ltd., London 1977 e C. Janaway, Images of Excellence. Plato's Critique of the Arts, Clarendon
Press, Oxford 1995.
13
Fedro 260 e.
14
Cfr. Sofista 234 b; Gorgia 462 b.
15
Cfr. Gorgia 465 a; Ione 538 a-542 b.
16
Cfr. Repubblica X 598 b; 601 a-b; 602 a; 603 a.
17
Cfr. Gorgia 465 a.
18
Cfr. Repubblica X 602 b; Sofista 235 a; Politico 288 c.
19
Gorgia 500 a; cfr. Gorgia 502 b.
20
Gorgia 501 a-e.
21
Cfr. Repubblica X 607 b-d; 608 a.
22
Repubblica X 607 c.
12
3
talmente razionale, che dovrebbe escludere, come la tragedia, ogni resto di illogicità23. La
razionalità dell’arte, non è però così lineare come pretese Platone, essendo in grado di
accogliere ogni invenzione del poeta, anche quelle che presentano fatti realmente impossibili
e inverosimili; la bravura dell’artista, la sua arte, si dimostra proprio in tali circostanze,
rendendo i suoi prodotti comunque credibili: “in rapporto alla poesia, infatti, è preferibile un
impossibile che sia credibile piuttosto che l’incredibile”24. Soltanto così potrà il poeta ottenere
il favore del pubblico, destare il suo piacere.
Non nega Aristotele che sia questo lo scopo dell’arte, sì invece che tale scopo sia,
come riteneva Platone, negativo, deleterio25. Il piacere estetico non nuoce alla vita umana;
anche se si tratta di un piacere che coinvolge, oltre la ragione, le dimensioni emotive
dell’uomo, quelle che Platone riteneva le parti meno nobili dell’animo umano26, porta sempre
con sé una dimensione conoscitiva. Il piacere estetico è per Aristotele catartico, in grado cioè
di purificare, anche conoscitivamente, lo spettatore. La tragedia, l’arte, procura piacere
attraverso il riconoscimento; riconoscimento per mezzo dell’emozione, nel caso della
tragedia, della vulnerabilità della propria esistenza, in balia di eventi mai del tutto prevedibili
e mai pienamente dominabili dalla ragione, così come il riconoscimento della propria tempra
morale, attraverso la reazione emotiva davanti alle più imprevedibili situazioni che
verosimilmente potrebbero presentarsi nella vita27. I fatti, e meno ancora quelli che dipendono
dalla libertà dell’uomo, non sono mai pienamente controllabili, come vorrebbe Platone,
dall’intelligenza. La retta opinione, la conoscenza teorica della verità, non bastano né per
sopprimere la contingenza, gli eventi fortuiti, né per eliminare dal proprio agire l’incidenza
della dimensione emotiva e passionale dell’io. E sono questi aspetti del reale e della vita, che
Platone fatica ad ammettere, ciò che la tragedia, e più in genere la poesia, fa presente.
3. Alla base di tutte queste ed altre divergenze in torno all’arte, se ne trova una più radicale
che in qualche modo le implica, ed è la diversa prospettiva dalla quale Platone e Aristotele si
confrontano con la poesia. Se Aristotele cerca di preservare, come si è detto, l’autonomia
dell’arte, è in buona misura dovuto alla negazione di ciò da parte di Platone. La prospettiva
23
Cfr. Poetica 15, 1454 b 5-6: “nulla di irrazionale ci deve essere nella vicenda; a[logon deŸ mhdeŸn
ei\nai ejn toi`" pravgmasin”; 24, 1460 a 29: “anzitutto non ci dovrebbe essere nulla di illogico;
ajllaŸ mavlista meŸn mhdeŸn e[cein a[[logon”.
24
Poetica 25, 1461 b 11-12; cfr. 24, 1460 a 27: “ è verosimile, in realtà, che qualche cosa accada anche contro il
verosimile”.
25
Cfr. Repubblica III 395 c; X 605 b-c.
26
Cfr. Repubblica X 606 a.
27
Cfr. M. Nussbaum, La fragilità del bene, Intermezzo 2: La fortuna e le emozioni tragiche, il Mulino, Bologna
1996, pp. 679-707.
4
platonica, secondo Aristotele, in questo come in altri campi, non riesce a dare ragione dei
fenomeni, impedisce di riconoscere la peculiarità della poesia e del piacere che suscita, rifiuta
di accogliere la testimonianza dell’opinione comune e della propria esperienza. Dopo Platone,
la poesia aveva bisogno di Aristotele.
Platone, a differenza di Aristotele, non elabora una filosofia della poesia, ma una
teoria dell’arte, un’estetica, diremmo oggi, che attribuisce all’arte una funzione teorica e
morale che, a suo parere, la tradizione poetica greca non era in grado di assolvere, o lo faceva
soltanto in minima parte. L’ideale artistico di Platone era misurato dalla verità e dal bene. Ciò
che Platone esige dalla poesia non è tanto la sua perfezione artistica, la sua capacità
persuasiva e coinvolgente, ma che sia “assolutamente vera”28, veicolo di verità e, perciò,
strumento di perfezionamento morale dell’individuo e della polis29.
La vera poesia dovrebbe avere come punto di riferimento, come modello da imitare, la
verità trascendente. La poesia nel suo senso più pieno è quella realizzata dal Demiurgo,
tenendo lo sguardo fisso nelle realtà per noi invisibili30, l’iperuranio, il luogo sopraceleste che
“nessuno dei poeti di quaggiù cantò mai, né mai canterà in modo degno”31. L’arte realizza il
suo ideale soltanto nella misura in cui fa visibile l’invisibile realtà trascendente, nascosta agli
occhi dei più, e soltanto intravista dai filosofi. L’arte vera confluisce con la filosofia, fino a
identificarsi con essa. Il vecchio conflitto tra filosofia e poesia, malgrado il fascino della
poesia, deve risolversi a favore della filosofia, perché “non è lecito tradire ciò che risulta
essere vero”32. In definitiva i filosofi sono i veri artisti, coloro che sono in grado di afferrare –
come racconta il mito del Fedro – “l’essere che realmente è, senza colore, privo di figura e
non visibile, e che può essere contemplato solo dalla guida dell’anima, ossia dall’intelletto, e
intorno a cui verte la conoscenza vera”33.
Da tale posizione, dalla funzione teorica e pedagogica, veritativa e morale assegnata
all’arte, Platone giudica l’arte prodotta dalla propria tradizione culturale. È infatti al filosofo
che spetta il giudizio e il controllo sull’arte mimetica34, è lui che deve stabilire, tenendo conto
di criteri extra estetici, la sua utilità: “noi riteniamo che ogni forma di imitazione non potrà
essere minimamente giudicata sulla base del piacere e dell’opinione non veritiera, ma dovrà
28
Repubblica X 608 a.
“… cioè che la virtù sta nel soddisfare solamente quei desideri che rendono l’uomo migliore e nel realizzare
questi soli e non quelli che rendono l’uomo peggiore, e che questa sola è arte” (Gorgia 503 c-d).
30
Cfr. Timeo 29 a; 47 c-e; Repubblica X 596 b-c.
31
Fedro 247 c.
32
Repubblica X 607 c; cfr. Repubblica VI 476 b-c; 484 c.
33
Fedro 247 c; cfr. Fedro 278 c-d; Repubblica VI 484 c-d; 500 e-501 b.
34
Cfr. Repubblica III 389 b.
29
5
esserlo soprattutto sul criterio della verità e solo della verità”35. Non nega Platone l’indubbia
bravura di alcuni artisti, né la forza espressiva di tanti testi poetici, ma l’ideale filosofico esige
far tacere la loro voce, perché “quanto più poetici tanto meno sono adatti all’ascolto dei
bambini e pure degli uomini”36; la verità e il bene impongono di non dare ascolto né alla
pubblica opinione né alla propria sensibilità estetica.
Mentre Aristotele mostra sempre un gran rispetto verso la tradizione letteraria della
propria cultura, Platone, senza nascondere la sua ammirazione verso i grandi poeti greci, in
particolar modo verso Omero, spesso non è tenero nei loro confronti37. All’idealizzazione
dell’arte consegue, infatti, l’idealizzazione degli artisti. La loro abilità imitativa, la loro forza
coinvolgente, così come la loro incapacità di rendere ragione di ciò che dicono, sono spiegate
da Platone servendosi dell’ispirazione, dell’invasamento divino, dell’entusiasmo38. L’artista
mimetico, anche quelli ritenuti più grandi, non occupano però il primo posto tra gli amici
delle Muse; il vero loro amico è il filosofo, che ha colto la verità in maggior misura, l’anima
che è riuscita – secondo il mito del Fedro - a vedere “il maggior numero di esseri”39; i veri
invasati sono pochi, “e costoro, io penso – afferma Socrate nel Fedone – non sono se non
coloro che praticano rettamente la filosofia”40.
La vera arte, la vera tragedia, è la vita filosofica41, incarnata da Socrate e raccontata da
Platone nei suoi dialoghi. Vera arte, e non mancano riferimenti nei suoi scritti, è quella da lui
adoperata nei suoi scritti, rivolti all’intelligenza, non al piacere42; per Platone la vera poesia,
infatti, deve parlare alla ragione, non al cuore e ai sentimenti. Tra le diverse forme artistiche
Platone sembra prediligere quella narrativa più che quella imitativa43, perché più capace di
parlare all’intelligenza. Sembrerebbe che Platone pretese di soppiantare la tragedia come
fonte d’insegnamento morale, con i suoi propri scritti – “poeti siete voi e poeti siamo noi”44 -,
rendendo credibile la sua teoria estetica attraverso la sua arte, i cui discorsi appaiono spesso,
come lui stesso dichiara, “affatto privi di una divina ispirazione (…), con un andamento per
nulla diverso da quello di una composizione poetica”45. Sebbene nei suoi dialoghi Platone
sembra intenzionato ad esprimere non tanto la realtà sensibile, quanto l’essere e la verità, le
35
Leggi II 667 e; cfr. Leggi II 669 a; Repubblica III 386 a-392 c; 396 c-e; 398 a-b; 399 e.
Repubblica III 387 b.
37
Cfr. Repubblica X 595 b; 607 a; Fedro 269 a; Ione 530 b.
38
Cfr. Fedro 244 a; 245 a; 249 c-d; Ione 533 d-535 a; Timeo 72 a.
39
Fedro 248 d.
40
Fedone 69 d.
41
Cfr. Leggi VII 817 b.
42
Cfr. Repubblica III 398 b; Leggi VII 817 b; XII 957 d.
43
Cfr. Repubblica III 396 e.
44
Leggi VII 817 b.
45
Leggi VII 811 c.
36
6
Idee e il Bene, “il chiaro, il preciso e l’assolutamente vero”46, lo stesso Aristotele non tralascia
di far notare, forse con un pizzico di ironia, come anche i Dialogi socratici non sfuggono,
malgrado le critiche platoniche, alla condizione di poesia mimetica47.
4. Questa breve sintesi del pensiero estetico di Platone, ci permette di tentare il suo
accostamento alle moderne teorie estetiche. Per teorie estetiche moderne intendo quelle nate
dopo Kant, propugnate dagli autori romantici tedeschi fino a Heidegger; quelle teorie che,
malgrado le loro divergenze, sembrano collegate da un unico filo rosso il cui inizio credo
possa trovarsi in Platone. Ciò che, a mio parere, unisce Platone a tali teorie estetiche è la loro
idealizzazione dell’arte, la loro pretesa di determinare l’essenza stessa dell’arte a partire non
dai valori estetici, presenti cioè nell’arte, come cercò di fare Aristotele nella Poetica, ma in
base alla funzione teorica che all’arte viene attribuita. Penso che sia questa comune
prospettiva il motivo che spiega alcune coincidenze tra teorie estetiche per altri motivi molto
diverse.
Dopo Kant non sarà più possibile accostare la verità al bene, né attribuire all’arte il
compito morale che Platone le assegnava. Dopo Kant, anche se pure per lui la bellezza non
manca di un profondo significato morale, la funzione che le teorie estetiche romantiche, e le
successive estetiche di Schelling, di Hegel, di Schopenhauer, di Nietzsche e di Heidegger,
hanno assegnato all’arte è prevalentemente ontologica. Compito dell’arte è quello di dare a
conoscere il fondo ultimo del reale, così come di volta in volta viene inteso dai filosofi. Non è
possibile soffermarsi sull’esposizione delle teorie estetiche di ognuno degli autori
summenzionati, ma può essere sufficiente trarre alla memoria alcune loro affermazioni 48. Se
per Platone l’arte vera doveva essere espressione della verità, delle Idee, per gli autori
romantici il compito della poesia è far visibile il fondo infinito della realtà 49, che
nell’idealismo di Schelling50 e di Hegel51 diventa l’assoluto, l’Idea. Schopenhauer,
46
Filebo 58 c.
Poetica 1, 1447 b 10-13.
48
Cfr. J.-M. Schaeffer, L’arte dell’età moderna, in particolare il capitolo II: La nascita della teoria speculativa
dell’Arte, il Mulino, Bologna1996, pp. 111-227.
49
Cfr. ad esempio F. Schlegel, Idee, 13, in Frammenti critici e scritti di Estetica, Sansoni, Firenze 1937, p. 134:
“Artista può essere solo chi ha una sua religione, una intuizione originale dell’infinito”.
50
F.W.J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, Laterza, Bari 19653, Sezione sesta, § 3 Corollario, p.
298-299: “Tutta la filosofia muove e deve muovere da un principio, che, come l’assolutamente Identico, è
semplicemente non obbiettivo. Ora in che modo questo assoluto Non-obbiettivo ha pur da esser richiamato alla
coscienza ed inteso, il che è necessario come condizione per intendere tutta la filosofia (…) Quest’obbiettività
della intuizione intellettuale, generalmente riconosciuta, e siffatta da non potersi in alcun modo negare, è l’arte
stessa. (…) Soltanto l’opera d’arte mi riflette ciò che da null’altro si può riflettere, quell’assoluto Identico, che si
è già separato nell’Io”.
47
7
interpretando a modo suo il pensiero di Platone, vede l’arte come rappresentazione delle “idee
che sono l’immediata e adeguata oggettività della cosa in sé, della volontà (…) l’essenziale e
il permanente in tutti i fenomeni del mondo”52; e anche Nietzsche ritiene l’arte, quella
dionisiaca, l’espressione della “volontà nella sua onnipotenza per così dire dietro il
principium individuationis, la vita eterna al di là di ogni apparenza e nonostante ogni
annientamento”53. Non molto diversa è la prospettiva di Heidegger, per il quale l’arte “rientra
nell’evento (Ereignis) in base a cui si determina originariamente il ‘senso dell’essere’ (cfr.
Sein und Zeit)”54.
A prima vista, l’accostamento di Platone alle moderne teorie estetiche potrebbe
sembrare poco più di una forzatura. Tralasciando le dichiarazioni di simpatia verso Platone,
dei filosofi romantici55 e di Schopenhauer56, o di dichiarata avversione, come in Nietzsche57, a
nessuno sfugge il diverso ruolo che l’uno e gli altri attribuiscono all’arte. Se Platone decreta il
bando degli artisti dalla città, le teorie estetiche moderne tengono gli artisti in grande conto.
Non sono più gli artisti a dovere inseguire i filosofi per rendere vera la loro arte, ma al
contrario sono adesso i filosofi a dover imparare dagli artisti affinché il loro pensiero si renda
credibile. Ma non sono necessarie molte argomentazioni per rendersi conto della concordanza
di fondo, perché in ogni caso il conflitto tra filosofia e arte, malgrado alcuni tentennamenti, si
risolve sempre nel modo già segnalato da Platone, vale a dire a favore della filosofia. E questo
perché in ogni caso, in Platone e nelle teorie speculative moderne dell’arte, prevale non l’arte
degli artisti, ma l’arte idealizzata dai filosofi. È sempre e comunque il pensiero filosofico a
dettare legge all’arte, a determinare la sua essenza in base alla funzione teorica che all’arte
viene assegnata. Anche nel caso dei romantici o di Nietzsche - “l’arte ha più valore che la
verità”58 – il prevalere dell’arte è deciso dalla filosofia.
Idealizzata l’arte, determinata la sua funzione ontologica, l’arte degli artisti e l’intera
tradizione artistica viene giudicata e sottomessa dalla filosofia in modo non molto diverso da
51
G.W.F. Hegel, Lezioni di estetica. Traduzione e Introduzione di Paolo D’Angelo, Laterza, Roma-Bari 2000,
pp. 301-302: “L’arte, nella sua serietà, è per noi qualcosa di passato. Per noi altre forme sono necessarie allo
scopo di renderci oggetto il divino. Noi abbiamo bisogno del pensiero. L’arte tuttavia è una guisa essenziale
della presentazione del divino, e noi abbiamo il dovere di capire questa forma”.
52
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro III, § 36, v. 2, Laterza, Bari 1989, p. 256.
53
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1977, § 16, p. 110.
54
M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 68.
55
Cfr. ad esempio F. Schlegel, Idee, 27, in Frammenti critici e scritti di Estetica, cit., p. 136: “La filosofia di
Platone è una degna prefazione alla religione avvenire”.
56
Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., Proemio alla prima edizione, p. 7;
Parerga e paralipomena, t. I, Adelphi, Milano 1981, p. 77: “Lo studio di Aristotele non è quindi al giorno d’oggi
molto proficuo, mentre quello di Platone lo rimane ancora in altissimo grado”.
57
Platone è ritenuto, in quanto discepolo di Socrate, rappresentante tipico dell’uomo teoretico e avversario per
ciò della concezione tragica del mondo; cfr. La nascita della tragedia, cit., §§ 15-16.
8
come fece Platone nei suoi dialoghi. L’ideale artistico, l’essenza dell’arte, si costituisce come
fine al quale l’arte, in ogni sua forma e nella sua storia, deve tendere. Non è perciò un caso se,
a partire da Schlegel, l’arte è pensata più come un compito da realizzare che come un
fenomeno da apprezzare e da studiare; “la poesia romantica è ancora in divenire; anzi, questa
è la sua vera essenza: che può soltanto divenire, mai essere”59. E non è un caso, con buona
pace dell’Estetica hegeliana, l’indirizzo avanguardista dell’arte dei due ultimi secoli 60. Anche
se manca in Platone l’intreccio tra ideale artistico e storia, la determinazione teorica
dell’ideale artistico permetterà alle posteriori estetiche moderne, da Schlegel a Heidegger, di
proporre per l’arte un paradigma storicistico; “la scienza dell’arte, afferma F. Schlegel, è la
sua storia”61.
Ciò che sì presentano invece i dialoghi platonici è una diversa valutazione delle
singole forme artistiche: pittura, musica, danza e poesia62. Non ogni forma d’arte, e nemmeno
ogni artista, è in grado di realizzare allo stesso modo l’ideale estetico, e non ogni opera
ritenuta dai più artistica sarà arte vera; parafrasando Platone, sono pochi gli artisti di quaggiù
che hanno saputo esprimere la verità. Tenendo conto più dell’arte da lui prodotta che delle sue
affermazioni63, e malgrado la sua critica alla scrittura, Platone sembrerebbe prediligere il
genere letterario dei dialoghi come la forma d’arte che si adatta meglio al proprio ideale
estetico. E in modo non molto diverso, anche le estetiche moderne attribuiscono il proprio
favore ad una forma artistica più che alle altre. Se per Schopenhauer e Nietzsche è la musica
la vera espressione dell’arte64, il resto delle teorie estetiche moderne, non esclusa quella
hegeliana, sembrano attribuire particolare importanza, per motivi diversi, alla letteratura, alla
poesia. La poesia è per i romantici l’arte per eccellenza65, e anche per Hegel, dal punto di
58
F. Nietzsche, Der Wille zur Macht, III, “L’arte nell’Origine della tragedia”, fr. 853, iv.
F. Schlegel, Frammenti dell’Athenaeum, 97 (116), in Frammenti critici e scritti di Estetica, cit., p. 65.
60
Cfr. J.-M. Schaeffer, L’arte dell’età moderna, cit., pp. 455 ss.
61
F. Schlegel, Dialogo sulla poesia, in Frammenti critici e scritti di Estetica, cit., p. 168.
62
Cfr. ad esempio, Repubblica III 398 b-403 c; X 601 c-603 b; Leggi II 653 d-654 d; 658 e-673 d; VII 790 b-791
d; 798 d-800 b; 801 e-802 e; 810 c-817 a; Gorgia 501 e-502 a.
63
Cfr. Repubblica III 396 e.
64
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., v. 2, libro III, § 52: “La musica non è
quindi punto, come l’altre arti, l’immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa, dalle quale sono
oggettività anche le idee. Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quel delle altre arti:
imperocché queste ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l’essenza”; F. Nietzsche, La nascita della
tragedia, cit., § 16, pp. 105-106: “Questa enorme antitesi, che si apre come un abisso fra l’arte plastica in quanto
apollinea e la musica in quanto arte dionisiaca, si è palesata a uno soltanto dei grandi pensatori, in misura tale
che egli, pur senza la guida del simbolismo degli dèi ellenici, ha riconosciuto alla musica un diverso carattere e
una diversa origine rispetto a tutte le altre arti, perché essa non è, come tutte quelle, immagine dell’apparenza,
bensì immediatamente immagine della volontà stessa”.
65
F. Schlegel, Frammenti dell’Athenaeum, 103 (123), in Frammenti critici e scritti di Estetica, cit., p. 68: “Non
dovrebbe la poesia, fra l’altro, anche per questo essere la suprema e più degna di tutte le arti: che solo in essa
sono possibili i drammi?”.
59
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vista del contenuto, dell’Ideale del bello che ogni arte può rappresentare, la poesia diventa
l’arte dell’Arte, perché è in grado di superare i limiti di tutte le altre arti: “lo spirito, nella sua
natura peculiare, non si esprime nella materia grave, ma in azione e discorsi. Essi mostrano lo
spirito così come esso è, essi sono il suo vero essere. Ma questo può presentarlo solo il
discorso”66. Ed è anche ben noto il posto che, per Heidegger, la poesia occupa tra le arti: “la
poesia (la Poesia in senso stretto) è la più originaria Poesia in senso essenziale”67.
Si potrebbe anche ritenere la nuova dimensione rivelativa, epifanica, che l’arte
acquista nelle teorie estetiche moderne, come la logica conclusione dell’avversione platonica
per la mimesi. La vera arte deve perdere la sua condizione mimetica, e diventare rivelazione
di quelle verità nascoste che il filosofo ha in qualche modo intuito e propone nel suo sistema
filosofico. La vera arte, come già aveva affermato Platone, deve essere in grado di superare
tutto ciò che la comune opinione e la propria sensibilità ritengono la caratteristica peculiare
dell’arte, anche il piacere estetico, perché ritenuti criteri insufficienti per giudicare l’arte68.
L’arte non può essere valutata dall’esperienza estetica, dal piacere che genera la sua
contemplazione, dal sentimento, ma dalla verità che esprime. L’artista vero, come aveva
anticipato Platone, va compreso sulla base della ispirazione: “I poeti non sono altro che
interpreti degli dèi”69. Non c’è più spazio nelle moderne teorie estetiche per il demiurgo, ma
invece per l’artista ispirato al quale non viene a mancare, in molti casi, l’invasamento divino,
un tocco dall’alto che lo fa diventare, per i romantici e per Heidegger, non meno che per
Platone, il messaggero degli dèi, il mediatore tra il divino e il popolo. “Mediatore – scrive F.
Schlegel - è colui che avverte il divino in sé e si sacrifica e s’annienta per annunciare questo
divino, parteciparlo e rappresentarlo a tutti gli uomini (…) Mediare ed esser mediato: ecco
tutta la superiore vita dell’uomo; ed ogni artista è mediatore per tutti gli altri” 70. E in modo
non molto diverso si esprime Heidegger: “Il poeta stesso sta fra quelli – gli dèi – e questo –il
popolo. Egli è gettato fuori: fuori in quel frammezzo (Zwischen), frammezzo agli dèi e agli
uomini”71.
66
G.W.F. Hegel, Lezioni di estetica, cit., p. 222.
M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, cit., p. 58.
68
G.W.F. Hegel, Lezioni di estetica, cit., p. 302: “Per oggetto essa non ha il piacevole, non l’abilità soggettiva: è
l’aspetto veritiero quello che la filosofia deve considerare nell’arte”; M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte,
cit., p. 64: “Il bello rientra pertanto nel farsi evento nella verità. Non è quindi qualcosa di relativo al piacere,
quale suo semplice oggetto. Il bello riposa, sì, nella forma, ma solo perché la forma prese luce dall’essere come
‘entità’ dell’ente”.
69
Ione 534 e.
70
F. Schlegel, Idee, 44, in Frammenti critici e scritti di Estetica, cit., p. 139.
71
M. Heidegger, Hölderlin e l’essenza della poesia, in La poesia di Hölderlin, Adelphi, Milano 1988, p. 56.
67
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Il pensiero estetico di Platone anticipa, anche, ciò che sarà comune a tutte le moderne
teorie speculative dell’arte, vale a dire la dimensione estetica del proprio pensiero, la
commistione tra filosofia e arte. Ogni estetica filosofica che pretenda di stabilire l’essenza
stessa dell’arte per mezzo della sua funzione teorica, non può rinunciare a diventare se stessa,
in un modo o in un altro, estetica, arte; “la filosofia dello spirito – dichiarava Hegel - è una
filosofia estetica”72. Platone pretende di giustificare la sua estetica offrendo con i suoi
dialoghi l’esempio di ciò che lui ritiene dovrebbe essere l’arte, realizzando nei suoi scritti
l’ideale teorizzato. Il conflitto tra filosofia e arte si risolve in favore della filosofia che però,
avendo idealizzato l’arte, non può rinunciare ad estetizzare se stessa; non più dunque filosofia
e arte, ma piuttosto arte filosofica o filosofia estetica: “il filosofo poetante e il poeta
filosofante sono profeti”73. Se l’arte diventa veicolo di verità, il pensiero filosofico non può
pretendere di proporsi come vero a prescindere dall’arte. E se tale fenomeno diventa palese
negli autori romantici, al contempo filosofi e poeti, l’auto rappresentazione dell’ideale
estetico nelle proprie opere filosofiche non abbandona nessuno dei filosofi segnalati. Come
affermava Hegel, “il filosofo deve possedere tanta forza estetica come il poeta” 74, e sembra
difficile mettere in dubbio l’impegno di tutti i grandi autori delle teorie estetiche moderne, per
realizzare nelle loro opere filosofiche tale convinzione. I teorici dell’arte, non meno che
Platone, hanno bisogno dell’arte, non solo per rendere credibile il proprio pensiero,
rivestendolo di quelle forme poetiche che, al margine del loro pensiero, diventerebbero vuota
retorica, ma anche molto spesso per dare prova della validità delle loro tesi filosofiche75.
5. Perché, allora, propongo di tornare a Aristotele? L’arte greca, dopo Platone, ebbe bisogno
di Aristotele per sopravvivere come arte, per preservare la sua autonomia. Anche l’arte ai
nostri giorni, dopo duecento anni di teorie estetiche speculative, ha bisogno di una filosofia
che le consenta di recuperare un’autonomia in buona misura ormai compromessa. Il ritorno ad
Aristotele non è dunque dettato soltanto da una maggiore affinità col suo pensiero, non è una
scelta arbitraria, nemmeno – così almeno spero – la conseguenza di un mancato
apprezzamento della dimensione poetica del pensiero platonico e delle moderne filosofie
estetiche. Mi sembra che sia piuttosto un’esigenza dell’arte stessa e anche di noi suoi
potenziali fruitori, bisognosi di rendere chiaro lo sguardo per rivolgerci all’arte senza
72
G.W.F. Hegel, Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus, in Werke. 1, Fruhe Schriften,
Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1974, p. 235.
73
F. Schlegel, Frammenti dell’Athenaeum, 171 (249), in Frammenti critici e scritti di Estetica, cit., p. 86.
74
G.W.F. Hegel, Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus, cit., p. 235.
75
Penso anzitutto alle teorie estetiche di Hegel e di Heidegger, oltre che a quella di Kant.
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chiederle altro di ciò che le arti, in ogni epoca, hanno sempre cercato di dare: la bellezza dei
suoi prodotti e il conseguente piacere della loro contemplazione.
Aristotele non rinuncia nella sua Poetica a vedere nell’arte una valenza filosofica,
veritativa e morale, ma cerca di scoprirle nell’arte stessa, senza stravolgere la sua identità,
rinunciando ad imporle dal di fuori, a dettare dal pensiero i criteri propri del suo valore. Le
estetiche speculative moderne hanno assegnato all’arte un compito che l’arte stessa sembra
dimostrare di non poter assolvere. Il motivo di tale scacco non è difficile da capire. A partire
da Kant inizia una strana parabola il cui percorso sembra ormai arrivato al capolinea, come da
alcuni anni diversi studiosi hanno segnalato76. La filosofia post-kantiana ripose nell’estetica,
nell’arte, la sua speranza per ritrovare quelle verità ultime vietate alla ragione teorica. Col
passare del tempo però, la filosofia ormai post-moderna denuncia la fallacia di tale attesa,
semplicemente perché dietro l’affidamento all’arte di tale compito, si nasconde la stessa
ragione moderna che lo aveva pensato; tale arte non era l’arte autonoma, quell’arte mimetica
sorta e cresciuta con indipendenza dal pensiero filosofico, ma l’arte che, di volta in volta, la
ragione moderna aveva idealizzato fino a farla diventare un suo costrutto; dietro tale arte la
ragione filosofica non può svelare altro che se stessa.
Ignacio Yarza
2.IX.2003
76
Cfr. M. Fontán, El significado de lo estético, Eunsa, Pamplona 1994, in particolare Epílogo: La estética
kantiana y el espíritu de la ilustración, pp. 629-678 e J-M. Schaeffer, Adieu à l’esthétique, Puf, Paris 2000.
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