Voi ch`avete mutata la manera: Bonagiunta e Guinizzelli 1. Tegno de

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Voi ch’avete mutata la manera: Bonagiunta e Guinizzelli
1. Tegno de folle ’mpres’ 31-40 il tradizionale motivo della donna che supera in splendore tutte le
altre donne, spandendo il proprio fulgore tutt’attorno, ha un ulteriore, ed inatteso, sviluppo: la donna
può rischiarare la notte, con uno splendore pari a quello che il sole dà al giorno:
Ben è eletta gioia da vedere
quand’apare ’nfra l’altre più adorna,
ché tutta la rivera fa lucere
e ciò che l’è d’incerchio allegro torna;
la notte, s’aparisce,
come lo sol di giorno dà splendore,
così l’aere sclarisce:
onde ’l giorno ne porta grande ’nveggia,
ch’ei solo avea clarore,
ora la notte igualmente ’l pareggia.
Allude a una fondamentale immagine biblica, quella della luce divina che illumina le tenebre,
rendendo la notte simile al giorno, così come è tramandata in Ps 138, 12 «et nox quasi dies lucet
similes sunt tenebrae et lux» e Is 58, 10 «oritur in tenebris lux tua et tenebrae tuae erunt sicut
meridies», che Guinizzelli cita pressoché alla lettera ai versi 35-40 della sua canzone: «la notte,
s’aparisce, / come lo sol di giorno dà splendore, / così l’aere sclarisce: /onde ’l giorno ne porta
grande ’nveggia, / ch’ei solo avea clarore, / ora la notte igualmente ’l pareggia»
Sullo stesso concetto è costruita la metafora che apre Vedut’ho la lucente, ove la donna è
identificata con la «stella diana», che diffonde il suo splendore prima che sorga il sole (vv. 1-4):
Vedut’ho la lucente stella diana,
ch’apare anzi che ’l giorno rend’albore,
c’ha preso forma di figura umana;
sovr’ogn’altra me par che dea splendore
la «stella» si attua nella «forma» intellegibile della donna, per di più con una vistosa allusione,
soprattutto nella perifrasi al genitivo «di figura umana», all’incarnazione di Cristo «stella splendida
et matutina» (Apoc. 22, 16): «qui cum in forma Dei esset, […] semetipsum exinanivit, formam servi
accipiens, in similitudinem hominum factus, et habitus inventus ut homo» (Phil. 2 2, 6-7)
2. Quanto al fatto che l’«alta spera» del v. 7 possa indicare, in antitesi con la “donna-lumera” di
Guido, la donna di Bonagiunta, non è richiesto solo da motivazioni di coerenza metaforica della
contrapposizione, ma, come già accennato all’inizio, trova fondamento nella lirica dello stesso
Bonagiunta, il quale sublima costantemente la propria donna come luce di assoluto splendore (non
senza puntuali coincidenze con Voi, ch’avete mutata): non solo ne paragona la bellezza alla
«lumera» (Fina consideranza, 21-24):
per quella ch’amoroso mi fa gire,
in cui si pon gradire
bellesse di sì gran divizione,
como l’oscuro in verso la lumera
ma ne dichiara lo «splendore» superiore («passa») ad ogni astro e fonte di luce («lumera»),
compresa la «spera» del sole (Ben mi credea, 22-24):
Tant’è lo suo splendore
Che passa il sole, di vertute spera,
e stella e luna ed ogn’altra lumera
come ribadisce anche nella straripante adnominatio di Vostra piacenza, 12-14, incentrata sullo
specifico attributo dello «sprendore»:
Chera sovra l’altre rischiarate,
d’uno sprendore sprendente isprendete
che più risprende che del sol li rai
fino ad arrivare al punto di rivolgersi a lei proprio mediante l’appellativo «mia spera» in Feruto
sono, 9-10:
Però chero mercé a voi, mia spera,
dolce mia donna e tutto mi’ conforto
3. Allora, quando Guinizzelli in Tegno de folle ’mpres’, 31-40 e in Vedut’ho la lucente, 1-4 presenta
la sua versione dell’immagine della donna-luce, attribuendo alla propria donna la sovrannaturale
facoltà di rischiarare le tenebre, Bonagiunta potrebbe essersi sentito chiamato in causa, scorgendo in
tale operazione un tentativo di superamento della propria rappresentazione della donna (cioè della
propria maniera poetica), e, direi, con piena ragione, come dimostra un confronto diretto fra le
rappresentazioni di Bonagiunta della donna-luce e quelle di Guinizzelli, a partire dalle due coinvolte
nella polemica di Voi, ch’avete mutata:
Bonagiunta, Ben mi credea 17-24:
Guinizzelli, Tegno de folle ’mpres’ 21-24 e 31-40:
membrando il suo visaggio
ch’ammorza ogn’altro viso e fa sparere
in tal manera che là ’ve ella appare
nessuno la può guardare,
e mettelo in errore.
Tant’è lo suo splendore
che passa il sole, di vertute spera,
e stella e luna ed ogn’altra lumera.
Bonagiunta, Vostra piacenza 12-14:
Chera sovra l’altre rischiarate,
d’uno sprendore sprendente isprendete
che più risprende che del sol li rai
Ben si pò tener alta quanto vòle,
ché la plu bella donna è che si trove
ed infra l’altre par lucente sole
e falle disparer a tutte prove:
[…]
Ben è eletta gioia da vedere
quand’apare ’nfra l’altre più adorna,
ché tutta la rivera fa lucere
e ciò che l’è d’incerchio allegro torna;
la notte, s’aparisce,
come lo sol di giorno dà splendore,
così l’aere sclarisce:
onde ’l giorno ne porta grande ’nveggia,
ch’ei solo avea clarore,
ora la notte igualmente ’l pareggia.
Guinizzelli, Vedut’ho la lucente 1-4:
Vedut’ho la lucente stella diana,
ch’apare anzi che ’l giorno rend’albore,
c’ha preso forma di figura umana;
sovr’ogn’altra me par che dea splendore:
Apparve luce, che rendé splendore
che passao per li occhi e ’l cor ferìo
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