Roma - PerStareInsieme

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Associazione Teatrale
Pescara Colli
affiliata
Domenica 10 novembre 2013
L’Associazione Teatrale PerStareInsieme organizza la settima gita, nella quale si abbinano
religione, cultura e spettacolo. Nel ringraziarvi per la partecipazione a questo importante
appuntamento culturale, vi auguriamo una buona giornata con la speranza che il
programma che è stato predisposto sia di vostro gradimento.
Questo semplice opuscolo per le notizie generali sui luoghi da visitare, sul programma e su
quanto ci è sembrato utile sottoporre alla vostra attenzione.
Affinché possa essere garantita una buona riuscita dell’evento, è necessario attenersi agli
orari ed al programma sotto riportati. Per qualsiasi informazione ed esigenza rivolgersi a
Ferdinando (cell. 3401483349) o Gianni (cell. 3357691590). Grazie e buona giornata a tutti.
PROGRAMMA
Ore 6,30 – Partenza da Via Di Sotto (Piazzale Conad).
Ore 9,30 – Arrivo a Subiaco – Visita al Sacro Speco di San Benedetto
Ore 13,30 – Visita al Monastero di Santa Scolastica e pranzo al sacco condiviso
Ore 15,00 – Partenza per Roma
Ore 16,45 – Ritrovo al Teatro Vittoria per ritirare i biglietti al botteghino.
Ore 17,30 – Spettacolo teatrale Rumori fuori scena di Michael Frayn con la Compagnia Attori
& Tecnici
Ore 20,00 circa – Partenza da Roma.
Ore 23,00 circa – Rientro a Pescara.
È prevista una sosta lungo il percorso. Si chiede il rispetto scrupoloso degli orari.
La vallata che accompagna il corso del fiume Aniene, durante i
secoli è stata costantemente attraversata dalla storia.
L’imperatore romano Claudio Nerone (54-68 d.C.) trovò proprio
qui il luogo ideale per erigere una sontuosa villa. Il fiume, poi, offrì a Nerone la
possibilità di avere, tramite la costruzione di poderose dighe di sbarramento, tre laghi,
lungo le rive dei quali si articolavano i numerosi padiglioni della villa imperiale: da ciò il
nome Sub-lacuum, sotto i laghi. Sul finire del V sec., Benedetto da Norcia,
allontanandosi da una Roma moralmente
insalubre, scelse Subiaco per il suo
eremitaggio. Visse per tre anni all’interno di
una grotta sul Monte Taleo, dove oggi
sorge il “Sacro Speco”. La fama del suo
fervore religioso gli attirò un così numeroso
seguito che ben presto sentì la necessità di
fondare un primo nucleo monastico che si
insediò in un padiglione della villa
neroniana. Altri dodici monasteri furono poi
fondati lungo la valle, ma di questi uno rimase attivo nel tempo, quello di S. Silvestro,
intitolato poi alla sorella di Benedetto, Scolastica. Benedetto rimase a Subiaco per
trent’anni, poi prese la strada di Cassino dove completò la sua Regola e mori il 21
marzo 547.Nel secolo XIX, Subiaco fu condizionata dalle vicende dello Stato Pontificio
e dal Risorgimento italiano. Giacobini francesi, garibaldini e bersaglieri furono in
diverse occasioni protagonisti di storie e avvenimenti annotati dai monaci e ancora oggi
patrimonio della memoria sublacense. Agli albori del XX sec., Subiaco divenne meta di
numerosi artisti, scrittori, poeti attratti dalla quiete dei monti e dall’armonia della natura.
Antonio Fogazzaro vi ambientò il suo romanzo “Il Santo”. I bombardamenti della
seconda guerra mondiale distrussero la città per il 70% ma la cittadinanza tutta riuscì a
ricostruire quanto gli eventi bellici avevano momentaneamente cancellato.
La prima chiesa in muratura, che racchiudeva
due grotte del Taleo - nelle quali Benedetto
restò per tre anni - fu edificata solo nel sec. XI
per volere dell’abate Umberto. La vita
monastica in forma organizzata vi iniziò nel
1200 circa. La cappella di San Gregorio fu
costruita
in
seguito
e
consacrata
probabilmente nel 1224, alla presenza
diFrancesco d’Assisi che in quel tempo si
trovava a Subiaco. Il monastero com’è
attualmente visibile fu costruito nella seconda
metà del sec. XIII dagli abati Enrico e Bartolomeo.
Si giunge al Sacro Speco attraverso una scalinata circondata da un boschetto di lecci. Sulla
porticina gotica che introduce al loggiato si trova una croce a mosaico del XIII secolo; in fondo
si raggiunge una porta con affreschi del XV secolo di scuola umbra e si accede alla Sala del
Capitolo Vecchio, ricca di dipinti della scuola del Perugino, risalenti alla prima metà del XVI
secolo.
Si accede dunque alla Chiesa superiore (23x5,45 metri). La
prima parte - con affreschi della scuola senese - è un
rifacimento di una costruzione del sec. XIII operata il
secolo successivo: è possibile vederne ancora le tracce. Gli
affreschi riproducono scene della vita di Gesù: l’Entrata
Trionfale di Gesù a Gerusalemme la domenica delle
palme; il Viaggio di Gesù al Calvario; la Crocifissione. La
seconda parte della chiesa custodisce affreschi della
scuola umbro-marchigiana del sec. XV. Sono scene della
Vita di San Benedetto, tra cui il Santo che sanguina tra le
spine; l’Attentato dei monaci di Vicovaro; la Guarigione
del monaco accidioso.
Anche le pitture del Transetto appartengono alla scuola
umbro-marchigiana e tra queste si notano l’Ultimo colloquio di San Benedetto con Santa
Scolastica prima della morte della Santa e la Visione di San Benedetto che vede volare in cielo
l’anima della sorella Scolastica sotto forma di colomba.
Scendendo i gradini davanti all’altare maggiore si raggiunge la Chiesa inferiore, a due piani. Le
pareti sono ricoperte di pitture della scuola popolare romana, in gran parte opera del Magister
Conxolus, artista del secolo XIII. Sulla parete sinistra sono rappresentati il Prodigio in Affile del
Santo; l’Incontro con San Romano e il Ritiro nella grotta. Più in basso, il Miracolo del Goto e,
sulla porta del Coro, il Miracolo di San Placido.
Dalla Chiesa inferiore si accede al Sacro Speco (o Santa
Grotta) dove S. Benedetto trascorse tre anni di vita
eremitica. Il paliotto dell’altare (secolo XIII) è opera dei
Cosmati e il mosaico dell’abside della scuola vaticana. Sullo
sfondo si può ammirare la statua di San Benedetto nella
grotta, scolpita nel 1637 da Antonio Raggi. Tutto intorno, la
roccia nuda richiama alla riflessione e alla preghiera.
Una scala a chiocciola conduce alla cappella di San
Gregorio. Nell’atrio si trova un affresco del Conxolus che
rappresenta Santa Chelidonia, eremita benedettina vissuta
nella grotta di Morra Ferogna nel XII secolo. Interessante è,
inoltre, l’affresco di San Francesco d’Assisi, rappresentato
senza aureola né stimmate, e dunque dipinto prima del
1224 (anno in cui ebbe le stimmate), quando il Santo era
ancora in vita.
Dalla cappella di San Gregorio si scende lungo la Scala
Santa, entrando alla cappella della Madonna. In questa cappella si conservano le ossa del
Beato Lorenzo Loricato, morto nel 1243 e trasportato nel Sacro Speco nel 1724.
Dalla cappella della Madonna si scende ancora verso la Grotta dei Pastori, dove S. Benedetto
impartiva lezioni di dottrina cristiana ai pastori dei dintorni. Sulla roccia viva si può notare un
frammento di pittura bizantina dell’VIII secolo, raffigurante la Madonna col Bambino e due
santi ai lati.
Uscendo all’aperto, infine, si accede a quello che, fino al 1870, era il piccolo cimitero dei
monaci dello Speco. Adiacente a esso è il Roseto di San Benedetto, il roveto fra le cui spine San
Benedetto si gettò per vincere la tentazione, e dove poi San Francesco, durante la sua visita al
Sacro Speco nel 1224, innestò delle rose. L’episodio di cui è protagonista San Francesco è
raffigurato su una parete da un affresco del XVII secolo, opera del Manenti.
Dal Roseto è possibile ammirare il complesso architettonico del santuario e le varie strutture
che lo caratterizzano.
Il protocenobio di Santa Scolastica è uno
dei tredici monasteri fondati da S.
Benedetto
nella
zona,
l’unico
sopravvissuto alle vicissitudini dei secoli.
Fondato nel 520, è il più antico
monastero benedettino d’Italia e del
mondo.
Il nome primitivo era monastero di
San Silvestro, poi, alla fine del IX secolo,
dopo le invasioni dei Saraceni,
monastero e chiesa furono intitolati ai
Santi Benedetto e Scolastica. I secoli X-XI
furono il periodo di massimo sviluppo: il
monastero ricevette in dono molti beni
e vi fu costruita una nuova grande chiesa romanica consacrata nel 980.
Nel secolo XII iniziò la vita cenobitica anche al Sacro Speco e, per evitare confusione fra i due
monasteri, il Sacro Speco fu intitolato a San Benedetto, mentre la sottostante Badia assunse
dalla fine del XIV secolo il nome attuale di Santa Scolastica.
Dalla metà del XIV secolo all’inizio del XVI la comunità monastica sublacense registrò una
forte presenza di monaci europei, soprattutto tedeschi. Dalla Germania giunsero anche, verso
il 1463, i due stampatori Corrado Sweynheim e Arnoldo Pannartz, per opera dei quali venne
installata la prima tipografia italiana nel chiostro del protocenobio.
Nel 1456 all’abbazia di Subiaco fu applicata la Commenda; il monastero perse così sui paesi
dell’abbazia il potere temporale, che passò al commendatario. La Commenda venne soppressa
nel 1915 da papa Benedetto XV.
Gli eventi bellici del secondo conflitto mondiale hanno danneggiato la facciata del
monastero e parte del primo chiostro, prontamente restaurati
dopo la guerra.
Gli edifici di cui si compone il monastero di Santa Scolastica
sono stati costruiti nel corso dei secoli, appartengono a epoche
differenti e per questo sono talvolta stilisticamente molto diversi.
La facciata è stata ricostruita dopo i bombardamenti del 1944;
sul portone d’ingresso spiccano in altorilievo il motto benedettino
“Ora et labora” e la parola “Pax”, concetti fondamentali della
regola dei monaci.
Dall’androne d’ingresso si accede ai tre chiostri. Il primo è
il chiostro rinascimentale, terminato nel 1689. Vi si trovano
pitture del XVII secolo con i papi che visitarono Subiaco,
fotografie e riproduzioni di documenti, codici e incunaboli
conservati nella biblioteca del monastero. Il chiostro gotico, dall’aspetto medievale, risale alla
fine del secolo XIII-inizi del XIV e introduce alla parte più antica del monastero. Al giardino si
accede passando sotto un grande arco gotico “flamboyant” del secolo XV a doppia arcata. Al
centro del giardino c’è un pozzo con ai lati due colonne provenienti dalla villa di
Nerone congiunte da un’architrave. Il chiostro cosmatesco è rettangolare e misura m 12x16
circa. Fu costruito nel secolo XIII, in due fasi. Il lato sud, in pietra calcarea, risale agli inizi del
secolo ed è opera di Iacopo I. Gli altri lati, opera di Cosma e dei figli Luca e Jacopo, risalgono ai
decenni successivi. Per la costruzione è stato utilizzato marmo bianco proveniente
dal monastero di San Clemente, il primo costruito da S. Benedetto, distrutto dal terremoto del
1228. Tra gli affreschi delle pareti si trovano pitture con i simboli degli evangelisti;
particolarmente suggestivo il San Matteo con l’occhio “centrato”, che sembra osservare il
visitatore da ogni parte.
Dal lato ovest del chiostro gotico si osserva il campanile romanico, costruito nel 1052-1053
dall’abate Umberto, importante perché anteriore a tutti i campanili di Roma. È composto da
differenti parti appartenenti a epoche diverse. Ha forma quadrata e misura m 7x7; è costituito
da sette zone sulla parte basamentale: due a parete piena e cinque con trifore e bifore divise
da colonnine in pietra.
Le chiese del monastero, nel corso dei secoli, sono state cinque. Delle tre più antiche non
restano che tracce, mentre quella neoclassica, la più recente, è stata costruita all’interno delle
mura della precedente chiesa romanico-gotica.
Della chiesa gotica, ricostruita nel XIV secolo, è possibile ammirare il portale originario in
pietra lavorata. È sormontato da una lunetta con un affresco del Quattrocento: la Madonna col
Bambino, tra San Benedetto e Santa Scolastica. La parete del portale è ricoperta di affreschi
trecenteschi con episodi della Vita di San Benedetto.
Alla chiesa neoclassica, dedicata ai Santi Benedetto e Scolastica, si accede dal chiostro
cosmatesco. Fu costruita su progetto dell’architetto bergamasco Giacomo Quarenghi e
consacrata nel 1777; è un notevole esempio di stile neoclassico e si ispira al Palladio. Vi si trova
un’urna di vetro con i resti di Santa Chelidonia, morta nel 1152 e dichiarata patrona di Subiaco
nel 1695; le due colonne in marmo cipollino che sostengono la tribuna d’ingresso provengono
dalla villa di Nerone. Il coro risale al XVII secolo e apparteneva alla precedente chiesa
romanico-gotica, le cui strutture murarie risultano ben visibili dal cortile dell’Assunta e dalla
volta della chiesa attuale. Sugli altari otto pregevoli tele: Trinità coi Santi Mauro e Placido e San
Gregorio (entrambe di Vincenzo Manenti, 1639 e 1646); Sant’Andrea (Mattia Preti); Santi
Anatolia e Audace (Antonio Concioli, 1775);Santi Cosma e Damiano (Pompeo De Ferrari,
1643); Angelo Custode (Stefano Magnasco); un “caraveggesco”San Girolamo; Velazione di
Santa Chelidonia (Marcello da Piacenza, 1577 circa).
Adiacente alla chiesa è la cappella della Madonna, costruita nel 1578, con affreschi di
Marcello da Piacenza. Sulla volta sono rappresentati episodi della vita della Vergine e ai lati i
quattro Evangelisti e i quattro Dottori della Chiesa latina. Sull’altare un quadro della Madonna
con Bambino di fronte a Sant’Anselmo.
Nei sotterranei si trovano inoltre le grotte dedicate a San Pietro III, a Sant’Onorato e alla
Madonna di Lourdes, precedute dalla cappella degli Angeli, risalente al XV secolo. Gli affreschi
della cappella rappresentano ilPadre Eterno circondato dai cori angelici; l’Apparizione di San
Michele arcangelo nel Gargano; la Lotta tra gli angeli buoni e quelli ribelli; episodi della vita di
Gesù tra cui una Crocifissione.
Annessa al monastero è la Biblioteca di Santa Scolastica. Nel corso dei secoli,
sfortunatamente, c’è stata una forte dispersione di codici, tuttavia l’archivio-biblioteca
conserva documenti e volumi di grande valore. Attualmente custodisce circa 4.000 pergamene,
380 volumi manoscritti e 213 incunaboli. Tra questi ultimi ricordiamo quelli stampati a Subiaco:
le Divinae Institutiones del Lattanzio e due De Civitate Dei di S. Agostino, risalenti agli anni
1465-1457, quando Corrado Sweynheym e Arnoldo Pannartz installarono la prima tipografia
italiana nel monastero di Santa Scolastica.
In alcuni locali del monastero sono infine esposti reperti risalenti alla preistoria e alla
protostoria di Roma e della campagna romana, provenienti dalla collezione privata di Luigi
Ceselli, donata alla comunità benedettina di Subiaco nel 1915 da Marco Ceselli.
Il Museo Ceselli si trova nei locali seminterrati del monastero e raccoglie oggetti di grande
valore scientifico riguardanti le scienze geologiche, archeologiche, paleontologiche ed
etnologiche. È intitolato a Luigi Ceselli, ex ufficiale del Genio pontificio e autodidatta dedito
alla ricerca archeologica. I reperti appartengono a un’epoca che va dal VI secolo a.C. all’età
tardo-antica, sono stati raccolti nella seconda metà del XIX secolo e risultano preziosi
soprattutto perché molti dei siti archeologici da cui provengono sono andati distrutti.
La collezione è stata donata al monastero di Santa Scolastica nel 1915 da Marco Ceselli,
figlio del ricercatore.
Ora et Labora, secondo la Regola di San Benedetto, è la linea guida che caratterizza la
giornata dei monaci benedettini; è secondo questo insegnamento che i monaci
benedettini del Monastero di Santa Scolastica e del Monastero di San Benedetto in
Subiaco scandiscono la propria giornata, alternando preghiera e lavoro.
Grazie a questo ritmo di vita costante è stato possibile, attraverso 1500 anni di storia,
trasmettere di generazione in
generazione le preziose esperienze
acquisite nel campo delle proprietà
officinali delle erbe.
Conoscenza e
cura
nella
preparazione artigianale rendono
oggi possibile preparare i prodotti
presenti in questo portale che, ci
auguriamo, riscuotano il vostro
apprezzamento.
Nella bottega del monastero sono in vendita articoli di diverso genere tutti prodotti dai
monaci: creme per il corpo, caramelle ai vari gusti, crema di cioccolata alla nocciola e
al cioccolato fondente, liquori (centerbe, amari, grappe, limoncino, fragolino, nocino,
mirtillo, elisir), marmellata di more, pomate medicinali, miele d’acacia e millefiori, pappa
reale, saponi, bagnoschiuma, dentifrici, colluttori, lozioni, tisane per vari utilizzi.
Si possono trovare anche libri, guide e riproduzioni a stampa.
Sin dai primi anni del 900, il Vittoria era il teatro del Testaccio. Una palazzina a due
piani che affacciava su una piazza sterrata
con una chiesa nuovissima e maestosa a
farle da contraltare. Testaccio era quartiere di
frontiera. Qui, di fronte al teatro, erano sorte
le prime case popolari, assegnate perlopiù ai
carrettieri e agli operai del vicino mattatoio. Il
centro di Roma era lontano anni luce. Al
Vittorio in quegli anni si faceva il varietà. Un
varietà probabilmente senza troppe pretese e
che, dopo qualche decennio, si sarebbe
chiamato avanspettacolo. Ciò non di meno,
su quel palco si esibirono attori e attrici che poi avrebbero scritto la storia del teatro e
del cinema italiano: Aldo Fabrizi, Totò, Anna Magnani, solo per citarne alcuni. Dopo la
guerra, quando la furia edilizia impazzava nella capitale, quell’edificio venne abbattuto.
Al
suo
posto
sorse
un
condominio,
moderno
e
confortevole che, al piano terreno
ospitava un cinema. Un cinema
grande, con una platea e una
balconata, che per molti anni fu il
punto di riferimento per lo svago
dei testaccini, gente spiccia,
chiassosa
e
dall’umorismo
genuino. A costruire il nuovo
cinema Vittoria, fu l’imprenditore
Amati, proprietario di numerose
sale a Roma e non solo. Il
cinema visse e sopravvisse fino
alla fine degli anni Settanta quando, ormai fatiscente in un quartiere degradato, chiuse.
A maggio del 1986 iniziarono i lavori di ristrutturazione per trasformare il vecchio
cinema in teatro di prosa. Attilio Corsini, capitano della cooperativa Attori & Tecnici,
incaricò del progetto il celebre e quotato architetto Enrico Nespega. I lavori furono
completati a tempo di record e a dicembre del 1986, il teatro Vittoria – nella sua veste
attuale – aprì le porte al pubblico : 560 poltroncine di velluto rosso davanti a un grande
palcoscenico. Da allora il Vittoria non ha mai smesso di far divertire i romani. Con ospiti
internazionali, produzioni della cooperativa Attori &Tecnici (su tutte, Rumori fuori
scena), compagnie prestigiose, grandi mattatori. Il teatro ha resistito a tentativi di
sfratto, congiunture economiche, televisioni, multisale e videogiochi, perfino alla
prematura scomparsa di Attilio Corsini, nel 2008.
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ROMA – Quest’anno la compagnia Attori
&Tecnici, festeggia i 30 anni dalla prima,
avvenuta nel 1983, della fortunatissima e
comicissima commedia di Sir Michael Frayn, ”Rumori fuori scena”, per la traduzione di Filippo
Ottoni. La regia fu di Attilio Corsini, uno dei fondatori della compagnia, scomparso nel 2008. Da
allora gli Attori &Tecnici hanno ripreso il testo per quasi diecimila repliche restando sempre
fedeli alla messinscena e all’adattamento originali di Corsini. Alcuni degli attori dell’odierna
versione sono ancora quelli storici della prima rappresentazione, come la bravissima Viviana
Toniolo, che interpreta la signora Clackett, custode della casa in cui si svolge la storia, sempre
alle prese con un piatto di mitiche sardine. La commedia racconta in tre atti la storia di una
sgagherata compagnia inglese che deve mettere in scena una farsa intitolata “Niente
addosso”. S’inizia con le disastrose prove generali, quando mancano “poche centinaia di
secondi alla prima”, come urla disperato il regista, sull’orlo di un esaurimento nervoso. A
ridosso dal debutto c’è ancora qualche attore che ha dubbi sulle “le motivazioni” di certi
movimenti. E lui francamente non sa cosa rispondere, anche perché si tratta di una farsa che
ha la pretesa di voler fare soltanto ridere. Tra errori, battute da mandare a memoria, gag,
invidie, gelosie, tradimenti, si approda finalmente alla conclusione della prova generale. Il
secondo tempo si svolge dietro le quinte e assistiamo alla messinscena della commedia da un
punto di vista inusuale. Quello che accade, a insaputa del pubblico, è di una comicità senza
precedenti. Ormai gli attori sono ai ferri corti. Le gelosie, gli amori, gli equivoci s’intrecciano a
ritmo incalzante, fino ad arrivare al terzo atto. Ora la scena torna a essere quella del primo
atto. La commedia viene vista di nuovo dalla parte del palcoscenico soltanto che le entrate e le
uscite si accavallano in modo scoordinato e disordinato, a causa della guerra e degli atroci
scherzi che gli attori combinano l’uno contro l’altro. Insomma mi spingo a dichiarare che
“Rumori fuori scena” è una delle commedie più irresistibili e comiche mai rappresentate. Il
gioco del teatro nel teatro continua a essere un meccanismo di assoluto effetto comico. La
commedia è geniale, nel voler presentare un ipotetico testo prima come dovrebbe esser visto
dal pubblico e poi, rivedendo le stesse scene dietro le quinte, come viene stravolto da un
manipolo di attori efferati ed egocentrici. C’è dentro la vita stessa del Teatro e chi fa spettacolo
dal vivo conosce bene queste diaboliche dinamiche interne. Commedia quindi perfetta, regia
altrettanto efficace e ritmata, ma un plauso particolare va alla compagnia tutta che non si
risparmia mai e mai prende fiato nella corsa forsennata verso il finale. Gli interpreti sono
Viviana Toniolo (che ha curato anche la direzione artistica), Annalisa Di Nola, Stefano Messina,
Roberto Della Casa, Carlo Lizzani, Andrea Lolli, Elisa Di Eusanio, Sebastiano Colla e Claudia
Crisafio. La scenografia di Bruno Garofalo è ancora quella originale e le musiche sono firmate
da Arturo Annecchino.“Rumori fuori scena” è uno spettacolo indimenticabile, adatto anche ai
bambini e per chi ancora non l’avesse visto ha tempo fino al 13 gennaio, al Teatro Vittoria di
Roma.
VITO BRUSCHINI www.globalpress.it
QQUUUAAASSSIII1100..000000RRREEEPPPLLLIIICCCHHHEEE!!
La data del debutto in Italia della commedia scritta da Michael Frayn risale al 4 dicembre del
1983 al Teatro Flaiano e sin da subito raccolse successi unanimi tali da maturare in tutti questi
anni quasi 10.000 repliche.
L’allestimento ricalca integralmente quello realizzato dall’indimenticato Attilio Corsini,
attore, regista, scrittore e fondatore nel 1977 della compagnia Attori&Tecnici nonché
direttore artistico del teatro Vittoria fino al 2008. La scelta di non alterare un congegno
perfettamente calibrato e collaudato nel tempo sta risultando vincente, confermata dalla
calorosa ed affettuosa partecipazione che il pubblico riserva all’intera compagnia con un
interminabile applauso finale.
“Rumori fuori scena” fu scritta da Michael Frayn nel 1982 e la sua accattivante formula del
“teatro nel teatro” ispirò Peter Bogdanovich che nel 1992 ne realizzò una versione
cinematografica con Michael Caine e Caroll Burnett.
La trama si fonda sui maldestri tentativi di una malandata compagnia di attori alle prese con
l’allestimento del loro spettacolo che dovrà andare in scena il giorno successivo. Nei tre atti
seguiremo, tra liti, errori e agitazioni amorose, le fasi relative alle prove generali (primo atto) e
alla successiva messa in scena, raccontata sia per ciò che accade dietro le quinte (secondo atto)
sia nella versione offerta al pubblico (terzo atto).
Sin dalla prova generale ci renderemo conto del livello approssimativo degli attori in scena,
sottolineato dalle continue interruzioni cui è costretto il regista il quale tenta vanamente di
districarsi tra le ripetute fobie, paure, dimenticanze e tic degli interpreti.
Scontro dal quale emerge, in modo forse esasperato ma per certi versi rivelatore, il delicato
equilibrio che un interprete deve raggiungere tra le emozioni che gli vengono richieste come
personaggio e quelle che inevitabilmente scaturiscono in lui in quanto individuo.
Difficoltà che verrà ulteriormente messa in evidenza nel secondo atto durante il quale verremo
trasportati, in un salto spazio/temporale, dietro le quinte durante la rappresentazione dello
spettacolo, lasciando emergere i rapporti umani e le dinamiche personali dei singoli attori e
svelando così gelosie, tradimenti, antipatie ed incomprensioni che caratterizzano le loro
relazioni; si arriva quindi al terzo atto in cui, ritornando in platea nella posizione di spettatori,
assisteremo alla rappresentazione scenica di quello che nel precedente atto abbiamo
osservato da dietro le quinte. Assisteremo così al significativo ridursi del limite tra vita reale e
finzione scenica che si sovrappongono fino ad annullarsi, confermando così quanto intuito dal
grande drammaturgo inglese William Shakespeare, ovvero: "Tutto il mondo è un teatro e tutti
gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate….” .
E le entrate e le uscite, in “Rumori fuori scena”, sicuramente non mancheranno, visto che
l’intero intreccio drammaturgico si poggia sui velocissimi movimenti eseguiti da tutti gli attori
in scena che, in perfetta sincronia, daranno vita a delle vere e proprie coreografie
mozzafiato in cui volteggeranno dipanandosi tra le otto porte di cui la scenografia è costituita.
Inevitabilmente con queste premesse drammaturgiche i fili della storia si attorciglieranno
generando un vortice di gag esilaranti, trasformando il palcoscenico in una polveriera di
situazioni comiche. Ed è proprio in questo ritmo serrato fatto di entrate sbagliate, oggetti e
frasi dimenticate intrecciate a movimenti e battute perfettamente sincronizzate, che gli attori
della compagnia Attori & Tecnici hanno dimostrato di possedere una impareggiabile capacità
interpretativa, inserendosi con discrezione e maestria in un ingranaggio di particolare
complessità dando l’idea di una grande orchestra sinfonica in cui, più della bravura del singolo,
conta il gruppo nella sua totalità.
Dino De Bernardis www.saltinaria.it
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“Rumore fuori scena” o come lo chiamano affettuosamente gli attori “Rumore”
Un pesce argenteo, abituato a nuotare in enormi banchi di migliaia di esemplari, stavolta
insieme a due compagni sta disteso su un piatto bianco, portato in giro da una mano
tremolante. Sono le sardine il cibo prediletto dalla governante di un cottage sperduto nelle
campagne londinesi, seduta sul divano a godersi il suo giorno di riposo. Poi il telefono squilla, la
situazione si anima con la presenza del padrone di casa in dolce compagnia che, inseguito dal
fisco, si nasconde proprio lì per una scappatella, dato che la casa dovrebbe essere vuota.
All’improvviso il regista interviene dalla platea per fermare le prove, “ogni tanto qualche
battuta la infili…”, e dare qualche consiglio agli attori che stanno provando lo spettacolo. Siamo
davanti ad un bell’esempio di teatro nel teatro, dove gli attori recitano di recitare e
soprattutto si muovono in una scenografia tutt’altro che facile, a due piani e con molte porte
dalle quali sbucar fuori. Ed è appunto il loro continuo uscire ed entrare, aprire e chiudere le
porte sempre al tempo giusto e con battute millimetriche che rende questo spettacolo molto
preciso e soprattutto divertente.
Durante le “prove generali” si capisce come deve andare la rappresentazione, ma soprattutto
facciamo la conoscenza degli attori quando non interpretano nessun ruolo e sono sé stessi: si
va da chi vuole conoscere minuziosamente il motivo di certe azioni prima di compierle, alla
perfezionista della scena che ha il testo ottimamente a memoria ma ne rimane come
imprigionata, non sapendo improvvisare quando qualcosa va storto, fino ad arrivare all’attore
quasi completamente sordo e con il vizietto dell’alcool, che va costantemente monitorato per
evitare che si sbronzi durante la commedia. I personaggi risultano molto ben caratterizzati e
diversi fra loro, oltre a non omologarsi al ruolo che interpretano in scena.
Nel secondo atto un importante cambio scena ci fa vedere la medesima scenografia ma dal
lato posteriore: non vediamo più cosa avviene sul palcoscenico della rappresentazione ma cosa
succede dietro le quinte. Il pubblico, che ha appena ascoltato la commedia come dovrebbe
essere, stavolta assiste a come viene ricostruita dal punto di vista degli attori e può quindi
percepire i meccanismi ma soprattutto gli errori che si vengono a creare sulla scena. La
comicità è molto ritmata e la presenza di equivoci scaturiti da alcune love story nel cast creano
quell’evoluzione di movimenti, di scambi, di battute, di oggetti che non sono dove dovrebbero
o che sono dove non dovrebbero, di errori e di gags comiche che rendono questo spettacolo
molto piacevole e spassoso. Le due ore e mezzo compresi due intervalli volano via
rapidamente.
Dalle quinte è possibile vedere logiche e dinamiche che in genere restano nascoste, come il
ruolo del regista, talvolta enfatizzato come se fosse un dio, che sprona, sgrida e incita i suoi
attori, conoscendoli nel profondo e quindi sapendo quando è il momento di pretendere da loro
e quando invece di lasciare la presa. Esce fuori l’umanità degli attori e del regista, le loro
debolezze e superstizioni. Nel terzo atto si riesce quasi a prevedere cosa diranno gli attori
prima che aprano bocca, essendoci entrati così sotto pelle le loro emozioni.
E’ impressionante vedere, nel secondo atto, sei attori contemporaneamente in scena che si
muovono in uno spazio ristretto con oggetti in mano che si scambiano, si lanciano, scherzano,
creano situazioni comiche e subito dopo le distruggono, si amano e si lasciano, tutto ad una
velocità sbalorditiva e senza sbavature. Merito di un ampio rodaggio in scena: nel 1982 il
regista di allora pensava che fosse uno spettacolo troppo “british” per funzionare in Italia, da
allora però non si è mai fermato, con oltre trent’anni di rappresentazioni ininterrotte. Il cast,
mutato solo dall’incessante passare del tempo, è quindi completamente a suo agio in uno
spettacolo che richiede, oltre alle capacità comiche, un senso spaziale, un ascolto e una
sincronia fuori dal comune.
Andrea Vezzosi www.fermataspettacolo.it
Avanti, 12 ottobre 2007
"Rumori fuori scena"
La nuova stagione del teatro Vittoria di piazza Santa Maria Liberatrice, nel cuore dell'antico quartiere
romano di Testaccio, si apre con uno spettacolo esilarante, una pièce che dopo ben 24 anni di
rappresentazione ancora fa il tutto esaurito al botteghino. "Rumori fuori scena" (1982) di Michael Frayn è
stata rappresentata per la prima volta a Londra nel 1982, tradotta in ben 29 lingue e replicata più di 3000
volte. Dalla prima rappresentazione del 1983 ad opera della "Compagnia Attori & Tecnici", lo spettacolo
non è più cambiato e forse l'unico mutamento è l'aspetto degli attori un po' invecchiati. La traduzione e
adattamento è di Attilio Corsini, che ne è anche il regista, mentre la compagnia è composta dalla
bravissima Viviana Toniolo, Stefano Altieri, Annalisa Di Nola, Stefano Messina, Carlo Lizzani, Roberto Della
Casa, Annalisa Favetti, Franco Mirabella e Valentina Taddei. È una sceneggiatura perfetta dal ritmo molto
veloce, un susseguirsi di battute incalzanti con un continuo aprirsi e chiudersi di porte, dove insomma è
l'attore e il suo tempo comico a dominare la scena e permettere la riuscita della commedia. Tutti hanno
un loro ruolo ben strutturato e fondamentale. L'opera è ciò che alcuni definirebbero una vera e propria
"macchina da guerra", che produce risate a non finire giocando sui difetti, invidie e gelosie dei diversi
personaggi-attori. Infatti i protagonisti sono i membri di una compagnia di attori, alcuni alle prime armi,
altri veterani del palcoscenico che cercano di guadagnare qualcosa prima di ritirarsi dalle scene. Una
compagnia mista e ben assortita, ma alquanto disorganizzata, che deve mettere in scena un vaudeville
(genere teatrale nato e sviluppatosi in Francia nel corso dell'Ottocento), mancano poche ore alla prima e
si trovano, guidati dal regista, a fare contemporaneamente sia la prova tecnica che generale. Tra i
problemi personali e i tic che caratterizzano i diversi attori, lentamente vengono a galla gli intrecci, gli odi
e le gelosie permettendo allo spettatore non solo di vedere ciò che avviene sulla scena, ma anche dietro
le quinte. Come tutti gli spettacoli anche questo va in tournèe, però la situazione assume toni sempre più
surreali e paradossali, arrivando all'assurdo in cui tutto sfugge al controllo del regista. Se nel primo atto lo
spettatore assiste alle prove tecniche, nel secondo vede ciò che si svolge dietro le quinte e sia le cause
scatenanti del malessere che le liti che porteranno nel terzo atto alla rappresentazione di uno spettacolo
decisamente "originale" e diverso da quello che dovrebbe essere. C'è una caratterizzazione estrema dei
personaggi, stereotipi universali, che regalano "grasse" e grosse risate, grazie anche al linguaggio
colloquiale che li rende reali e li fa apparire come il "vicino di casa" o quasi. Il testo teatrale è nel suo
insieme decisamente molto complicato e richiede una padronanza dei tempi e una capacità di
interpretazione uniche, per far sì che non ci siano stacchi e tempi morti; tutto e tutti sono intrecciati fra
loro e si rapportano e concatenano in un mix esplosivo. Dopo 24 anni di repliche le risate sono ancora
garantite.
Federica Di Bartolo
Il teatro nel teatro o metateatro è un
artificio teatrale con il quale, all'interno di
una rappresentazione, si mette in scena
una ulteriore azione teatrale della quale viene dichiarata la natura fittizia. Questo artificio è
stato spesso utilizzato per inscenare una breve rappresentazione all'interno di un dramma, con
gli attori di quest'ultima che si rivolgono, oltre al pubblico in platea, anche ad un fittizio
pubblico, interpretato da alcuni degli attori della compagnia, che prende posto sul
palcoscenico. In alcuni casi questa modalità narrativa ha talvolta assunto il carattere di
svelamento dell'artificio illusorio dell'evento teatrale o dello spazio teatrale da parte di chi
agisce la scena nei confronti degli spettatori, rendendo palese l'intero impianto fittizio
dell'azione scenica, talvolta allo scopo di mostrare l'illusorietà, non solo della
rappresentazione, ma anche della realtà tangibile dagli spettatori.
Nella pratica, il teatro nel teatro può rappresentarsi come un evento teatrale che si svolge
sul palcoscenico, all'interno del dramma rappresentato, e che gli spettatori avvertono come
un'azione degli attori intenti nella rappresentazione di un dramma. Esempi celebri sono, ad
esempio, la seconda scena del terzo atto dell'Amleto di Shakespeare, nel quale degli attori
propongono uno spettacolo, consigliati da Amleto, sulla falsariga dell'omicidio perpetrato da
Claudio ai danni di Amleto padre.
Esempio del tentativo di corrispondenza fra la finzione teatrale e la vita reale può invece essere
il monologo di Jacques in Come vi piace, nel quale egli, paragonando l'esistenza umana ad un
evento teatrale, pronuncia la nota frase "All the world's a stage" ("Tutto il mondo è un
palcoscenico"). La tecnica metateatrale è usata da Shakespeare anche nellacommedia La
bisbetica domata. In epoca moderna sono celebri i drammi di Luigi Pirandello, nei quali
la metateatralità è pretesto per una riflessione sulle finzioni della realtà sensibile. Pirandello
compose una trilogia del teatro nel teatro, comprendente Sei personaggi in cerca
d'autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo.
Utilizzato in parte nell'antichità (Plauto) e nelle commedie goldoniane, il teatro nel teatro
rappresentò per l'arte teatrale del XX secolo una delle rotture delle convenzioni sceniche a
scapito del naturalismo ottocentesco, che prediligeva il teatro borghese e la quarta parete. La
necessità di rompere l'illusione non deriva, però, unicamente dal fatto di criticare la
convenzionalità della pièce bien fait, ma anche dalla necessità di "destare" l'attenzione
dello spettatore coinvolgendolo nei giochi multilinguistici e polisemantici dell'evento teatrale,
al fine sia di valorizzarne i vari livelli di cui è composto, sia di fornire ai personaggi
teatrali nuove possibilità esperienziali.
Noises off di Michael Frayn, conosciuto in Italia con il titolo Rumori fuori scena grazie alla
compagnia di Attilio Corsini, porta alle estreme conseguenze l'artifico del teatro nel teatro
rappresentando una compagnia che nel primo atto fa le prove di uno spettacolo, per mostrarci
nel secondo atto il palcoscenico rovesciato e, quindi, quanto avviene dietro le quinte, nel terzo
atto vediamo lo spettacolo dopo la centesima replica. L'esercizio di Frayn non ha particolari
valenze, trattandosi di un'opera scritta per il pubblico estivo che negli anni 80 andava in
vacanza nel sud Inghilterra, ma rivela fine conoscenza del mondo degli attori e maestria nella
creazione di un meccanismo che trascina il pubblico in situazioni esilaranti soprattutto grazie
alla trovata di girare il palco. In effetti nel secondo atto ci si trova di fronte a ben 3 spettacoli:
quello rappresentato verso il fondale, il backstage che il pubblico vede e, da non scordare, il
vero spettacolo, Noises off.
Da: wikipedia
La quarta parete è un "muro"
immaginario, posto di fronte al palco di
un teatro, attraverso il quale
il pubblico osserva l'azione che si svolge nel mondo dell'opera rappresentata. L'idea che
l'attore si debba immaginare un muro che lo divide dagli spettatori si trova così
formulata nel saggio De la poésie dramatique (1758) di Denis Diderot, e anche
precedenti trattati sull'arte drammatica avevano già specificato la necessità di una
recitazione più realistica che presupponesse che l'attore dimenticasse la presenza
degli spettatori (Luigi Riccoboni, Dell'arte rappresentativa - 1728; Francesco Riccoboni,
L'art du théâtre - 1750, Goldoni, Il teatro comico - 1750). Il concetto però acquista
fama e diffusione solo a cavallo tra il XIX e XX secolo con l'avvento
del realismo teatrale.
Già gli antichi Romani conoscevano il concetto di quarta parete, tanto che alcuni autori di
commedie del III e II secolo come ad esempio Plautofurono i primi ad attuare la "rottura della
quarta parete" tecnica stilistica che prevede l'inserimento del pubblico nello spettacolo il che era
molto apprezzato dal pubblico popolare. Altri autori per lo più successivi
come Terenzio preferirono invece ripristinare l'utilizzo di tale tecnica. Il concetto di quarta parete
verrà poi ampiamente usato nel XIX e XX secolo nel teatro dell'assurdo da autori importanti
come Bertolt Brecht eIonescu. Anche se nasce in teatro, dove il palco convenzionale chiuso da tre
lati fornisce una "quarta parete" più letterale, il termine è stato adottato da altre forme
artistiche, come il cinema e la letteratura, per indicare più genericamente il confine tra il mondo
della finzione e il pubblico.
La quarta parete fa parte della sospensione del dubbio esistente tra un'opera di finzione e
lo spettatore. Il pubblico di solito accetta implicitamente la quarta parete senza tenerla
direttamente in considerazione, potendo così godere della finzione della rappresentazione come
se stesse osservando eventi reali. La presenza della quarta parete è una delle convenzioni più
affermate della finzione, e in quanto tale ha spinto alcuni artisti ad attirare l'attenzione diretta su
di essa per ottenere un effetto drammatico. Ad esempio in Il quarto muro di A.R. Gurney, un
quartetto di personaggi ha a che fare con l'ossessione della casalinga Peggy nei confronti di un
muro bianco della sua casa, e viene lentamente trascinato in una serie di cliché teatrali, mentre
la scenografia e l'azione sul palco, vengono sempre più rivolti verso questo presunto muro.
Il termine "rompere la quarta parete" viene usato in cinema, teatro, televisione e nelle opere
letterarie, prendendo origine dalla teoria di Bertolt Brecht del "teatro epico", sviluppata partendo
da (e in contrasto con) la teoria del dramma di Konstantin Stanislavski. Essa fa riferimento ad un
personaggio che si rivolge direttamente al pubblico, o che riconosce attivamente (tramite
un personaggio di rottura o tramite il dialogo) che i personaggi e l'azione non sono reali. Questo
produce l'effetto di ricordare agli spettatori che quello che stanno vedendo è finzione
producendo così un effetto stridente. Diversi artisti hanno usato questo effetto per dare
importanza, poiché costringe il pubblico a vedere la finzione sotto una nuova luce e a guardare
meno passivamente. Bertolt Brecht fu famoso per rompere deliberatamente la quarta parete,
per incoraggiare il suo pubblico a pensare in modo più critico su ciò che stava guardando: il
cosiddetto effetto di alienazione (Verfremdungseffekt). Tale tecnica fu adottata in ambito italiano
da Luigi Pirandello in molte delle sue opere. Tra queste spicca per importanza Sei Personaggi in
Cerca di Autore, in cui addirittura i personaggi si muovono anche al difuori dello spazio delimitato
dal palcoscenico e recitano anche in mezzo al pubblico passando per la platea.
L'improvvisa rottura della quarta parete viene spesso impiegata per ottenere un effetto comico,
come sorta di non-sequitur visuale, in quanto l'inattesa rottura delle normali convenzioni della
finzione narrativa sorprende il pubblico e crea umorismo. Alcuni considerano la rottura
improvvisa della quarta parete così stridente che in realtà danneggia l'umorismo della storia.
Comunque, quando viene impiegato coerentemente per tutta la storia, come effetto narrativo,
viene solitamente (e si potrebbe dire, paradossalmente) incorporato nella normale sospensione
del dubbio del pubblico.
Questo sfruttamento della familiarità degli spettatori con le convenzioni della finzione è un
elemento chiave in molte opere definite come post-moderne, che decostruiscono le regole
consolidate della finzione. Le opere che infrangono o fanno riferimento diretto alla quarta parete
utilizzano spesso altri strumenti post-moderni come il meta-riferimento o il personaggio di
rottura.
Un compromesso con tale concetto si ha spesso nel teatro di improvvisazione, nel quale al
pubblico viene chiesto di interagire in qualche modo con gli attori, ad esempio votando sulla
risoluzione di un mistero. In quel caso, i membri del pubblico vengono trattati come se fossero
testimoni dell'azione messa in scena, divenendo effettivamente "attori", anziché essere un vero
"quarto muro".
La quarta parete viene talvolta inclusa come parte del racconto, quando un personaggio scopre di
fare parte della finzione e "rompe la quarta parete" per entrare in contatto con il proprio
pubblico, come accade ad esempio nel film Last Action Hero o in La rosa purpurea del Cairo. In
queste situazioni, comunque, la "quarta parete" infranta dal personaggio rimane a far parte dello
schema narrativo complessivo, e la separazione tra il vero pubblico e la finzione rimane intatta.
Questo tipo di storie in realtà non rompono la quarta parete in senso stretto, ma vengono
indicate più correttamente come metafinzione, o finzione che fa riferimento alle convenzioni
della finzione; alla stessa maniera, questa tecnica è usata nel telefilm Malcolm quando il
protagonista si rivolge al pubblico spiegando i suoi pensieri.
Nei cartoni animati la rottura della quarta parete viene usata per scopi umoristici: ne sono
esempi Bugs Bunny che ammicca al pubblico o Wile E. Coyote che dialoga con lo spettatore
tramite cartelli nel momento in cui ha un'epifania (quando si accorge che sta per cadere in un
burrone, quando il suo piano non funziona, quando Beep Beep l'ha battuto, ecc.). Nella serie
animata My Little Pony il personaggio di Pinkie Pie esce più volte dal piano della narrazione
finendo a metà tra il mondo della serie e il mondo dello spettatore. In maniera più estrema e
peculiare, la rottura della quarta parete viene usata in maniera sistematica e non umoristica
in Dora l'esploratrice, dove è il fondamento stesso della serie: in questo cartone animato per
bambini i personaggi compiono brevi avventure, e ogni volta che si trovano davanti ad un bivio o
a dover fare una scelta qualunque fra più opzioni, nel dubbio, si rivolgono agli spettatori con delle
domande, e restano anche silenziosamente in attesa per diversi secondi per dare il tempo di
rispondere. Anche nei fumetti la quarta parete viene abbattuta. Deadpool, l'Uomo
Porpora e She-Hulk, famosi personaggi della Marvel, sono subito consapevoli di essere un
fumetto, rivolgendosi spesso ai lettori, cosa che, in alcuni casi, fanno anche due celebri
supercattivi della DC, Lobo e il Joker. Nei fumetti giapponesi, lo stesso vale per Dark
Schneider di Bastard!!, per Ryo Saeba di City Hunter e per Akira Fudo di Devilman.
Da: wikipedia
Nell’ambito delle attività sociali e culturali della Parrocchia di S. Giovanni Battista e S.
Benedetto Abate di Pescara Colli si è legalmente costituita l’Associazione Teatrale PerStareInsieme”
È un’associazione senza scopi di lucro, rivolta in modo particolare ai parrocchiani ed ha come
finalità quella di creare fra i suoi componenti un positivo clima di condivisione di esperienze che
conduca alla scoperta dell’importanza dello stare bene insieme,attraverso la fruizione dei migliori
spettacoli teatrali rappresentati sul territorio, l’analisi e la comprensione del linguaggio e delle
tecniche teatrali, l’allestimento di spettacoli teatrali dialettali e in lingua.
Commedie e spettacoli rappresentati dal luglio 2008 ad oggi
Lu ziprete – da Eduardo Scarpetta (7 repliche)
La cantata dei pastori – da Andrea Perrucci (2 repliche)
Lu diavule e l’acqua sande – da Camillo Vittici (10 repliche)
La condanna dell’Innocente – di Alberto Cinquino (3 repliche)
…e volò libero – di Carmine Ricciardi
Titillo – da E. Scarpetta (4 repliche)
La fattura – di Evaldo e Isabella Verì (9 repliche)
Lu testamente – di Michele Ciulli (13 repliche)
Natale in casa Bongiorno di C. Natili e C.Giustini (7 repliche)
La scommessa e Gennareniello da E. De Filippo (2 repliche)
La compagnia si diverte – farse e sketchs di autori vari (9 repliche)
Cose turche – di Samy Fayad (6 repliche)
Terra di nessuno – di Evaldo Verì (5 repliche)
La vazzije – di Michele Ciulli (3 repliche)
Laboratori teatrali per bambini (3 spettacoli per 4 repliche)
Laboratori teatrali per ragazzi (2 spettacoli per 3 repliche)
Altre attività culturali Cineforum sul film La strada di Federico Fellini
6 Gite teatrali: a Roma per assistere agli spettacoli La strada con Venturiello e Tosca al Teatro
Valle, a Il piacere dell’onestà e Le allegre comari di Windsor con Leo Gullotta, al Teatro Eliseo a
Perugia al Teatro Morlacchi per L’inganno con Glauco Mauri e Roberto Sturno, a Civitavecchia al
Teatro Traiano per Il borghese gentiluomo con Venturielllo e Tosca, a Ostia al Teatro Nino
Manfredi per Fausto e gli Sciacalli con Pistoia e Triestino.
Attività sociali Destinazione dell’incasso netto di uno spettacolo in beneficenza ad una famiglia
aquilana colpita dal terremoto, di due spettacoli all’AISLA, e di due spettacoli alla Caritas
Parrocchiale.
Info: Carmine Ricciardi (presidente) cell. 3489353713
Recapito: c/o Carmine Ricciardi - Strada Colle Scorrano 15 - 65125 Pescara Colli
e-mail: [email protected] - WEB: www.perstareinsieme.it
Siamo anche su facebook dove potete informarvi sulle nostre attività
La vazzìje
Prossimamente
commedia dialettale in due atti di Michele Ciulli
Sabato 16 novembre ore 21 presso il nostro Teatro Parrocchiale
Lu dijàvule e l’acquasande
(commedia dialettale in due atti da Camillo Vittici)
Domenica 22 dicembre ore 17 presso il nostro Teatro Parrocchiale
Lu testamente (due atti di Michele Ciulli) periodo feste natalizie
Li rrustelle di la scutranzìnzere (commedia dialettale in due atti di Ferdinando Giammarini)
Sarà organizzata una stagione teatrale con uno spettacolo ogni mese.
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