Razza e storia - Campus

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Claude Lévi Strauss
Razza e storia
Claude Lévi Strauss
Razza e storia
Il saggio Razza e storia nasce a seguito di una iniziativa dell’Unesco, organizzazione sorta nel
1945 all’interno delle Nazione unite con l’obiettivo principale di promuovere la collaborazione fra
le nazioni nell’ambito dell’educazione, della scienza e della cultura.
Nel 1949 l’Unesco prepara una Conferenza generale basata su tre risoluzioni relative alla lotta
contro i pregiudizi razziali: 1) «Ricercare e riunire i dati scientifici riguardanti i problemi razziali»; 2)
«Dare ampia diffusione ai dati scientifici così raccolti»; 3) «Predisporre una campagna di educazione
fondata su tali dati». All’iniziativa dell’Unesco vengono invitati rappresentanti di discipline diverse:
dalle scienze umane e sociali alla genetica alla biologia.
Razza e storia – di cui proponiamo qui la parte iniziale – costituisce il contributo di Lévi-Straus alle
riunioni convocate dall’Unesco. Il saggio, pubblicato per la prima volta nel 1952 in una collana promossa dalla organizzazione stessa, ha avuto poi varie edizioni e un’ampia circolazione.
A distanza di anni rimane un manifesto antirazzista attuale, importante, inoltre, per lo spirito divulgativo con cui l’autore tocca aspetti cruciali della ricerca antropologica. Lévi-Strauss precisa nozioni come “civiltà”, “cultura”, “società” e considera in modo critico quelle di “differenza razziale”,
“etnocentrismo”, “progresso”.
Intorno al titolo
Né la nozione di razza né quella di storia, presenti nel titolo dello studio, rientrano propriamente
nel campo dell’antropologia strutturale, ma rappresentano piuttosto i confini entro cui le ricerche
di questa si muovono.
La nozione di “razza” è puramente biologica e indica un insieme di individui che appartengono a
una stessa specie e presentano una serie di caratteri che li accomunano e li contraddistinguono
rispetto agli altri membri di quella specie, caratteri che si trasmettono ai loro discendenti.
Quando si tratta degli uomini, però, non c’è nessun criterio scientifico in base al quale distinguere rigorosamente delle razze: i vari tentativi di classificazione ne hanno individuate da tre a
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Le circostanze all’origine di razza e storia
Claude Lévi Strauss
Razza e storia
sessanta. Il concetto di razza umana, dunque, non è rigorosamente scientifico, anche se lo si
continua a utilizzare nel linguaggio comune, sulla base di una constatazione, cioè che fra gli uomini esistono molte differenze di aspetto.
In ogni caso, ammesso che di razze umane si possa parlare, queste sono oggetto di studio non
dell’antropologia culturale ma dell’antropologia fisica, che si occupa dell’uomo dal punto di vista fisico-morfologico (genetica, evoluzione biologica e adattamento degli esseri umani all’ambiente).
La nozione di storia cui allude il titolo è invece la storia congetturale dei filosofi, cioè l’idea di una
storia universale all’interno della quale l’umanità seguirebbe un percorso lineare e univoco in direzione del progresso. Questa nozione, dunque, pertiene al campo della filosofia.
Il concetto di “civiltà mondiale”
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Il discorso di Lévi-Strauss muove dall’idea astratta di una civiltà mondiale, concetto che compare
già nelle prime righe del saggio. Con esso si fa riferimento alla meta ideale della storia congetturale
di cui parlavamo sopra: il conseguimento, da parte di tutte le società esistenti, di un medesimo e
massimo grado di progresso, in cui tutte si troverebbero unite in un’unica civiltà.
Si tratta in ogni caso, come afferma lo stesso autore, di un’idea alquanto schematica, priva di contenuti precisi, rispetto alla quale viene generalmente definito il supposto grado di avanzamento e
progresso di ciascuna razza, società e cultura.
La varietà delle culture
Eppure, proprio in apertura, Lévi-Strauss dichiara che «parlare di contributo delle razze umane
alla civiltà mondiale» è quanto di più lontano dai suoi intenti.
In primo luogo, egli precisa, perché bisogna distinguere il concetto puramente biologico di razza
umana – ammesso che tale concetto possa ambire a una qualche validità scientifica – da quello di
cultura.
L’originalità delle produzioni culturali delle varie società, e quindi dei contributi che queste hanno
dato al preteso progresso della civiltà mondiale, si spiega non con il fatto che le società siano formate da individui con caratteristiche fisiche e attitudini diverse, ma con il fatto che diverse sono le
circostanze storiche, geografiche e sociologiche in cui le culture sono sorte e si sono sviluppate.
La varietà delle culture, afferma l’autore, è un fatto normale e inevitabile, proprio perché queste si
affermano in luoghi e tempi diversi. Anzi, anche quando si tratta di culture vicine nel tempo e nello
spazio che entrano in contatto e stabiliscono tra loro degli scambi, agiscono sempre delle forze che
spingono ciascuna cultura a mantenere una propria identità che la differenzia dalle altre.
Nonostante sia un fenomeno naturale, però, la diversità tra culture continua a essere considerata
come una sorta di “scandalo” che si deve in qualche modo giustificare. L’atteggiamento più frequente e radicato è quello noto come etnocentrismo, che consiste nel ritenere la propria cultura
come superiore e nello squalificare le altre come espressioni di un’umanità imperfetta, quella dei
cosiddetti “barbari” o “selvaggi”
Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e i sistemi filosofici e religiosi hanno tentato di contrastare
questo atteggiamento e di affermare l’uguaglianza di tutti gli uomini, ma tali affermazioni di principio si scontrano con una diversità che si verifica di fatto tra gli individui e le società cui questi
danno vita.
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Claude Lévi Strauss
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Il “falso evoluzionismo”
Per rendere conto di tale diversità, allora, l’uomo moderno ha dato vita a quello che Lévi-Strauss
definisce un falso evoluzionismo: le culture che hanno preceduto nel tempo quelle più avanzate, e
che sono rimaste arretrate dal punto di vista tecnologico, sono tutte considerate tappe precedenti
di un unico percorso, che va in direzione del progresso ed è destinato a condurle tutte alla stessa
meta finale. Per questa ragione, nota criticamente Lévi-Strauss, si continua a parlare di culture
“primitive”: tutti gli uomini sono uguali e tutti arriveranno allo stesso grado di evoluzione, idealmente rappresentato dalla cosiddetta civiltà, ma per alcuni il cammino è ancora piuttosto lungo. In
sostanza, l’atteggiamento dell’etnocentrismo non risulta ancora superato.
Se si vogliono considerare certe società come tappe precedenti nel processo che ha prodotto la
nostra società, bisogna supporre che le prime non abbiano una storia alle spalle. Ogni società,
invece, ha un passato che ha una durata che è pressappoco la stessa per tutte le società e che ha
condotto ognuna al punto in cui si trova ora.
Più realisticamente, scrive Lévi-Strauss, si può supporre che le varie società abbiano fatto un uso
diverso del loro tempo. Egli giunge così a distinguere due tipi di storia: una storia cumulativa, che è
in grado di sintetizzare le invenzioni e le acquisizioni conseguite in un certo campo per compiere
un balzo evolutivo in avanti (come è successo alla nostra società occidentale nell’ambito tecnologico, quando varie innovazioni hanno concorso a
produrre la rivoluzione industriale), e una storia
stazionaria, che, pur realizzando delle conquiste, non riesce a metterle insieme e a sfruttarle
per produrre questo salto. In proposito, però, si
rendono necessarie delle precisazioni.
In primo luogo, scrive Lévi-Strauss, «il “progresso” […] ­non è né necessario né continuo;
procede a salti, a balzi, o, come direbbero i biologi, per mutazioni». Noi tendiamo a ordinare in
una successione temporale, che le ordina l’una dopo l’altra,nel senso di uno sviluppo, tappe
che in realtà sono state contemporanee tra loro:
l’Homo sapiens, per esempio, è stato contemporaneo o addirittura ha preceduto l’uomo di Neanderthal.
In secondo luogo, noi siamo in grado di riconoscere che c’è storia cumulativa, e dunque progresso, solo laddove le conquiste di una certa
società e di una certa cultura vanno in un senso
 Ricostruzione al computer del volto di un giovane
di Neanderthal, realizzata presso l’Istituto di
analogo a quello della nostra. Se una cultura colantropologia dell’Università di Zurigo.
tiva valori diversi dai nostri, noi siamo incapaci
di attribuire a questi un significato, non sappiamo riconoscere il cammino evolutivo proprio di
quella cultura. Per chi appartiene alla società occidentale, dunque, rappresentano un progresso
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“Storia cumulativa” e “storia stazionaria”
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soltanto quelle acquisizioni che comportano un avanzamento tecnologico, perché è questo il valore cardine di quella che noi chiamiamo “civiltà”.
Se poi, per sostenere che l’Occidente si trova di fatto a un più alto grado di evoluzione, si obietta
che la società occidentale si sta imponendo in tutto il mondo come modello di civiltà e che diverse aree del pianeta stanno seguendo il suo esempio industrializzandosi e tecnologizzandosi,
Lévi-Strauss ribatte in due modi. Anzitutto, questo processo è avvenuto spesso in maniera forzata,
attraverso la colonizzazione, e dunque a scapito delle popolazioni coinvolte. Inoltre, se diverse
aree del pianeta stanno compiendo lo stesso “balzo”, significa soltanto che in queste società si
sono create le condizioni per favorire tale salto evolutivo.
Tra qualche millennio, probabilmente, non ci si porrà nemmeno la questione di quale società abbia
compiuto per prima certi passi, ma si riconoscerà che tutte hanno dato il loro contributo al processo. Il percorso evolutivo che si è aperto con la rivoluzione industriale, del resto, è ancora agli inizi.
Sarà necessario attendere a lungo per valutare quale sia la sua portata effettiva e se sia destinato a
trionfare su altre linee evolutive.
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