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IL LEGITTIMARIO C’È, MA NON SI VEDE
Successioni - Successione necessaria - Mancato esperimento dell’azione di riduzione Individuazione della quota di riserva spettante ai singoli legittimari - Riferimento alla situazione
concreta determinatasi al momento dell’apertura della successione - Necessità. (Cc,
articoli 536 e ss.)
AI FINI DELL’INDIVIDUAZIONE DELLA QUOTA DI RISERVA SPETTANTE ALLE SINGOLE CATEGORIE
DI LEGITTIMARI E AI SINGOLI LEGITTIMARI NELL’AMBITO DELLA STESSA CATEGORIA OCCORRE
FARE RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE ESISTENTE AL MOMENTO DELL’APERTURA DELLA
SUCCESSIONE E NON A QUELLA CHE SI VIENE A DETERMINARE PER EFFETTO DEL MANCATO
ESPERIMENTO (PER RINUNZIA O PRESCRIZIONE) DELL’AZIONE DI RIDUZIONE DA PARTE DI
QUALCUNO DEI RISERVATARI.
CASSAZIONE, SEZIONI UNITE CIVILI, 27 APRILE - 12 GIUGNO 2006, N. 13524
PRES. CARBONE, REL. TRIOLA, P.M. – PARZIALMENTE DIFFORME – IANNELLI
Svolgimento del processo
Con atto notificato l’1-4 luglio 1987 M.C. conveniva davanti al Tribunale di Torino il fratello V.C.,
nonché i nipoti E., A. e M.R.K., ed esponeva:
- che in data 17 gennaio 1987 era deceduta L.B., madre di essa attrice e di V.C. e di T.C.,
quest’ultima premorta lasciando a succederle per rappresentazione alla madre i figli E., A. e
M.R.K.;
- che con atto in data 6 agosto 1980 L.B. aveva venduto a V.C. la nuda proprietà su un immobile
costituente il suo intero patrimonio;
- che tale atto dissimulava una donazione nulla per difetto di forma o comunque una donazione
lesiva della propria quota di legittima;
- sulla base di tali premesse l’attrice chiedeva che venisse dichiarata la nullità della donazione, con
conseguente apertura anche in suo favore della successione legittima o che, nell’ipotesi di validità
dell’atto in questione, ne venisse disposta la riduzione nella misura necessaria ad assicurarle la
quota di legittima cui aveva diritto.
V.C., costituitosi, contestava il fondamento delle domande.
E., A. e M.R.K. rimanevano contumaci.
Con sentenza non definitiva in data 3 novembre 1992 il Tribunale di Torino rigettava le domande
proposte dall’attrice, che proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Torino
con sentenza in data 8 febbraio 1995.
M.C. proponeva ricorso per cassazione, che questa S.C. accoglieva con sentenza in data 18 marzo
1997 n. 2885, ritenendo insufficiente la motivazione con la quale era stata esclusa la simulazione
dell’atto in data 6 agosto 1980 ed insussistente in ordine alla subordinata ipotesi della
configurabilità di un negotium mixtum cum donatione.
M.C. provvedeva alla riassunzione del giudizio davanti alla Corte di appello di Torino, che con
sentenza non definitiva in data 6 agosto 2001 escludeva la sussistenza della simulazione dell’atto in
data 6 agosto 1980 e disponeva l’ulteriore corso del giudizio al fine di accertare la sussistenza o
meno di un negotium mixtum cum donatione.
Contro tale decisione M.C., dopo avere fatto riserva di impugnazione, proponeva ricorso immediato
e tale ricorso è stato dichiarato inammissibile da questa S.C. con sentenza in data 30 marzo 2006 n.
7502.
Con sentenza in data 15 novembre 2002 la Corte di appello di Torino, frattanto, aveva ritenuto,
sulla base della C.T.U. all’uopo disposta, che con l’atto in data 6 agosto 1980 era stato realizzato un
I
negotium mixtum cum donatione, che, costituendo donazione indiretta, non era soggetto ai requisiti
di forma previsti per le donazioni dirette.
A questo punto si poneva il problema di individuare la quota di riserva spettante a M.C. in una
situazione caratterizzata dal fatto che la legittima nel suo complesso era pari ai due terzi dell’asse
ereditario, avendo L.B. lasciato due figli superstiti e tre nipoti destinati a subentrare per
rappresentazione alla terza figlia, ma questi ultimi non erano venuti alla successione.
In sostanza, si trattava di stabilire se la quota pari ai 2/9 in teoria spettante a E., A. e M.R. K. si
doveva accrescere in favore delle altre due quote pari a 2/9 ciascuna spettanti a M.C. e V.C.
La Corte di appello di Torino dava risposta negativa a tale quesito in base alla seguente
motivazione:
È vero che la mancata accettazione dell’eredità dei nipoti K. è venuta ad equivalere ad una rinuncia,
ma la quota di legittima che è riservata dalla legge non può essere modificata dalla rinuncia di altri
eredi. E questo per una serie di ragioni tra loro autonome.
In primo luogo il dato letterale della disposizione normativa.
L’art. 537 c.c. che dispone la riserva a favore dei legittimari parla di figli e non di eredi accettanti.
In secondo luogo vale la «ratio» della disposizione normativa.
Riservando ai figli una parte del patrimonio la legge ha, per così dire, posto un limite inderogabile
alla volontà del testatore, nel senso che gli ha impedito di escludere totalmente il passaggio dei suoi
beni ai figli col predeterminare a favore di questi ultimi delle quote minime di riserva.
Peraltro la mancata accettazione di un erede non può costituire un ulteriore elemento di coartazione
della volontà del testatore.
In terzo luogo, se è vero che la mancata accettazione dei nipoti K. ha comportato la prescrizione
decennale del diritto, tuttavia la prescrizione non può essere rilevata di ufficio.
Contro tale decisione, nonché contro la sentenza non definitiva in 6 agosto 2001, M.C. ha proposto
ricorso per cassazione, ripetendo, per quanto riguarda la sentenza non definitiva, il motivo del
ricorso già proposto contro la stessa sentenza ed investendo con tre motivi la sentenza definitiva.
V.C. ha resistito con controricorso ed ha anche proposto ricorso incidentale, con un unico motivo, al
quale resiste con controricorso M.C.
Con ordinanza in data 22 aprile 2005 la Seconda sezione civile di questa S.C. ha rimesso gli atti al
Primo Presidente al fine di valutare l’opportunità di assegnare la causa alle Sezioni unite, in
considerazione del fatto che ai fini della decisione occorre risolvere alcune questioni di particolare
rilevanza giuridica, cui la dottrina dà contrastanti soluzioni e che non sono state affrontate ex
professo da questa S.C.; in particolare occorre stabilire: a) quale sia il criterio di determinazione
della quota di riserva nella ipotesi in cui vi siano più legittimari pretermessi, dei quali uno solo
abbia esperito l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie; b) se a tale ipotesi possa
ritenersi applicabile l’art. 522 cod. civ.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.
Con l’unico motivo del ricorso principale diretto contro la sentenza non definitiva M.C. censura la
motivazione con la quale la Corte di appello di Torino ha escluso che la vendita effettuata in data 6
agosto 1980 da L.B. a V.C. dissimulasse una donazione nulla per difetto di forma.
La doglianza è infondata.
La ricorrente in via principale, infatti, da un lato, propone una diversa valutazione delle prove
testimoniali rispetto a quella effettuata dai giudici di merito, mentre, invece, ai fini della sussistenza
del denunciato vizio di motivazione avrebbe dovuto chiarire come le conclusioni cui la Corte di
appello di Torino è pervenuta non siano congruenti, dal punto di vista logico, con il contenuto delle
prove testimoniali ritenute attendibili; dall’altro, pretende che assurgano al livello di presunzioni
elementi indiziari dal valore probatorio non univoco.
Con il primo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva M.C. censura la
valutazione del donatum data dai giudici di merito e deduce testualmente.
Con riferimento alla sentenza n. 1609/2002 occorre quindi osservare come la Corte di Appello di
Torino ha, a sommesso parere dell’esponente, omesso di considerare che l’operazione posta in
II
essere, cioè la vendita a prezzo vile della nuda proprietà dell’immobile, abbia comportato un
duplice beneficio in favore del V.C.: uno immediato cioè l’acquisto a prezzo di gran lunga inferiore
al reale della nuda proprietà dell’immobile, il secondo differito al momento in cui, con il decesso
della de cuius, il V. sarebbe divenuto nudo proprietario dell’immobile.
Per calcolare quindi correttamente il beneficio ricevuto la Corte di Appello avrebbe dovuto
relazionare il prezzo pattuito e ritenuto pagato nell’agosto del 1980 al valore della piena proprietà
dell’immobile al tempo dell’apertura della successione.
La Corte di Appello ha invece effettuato un calcolo aritmetico attraverso il quale viene
semplicemente trasposta la percentuale del prezzo asseritamente pagato nel 1980 sul valore della
nuda proprietà a quella data per concludere che nella medesima percentuale è da considerare il
beneficio ricevuto dal donatario al momento in cui l’usufrutto si consolidò nella nuda proprietà.
In realtà sarebbe stato corretto, giusto il disposto della norma di cui all’art. 747 c.c. in punto
momento che deve aversi presente per la valutazione del valore dell’immobile, calcolare il valore
della donazione e quindi la quota del bene immobile oggetto di donazione alla data dell’apertura
della successione.
Poiché nel tempo la svalutazione del denaro e la rivalutazione dei beni immobili in termini di valore
nominale non ha andamento sempre coincidente (e poi ogni immobile - bene infungibile per
eccellenza - fa storia a sé), e in ogni caso, poiché con la consolidazione dell’usufrutto il beneficio
ricevuto dal donatario è individuabile nella piena proprietà del bene, la quota del donatum doveva
essere effettuata parametrando il sacrificio economico sopportato dal V.C. (37 milioni di lire nel
1980) al beneficio ricevuto all’apertura della successione (ovvero il valore della piena proprietà
dell’immobile al tempo dell’apertura della successione).
La Corte di Appello di Torino ha invece del tutto omesso detta operazione trasfondendo la
percentuale del «pagato» sul valore della nuda proprietà al 1980 alla quota ideale di donazione (e
infatti 37,5 milioni di lire rappresentano proprio il 22,22% - la Corte ha finito con l’arrotondare a
22,25% - di 168.750.000 valore della nuda proprietà al 1980 secondo il seguente calcolo aritmetico
168.750.000/100 = 1.687.500; 37.500.000/1.687.500 = 22,22).
Il Giudice del merito ha quindi concluso che il donatum fosse una quota ideale pari al 77,75% (10022,25) dell’immobile.
Detto criterio di calcolo non tiene in nessun conto il criterio di cui al citato art. 747 c.c. e soprattutto
non considera che con il decesso dell’usufruttuaria il donante ha conseguito l’ulteriore beneficio
della consolidazione dell’usufrutto.
L’esponente aveva proposto invece il seguente diverso criterio di calcolo: somma di 37.500.000;
rivalutata al gennaio 1987 pari a L. 76.500.000.
Detta somma rivalutata rappresenta una percentuale del 12,96% del valore alla stessa data della
piena proprietà del compendio immobiliare (590.000.000). Ne derivava quindi che la percentuale
del donatum era da individuarsi nell’87,04% e non già nella minore percentuale del 77,75.
Anche a non voler condividere detto criterio di calcolo, in ogni caso, il Giudice del merito avrebbe
dovuto individuare criteri atti a rapportare, come sopra visto, il presunto sacrificio economico del
C.V. al 1980 con il beneficio complessivo da calcolarsi al momento dell’apertura della successione.
Il motivo, a prescindere dalla sua teorica fondatezza o meno, è inammissibile, in quanto investe una
questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata, né viene espressamente denunciata una
omessa pronuncia, il che sarebbe stato necessario, in considerazione delle conclusioni che risultano
formulate nell’epigrafe della sentenza impugnata.
Con il secondo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva M.C. sostiene
che nella specie il negotium mixtum cum donatione doveva considerarsi nullo per difetto di forma,
in applicazione del criterio della c.d. prevalenza.
Il motivo è infondato, alla stregua quantomeno della più recente giurisprudenza di questa S.C., la
quale ha affermato che per il negotium mixtum cum donatione non è necessaria la forma dell’atto
pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema
negoziale adottato, senza far menzione del criterio della c.d. prevalenza (cfr. sent. 21 gennaio 2000
n. 642; 10 aprile 1999 n. 3499).
III
Con il terzo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva M.C. ripropone la
tesi secondo la quale il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte dei nipoti ex sorore
comportava l’accrescimento (anche) in suo favore della quota di legittima agli stessi in teoria
spettante.
Si tratta del problema con riferimento al quale la causa è stata assegnata a queste Sezioni unite.
Questa S.C. ha avuto occasione di affermare che se più sono i legittimari (nell’ambito della
categoria dei discendenti) ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non all’intera
quota, o comunque ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri (non)
facessero valere il loro diritto (sent. 22 ottobre 1975 n. 3500, 1978 n. 5611).
Tale orientamento, peraltro, si pone in implicito contrasto con la giurisprudenza formatasi con
riferimento alla ipotesi in cui disponibile e legittima variano in funzione della esistenza di più
categorie di legittimari o del numero di legittimari nell’ambito di una stessa categoria.
Ad es., in base all’art. 542, primo comma, cod. civ., se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo
figlio, legittimo o naturale, a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta
al coniuge; in base all’art. 542, secondo comma, cod. civ., quando, invece, i figli, legittimi o
naturali, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio ed al coniuge
spetta un altro quarto.
Con riferimento ad entrambe le ipotesi si pone il problema se il mancato esercizio dell’azione di
riduzione da parte del coniuge pretermesso comporta che la legittima dell’unico figlio o dei più figli
si «espanda», diventando rispettivamente pari alla metà o ai due terzi del patrimonio del de cuius,
secondo quanto previsto dall’art. 537, primo e secondo comma, cod. civ.
Con riferimento alla ipotesi prevista dal primo comma dell’art. 542 cod. civ. si pone il problema se
il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte dell’unico figlio comporta la espansione della
legittima del coniuge, in modo da farle raggiungere la misura prevista dall’art. 540, primo comma,
cod. civ.
Con riferimento, infine all’ipotesi prevista dall’art. 542, secondo comma, cod. civ. si pone il
problema se l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di uno solo dei figli comporta che la
legittima allo stesso spettante debba essere determinata secondo quanto disposto dal primo comma.
La giurisprudenza di questa S.C. si è mostrata favorevole alla tesi della c.d. espansione della quota
di riserva con riferimento all’ipotesi di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte del
coniuge superstite (sent. 26 ottobre 1976 n. 3888; 9 marzo 1987 n. 2434; 11 febbraio 1995 n. 1529).
Si è, in proposito, affermato (sent. 9 marzo 1987, cit.) che occorre tenere presente che, a norma
dell’art. 521 c.c. la rinunzia all’eredità è retroattiva nel senso che l’erede rinunziante si considera
come se non fosse mai stato chiamato all’eredità divenendo estraneo alla successione sotto ogni
aspetto, come non esistesse. È dunque impossibile far riferimento alla situazione esistente al
momento dell’apertura della successione, dal momento che tale situazione è soggetta a mutare, per
effetto di eventuali rinunzie, con effetto retroattivo. È quindi alla situazione concreta che occorre far
riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell’apertura della successione,
indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che
concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario e non a quelli che in teoria a tale
riparto avrebbero potuto partecipare.
Tale orientamento è conforme a quanto sostenuto in dottrina, in cui ugualmente si è invocato il
principio della retroattività della rinuncia fissato nell’art. 521 c.c. e si è sostenuto che un argomento
a favore dello stesso sarebbe desumibile dall’art. 538 cod. civ., che regola la riserva spettante agli
ascendenti «se chi muore non lascia figli legittimi», in quanto la norma dovrebbe applicarsi soltanto
nel caso in cui l’ereditando non abbia avuto figli o questi siano tutti presenti o assenti; se invece
sopravvivessero figli capaci di succedere e tutti rinunziassero, si dovrebbe concludere nel senso che
o rimane ferma a beneficio degli ascendenti la quota riservata di due terzi stabilita dall’art. 537,
oppure che non sorge alcun diritto di riserva in favore degli ascendenti, conclusioni, l’una e l’altra,
evidentemente inammissibili.
Si tratta di un orientamento che il collegio ritiene di non poter condividere.
Appare, in primo luogo, inopportuno il richiamo agli effetti della rinuncia di uno dei chiamati in
IV
tema di successione legittima, secondo quanto previsto dagli artt. 521 e 522 cod. civ., per vari
motivi.
Nella successione legittima il c.d. effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati e il
conseguente accrescimento in favore degli accettanti trovano una spiegazione logica nel fatto che,
diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte della quota del rinunciante.
La situazione è ben diversa con riferimento alla c.d. successione necessaria.
Il legislatore, infatti, si è preoccupato di far sì che ad ognuno dei legittimari considerati venga
garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest’ultimo.
Mancando una chiamata congiunta ad una quota globalmente considerata con riferimento alla
ipotesi di pluralità di riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il
fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il presupposto logico di un
teorico accrescimento, e, dall’altro, non esistono incertezze in ordine alla sorte della quota (in
teoria) spettante al legittimario che non eserciti l’azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i
legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui
quest’ultimo avrebbe potuto disporre.
La lettera della legge, poi, costituisce un ostacolo insormontabile per l’adesione alla tesi finora
sostenuta in dottrina ed in giurisprudenza. Dalla formulazione degli artt. 537, primo comma («se il
genitore lascia»), 538, primo comma («se chi muore non lascia»), 542, primo comma («se chi
muore lascia»), 542, secondo comma («quando chi muore lascia»), cod. civ. risulta chiaramente che
si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al
momento dell’apertura della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine,
l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei legittimari.
Mancano, pertanto, le condizioni essenziali (esistenza di una lacuna da colmare e possibilità di
applicare il principio ubi eadem ratio ibi eadem legis dispositio) per una estensione in via analogica
delle norme in tema di successione legittima.
La tesi criticata, poi, sembra in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che
non è solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma
anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest’ultimo di sapere entro quali
limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio
in favore di terzi. È evidente che l’esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove
tale quota dovesse essere determinata, successivamente all’apertura della successione, in funzione
del numero di legittimari che dovessero esperire l’azione di riduzione.
Non possono, poi, essere taciuti gli inconvenienti pratici connessi alla adesione della c.d.
espansione della quota di riserva.
Occorre, a tal fine, partire dalla considerazione che l’esercizio dell’azione di riduzione è soggetto
all’ordinario termine di prescrizione decennale e che non è prevista una actio interrogatoria, al
contrario di quanto avviene con riferimento all’accettazione dell’eredità (art. 481 cod. civ.). Ne
consegue che all’apertura della successione ogni legittimario può esperire l’azione di riduzione solo
con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione
familiare di quest’ultimo a tale momento. Solo dopo la rinunzia all’esercizio dell’azione di
riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi
potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in
ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a
favore di terzi.
Né utili argomenti a favore della tesi criticata possono desumersi dall’art. 538 cod. civ.
In primo luogo, nel ragionamento sopra trascritto è incomprensibile il riferimento ad una quota pari
a due terzi riservata in favore dagli ascendenti dall’art. 537 cod. civ., dal momento che tale
disposizione fa riferimento alla quota riservata ai figli legittimi o naturali.
Non si comprende, poi, perché sarebbe inammissibile la conclusione (cui si perverrebbe aderendo
alla tesi che il collegio ritiene preferibile) secondo la quale, ove sopravvivessero al de cuius figli
legittimi e tutti rinunziassero non sorgerebbe alcun diritto di legittima a favore degli ascendenti.
Va, innanzitutto, rilevato che non è chiaro se la rinunzia viene riferita all’accettazione dell’eredità o
V
all’esperimento dell’azione di riduzione.
Nel primo caso un problema di tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro
favore si aprirebbe la successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli legittimi, a seguito
della rinunzia all’eredità, considerarsi come mai chiamati alla successione.
Nel secondo caso la esclusione della configurabilità di una quota di riserva in favore degli
ascendenti sarebbe espressione della scelta del legislatore di garantire il conseguimento di una quota
del patrimonio del de cuius solo ai parenti più prossimi (oltre che al coniuge) esistenti al momento
dell’apertura della successione. I parenti di grado successivo, che sono considerati come legittimari
solo in mancanza di quelli di grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in caso
di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte di questi ultimi.
In definitiva, il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga dell’intero suo
patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo discendenti o solo ascendenti; non ha
considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci
discendenti e ascendenti, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in
cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano l’azione di riduzione.
Alla luce delle considerazioni svolte si può, pertanto, concludere che ai fini della individuazione
della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari
nell’ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento
dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato
esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei
legittimari.
Alla luce delle considerazioni svolte è evidente che anche il terzo dei motivi del ricorso principale
diretti contro la sentenza definitiva va rigettato.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale V.C. si duole del fatto che la Corte di appello di Torino,
per quanto riguarda la valutazione dell’immobile oggetto della vendita in data 6 agosto 1980, nella
quale è stato individuato un negotium mixtum cum donatione, e la rivalutazione dello stesso al
momento dell’apertura della successione, abbia recepito le conclusioni del C.T.U., senza tenere
conto delle critiche rivolte all’operato dello stesso.
Il motivo è infondato, in quanto non viene specificamente censurata la esattezza dell’elemento
decisivo sul quale si sono fondate le valutazioni del C.T.U. recepite dalla sentenza impugnata e cioè
i dati compartivi desumibili dal mercato immobiliare per costruzioni similari, in base anche alle
concrete risultanze ancora in possesso delle agenzie immobiliari operanti in loco.
In definitiva, entrambi i ricorsi vanno rigettati.
In considerazione della problematicità della questione con riferimento alla quale il ricorso è stato
assegnato alle Sezioni unite di questa S.C., ritiene il collegio che sussistano giusti motivi per la
compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.
VI
IL COMMENTO
di Andrea e Mario BULGARELLI
IL DECISUM
Affrontando il terzo motivo di un ricorso principale la Corte di Cassazione, a sezioni unite, con la
sentenza n° 13524 del 12 giugno 2006, prende posizione1 su chi tra i legittimari debba far numero
per il calcolo della quota di legittima.
La Suprema Corte sostiene che ai fini dell’individuazione della quota di riserva spettante alle
singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria si debba far
riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si
viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di
riduzione da parte di qualcuno dei riservatari2.
Occorre da subito evidenziare che le conclusioni raggiunte dalla Corte paiono riferirsi solo a quelle
ipotesi nelle quali un legittimario abbia rinunciato all’esperimento dell’azione di riduzione3 o ne abbia
lasciato prescrivere il relativo termine.
Che l’assunto della Corte non si riferisca alle diverse ipotesi di legittimari che rinuncino all’eredità loro
1
Confermando sul punto Corte di appello di Torino, 15 novembre 2002.
Per Cass. 24 gennaio 1957, n. 221, in Mass. Foro it., 1957, 47 invece: «quando uno solo dei figli accetta
l’eredità, la quota riservata all’accettante va determinata nell’intera porzione legittima spettante ai
discendenti del defunto e non già nella parte individuale che gli sarebbe toccata, se avesse diviso con gli
altri la porzione suddetta»; e se l’unico accettante «intenda promuovere, per lesione di legittima, azione di
riduzione delle donazioni fatte dal de cuius ad altro figlio (la quota di riserva) va determinata nell’intera
porzione legittima riservata complessivamente ai figli del de cuius...». Con riferimento al diverso caso in cui
il coniuge si ritenga pago di un legato in sostituzione di legittima Cass. 9 marzo 1987, n. 2434, in Riv. not.
1987, 578 ed in Giust. civ. 1987, I, 1046 (che riforma Corte di appello di Torino 4 febbraio 1983), seconda la
quale: “È quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al
momento dell’apertura della successione, indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi
dunque far riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario, e
non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto partecipare.”; sulla base dei medesimi presupposti
ed in senso conforme pure Cassazione civile , sez. II, 11 febbraio 1995, n. 1529 in Riv. not. 1996, 639 ed in
Giur. it. 1996, I, 1, 1139, per la quale: “ai fini della determinazione della quota di riserva spettante ai
discendenti in relazione alle varie ipotesi di concorso con altri legittimari, non deve farsi riferimento alla
situazione teorica al momento dell’apertura della successione ma alla situazione concreta degli eredi
legittimi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’asse ereditario, sicché, nell’ipotesi in cui il
coniuge superstite abbia abdicato alla qualità di erede per aver accettato un legato in sostituzione della
legittima (art. 551 cod. civ.), detta quota non va desunta dall’art. 542 in tema di concorso tra coniuge e figli,
bensì dall’art. 537 cod. civ. relativo alla successione dei soli figli.”.
3
Sulla rinuncia alla legittima o all’azione di riduzione Bulgarelli, Gli atti dispositivi della legittima, in
Notariato, n° 5/2000, 482. Per Buda, Questioni in tema di azione di riduzione, in Giur. merito 1994, 643,
criticando Tribunale Monza, 27 ottobre 1992, ogni legittimario sarebbe impossibilitato ad ottenere più della
parte di riserva a lui spettante nell’ipotesi in cui alcuni legittimari abbiano rinunciato all’azione di riduzione.
Secondo Cassazione civile, sez. II, 22 ottobre 1975 in Foro it., 1976, I, 1952 “non esiste una solidarietà
attiva fra i legittimari, onde: a) se essi sono più, ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva
e non all’intera quota, o, comunque, ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli
altri facciano valere il loro diritto; b) ciascun legittimario può ottenere soltanto la parte a lui spettante della
quota di riserva e non quella di coloro che sono rimasti inattivi o che hanno rinunciato all ’azione di
riduzione.”.
2
-1-
devoluta4 sembrerebbe ricavarsi dal complesso ragionamento che la Corte svolge per illustrare il
proprio pensiero.
Trovandosi, infatti, a dover confutare uno degli argomenti indicati a sostegno delle tesi della
ricorrente5, riferentesi all’ipotesi in cui sopravvivano al de cuius sia figli legittimi che ascendenti, la
Corte afferma che: “Nel primo caso (la rinuncia all’eredità da parte dei figli n.d.r.) un problema di
tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro favore si aprirebbe la
successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli legittimi, a seguito della rinunzia
all’eredità, considerarsi come mai chiamati alla successione.
Nel secondo caso (la rinuncia all’azione di riduzione da parte dei figli n.d.r.) la esclusione della
configurabilità di una quota di riserva in favore degli ascendenti sarebbe espressione della scelta
del legislatore di garantire il conseguimento di una quota del patrimonio del de cuius solo ai
parenti più prossimi (oltre che al coniuge) esistenti al momento dell’apertura della successione. I
parenti di grado successivo, che sono considerati come legittimari solo in mancanza di quelli di
grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in caso di mancato esercizio
dell’azione di riduzione da parte di questi ultimi.
In definitiva, il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga dell’intero suo
patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo discendenti o solo ascendenti; non ha
considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci
discendenti e ascendenti, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in
cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano l’azione di riduzione.”.
In pratica, il legittimario chiamato alla successione che rinunci all’eredità non dovrebbe far numero per
il calcolo della quota di riserva dato che ex art. 521 c.c. deve essere considerato come se non vi fosse
mai stato delato6, mentre, invece, lo dovrebbe fare il preterito per determinare quell’eventuale parte
della quota di riserva concretamente spettante agli altri legittimari – oltre che, di riflesso, la disponibile
4
In questo senso pare invece orientato Leo, La rinuncia all’azione di riduzione non può essere considerata
irrilevante, in Guida al diritto 28/2006, 70; così pure anche Colasanti, La quota dei legittimari si cristallizza
all’apertura della successione, in Diritto e Giustizi@ online del 26 luglio 2006 che analogamente non
sembra distinguere tra rinuncia alla quota riservata e all’azione di riduzione. In effetti il Collegio dichiara
espressamente di non poter condividere l’orientamento della dottrina e della giurisprudenza prevalenti
secondo cui: “occorre tenere presente che, a norma dell’art. 521 c.c. la rinunzia all’eredità è retroattiva nel
senso che l’erede rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato all’eredità divenendo
estraneo alla successione sotto ogni aspetto, come non esistesse. È dunque impossibile far riferimento alla
situazione esistente al momento dell’apertura della successione, dal momento che tale situazione è soggetta
a mutare, per effetto di eventuali rinunzie, con effetto retroattivo. È quindi alla situazione concreta che
occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell’apertura della successione,
indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che
concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario e non a quelli che in teoria a tale riparto
avrebbero potuto partecipare.” ciò che ingenera il dubbio sul suo effettivo convincimento e sulla portata
innovatrice della sentenza.
5
Integralmente tratto dal pensiero del Mengoni, op. cit., 163.
6
Con effetto retroattivo al momento dell’apertura della successione, dunque.
-2-
– seppur avesse deciso di non avvalersi dell’azione di riduzione a lui spettante.
Le sorti della quota di riserva dipenderebbero dunque, almeno in parte, dall’atteggiamento
concretamente tenuto dal legittimario, ma in modo radicalmente diverso.
Il legittimario che, evidentemente delato, anche se eventualmente leso, decidesse di rinunciare
all’eredità non dovrebbe più essere tenuto in considerazione e l’asse ereditario andrebbe devoluto come
se fin dall’apertura della successione egli non fosse risultato tra i chiamati.
Del legittimario che, invece, se preterito, rinunciasse all’esperimento dell’azione di riduzione
(eventualmente anche lasciandola prescrivere) dovrebbe continuare a tenersi conto ai fini della
determinazione sia della quota di riserva che, eventualmente anche, della sua ripartizione interna tra i
diversi legittimari.
Le conseguenze di tale ultima tesi porterebbero addirittura a poter vedere esclusi dal novero degli
aventi diritto ad una quota di riserva gli ascendenti, non solo in virtù di autonome scelte del de cuius,
ma anche per quelle dei discendenti, evidentemente considerati categoria potiore dato che per la
Cassazione il legislatore non avrebbe considerato iniquo che rimangano fermi gli atti con i quali il de
cuius, che lasci a sé superstiti entrambe le categorie, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a
favore di estranei, nel caso in cui i discendenti non esperiscano l’azione di riduzione.
La Corte fonda le proprie originali conclusioni7 su di una serie di argomenti.
In primo luogo la lettera della legge.
Si fa rilevare, infatti, come la formulazione dell’art. 537, primo comma, c.c. prenda in considerazione
l’ipotesi che: “…se il genitore lascia…”; che analogamente l’articolo 538, primo comma, c.c. reciti:
“Se chi muore non lascia…”; che pure l’articolo 542, primo comma, c.c. preveda per il caso in cui: “…
7
La dottrina e la giurisprudenza (Cass. 27 gennaio 1943, in Riv. dir. priv., 1944, II, 1, e Cass. 24 gennaio
1957, n. 221) paiono invero essersi principalmente occupate del caso del legittimario rinunziante all’eredità:
Santoro-Passarelli, Dei legittimari, 276; Cicu, Successioni, 251, e in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, 285;
Azzariti, Successioni e donazioni, Napoli, 1990, 292; Azzariti Iannacone, Successioni dei legittimari e
successioni dei legittimi, Torino, 1997, 88 e 255; Ferri, Legittimari, Comm. SB artt. 536-564, Bologna, 1981,
31; D’Avanzo, Delle successioni, II, 442; Giannattasio, Delle successioni, Torino, 1959, 262; Perrone
Capano, Sulla quota spettante al legittimario che solo accetta l’eredità in caso di rinuncia degli altri
legittimari, in Riv. dir. priv., 1944, II, 1; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, 1962, 303;
Bin, La diseredazione, Torino, 1966, 93, nota 36; Bianca, Diritto civile vol. 2, La famiglia e le successioni,
Milano, 1989, 519 nota 44; Capozzi, Successioni e donazioni, 2002, Milano, 271; Cantelmo, I beneficiari
della riserva in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, volume 1, Padova, 1994, 493; Bonilini,
Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2005, 128; contra Barbero, Il sistema del diritto
privato italiano, II, 1955, 997 il quale fa derivare l’accrescimento delle quota degli altri chiamati sia dalla
rinuncia, sia dalla morte dopo l’apertura della successione di uno di essi; Ferrari, L’accrescimento, in
Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. 6, Torino, 1982, 262, secondo quest’ultimo autore la
rinunzia a un diritto individuale non incide sull’entità aritmetica della riserva spettante a ciascun legittimario,
la cui quota rimane invariata.
Il problema è invece trattato specificamente da Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale:
Successione necessaria, Milano, 2000, 163; Cattaneo, La vocazione necessaria in Trattato di dir. priv.,
diretto da P. Rescigno, vol. 5, Torino, 1997, 450; Metitieri, Rinunzia all’eredità e calcolo della legittima, in
La successione del coniuge dopo la riforma del diritto di famiglia: problemi vecchi e nuovi, Nuovi quaderni
di Vita notarile n° 5, Palermo, 136 ss.
-3-
chi muore lascia…”; che infine anche il primo comma dell’art. 544 c.c. (non il secondo comma del 542
c.c., come erroneamente indicato in sentenza), disponga che: “Quando chi muore non lascia…”, per
cui occorrerebbe calcolare la quota di legittima alla luce del numero dei legittimari chiamati alla
successione al momento della sua apertura. Le uniche condizioni che dovrebbero sussistere al
momento della morte del de cuius per poter tener conto del legittimario ai fini del calcolo della
quota di riserva sembrerebbero dunque essere la sua esistenza in vita (fatto salvo il diritto di
rappresentazione) e la sua capacità giuridica a rivestire una tale qualità8.
Né la Cassazione, proprio alla luce di tali indici testuali, non ravvisando alcuna lacuna da colmare
ritiene di poter far applicazione dell’art. 521 c.c. non considerando sussistenti le condizioni essenziali
per un’estensione in via analogica delle norme in tema di successione legittima.
Le conclusioni raggiunte dalla Corte nella sentenza in esame, risulterebbero, in secondo luogo, fondate
dalla presunta ratio ispiratrice della successione necessaria che non sarebbe solo quella di garantire a
determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche quella di consentire a
quest’ultimo di conoscere, prima dell’apertura della sua successione, entro quali limiti poter disporre
liberamente del suo patrimonio.
Come terzo argomento a sostegno della propria ricostruzione le sezioni unite utilizzano quello ab
inconvenienti visto che – non essendo l’azione di riduzione passibile di actio interrogatoria9, al
contrario di quanto avviene con riferimento all’accettazione di eredità (art. 418 c.c.), ed essendo quindi
soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale senza alcuna sua possibilità di abbreviazione
con la fissazione di un termine di decadenza – diversamente opinando, ogni legittimario potrebbe
esperire l’azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli
spetterebbe in base alla situazione familiare esistente nel momento in cui agisse in giudizio che
potrebbe tuttavia differire da quella definitiva10: “Solo dopo la rinunzia all’esercizio dell’azione di
riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi
potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in
ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento
a favore di terzi.”11.
Non dovrebbe invece avere rilevanza – ed il legittimario cesserebbe di far calcolo per la determinazione
della quota di riserva – l’eventuale indegnità del potenziale erede dato che la pronuncia giudiziale
d’indegnità, avendo natura costitutiva, comporterebbe la caducazione con effetti ex tunc della delazione di
cui l’indegno sia titolare in base a successione legittima o testamentaria (con salvezza di un eventuale lascito
disposto ai sensi dell’art. 466, secondo comma, c.c.) o degli eventuali diritti spettanti a costui in qualità di
legittimario, Monosi, L’indegnità a succedere, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, volume 1,
Padova, 1994, 150; Moscati, L’indegnità, in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. V, tomo I,
Torino, 1997, 89, 97 e 114.
9
Azzariti, op. cit., 318.
10
Oltretutto non vi è litisconsorzio necessario attivo, Mengoni, op. cit., 237.
11
Così un passaggio di Cass. 13524/2006 pubblicata anche in Quotidiano Giuridico del 25/07/2006
8
-4-
Oltretutto, l’ampiezza dello stato d’incertezza potrebbe protrarsi ben oltre i dieci anni dato che il
termine di prescrizione decennale dell’azione di riduzione, secondo quanto recentemente
stabilito dalle stesse sezioni unite12, decorre, nell’ipotesi di disposizioni testamentarie lesive della
legittima, dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato ciò che potrebbe addirittura
condurre alla somma dei due termini13.
RINUNZIA ALL’AZIONE DI RIDUZIONE E RINUNZIA ALL’EREDITÀ
Anche se la Corte pare essersi occupata solo delle conseguenze della rinuncia all’esperimento
dell’azione di riduzione è indubbio che sia questa, che la rinunzia all’eredità14 possano
ciononostante condurre al medesimo risultato pratico finale.
Ove, infatti, il soggetto a cui l’ordinamento riservi una quota di eredità15 sia solo stato leso,
rinunziando alla delazione (parziale) in suo favore, sempre che non ricorrano i presupposti della
rappresentazione in favore dei discendenti del rinunciante all’eredità relativamente alla quantità di
eredità devolutagli per testamento o in base a successione legittima, perderà ogni diritto successorio
e si precluderà pure la possibilità di agire in riduzione.
Analogamente il legittimario preterito, estromesso dalla delazione ereditaria, rinunciando ad
avvalersi dell’azione giudiziale di riduzione16 delle disposizioni lesive, non potrà più ottenere la
quota riservatagli per legge, e perderà l’unica possibilità per adire l’eredità del de cuius.
In un modo o nell’altro il legittimario non verrà alla successione.
Almeno nei casi di riservatario solamente leso, al risultato finale di precludersi l’adizione
dell’eredità egli potrebbe poi giungere, in parte con una rinuncia all’azione di riduzione (o
lasciandola prescrivere) ed in parte, in un momento seguente, con una rinunzia formale
all’eredità (sempre che non sussistano i presupposti della rappresentazione).
Non potrebbe comunque nemmeno escludersi che il legittimario pur avendo esperito l’azione di
riduzione, magari anche con esito vittorioso, decida poi ciononostante di rinunciare all’eredità,
secondo quanto gli sarebbe ancora consentito, alla luce del più recente orientamento della stessa
www.dottrinaediritto.it con nota di Scarano, Criterio di determinazione della quota di riserva e applicazione
dell’istituto dell’accrescimento.
12
Cassazione civile , sez. un., 25 ottobre 2004, n. 20644.
13
Salvo l’esperimento contro i delati di un’actio interrogatoria al fine di accelerare almeno il termine per
l’accettazione dell’eredità.
14
Cui si deve parificare la prescrizione del diritto ad accettarla.
15
Sulla distinzione tra quota di eredità e pars bonorum V. anche Mengoni, op. cit., 51, nota 23.
16
“Il legittimario leso può rinunciare all’azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di
riserva, ma è necessario, a tal fine, che egli manifesti positivamente la volontà di rinunciare al suo diritto di
conseguire l’integrazione spettantegli. Ove manchi una rinuncia espressa in tal senso, si può giungere a
ritenere l’esistenza di una rinuncia tacita solo in base a un comportamento inequivoco e concludente del
soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione.”
Cassazione civile , sez. II, 07 maggio 1987, n. 4230 in Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 5.
-5-
Corte di Cassazione17, essendo divenuto semplice chiamato alla successione.
Per determinarsi il definitivo assetto della successione, non potendosi prescindere concretamente
dalle scelte del legittimario, dovrà quindi, comunque, considerarsi l’eventualità che non tutti i
beneficiari intendano avvantaggiarsi del loro diritto ad ottenere una quota dell’asse ereditario,
individuandoli concretamente e stabilendosi la diversa modulazione delle quote loro riservate a
seconda delle diverse, svariate, ipotesi che potrebbero in concreto prospettarsi.
CRITICA DEGLI ARGOMENTI A SOSTEGNO DEL DECISUM
Gli argomenti addotti dalla Suprema Corte a supporto delle proprie conclusioni appaiono avere
scarsa consistenza giuridica.
Già per loro stessa natura quello letterale e ab inconvenienti, a maggior ragione se riguardati alla
luce della compiutezza delle ricostruzioni in tema di successione necessaria proposte dalla dottrina
specialistica18 al confronto delle quali appaiono inadeguati, se non addirittura “irrispettosi”.
Il termine “lasciare” ha, infatti, un significato generico e atecnico non soltanto negli articoli 537,
538, 542 e 544, ma anche nell’articolo 568 c.c.
Sembra tra l’altro costituire un primo elemento letterale contrario, quello ricorrente nelle norme in
tema di quota di legittima, che fa riferimento ad un “concorso” tra più legittimari e che parrebbe
giustificato da un’effettiva loro venuta alla successione, dato che altrimenti sarebbe forse stato
preferibile utilizzare il verbo “coesistere”.
L’argomento ab inconvenienti, ulteriormente utilizzato dalla Corte nel motivare la sua decisione,
appare di per sé stesso ontologicamente debole, anche se innegabilmente basato sull’effettiva
disciplina codicistica.
L’ultimo motivo su cui la Cassazione fonda il principio di diritto enunciato, basato sulla presunta
ratio della scelta del legislatore di fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura
della successione ai fini della individuazione della quota di riserva, parrebbe, invece, poter essere
sostenuto19-20 anche per la rinuncia all’eredità e perderebbe dunque parte della propria valenza
17
La posizione di chiamato all’eredità verrebbe, infatti, acquisita solo dal momento della sentenza costitutiva
che accoglie la sua domanda di riduzione rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie
Cassazione civile , sez. II, 03 dicembre 1996, n. 10775 Riv. not. 1997, 1302; conforme Cassazione civile,
sez. III, 12 gennaio 1999, n. 251 in Giust. civ. Mass. 1999, 57; contra Mengoni, op. cit., 232 secondo il quale
il legittimario, se esperisce vittoriosamente l’azione, diventa erede fin dal momento dell’apertura della
successione, anche se questa efficacia retroattiva non è propria direttamente della sentenza bensì della
vocazione ereditaria ex lege che ne consegue.
18
Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale: Successione necessaria, Milano, 2000; Ferri,
Legittimari, op. cit.; Azzariti, Successioni e donazioni, op. cit.
19
La rinuncia all’eredità da parte del legittimario (sia preterito che già chiamato all’eredità e dunque leso da
un punto di vista patrimoniale) comporterà, infatti, l’automatica rinuncia non solo alla (integrale quota di)
riserva, ma anche necessariamente all’azione volta ad assicurarne il conseguimento integrale posto che la
volontà del soggetto è definitivamente caratterizzata da una volontà negativa in ordine al conseguimento
della quota ereditaria riservatagli. La rinunzia all’azione di riduzione dovrà tuttavia essere considerata
-6-
argomentativa. Evidente, infatti, che l’ereditando potrebbe, analogamente, avere un interesse ad
evitare ogni incertezza conoscendo in anticipo chi tra i chiamati non intendesse accettare la sua eredità
in modo da potersi conseguentemente regolare per disciplinare compiutamente la sua successione.
Ciò almeno in astratto, parendo evidente che per salvaguardare effettivamente l’interesse
dell’ereditando dovrebbe presupporsi la possibilità e la capacità di quest’ultimo di poter
eventualmente modificare fino all’ultimo l’assetto della sua successione alla luce del concreto mutare
delle circostanze.
Anche tuttavia questo argomento appare poco fondante dato che l’ereditando ha certamente a
disposizione diversi strumenti negoziali per indirizzare la sua successione mortis causa.
Ovvio che, ove non si potesse far riferimento ai “lasciati” al momento dell’apertura della successione,
ciò che semplificherebbe invero il problema, e si dovessero invece prendere in considerazione coloro
che effettivamente potrebbero venire alla successione, il ventaglio delle ipotesi che si
prospetterebbero al “futuro de cuius” si moltiplicherebbero in proporzione al novero dei propri parenti
riservatari, obbligandolo ad approntare una complessa disciplina della propria successione mortis
causa diversificata con molteplici ipotesi, ma tant’è.
POSSIBILI ARGOMENTI A SOSTEGNO DEL DECISUM
L’effetto retroattivo espressamente previsto dall’art. 521 c.c. alla luce del quale: “Chi rinunzia
all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” pare, in effetti, dover essere
limitato alla sola rinuncia all’eredità21.
Non risulta, infatti, prevista da alcuna norma la retroattività della rinunzia all’azione riduzione, né
tantomeno della sua eventuale prescrizione22, a meno di voler concordare sulla sopraevidenziata
potenziale identità di effetti delle due diverse rinunce, ciò che ne consentirebbe, forse,
un’applicazione analogica.
Mancando la previsione di una fictio juris insita nella retroattività di un evento verificatosi, invero,
in un momento successivo, i legittimari rinunzianti alla riduzione dovrebbero quindi continuare a
irrevocabile giustificandosi l’inapplicabilità dell’art. 525 c.c. alla luce dell’eccezionalità della norma e della
sua conseguente non applicabilità analogica ex art. 14 disp. prel. cod. civ.
20
La rinuncia all’azione di riduzione rappresenterebbe insieme alla prescrizione una delle cause di estinzione
dell’azione. Vengono invece considerati meri fatti impeditivi del sorgere dell’azione di riduzione, la rinunzia
all’eredità, il conseguimento di un legato sostitutivo di legittima e l’accettazione dell’eredità senza beneficio
d’inventario ove si intenda agire contro i donatari e legatari estranei (art. 564 c.c.), Mengoni, op. cit., 319.
21
Il principio della retroattività della rinunzia, per effetto del quale la delazione del rinunziante viene meno,
ex tunc, a partire dall’apertura della successione, mira ad assicurare al pari dell’efficacia retroattiva
dell’accettazione sancita dall’art. 459 c.c., la continuità nella titolarità delle situazioni soggettive facenti capo
al de cuius, onde impedire che i beni relitti possano essere considerati sia pure transitoriamente come res
nullius.
22
Si è invece già segnalato (nota 17) che secondo Mengoni, op. cit., 232, la riduzione ha invece efficacia
retroattiva e pertanto il legittimario, se esperisce vittoriosamente l’azione, diventa erede fin dal momento
dell’apertura della successione, anche se questa efficacia non è propria direttamente della sentenza bensì
della vocazione ereditaria ex lege che ne consegue.
-7-
far calcolo ai fini della determinazione della quota di riserva dovendo necessariamente operare ex
nunc la loro decisione e dovendo quindi continuare a dover essere considerati almeno fino al
momento della perdita definitiva del loro diritto all’azione.
Le conclusioni della Corte potrebbero quindi trovare un primo, più sicuro, appiglio su tale
caratteristica e sulle conseguenze che ne discendono, piuttosto che su altre più fragili motivazioni.
Ancora, in base all’art. 551, secondo comma, c.c. l’onorato di un legato in sostituzione di legittima:
“Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento, nel caso che il
valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede.”; il terzo
comma dell’art. 551 c.c. prevede poi che: “Il legato in sostituzione della legittima grava sulla
porzione indisponibile”.
Ancorché non acquisti concretamente la qualità di erede, il legittimario tacitato dal legato23,
conserverà dunque la qualità di legittimario continuando a far numero per il calcolo della riserva 24 e
potrà trattenere il legato fino alla concorrenza col valore risultante dal cumulo della disponibile con
la sua quota di legittima25.
Secondo la migliore dottrina26, il verbo «gravare» sarebbe utilizzato dal legislatore come sinonimo
di «imputare», per significare che il legato tacitativo è valutato dalla legge come modo di
attribuzione concreta della legittima. Perciò, se attribuito a un figlio, esso formerebbe, fino a
concorrenza del valore della sua legittima, una detrazione della quota complessivamente riservata ai
figli dall’art. 537 o dall’art. 542 ed il figlio tacitato, non solo farebbe numero per la
determinazione della quota riservata ai discendenti, ma anche vi prenderebbe parte, sebbene
non a titolo di erede.
Anche il coniuge destinatario di un legato in luogo di legittima, ove lo “accetti”, continuerebbe a
contare come legittimario ai fini dell’applicazione dell’art. 542 c.c.27
Il legato sostitutivo sarebbe, insomma, la stessa legittima in forma di attribuzione a titolo particolare
ed i legittimari onorati da un tale legato dovrebbero essere comunque conteggiati per la
determinazione della quota riservata, benché non vengano alla successione e non esercitino
l’azione di riduzione.
Pare che anche per questa via potrebbe giungersi a conclusioni analoghe, benché maggiormente
fondate sul dato testuale di legge, a quelle sostenute dalle sezioni unite in epigrafe dato che pur non
23
Senza facoltà di chiedere il supplemento poiché altrimenti si tratterebbe di c.d. legato con diritto al
supplemento (art. 551, secondo comma, c.c.) che attribuirebbe al legittimario la qualità di erede
testamentario. Azzariti, op. cit., 274; Capozzi, op. cit., 295.
24
Il legato sostitutivo è quota di riserva perché a tale titolo è attribuito al legittimario Capozzi, op. cit., 293.
25
Mengoni, op. cit., 125.
26
Mengoni, op. cit., 126.
27
Anche se la sua quota individuale di legittima essendo distinta da quella collettivamente riservata ai figli
non potrebbe accrescersi a questa ma alla disponibile.
-8-
potendo essere considerato erede il legittimario cui sia stato attribuito un legato in conto tacitativo,
dovrà essere conteggiato ai fini della determinazione della quota di riserva spettante alle singole
categorie di legittimari ed ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria.
La particolare posizione successoria del coniuge pare poter portare ulteriori argomenti a sostegno
della tesi fatta propria dalla Suprema Corte.
Questi è infatti successore sia a titolo universale che a titolo particolare28 avendo tra l’altro diritto ai
c.d. legati ex lege dell’abitazione sulla casa coniugale e di uso sui mobili che la corredano (art. 540
c.c.) che per la dottrina preferibile gli vengono riservati nella sua qualità di legittimario29, come
parte (aggiuntiva30) della sua quota di riserva31.
Non potendosi escludere che il coniuge decida di conseguire solo i legati ex lege di abitazione e di
uso, egli potrebbe ciononostante continuare a dover essere ricompreso tra i legittimari da
conteggiare ai fini della determinazione delle effettive quote di riserva.
Tenendo presente che l’art. 540, secondo comma, c.c. sembra esattamente l’opposto dell’art. 551,
terzo comma, c.c. considerato che nel primo, i diritti d’uso e abitazione gravano sulla disponibile e
per la parte rimanente sulla quota indisponibile, mentre nel secondo il legato sostitutivo grava sulla
porzione indisponibile e per l’eccedenza sulla disponibile la tesi sembra tuttavia difficilmente
sostenibile.
Benché, infatti, l’art. 540 c.c. non appaia dettare la propria disciplina distinguendo a seconda che il
coniuge accetti o meno l’eredità, si potrebbe tuttavia sostenere con pari fondamento che solo al
coniuge che venga effettivamente alla successione debba essere riservata una quota di legittima
dovendo altrimenti determinarsi le quote dei legittimari ex artt. 537 e 538 c.c. Se così fosse,
dunque, anche i diritti di uso e di abitazione non potrebbero mai incidere sulla quota di riserva
del coniuge (ed eventualmente anche su quella riservata ai figli) ex art. 540, secondo comma,
secondo periodo, c.c., che non verrebbe nemmeno mai determinata, dovendosi limitare il legato
nell’ambito della sola disponibile 32.
La legge 14 febbraio 2006 n° 55 (Modifiche al codice civile in tema di patto di famiglia)33 pare
28
Mirone, I diritti successori del coniuge, Napoli, 1984, 15 nega la doppia posizione del coniuge quale
successore a titolo particolare e universale.
29
Contra Azzariti Iannacone, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, Torino, 1997, 103 e 107.
30
Cassazione civile, sez. II, 06 aprile 2000, n. 4329 in Giust. civ. 2001, I, 2198, Giur. it. 2001, 33, Notariato
2001, 357, Vita not. 2001, 141.
31
Corte appello Venezia, 3 febbraio 1982 in Riv. not., 1983, 534. Sull’imputazione di tali diritti Ferri, op.
cit., 55 ss.; Cassazione civile, sez. II, 06 aprile 2000, n. 4329 citata alla nota precedente.
32 Mengoni, op. cit., 172 ritiene tuttavia che ove il coniuge rinunzi all’eredità possa trattenere i due legati
nell’ambito della sola disponibile. Così pure Pretura Campi Salentina, 25 novembre 1980 in Giur. it. 1982, I,
2, 152.
33
La normativa sul patto di famiglia recepisce la raccomandazione della Commissione UE n° 94/1069 del 7
dicembre 1994, pubblicata sulla G.U.E. n° 385 del 31/12/1994, e la comunicazione n° 98/C 93/02, pubblicata
sulla G.U.E. n° C-93 del 28/3/1998.
-9-
fornire più sicuri elementi a favore della tesi fatta propria dalla Suprema Corte nella sentenza in
epigrafe34.
L’art. 768 quater c.c. stabilisce, infatti, che al contratto, con cui, compatibilmente con le
disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie,
l’imprenditore trasferisca, in tutto o in parte, l’azienda, ed il titolare di partecipazioni societarie
trasferisca, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti, debbano partecipare anche
il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari35 ove in quel momento si aprisse la successione
nel patrimonio dell’imprenditore.
“… gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri
partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una
somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti” (art. 768 quater,
secondo comma, c.c.) ed i beni assegnati agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda,
secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti 36 mentre
quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione (art. 768 quater, quarto
comma, c.c.).
La qualifica di legittimario e le quote di riserva concretamente spettanti37 sono dunque stabilite in
un momento diverso dall’apertura della successione38 a prescindere da quelle che saranno le scelte
(e la stessa eventuale esistenza in vita) dei riservatari che sopravviveranno all’imprenditore in
ordine alla sua successione.
34
Sull’argomento De Martino, Brevi note in tema di patti di famiglia: i principi, consultabile su
www.personaedanno.it.
35
Il legislatore sembrerebbe porre su due piani differenti il coniuge rispetto agli altri legittimari, ma si tratta,
in realtà, di un’imprecisione terminologica rientrando di diritto anche il coniuge nel novero dei legittimari.
De Martino, op. cit.
36
Il legislatore ha previsto per la prima volta in assoluto che siano imputati alle quote di legittima beni non
provenienti dal de cuius, ma da un terzo. La norma pare essere giustificata dall’esigenza di assicurare
stabilità al patto conferendo alle attribuzioni effettuate dal discendente assegnatario a favore degli altri
legittimari la medesima disciplina rispetto alle attribuzioni effettuate dal disponente al discendente
assegnatario che sono già soggette ad imputazione in base ai principi generali. Caccavale, nello studio
pubblicato su CNN notizie del 22/03/2006 ed in Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili
strutturali e funzionali della fattispecie in Notariato 3/2006, 305 ritiene che la ragione dell’imputazione sia
ravvisabile nel fatto che l’attribuzione a favore dei legittimari non assegnatari debba essere ricondotta ad una
liberalità indiretta proveniente dall’imprenditore disponente.
37
Ancorché la determinazione del valore delle quote di legittima non debba essere fatta con riferimento
all’intero asse ereditario ma unicamente al valore di quanto trasferito con il patto di famiglia, De Martino,
op. cit.
38
Al patto di famiglia non dovrebbero quindi partecipare anche coloro che sarebbero legittimari se
all’apertura della successione si modificasse lo stato si famiglia del disponente (gli ascendenti che
diventerebbero legittimari nel caso in cui non vengano alla successione i discendenti (art. 538 c.c.), i
discendenti ulteriori, che lo diventerebbero se non venisse alla successione il loro ascendente (art. 536 c.c.)
ciò che tuttavia non conferisce al patto di famiglia una sicura stabilità, Lupetti nello studio pubblicato su
CNN notizie del 14/02/06; così pure Petrelli in Riv. not., 2006, 401.
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La stessa rinunzia all’azione di riduzione è anticipata39, coincidendo con il momento in cui si
procede alla verifica di quali siano i legittimari, dato che nel patto di famiglia, questi ultimi, sia che
accettino, sia che rinuncino alla liquidazione, comunque non possono esperire l’azione di riduzione
sui beni assegnati con il contratto rinunciandovi, di fatto, parzialmente40 e tacitamente.
Anche dunque nel nuovo istituto introdotto dal legislatore il legittimario deriva i propri diritti di
riserva, benché eventualmente limitati al valore dell’azienda o delle partecipazioni, non da una sua
effettiva adizione dell’eredità quanto piuttosto dal suo rapporto coniugale o parentale con il
disponente mentre costituisce un dato, addirittura positivamente affermato dal legislatore, che la
perdita ex lege all’azione di riduzione – che in questa fattispecie è contestuale – non incida affatto
sulla situazione esistente al momento della stipula del patto.
L’identità del principio di diritto affermato dalle sezioni unite nella sentenza che si commenta, con
quanto previsto dal legislatore in tema di patto di famiglia, pare evidente.
Si dirà che non è possibile trarre delle conseguenze valevoli per la generalità dei casi da fattispecie
particolari (il legato in sostituzione di legittima) ed eccezionali41 (il patto di famiglia), caratterizzate
da specifici presupposti non sempre ricorrenti, che dovrebbero imporre all’interprete il divieto
dell’interpretazione analogica (art. 14 preleggi) e più in generale il dovere di interpretare la
normativa in maniera rigorosa e restrittiva.
La critica potrebbe certamente avere un suo fondamento.
Nel silenzio del legislatore sulla problematica risolta dalla Cassazione, tuttavia, gli argomenti
proposti potrebbero forse costituire degli indici emergenti dalla disciplina legale su cui fondare più
saldamente l’ipotesi ricostruttiva fatta propria dalla Suprema Corte.
CONCLUSIONI
La sentenza in esame ha senz’altro il pregio di semplificare il calcolo della quota di riserva spettante
al legittimario, che diviene insensibile alle vicende successive (limitate tuttavia alla sola rinuncia o
prescrizione del diritto potestativo ad agire in riduzione), rendendola conoscibile già al momento
dell’apertura della successione, ma paga un alto prezzo in termini di sacrificio d’una ricostruzione
sistematica e completa dell’impianto normativo in subiecta materia.
L’autorevolezza della dottrina che ha contribuito ad interpretare la volontà del legislatore in materia
successoria e la sedimentazione della giurisprudenza formatasi su tali ricostruzioni avrebbero forse
imposto una maggior esaustività di motivazioni ed una più compiuta valenza dogmatica della presa
39
È una rinunzia tacita e parziale in quanto non coinvolge tutti gli altri beni che costituiranno oggetto della
successione del disponente Merlo in CNN notizie del 14/02/2006.
40
Anche se eventualmente definitiva e potenzialmente totale ove il bene attribuito sia e rimanga l’unico del
disponente.
41
Con significative deroghe ad alcuni principi di carattere generale dell’ordinamento quali il divieto dei patti
successori, l'intangibilità quantitativa della legittima, ecc…
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di posizione della Suprema Corte, non da ultimo anche al fine di porre le basi per l’evoluzione di
una interpretazione univoca della normativa in questione, mentre, fra le righe, sembra che la
decisione si sia, purtroppo, più che altro preoccupata di eliminare gli inconvenienti pratici della
contraria posizione42.
42
Balestra, Il calcolo della quota di riserva spettante al legittimario: le sezioni unite prendono posizione, in
www.personaedanno.it si rammarica che la Corte nel decidere una delle questioni più controverse del nostro
diritto successorio abbia perso l’occasione per proporre una ricostruzione sistematica e completa
dell’impianto normativo e si mostra scettico sul fatto che il dibattito dottrinale sulla questione venga sopito
dall’intervento delle sezioni unite.
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