Storia equazioni algebriche

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Già alla fine del XIV secolo un anonimo abacista fiorentino
riduceva le equazioni del tipo x3 + px2 = q mediante la sostituzione
x y
p
a quelle del tipo y3 = p’y + q’.
3
Inoltre, erano molto usate nel XV secolo le formule risolutive per
classi di equazioni del tipo (h + x)n = k , con n = 3, 4.
Non è noto che sia stato l’autore di tali formule, ma è nel “Trattato
d’abaco” del matematico e pittore Piero della Francesca (14161492) che la trattazione è estesa ai casi n = 5, 6. Ad esempio,
sviluppato il binomio e scritta l’equazione di 5° grado nella forma
completa:
x5 + ax4 + bx3 + cx2 + dx = e,
la formula risolutiva, che è esatta, è x  5
bc
d
e3 .
a
a
Il XVI secolo in Italia vede il pieno sviluppo del Rinascimento, ed
anche in matematica e soprattutto nelle ricerche algebriche si
hanno dei risultati significativi, infatti viene trovata la formula
risolutiva per radicali delle equazioni di 3° grado. Numerose ed
aspre furono le polemiche, sorte già nel 1500, su chi debba essere
l’autore della “scoperta”. Ad oggi si può affermare che gli autori
della formula risolutiva furono: Scipione del Ferro, Niccolò
1
Fontana, detto Tartaglia e Gerolamo Cardano. Ognuno di essi,
infatti, ha contribuito diversamente alla risoluzione del problema.
L’equazione trattata da S. del Ferro, nato a Bologna nel 1465, e
lettore di “Aritmetica e Geometria” è del tipo ax3 + bx = c, che
viene subito ricondotta alla forma x3 + px = q. Sembra che già nel
1515 avesse trovato la formula risolutiva, ma è morto nel 1526
senza divulgarla. Egli viene indicato come uno degli autori della
formula risolutiva da G. Cardano nell’ Ars Magna (1545). Il fatto
che del Ferro non avesse divulgato la formula è in perfetto
accordo con il costume dell’epoca, infatti i lettori non erano
impiegati statali ed il loro contratto veniva rinnovato di anno in
anno, per la loro bravura. Quindi, era uso sfidarsi pubblicamente,
per cui chi trovava una formula generale la teneva per se in modo
da vincere le sfide.
Per quanto riguarda il contributo di Tartaglia, nato a Brescia
nel 1500 e morto a Venezia nel 1559, egli è il primo ad avere
osservato che la risoluzione dell’equazione cubica
x3 + px = q dipende da quello dell’equazione quadratica
p3
y  qy 
.
27
2
I risultati di Tartaglia saranno anche essi divulgati da G.
Cardano nell’ Ars Magna (1545).
2
Gerolamo Cardano, nato a Pavia nel 1501 e morto a Roma
nel 1575, fece un’ analisi completa di tutti i casi e studiò le
trasformazioni che permettono di ridurre un’equazione algebrica
in un’altra di più facile riduzione. Si deve sempre a Cardano la
scoperta del caso irriducibile. Caso che sarà completamente
compreso da Raffaele Bombelli, a cui si deve l’introduzione dei
numeri complessi, nella sua Algebra del 1572. La pubblicazione
da parte del Cardano dei risultati del Tartaglia causò una diatriba
tra i due, e Tartaglia della sua opera “Quesiti” (1546) sfoga il suo
rancore. Questo causerà un’ulteriore diatriba tra Tartaglia ed un
allievo di Cardano, Ludovico Ferrari, inventore della formula
risolutiva per le equazioni di 4° grado. Egli manderà, in difesa del
maestro uno dei “Cartelli di Matematica disfida”; i due si
scambieranno in totale 6 cartelli.
3
Riportiamo ora i metodi risolutivi trattati dal Cardano e dal
Bombelli, e le ingegnose argomentazioni geometriche attraverso le
quali è stata determinata la formula risolutiva. I casi che venivano
trattati per le equazioni di 3° grado erano tre:
x3 + px = q
x3 = px + q
x3 + q = px
(p >0, q >0)
Consideriamo il caso x3 + px = q, l’equazione equivale a
chiedere un cubo ed un parallelepipedo tali che:
1)
l’altezza del parallelepipedo deve essere uguale al
lato x del cubo;
2)
Il parallelepipedo deve avere area di base p;
3)
Cubo e parallelepipedo devono avere volumi di
somma q.
4
Siano u e 3v le dimensioni della base p = u 3v e sia x = u – v.
Allora:
q = x3 + px = (u – v)3 + 3uv(u – v) = u3 – v3 ;
inoltre v 
p
, da cui :
3u
p3
, e quindi :
qu 
27u 3
3
p3
u u q
 0,
27
6
3
p3
Quindi, poiché q = u – v e u v  , u3 e v3 sono radici
27
3
3
3 3
della precedente equazione di 2° grado, da cui si ottiene:
q
q2 p3
u  

2
4 27
3
q
q2 p3

e v  
,
2
4 27
3
da cui di ricava:
2
3
2
3
q
q
p
q
q
p
.
xu v3 

3 

2
4 27
2
4 27
5
Simile è il caso x3 = px + q. Geometricamente equivale e
determinare un cubo ed un parallelepipedo tali che:
1) l’altezza del parallelepipedo è uguale al lato del cubo;
2) Il parallelepipedo abbia area di base p;
3) La differenza tra il volume del cubo e quello del
parallelepipedo sia uguale a q.
Quindi, si cercano delle dimensioni u e v tali che: p = u 3v e sia x
= u + v.
Allora si ha:
q = x3 – px = (u + v)3 – 3uv(u + v) = u3 + v3 ;
p
p3
3 3
inoltre, essendo v 
da cui u v  , esse sono soluzioni
3u
27
dell’equazione di 2° grado:
p3
u u q
 0,
27
6
3
Da cui si ottiene:
q
q2 p3
q
q2 p3
3
u  


e v  
,
2
4 27
2
4 27
3
da cui di ricava:
q
q2 p3 3 q
q2 p3
.
xu v





2
4 27
2
4 27
3
Il terzo caso veniva ricondotto da Tartaglia e gli altri al
precedente.
6
Di particolare interesse è il caso irriducibile, quello per cui:
q2 p3

 0 ; infatti era facile persuadersi che anche in questo caso
4 27
esistono soluzioni geometriche del problema, e quindi soluzioni
reali dell’equazione. Il primo ad occuparsi di questo caso fu
Cardano nell’ Ars Magna; egli considerava le radici di numeri
negativi, ma non credeva troppo all’utilità di queste quantità. Nel
1570 nel “De Regula Aliza Libellus”, interamente dedicata alle
equazioni di 3° grado, vi è esposto un complesso di tentativi diretti
ad aggirare le difficoltà del caso irriducibile, cioè ad ottenere le
soluzioni senza passare attraverso le radici dei numeri negativi.
7
Il merito di aver completamente analizzato e risolto il caso
irriducibile è di Rafael Bombelli. Le sue ricerche sono esposte nel
trattato “L’Algebra” (1572). Bombelli osservò che, poiché non
esistono numeri reali in grado di rappresentare la radice quadrata
di numeri negativi, era necessario aggiungere nuovi numeri che
indicò con simboli della forma a p. d. m. b (a più di meno b) e a
m.d.m. b (a meno di meno b), corrispondenti ad a + ib e a – ib.
Egli ne stabilì le leggi formali di calcolo e ne diede varie
applicazioni. Inoltre, aveva anche determinato il modo per estrarre
la radice cubica di un numero complesso e quindi determinare le
radici reali dell’equazione di 3° grado. In tal senso Bombelli si
può considerare come il fondatore della teoria dei numeri
complessi.
8
La determinazione della formula risolutiva dell’equazione di
4° grado vede come protagonista Ludovico Ferrari.
Già intorno al 1000 si trovano i primi esempi di equazioni di
4° grado. Omar Khayyam risolve alcune equazioni di 4° grado con
i metodi di intersezione tra coniche. Nella Summa di Luca Pacioli
(1494) si trova un problema che porta all’equazione:
1 4 2 3 3 2 2
x  x  x  x  20400 ,
4
4
4
4
equivalente a:
x 4  2x3  3x 2  2 x  81600 .
Egli la risolve aggiungendo 1 ad ambo i membri:
(x2 + x + 1)2 = 81601, da cui:
x 2  x  1  81601 .
E quindi
determina poi la soluzione.
Ma torniamo alla storia della determinazione della formula
risolutiva dell’equazione di 4° grado. La storia ha inizio nel 1535
con un quesito posto da Maestro Zuanne de Tonini da Coi, il
Quesito XX dell’opera di Tartaglia “Quesiti et invenzioni diverse”
(1546) che si traduce nel problema algebrico:
x + y + z = 20
x:y=y:z
xy=8
dalle quali si ottengono le equazioni: x4 + 8x2 + 64 = 20x3 e y4 +
8y2 + 64 = 160y.
9
Tartaglia rispose che era possibile risolverle, ma dopo tre
anni ancora non aveva dato la soluzione. Maestro Zuanne allora
propose il problema ad altri matematici tra cui Cardano, e riuscì in
questo modo a prendere il posto di lettore che apparteneva a
Cardano presso l’Università di Milano nel 1540.
La sfida di
Maestro Zuanne fu raccolta da Ludovico Ferrari che risolse i
quesiti con una regola valida in generale. I risultati saranno anche
essi esposti nell’Ars Magna di Cardano.
Il procedimento per risolvere l’equazione
x4 + 6x2 + 36 = 60x
riportato nell’opera di Cardano è il seguente:
1)
Aggiungere 6x2 ad ambo i membri:
x4 + 12x2 + 36 = 60x + 6x2
2)
Aggiungere termini contenenti una nuova incognita
in modo che il
membro a sinistra resti un quadrato ed il membro
a destra lo
diventi:
(x2 + y + 6)2 = x4 + y2 + 36 + 2x2y + 12x2 + 12y =
= x4 + 12x2 + 36 + y2 + 2x2y + 12y.
L’espressione da aggiungere è y2 + 2x2y + 12y:
(x2 + y + 6)2 = 60x + 6x2 + y2 + 2x2y + 12y =
10
= 2(y + 3)x2 + 60x + y2 + 12y.
x
2
3)

2
 y6 

4 y  3 x 2  120 y  3x  2 y  3 y 2  12 y
2 y  3
2
.
Ora bisogna determinare y in modo che il trinomio
a destra sia un
quadrato:
cioè 2(y + 3)(y2 + 12y) = 302 = 900.
4)
Si ottiene svolgendo i conti:
y3 + 15y2 + 36y = 450
che si risolve con soluzioni dell’equazione di
3°grado.
5)
Si sostituisce y alla espressione precedente e si
estrae la radice
quadrata di entrambi i membri.
6)
Il risultato è un’equazione di 2° grado che va risolta
per trovare il
valore di x.
Questo metodo è del tutto generale ed è applicabile a
qualsiasi equazione della stessa forma. Trasformazioni algebriche
che portano dal caso generale dell’equazione di 4° grado a quello
trattato da Ferrari sono riportate da Cardano. La prima esposizione
11
completa ed esauriente della risoluzione delle equazioni di 4°
grado si trova nell’Algebra di Bombelli.
Dopo questi risultati, gli algebristi delle epoche successive si
affannarono nel tentativo di trovare soluzioni generali per radicali
delle equazioni di grado superiore al quarto, in particolare per
quelle di 5° grado. Il periodo che va dalla pubblicazione
dell’Algebra di Bombelli (1572) alla pubblicazione dell’opera
“Rèflexions sur la rèsolution algèbrique des équations” (1770-71)
può essere considerato di transizione. In esso vengono determinati
dei risultati parziali legati alla risoluzione delle equazioni di grado
superiore al quarto. Tra i matematici più eminenti del periodo va
ricordato F. Viète (1540-1603) il quale come abbiamo già detto è
stato importante nello sviluppo dell’algebra simbolica ed inoltre
comprese il legame tra il caso irriducibile dell’equazione di 3°
grado ed il problema della trisezione dell’angolo. Per quanto
riguarda le equazioni di 4° grado ha trovato un metodo risolutivo
particolarmente elegante per le equazioni del tipo: x4 + 2ax2 = c –
bx. Inoltre ha determinato alcune della relazioni che intercorrono
tra i coefficienti e le radici del polinomio, formule note con il
nome di Viète-Girard, poiché la formulazione chiara di queste
relazioni è opera di Girard (Inventino nouvelle en L’algebre
1629).
12
Un posto di ruolo è occupato da R. Cartesio (1596-1650) con
la sua opera “La Geometrie” (1637) pubblicata come appendice
del “Discorso sul Metodo”. Con Cartesio il formalismo algebrico
raggiunse il suo massimo sviluppo, in esso troviamo le prime
lettere dell’alfabeto per i parametri e le ultime per le incognite
come è nell’uso comune. Il Libro III è interamente dedicato alla
teoria delle equazioni algebriche, in esso Cartesio considera sia le
radici positive che chiama “vere” sia quelle negative che chiama
“false”; riconosce inoltre che il numero delle radici non può
superare il grado dell’equazione, ma non fa alcun cenno al fatto
che esiste almeno una radice. Egli nella trattazione algebrica ha
sempre in mente il legame con la geometria ed usa alcuni metodi
grafici per la risoluzione delle equazioni di 5° e 6° grado. Nel
1683 Walter von Tschirnhaus credeva di aver trovato delle
trasformazioni grazie alle quali è possibile eliminare i termini
intermedi tra quello di grado massimo ed il termine noto. Tramite
queste trasformazioni egli credeva di poter trovare un metodo
generale per risolvere le equazioni di grado superiore al quarto; in
realtà egli trovò solo un nuovo metodo per risolvere le equazioni
di 3° e 4° grado. Infatti, per
n  5 la determinazione dei coefficienti della trasformazione che
porterebbe ad un’equazione binomia della forma yn = An, genera
un’equazione risolvente di grado superiore ad n.
13
Altri tentativi per risolvere equazioni di grado superiore al
quarto furono fatti da Leonard Euler (1707-1783). Egli nella nota
“De formis radium aequationum cujusqur ordinis conjectatio” del
1732 ipotizzò che ogni equazione di grado n ammettesse una
risolvente di grado n-1 e propose per le radici dell’equazione da
risolvere la forma:
x  n A1  n A2  ....  n An 1 ,
dove le Ai sono le
radici della risolvente. In effetti, tale risolvente esiste per i casi n
= 2,3,4 ed Eulero trattò solo questi casi, trovando una risoluzione
unitaria delle tre equazioni. In seguito, nella nota “De resolutione
aequationum cuiusuis gradus” propose una nuova formula per le
radici:
x  w  An   B n  2  ....  Q n  n 1 ,
dove w è un numero
razionale, A, B, ...,Q sono numeri razionali o numeri che non
contengono radici di grado n e ν è una radice della risolvente di
grado n-1. Nuovamente, mostrò la validità di questa formula per i
casi n = 2, 3, 4 manifestando la fiducia che fosse valida per ogni
n. È di notevole importanza l’opera di divulgazione fatta da Eulero
con il suo manuale “Algebra” (1770-72). Infatti, il secondo
volume dell’opera è dedicato alla teoria delle equazioni algebriche
e si può considerare una prima esposizione sistematica delle
equazioni indeterminate di 1° e 2° grado e dei metodi standard di
risoluzione delle equazioni algebriche di 2°, 3° e 4° grado.
I continui insuccessi nella ricerca di formule risolutive per
radicali delle equazioni algebriche di grado uguale o superiore al
14
quinto, fecero di questo uno dei problemi cruciali dell’algebra
nella seconda metà del settecento. Non fu dunque per caso che
verso il 1770 tre matematici, all’insaputa l’uno dell’altro,
pubblicarono pressoché contemporaneamente i loro risultati sulla
difficile questione. Si tratta di:
1) Reflexions sur la résolution algébrique des équations
di
Lagrange, pubblicata nel 1770 negli Atti dell’Accademia di
Berlino;
2) Meditationes Algebricae (1770)di Edward Waring.
3) Mémoire sur la résolution
des équations di Alexandre-
Théophil Vandermonde, letta all’Accademia delle Scienze di
Parigi nel 1770 e pubblicata nel 1774.
Delle tre memorie quella che influenzerà le ricerche successive
sulla teoria delle equazioni algebriche è quella di Lagrange.
Analizziamole singolarmente.
Nelle prime pagine della sua Meditationes Waring trattava le
funzioni “simmetriche” delle radici di un’equazione e le
permutazioni delle radici stesse; egli dimostrava, inoltre, le
formule (che portano il suo nome) sulle potenze delle radici in
funzione dei coefficienti dell’equazione. In seguito, mostrava
come, mediante la trasformazioni di Tschirnhaus, fosse possibile
15
eliminare i termini di grado intermedio di un’equazione di 4°
grado ed osservava che in generale la soluzione di un’equazione di
grado n dipendeva dalla risoluzione di un’equazione ausiliaria
“risolvente” di grado n!, maggiore dunque del grado della
proposta. Concludeva, quindi, che era inutile cercare mediante tale
metodo la risoluzione generale delle equazioni algebriche. Nello
studio dell’equazione xn – 1 = 0 è il primo ad introdurre il concetto
di radice primitiva.
Vandermonde cercò di esprimere le radici di un’equazione
mediante le radici n-sime dell’unità, abbozzando una teoria di
queste ultime e risolvendo l’equazione xn – 1= 0 nel caso n = 11.
Sulla base di considerazioni sulle permutazioni delle radici, che
lasciano inalterata la funzione considerata, egli riusciva a trattare
senza difficoltà i casi dell’equazioni di 3° e 4° grado, ma doveva
concludere che era inutile cercare funzioni di cinque lettere che
assumessero 3 o quattro valori per permutazioni delle lettere, ciò
che lo portava a concludere che non ne esistessero. Un fatto che
sarà dimostrato in seguito da Ruffini ed Abel.
Nella Reflexions
Lagrange si proponeva di esaminare i
metodi trovati fino a quel momento per la risoluzione algebrica
delle equazioni, di ridurli a dei principi generali e di far vedere a
“priori” perché tali metodi funzionano per il 3° e 4° grado e
vengono meno per i gradi successivi. L’analisi dei casi delle
16
equazioni di 3° e 4° grado portarono Lagrange a concludere che i
metodi risolutivi si basano sulla ricerca di opportune equazioni
ausiliarie, che Lagrange chiamò ridotte e che oggi vengono dette
risolventi, le cui radici sono espressioni razionali delle radici x1,
..., xn dell’equazione. Nel caso del 3° e 4° grado il grado della
risolvente si poteva ricondurre ad un grado minore al 3° o al 4°,
nel caso generale Lagrange dimostrò che il grado dell’equazione
ausiliaria è n! (o un sottomultiplo) di n!. In questa maniera si trova
enunciato il “Teorema di Lagrange” che in termini moderni
afferma che in un gruppo finito l’ordine di ogni sottogruppo divide
l’ordine del gruppo. Egli, data un’equazione di grado n:
a0xn + a1xn-1 + .... + an = 0
e indicate con x1,....,xn le radici, costruì la risolvente come segue.
Sia
g(x1,....,xn)
una
espressione
razionale
delle
radici
dell’equazione, essa può avere n! valori distinti. Siano g1, ..., gn!
tali valori, allora l’equazione (y – g1) (y – g2) .... (y – gn!) = 0 è la
risolvente di Lagrange. L’importanza del contributo di Lagrange
alla teoria delle equazioni algebriche risiede soprattutto nelle
considerazioni conclusive, in cui egli afferma che nello studio
delle equazioni è necessario esaminare espressioni della forma
g(x1,....,xn) e studiare le loro proprietà per le permutazioni delle
radici x1,....,xn. Per quanto riguarda le equazioni di 5° grado,
benché Lagrange fosse intimamente convinto che la soluzione per
17
radicali non esistesse, lasciò la questione aperta. Egli concludeva
il lavoro dicendo che era sufficiente per il momento aver posto i
fondamenti di una teoria che pare nuova e generale.
Nel 1799 nella sua tesi di Laurea Carl Friedrich Gauss
dimostrava in modo del tutto nuovo e corretto il teorema
Fondamentale dell’Algebra e nel 1801 nelle Disquisitiones
Arithmeticae risolve in modo definitivo il problema della
ciclotomia, cioè il problema della risolubilità delle equazioni xn –
1 = 0 e conseguentemente della costruibilità con riga e compasso
dei poligoni di n lati, dimostrando che ciò era possibile per i
numeri primi della forma n =
n
22  1
(primi di Fermat). Infatti, solo
per tali valori l’equazione ciclotomica xn-1 + xn-2 + .... + x + 1 = 0
si riduce al prodotto di polinomi di 2° grado. Pertanto, come
conseguenza si ha che il poligono di 17 lati è costruibile ma quello
di 15 lati non lo è. Gauss determinò in generale il metodo per
risolvere con radicali l’equazione xn – 1 = 0, ed in particolare
quando è risolubile per radicali quadratici.
Sempre nel 1799 un Medico Modenese, Paolo Ruffini (17651822) pubblicava il trattato “Teoria generale delle equazioni, in
cui si dimostra impossibile la soluzione algebrica delle equazioni
generali di grado superiore al quarto”. In esso Ruffini dimostrava
che era impossibile risolvere per radicali le equazioni generali di
grado superiore al quarto. Ruffini dichiarava apertamente di
18
ispirarsi a Lagrange ed indagando le proprietà del gruppo di
sostituzioni su n lettere (nozione che non si trova in modo
esplicito in Ruffini) individuava concetti come la primitività e la
transitività, che applicati al caso di 5 elementi lo portarono a
concludere che non esiste una funzione di cinque elementi che
assume, per ogni loro permutazione possibile, solo otto, quattro o
tre valori distinti. In termini moderni: il gruppo totale delle
sostituzioni su 5 lettere non possiede sottogruppi di indice 8, 4, o
3. Ruffini per dimostrare questo teorema fu costretto ad elencare
tutte le 120 permutazioni e ad analizzarle. Questo era il teorema
essenziale, grazie al quale Ruffini dimostrava l’impossibilità della
risoluzione per radicali dell’equazioni di grado superiore al quarto.
L’importanza e la novità del teorema suscitò la diffidenza e lo
scetticismo dei contemporanei. Egli ne mandò una copia a
Lagrange ma non ottenne alcuna risposta, gli ne spedì anche una
seconda copia, ma non ebbe esito migliore. Chi si espresse in
favore di Ruffini fu Pietro Paoli, che nel 1804 in un supplemento
ad una sua opera enunciava il teorema di Ruffini. Molto
negativamente di espresse, invece, Gianfrancesco Malfatti (17311807), che si era occupato nel 1771 della questione della
risolubilità per radicali dell’equazione di quinto grado, ottenendo
una risolvente di sesto grado e mostrando che se questa risolvente
ha una radice razionale, allora l’equazione è risolubile.
19
Del contenuto del teorema, Ruffini ne diede 4 pubblicazioni,
l’ultima è del 1813. Una di queste riedizioni venne spedita all’
Institut di Francia. Questa memoria fu affidata ad una
commissione presieduta da Lagrange che non stilò mai il
“rapport”, ma si limitò a far sapere indirettamente a Ruffini che
non aveva stilato il rapporto per evitare polemiche e che c’erano
troppe imprecisioni nelle dimostrazioni per essere sicuri
dell’esattezza dei risultati. Solo molti anni dopo la morte di
Lagrange, nel 1815 Cauchy apprezzerà i risultati di Ruffini. Ma né
questo, né la nomina a Presidente della Società Italiana delle
Scienze
bastarono
a
far
avere
a
Ruffini
un
pubblico
riconoscimento.
Il teorema venne dimenticato e nel 1823 Niels H. Abel (18021829) si illuse di aver trovato una risolvente per l’equazione di 5°
grado. Egli si accorse dell’errore e nel 1824 pubblicò una memoria
in cui dimostrava l’impossibilità di risolvere per radicali
l’equazione generale di 5° grado. In una nota dal titolo Memoire
sur una classe particolare d’equations resolubles algébriquement
pubblicata nel 1829 Abel individua una classe generale di
equazioni risolubili per radicali dette oggi abeliane.
Il problema della risoluzione per radicali di un’equazione
algebrica non era affatto concluso; rimaneva infatti da determinare
20
il problema: data un’equazione di grado superiore al quarto è o no
risolubile per radicali?
Colui che ha risolto la questione in modo definitivo è
Evariste Galois (1811-1832), una delle più affascinanti e tragiche
figure della storia della matematica. I suoi manoscritti saranno
pubblicati solo nel 1846, quattordici anni dopo la sua morte. La
vita di Galois è fortemente influenzata dalle vicende politiche
Francesi, e morì tragicamente in duello in una notte, sembra a
causa di un “infame coquette”. Nel 1830 Galois pubblicava tre
brevi articoli sul “Bullettin” riguardanti le sue ricerche relative
alla “teoria di Galois” ed ai “campi di Galois”. Nonostante
l’importanza dei risultati, le note passarono inosservate. Egli spedì
una seconda memoria, presentata all’Accadèmie, affidata al
segretario Fourier, che morì senza leggerla. La memoria venne
persa. Nel 1831 Galois presentò nuovamente all’ Accadèmie la
sua memoria dal titolo “Sur les conditions de résolubilité des
équations per radicaux”. Questa volta il manoscritto venne
consegnato a S.F. Lacroix e S.D. Poisson, che fecero un rapport
negativo, sostenendo che gli argomenti di Galois non erano
abbastanza chiari. La notte prima di morire Galois raccolse le sue
carte e scrisse all’amico Auguste Chevalier (1809-1968) una
lettera in cui tracciava a grandi linee il contenuto delle sue carte.
Nel 1843 le carte di Galois giunsero nella mani di Liouville, che
21
ne comprese l’importanza, tenne dei seminari sull’argomento e ne
promise la pubblicazione, che incredibilmente avvenne tre anni
dopo, nel 1846. Negli anni tra il 1844 ed il 1846 Cauchy
pubblicava ben 13 lavori suo gruppi di sostituzione, in nessuno di
essi si fa riferimento a Galois, di cui Cauchy doveva conoscere i
lavori.
Ma vediamo nel dettaglio le memorie di Galois: l’idea
fondamentale sfuggita a Lagrange e intravista da Ruffini ed Abel è
quella, in termini moderni, di campo di razionalità dell’equazione,
ovvero il campo i cui elementi sono ottenuti facendo le operazioni
fondamentali sui coefficienti dell’equazione. Introducendo questo
concetto, acquista un significato diverso parlare di riducibilità ed
irriducibilità di un’equazione. Così per esempio, x2 – 1 = 0 è
riducibile nel campo dei razionali, mentre x2 – 2 = 0 è irriducibile
su Q, ma non lo è più nel campo ampliato “aggiungendo”
all’equazione,
come
diceva
Galois,
2.
Dopo
alcune
considerazioni sui gruppi di sostituzione Galois enuncia il teorema
che associa ad ogni equazione il gruppo dell’equazione, detto oggi
gruppo di Galois: “Data un’equazione di cui siano x1, ..., xn le n
radici, ci sarà un gruppo di sostituzioni che godrà delle seguenti
proprietà:
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1)
ogni
funzione
delle
radici
invariante
per
le
sostituzioni del gruppo è razionalmente nota (cioè
appartiene al campo di razionalità dell’equazione)
2)
reciprocamente, ogni espressione razionale delle
radici è invariante per queste sostituzioni.”
Nella dimostrazione Galois considerava per l’equazione f(x) = 0 di
radici x1, ..., xn un espressione razionale V(x1, ..., xn) che assume
valori diversi per le n! sostituzioni delle radici. Dette s1, ..., sn! tali
sostituzioni e
Vs1 ,....,Vs n!
i corrispondenti valori della V, si
consideri:
 ( y )  y  Vs1 y  Vs 2 ......y  Vs n! 
la cosiddetta “risolvente di Galois” dell’equazione, i cui
coefficienti sono esprimibili come funzioni razionali dei
coefficienti dell’equazione f(x) = 0. Essa gode di due proprietà: 1)
una qualunque radice di f(x) = 0 è esprimibile razionalmente
mediante una qualunque delle radici di  ( y )  0 . 2) Se  ( y )  0 è
riducibile nel campo di razionalità di f(x) = 0, i fattori irriducibili
in cui si scompone sono di ugual grado.
Considerato uno qualunque dei fattori irriducibili   y  , il gruppo di
sostituzioni di esso è il “gruppo di Galois” dell’equazione f(x) = 0.
Il teorema esaminato afferma quindi che se si amplia il campo di
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razionalità “aggiungendo” una funzione razionale delle radici di
f(x) = 0, il gruppo di Galois si riduce ad il sottogruppo dato dalle
sostituzioni che lasciano invariata tale funzione razionale. La
risoluzione dell’equazione f(x) = 0 si traduce in successivi,
continui ampliamenti del campo di razionalità, di modo che il
gruppo di Galois finisca per ridursi alla sostituzione identica e
viceversa. In termini moderni risolvere l’equazione significa
costruire una “serie di composizione” G, G1, ..., Gm = 1, dove G è
il gruppo di Galois di f(x) = 0 e Gi è il sottogruppo corrispondente
all’apliamento i-simo ed è normale in Gi-1 . Quando allora
un’equazione
algebrica
è
risolubile
per
radicali?
Galois
concludeva affermando quello che in termini moderni si traduce
nella
condizione
di
risolubilità
del
gruppo
di
Galois
dell’equazione, cioè l’indice di ciascun sottogruppo della serie di
composizione è un numero primo. Galois illustrava le sue
conclusioni con l’esempio dell’equazione di 4° grado, ed il fatto
che S5 non è risolubile forniva una immediata dimostrazione che
le equazioni generali di 5° grado non sono risolubile per radicali.
Come abbiamo già accennato, Liouville tenne dei seminari
sulle memorie di Galois, e ne aveva promesso una pubblicazione
chiarificatrice, che però non venne mai fatta da lui. Questi
seminari furono seguiti da alcuni giovani matematici parigini fra
cui Charles Hermite (1822-1901), Joseph Bertrand (1822-1900) e
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Joseph Alfred Serret (1819-1885). Serret pubblicava nel 1849 un
suo Cours d’Algèbre Supérieure dove menzionava in nota
l’esistenza di una condizione necessaria e sufficiente sulla
risolubilità delle equazioni algebriche, ma la difficoltà della
materia unita alla promessa di Liouville spinse Serret a non
trattare l’argomento. La teoria di Galois intanto oltrepassava i
confini parigini: a Gottinga Richard Dedekind (1831-1916) ne
faceva oggetto delle sue lezioni mentre a Pisa, Enrico Betti (18231892) pubblicava nel 1851 negli “Annali di Scienze Matematiche
e Fisiche” un primo articolo di commento. L’anno seguente Betti
dava alla stampa una memoria “Sulla risoluzione delle equazioni
algebriche” in cui affrontava il problema della risolubilità delle
equazioni stabilendo prima la teoria dei gruppi di sostituzioni e poi
ordinando e dimostrando i teoremi enunciati da Galois.
Proseguendo su queste ricerche Betti fu portato ad affrontare il
problema della risoluzione analitica delle equazioni di grado
superiori. In una memoria del 1854 dimostrava il teorema da cui
dipende questa risoluzione, affermando di aver trovato mediante
funzioni ellittiche ed iperellittiche la soluzione analitica di
qualsiasi equazione. Betti era troppo ottimista, e già nel caso del
5° grado si doveva arrendere per i troppi calcoli. L’impresa riuscì
ad Hermite nel 1858, per l’equazione x5 – x – a = 0, che espresse
le radici dell’equazione con funzioni trascendenti ellittiche.
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Contemporaneamente giungeva allo stesso risultato Leopold
Kronecker (1823-1891) mentre Francesco Brioschi aveva successo
con l’equazione di 6° grado. Finalmente nel 1870 i risultati sulla
teoria delle equazioni vennero raccolti da Camille Jordan (18381922) nel suo Traité des substitutions et des equations algébrique.
Nell’ultimo libro del trattato venivano esposti i risultati delle sue
ricerche sui gruppi.
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