IL LEGITTIMARIO C’È, MA NON SI VEDE Successioni - Successione necessaria - Mancato esperimento dell’azione di riduzione Individuazione della quota di riserva spettante ai singoli legittimari - Riferimento alla situazione concreta determinatasi al momento dell’apertura della successione - Necessità. (Cc, articoli 536 e ss.) AI FINI DELL’INDIVIDUAZIONE DELLA QUOTA DI RISERVA SPETTANTE ALLE SINGOLE CATEGORIE DI LEGITTIMARI E AI SINGOLI LEGITTIMARI NELL’AMBITO DELLA STESSA CATEGORIA OCCORRE FARE RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE ESISTENTE AL MOMENTO DELL’APERTURA DELLA SUCCESSIONE E NON A QUELLA CHE SI VIENE A DETERMINARE PER EFFETTO DEL MANCATO ESPERIMENTO (PER RINUNZIA O PRESCRIZIONE) DELL’AZIONE DI RIDUZIONE DA PARTE DI QUALCUNO DEI RISERVATARI. CASSAZIONE, SEZIONI UNITE CIVILI, 27 APRILE - 12 GIUGNO 2006, N. 13524 PRES. CARBONE, REL. TRIOLA, P.M. – PARZIALMENTE DIFFORME – IANNELLI Svolgimento del processo Con atto notificato l’1-4 luglio 1987 M.C. conveniva davanti al Tribunale di Torino il fratello V.C., nonché i nipoti E., A. e M.R.K., ed esponeva: - che in data 17 gennaio 1987 era deceduta L.B., madre di essa attrice e di V.C. e di T.C., quest’ultima premorta lasciando a succederle per rappresentazione alla madre i figli E., A. e M.R.K.; - che con atto in data 6 agosto 1980 L.B. aveva venduto a V.C. la nuda proprietà su un immobile costituente il suo intero patrimonio; - che tale atto dissimulava una donazione nulla per difetto di forma o comunque una donazione lesiva della propria quota di legittima; - sulla base di tali premesse l’attrice chiedeva che venisse dichiarata la nullità della donazione, con conseguente apertura anche in suo favore della successione legittima o che, nell’ipotesi di validità dell’atto in questione, ne venisse disposta la riduzione nella misura necessaria ad assicurarle la quota di legittima cui aveva diritto. V.C., costituitosi, contestava il fondamento delle domande. E., A. e M.R.K. rimanevano contumaci. Con sentenza non definitiva in data 3 novembre 1992 il Tribunale di Torino rigettava le domande proposte dall’attrice, che proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Torino con sentenza in data 8 febbraio 1995. M.C. proponeva ricorso per cassazione, che questa S.C. accoglieva con sentenza in data 18 marzo 1997 n. 2885, ritenendo insufficiente la motivazione con la quale era stata esclusa la simulazione dell’atto in data 6 agosto 1980 ed insussistente in ordine alla subordinata ipotesi della configurabilità di un negotium mixtum cum donatione. M.C. provvedeva alla riassunzione del giudizio davanti alla Corte di appello di Torino, che con sentenza non definitiva in data 6 agosto 2001 escludeva la sussistenza della simulazione dell’atto in data 6 agosto 1980 e disponeva l’ulteriore corso del giudizio al fine di accertare la sussistenza o meno di un negotium mixtum cum donatione. Contro tale decisione M.C., dopo avere fatto riserva di impugnazione, proponeva ricorso immediato e tale ricorso è stato dichiarato inammissibile da questa S.C. con sentenza in data 30 marzo 2006 n. 7502. Con sentenza in data 15 novembre 2002 la Corte di appello di Torino, frattanto, aveva ritenuto, sulla base della C.T.U. all’uopo disposta, che con l’atto in data 6 agosto 1980 era stato realizzato un I negotium mixtum cum donatione, che, costituendo donazione indiretta, non era soggetto ai requisiti di forma previsti per le donazioni dirette. A questo punto si poneva il problema di individuare la quota di riserva spettante a M.C. in una situazione caratterizzata dal fatto che la legittima nel suo complesso era pari ai due terzi dell’asse ereditario, avendo L.B. lasciato due figli superstiti e tre nipoti destinati a subentrare per rappresentazione alla terza figlia, ma questi ultimi non erano venuti alla successione. In sostanza, si trattava di stabilire se la quota pari ai 2/9 in teoria spettante a E., A. e M.R. K. si doveva accrescere in favore delle altre due quote pari a 2/9 ciascuna spettanti a M.C. e V.C. La Corte di appello di Torino dava risposta negativa a tale quesito in base alla seguente motivazione: È vero che la mancata accettazione dell’eredità dei nipoti K. è venuta ad equivalere ad una rinuncia, ma la quota di legittima che è riservata dalla legge non può essere modificata dalla rinuncia di altri eredi. E questo per una serie di ragioni tra loro autonome. In primo luogo il dato letterale della disposizione normativa. L’art. 537 c.c. che dispone la riserva a favore dei legittimari parla di figli e non di eredi accettanti. In secondo luogo vale la «ratio» della disposizione normativa. Riservando ai figli una parte del patrimonio la legge ha, per così dire, posto un limite inderogabile alla volontà del testatore, nel senso che gli ha impedito di escludere totalmente il passaggio dei suoi beni ai figli col predeterminare a favore di questi ultimi delle quote minime di riserva. Peraltro la mancata accettazione di un erede non può costituire un ulteriore elemento di coartazione della volontà del testatore. In terzo luogo, se è vero che la mancata accettazione dei nipoti K. ha comportato la prescrizione decennale del diritto, tuttavia la prescrizione non può essere rilevata di ufficio. Contro tale decisione, nonché contro la sentenza non definitiva in 6 agosto 2001, M.C. ha proposto ricorso per cassazione, ripetendo, per quanto riguarda la sentenza non definitiva, il motivo del ricorso già proposto contro la stessa sentenza ed investendo con tre motivi la sentenza definitiva. V.C. ha resistito con controricorso ed ha anche proposto ricorso incidentale, con un unico motivo, al quale resiste con controricorso M.C. Con ordinanza in data 22 aprile 2005 la Seconda sezione civile di questa S.C. ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare l’opportunità di assegnare la causa alle Sezioni unite, in considerazione del fatto che ai fini della decisione occorre risolvere alcune questioni di particolare rilevanza giuridica, cui la dottrina dà contrastanti soluzioni e che non sono state affrontate ex professo da questa S.C.; in particolare occorre stabilire: a) quale sia il criterio di determinazione della quota di riserva nella ipotesi in cui vi siano più legittimari pretermessi, dei quali uno solo abbia esperito l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie; b) se a tale ipotesi possa ritenersi applicabile l’art. 522 cod. civ. Motivi della decisione Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi. Con l’unico motivo del ricorso principale diretto contro la sentenza non definitiva M.C. censura la motivazione con la quale la Corte di appello di Torino ha escluso che la vendita effettuata in data 6 agosto 1980 da L.B. a V.C. dissimulasse una donazione nulla per difetto di forma. La doglianza è infondata. La ricorrente in via principale, infatti, da un lato, propone una diversa valutazione delle prove testimoniali rispetto a quella effettuata dai giudici di merito, mentre, invece, ai fini della sussistenza del denunciato vizio di motivazione avrebbe dovuto chiarire come le conclusioni cui la Corte di appello di Torino è pervenuta non siano congruenti, dal punto di vista logico, con il contenuto delle prove testimoniali ritenute attendibili; dall’altro, pretende che assurgano al livello di presunzioni elementi indiziari dal valore probatorio non univoco. Con il primo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva M.C. censura la valutazione del donatum data dai giudici di merito e deduce testualmente. Con riferimento alla sentenza n. 1609/2002 occorre quindi osservare come la Corte di Appello di Torino ha, a sommesso parere dell’esponente, omesso di considerare che l’operazione posta in II essere, cioè la vendita a prezzo vile della nuda proprietà dell’immobile, abbia comportato un duplice beneficio in favore del V.C.: uno immediato cioè l’acquisto a prezzo di gran lunga inferiore al reale della nuda proprietà dell’immobile, il secondo differito al momento in cui, con il decesso della de cuius, il V. sarebbe divenuto nudo proprietario dell’immobile. Per calcolare quindi correttamente il beneficio ricevuto la Corte di Appello avrebbe dovuto relazionare il prezzo pattuito e ritenuto pagato nell’agosto del 1980 al valore della piena proprietà dell’immobile al tempo dell’apertura della successione. La Corte di Appello ha invece effettuato un calcolo aritmetico attraverso il quale viene semplicemente trasposta la percentuale del prezzo asseritamente pagato nel 1980 sul valore della nuda proprietà a quella data per concludere che nella medesima percentuale è da considerare il beneficio ricevuto dal donatario al momento in cui l’usufrutto si consolidò nella nuda proprietà. In realtà sarebbe stato corretto, giusto il disposto della norma di cui all’art. 747 c.c. in punto momento che deve aversi presente per la valutazione del valore dell’immobile, calcolare il valore della donazione e quindi la quota del bene immobile oggetto di donazione alla data dell’apertura della successione. Poiché nel tempo la svalutazione del denaro e la rivalutazione dei beni immobili in termini di valore nominale non ha andamento sempre coincidente (e poi ogni immobile - bene infungibile per eccellenza - fa storia a sé), e in ogni caso, poiché con la consolidazione dell’usufrutto il beneficio ricevuto dal donatario è individuabile nella piena proprietà del bene, la quota del donatum doveva essere effettuata parametrando il sacrificio economico sopportato dal V.C. (37 milioni di lire nel 1980) al beneficio ricevuto all’apertura della successione (ovvero il valore della piena proprietà dell’immobile al tempo dell’apertura della successione). La Corte di Appello di Torino ha invece del tutto omesso detta operazione trasfondendo la percentuale del «pagato» sul valore della nuda proprietà al 1980 alla quota ideale di donazione (e infatti 37,5 milioni di lire rappresentano proprio il 22,22% - la Corte ha finito con l’arrotondare a 22,25% - di 168.750.000 valore della nuda proprietà al 1980 secondo il seguente calcolo aritmetico 168.750.000/100 = 1.687.500; 37.500.000/1.687.500 = 22,22). Il Giudice del merito ha quindi concluso che il donatum fosse una quota ideale pari al 77,75% (10022,25) dell’immobile. Detto criterio di calcolo non tiene in nessun conto il criterio di cui al citato art. 747 c.c. e soprattutto non considera che con il decesso dell’usufruttuaria il donante ha conseguito l’ulteriore beneficio della consolidazione dell’usufrutto. L’esponente aveva proposto invece il seguente diverso criterio di calcolo: somma di 37.500.000; rivalutata al gennaio 1987 pari a L. 76.500.000. Detta somma rivalutata rappresenta una percentuale del 12,96% del valore alla stessa data della piena proprietà del compendio immobiliare (590.000.000). Ne derivava quindi che la percentuale del donatum era da individuarsi nell’87,04% e non già nella minore percentuale del 77,75. Anche a non voler condividere detto criterio di calcolo, in ogni caso, il Giudice del merito avrebbe dovuto individuare criteri atti a rapportare, come sopra visto, il presunto sacrificio economico del C.V. al 1980 con il beneficio complessivo da calcolarsi al momento dell’apertura della successione. Il motivo, a prescindere dalla sua teorica fondatezza o meno, è inammissibile, in quanto investe una questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata, né viene espressamente denunciata una omessa pronuncia, il che sarebbe stato necessario, in considerazione delle conclusioni che risultano formulate nell’epigrafe della sentenza impugnata. Con il secondo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva M.C. sostiene che nella specie il negotium mixtum cum donatione doveva considerarsi nullo per difetto di forma, in applicazione del criterio della c.d. prevalenza. Il motivo è infondato, alla stregua quantomeno della più recente giurisprudenza di questa S.C., la quale ha affermato che per il negotium mixtum cum donatione non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema negoziale adottato, senza far menzione del criterio della c.d. prevalenza (cfr. sent. 21 gennaio 2000 n. 642; 10 aprile 1999 n. 3499). III Con il terzo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva M.C. ripropone la tesi secondo la quale il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte dei nipoti ex sorore comportava l’accrescimento (anche) in suo favore della quota di legittima agli stessi in teoria spettante. Si tratta del problema con riferimento al quale la causa è stata assegnata a queste Sezioni unite. Questa S.C. ha avuto occasione di affermare che se più sono i legittimari (nell’ambito della categoria dei discendenti) ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non all’intera quota, o comunque ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri (non) facessero valere il loro diritto (sent. 22 ottobre 1975 n. 3500, 1978 n. 5611). Tale orientamento, peraltro, si pone in implicito contrasto con la giurisprudenza formatasi con riferimento alla ipotesi in cui disponibile e legittima variano in funzione della esistenza di più categorie di legittimari o del numero di legittimari nell’ambito di una stessa categoria. Ad es., in base all’art. 542, primo comma, cod. civ., se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, legittimo o naturale, a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge; in base all’art. 542, secondo comma, cod. civ., quando, invece, i figli, legittimi o naturali, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio ed al coniuge spetta un altro quarto. Con riferimento ad entrambe le ipotesi si pone il problema se il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte del coniuge pretermesso comporta che la legittima dell’unico figlio o dei più figli si «espanda», diventando rispettivamente pari alla metà o ai due terzi del patrimonio del de cuius, secondo quanto previsto dall’art. 537, primo e secondo comma, cod. civ. Con riferimento alla ipotesi prevista dal primo comma dell’art. 542 cod. civ. si pone il problema se il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte dell’unico figlio comporta la espansione della legittima del coniuge, in modo da farle raggiungere la misura prevista dall’art. 540, primo comma, cod. civ. Con riferimento, infine all’ipotesi prevista dall’art. 542, secondo comma, cod. civ. si pone il problema se l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di uno solo dei figli comporta che la legittima allo stesso spettante debba essere determinata secondo quanto disposto dal primo comma. La giurisprudenza di questa S.C. si è mostrata favorevole alla tesi della c.d. espansione della quota di riserva con riferimento all’ipotesi di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte del coniuge superstite (sent. 26 ottobre 1976 n. 3888; 9 marzo 1987 n. 2434; 11 febbraio 1995 n. 1529). Si è, in proposito, affermato (sent. 9 marzo 1987, cit.) che occorre tenere presente che, a norma dell’art. 521 c.c. la rinunzia all’eredità è retroattiva nel senso che l’erede rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato all’eredità divenendo estraneo alla successione sotto ogni aspetto, come non esistesse. È dunque impossibile far riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione, dal momento che tale situazione è soggetta a mutare, per effetto di eventuali rinunzie, con effetto retroattivo. È quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell’apertura della successione, indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario e non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto partecipare. Tale orientamento è conforme a quanto sostenuto in dottrina, in cui ugualmente si è invocato il principio della retroattività della rinuncia fissato nell’art. 521 c.c. e si è sostenuto che un argomento a favore dello stesso sarebbe desumibile dall’art. 538 cod. civ., che regola la riserva spettante agli ascendenti «se chi muore non lascia figli legittimi», in quanto la norma dovrebbe applicarsi soltanto nel caso in cui l’ereditando non abbia avuto figli o questi siano tutti presenti o assenti; se invece sopravvivessero figli capaci di succedere e tutti rinunziassero, si dovrebbe concludere nel senso che o rimane ferma a beneficio degli ascendenti la quota riservata di due terzi stabilita dall’art. 537, oppure che non sorge alcun diritto di riserva in favore degli ascendenti, conclusioni, l’una e l’altra, evidentemente inammissibili. Si tratta di un orientamento che il collegio ritiene di non poter condividere. Appare, in primo luogo, inopportuno il richiamo agli effetti della rinuncia di uno dei chiamati in IV tema di successione legittima, secondo quanto previsto dagli artt. 521 e 522 cod. civ., per vari motivi. Nella successione legittima il c.d. effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati e il conseguente accrescimento in favore degli accettanti trovano una spiegazione logica nel fatto che, diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte della quota del rinunciante. La situazione è ben diversa con riferimento alla c.d. successione necessaria. Il legislatore, infatti, si è preoccupato di far sì che ad ognuno dei legittimari considerati venga garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest’ultimo. Mancando una chiamata congiunta ad una quota globalmente considerata con riferimento alla ipotesi di pluralità di riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il presupposto logico di un teorico accrescimento, e, dall’altro, non esistono incertezze in ordine alla sorte della quota (in teoria) spettante al legittimario che non eserciti l’azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui quest’ultimo avrebbe potuto disporre. La lettera della legge, poi, costituisce un ostacolo insormontabile per l’adesione alla tesi finora sostenuta in dottrina ed in giurisprudenza. Dalla formulazione degli artt. 537, primo comma («se il genitore lascia»), 538, primo comma («se chi muore non lascia»), 542, primo comma («se chi muore lascia»), 542, secondo comma («quando chi muore lascia»), cod. civ. risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine, l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei legittimari. Mancano, pertanto, le condizioni essenziali (esistenza di una lacuna da colmare e possibilità di applicare il principio ubi eadem ratio ibi eadem legis dispositio) per una estensione in via analogica delle norme in tema di successione legittima. La tesi criticata, poi, sembra in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che non è solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest’ultimo di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio in favore di terzi. È evidente che l’esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota dovesse essere determinata, successivamente all’apertura della successione, in funzione del numero di legittimari che dovessero esperire l’azione di riduzione. Non possono, poi, essere taciuti gli inconvenienti pratici connessi alla adesione della c.d. espansione della quota di riserva. Occorre, a tal fine, partire dalla considerazione che l’esercizio dell’azione di riduzione è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale e che non è prevista una actio interrogatoria, al contrario di quanto avviene con riferimento all’accettazione dell’eredità (art. 481 cod. civ.). Ne consegue che all’apertura della successione ogni legittimario può esperire l’azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione familiare di quest’ultimo a tale momento. Solo dopo la rinunzia all’esercizio dell’azione di riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi. Né utili argomenti a favore della tesi criticata possono desumersi dall’art. 538 cod. civ. In primo luogo, nel ragionamento sopra trascritto è incomprensibile il riferimento ad una quota pari a due terzi riservata in favore dagli ascendenti dall’art. 537 cod. civ., dal momento che tale disposizione fa riferimento alla quota riservata ai figli legittimi o naturali. Non si comprende, poi, perché sarebbe inammissibile la conclusione (cui si perverrebbe aderendo alla tesi che il collegio ritiene preferibile) secondo la quale, ove sopravvivessero al de cuius figli legittimi e tutti rinunziassero non sorgerebbe alcun diritto di legittima a favore degli ascendenti. Va, innanzitutto, rilevato che non è chiaro se la rinunzia viene riferita all’accettazione dell’eredità o V all’esperimento dell’azione di riduzione. Nel primo caso un problema di tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro favore si aprirebbe la successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli legittimi, a seguito della rinunzia all’eredità, considerarsi come mai chiamati alla successione. Nel secondo caso la esclusione della configurabilità di una quota di riserva in favore degli ascendenti sarebbe espressione della scelta del legislatore di garantire il conseguimento di una quota del patrimonio del de cuius solo ai parenti più prossimi (oltre che al coniuge) esistenti al momento dell’apertura della successione. I parenti di grado successivo, che sono considerati come legittimari solo in mancanza di quelli di grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in caso di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte di questi ultimi. In definitiva, il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga dell’intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo discendenti o solo ascendenti; non ha considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci discendenti e ascendenti, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano l’azione di riduzione. Alla luce delle considerazioni svolte si può, pertanto, concludere che ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari. Alla luce delle considerazioni svolte è evidente che anche il terzo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva va rigettato. Con l’unico motivo del ricorso incidentale V.C. si duole del fatto che la Corte di appello di Torino, per quanto riguarda la valutazione dell’immobile oggetto della vendita in data 6 agosto 1980, nella quale è stato individuato un negotium mixtum cum donatione, e la rivalutazione dello stesso al momento dell’apertura della successione, abbia recepito le conclusioni del C.T.U., senza tenere conto delle critiche rivolte all’operato dello stesso. Il motivo è infondato, in quanto non viene specificamente censurata la esattezza dell’elemento decisivo sul quale si sono fondate le valutazioni del C.T.U. recepite dalla sentenza impugnata e cioè i dati compartivi desumibili dal mercato immobiliare per costruzioni similari, in base anche alle concrete risultanze ancora in possesso delle agenzie immobiliari operanti in loco. In definitiva, entrambi i ricorsi vanno rigettati. In considerazione della problematicità della questione con riferimento alla quale il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite di questa S.C., ritiene il collegio che sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. VI IL COMMENTO di Andrea e Mario BULGARELLI IL DECISUM Affrontando il terzo motivo di un ricorso principale la Corte di Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza n° 13524 del 12 giugno 2006, prende posizione1 su chi tra i legittimari debba far numero per il calcolo della quota di legittima. La Suprema Corte sostiene che ai fini dell’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria si debba far riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei riservatari2. Occorre da subito evidenziare che le conclusioni raggiunte dalla Corte paiono riferirsi solo a quelle ipotesi nelle quali un legittimario abbia rinunciato all’esperimento dell’azione di riduzione3 o ne abbia lasciato prescrivere il relativo termine. Che l’assunto della Corte non si riferisca alle diverse ipotesi di legittimari che rinuncino all’eredità loro 1 Confermando sul punto Corte di appello di Torino, 15 novembre 2002. Per Cass. 24 gennaio 1957, n. 221, in Mass. Foro it., 1957, 47 invece: «quando uno solo dei figli accetta l’eredità, la quota riservata all’accettante va determinata nell’intera porzione legittima spettante ai discendenti del defunto e non già nella parte individuale che gli sarebbe toccata, se avesse diviso con gli altri la porzione suddetta»; e se l’unico accettante «intenda promuovere, per lesione di legittima, azione di riduzione delle donazioni fatte dal de cuius ad altro figlio (la quota di riserva) va determinata nell’intera porzione legittima riservata complessivamente ai figli del de cuius...». Con riferimento al diverso caso in cui il coniuge si ritenga pago di un legato in sostituzione di legittima Cass. 9 marzo 1987, n. 2434, in Riv. not. 1987, 578 ed in Giust. civ. 1987, I, 1046 (che riforma Corte di appello di Torino 4 febbraio 1983), seconda la quale: “È quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell’apertura della successione, indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario, e non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto partecipare.”; sulla base dei medesimi presupposti ed in senso conforme pure Cassazione civile , sez. II, 11 febbraio 1995, n. 1529 in Riv. not. 1996, 639 ed in Giur. it. 1996, I, 1, 1139, per la quale: “ai fini della determinazione della quota di riserva spettante ai discendenti in relazione alle varie ipotesi di concorso con altri legittimari, non deve farsi riferimento alla situazione teorica al momento dell’apertura della successione ma alla situazione concreta degli eredi legittimi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’asse ereditario, sicché, nell’ipotesi in cui il coniuge superstite abbia abdicato alla qualità di erede per aver accettato un legato in sostituzione della legittima (art. 551 cod. civ.), detta quota non va desunta dall’art. 542 in tema di concorso tra coniuge e figli, bensì dall’art. 537 cod. civ. relativo alla successione dei soli figli.”. 3 Sulla rinuncia alla legittima o all’azione di riduzione Bulgarelli, Gli atti dispositivi della legittima, in Notariato, n° 5/2000, 482. Per Buda, Questioni in tema di azione di riduzione, in Giur. merito 1994, 643, criticando Tribunale Monza, 27 ottobre 1992, ogni legittimario sarebbe impossibilitato ad ottenere più della parte di riserva a lui spettante nell’ipotesi in cui alcuni legittimari abbiano rinunciato all’azione di riduzione. Secondo Cassazione civile, sez. II, 22 ottobre 1975 in Foro it., 1976, I, 1952 “non esiste una solidarietà attiva fra i legittimari, onde: a) se essi sono più, ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non all’intera quota, o, comunque, ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri facciano valere il loro diritto; b) ciascun legittimario può ottenere soltanto la parte a lui spettante della quota di riserva e non quella di coloro che sono rimasti inattivi o che hanno rinunciato all ’azione di riduzione.”. 2 -1- devoluta4 sembrerebbe ricavarsi dal complesso ragionamento che la Corte svolge per illustrare il proprio pensiero. Trovandosi, infatti, a dover confutare uno degli argomenti indicati a sostegno delle tesi della ricorrente5, riferentesi all’ipotesi in cui sopravvivano al de cuius sia figli legittimi che ascendenti, la Corte afferma che: “Nel primo caso (la rinuncia all’eredità da parte dei figli n.d.r.) un problema di tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro favore si aprirebbe la successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli legittimi, a seguito della rinunzia all’eredità, considerarsi come mai chiamati alla successione. Nel secondo caso (la rinuncia all’azione di riduzione da parte dei figli n.d.r.) la esclusione della configurabilità di una quota di riserva in favore degli ascendenti sarebbe espressione della scelta del legislatore di garantire il conseguimento di una quota del patrimonio del de cuius solo ai parenti più prossimi (oltre che al coniuge) esistenti al momento dell’apertura della successione. I parenti di grado successivo, che sono considerati come legittimari solo in mancanza di quelli di grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in caso di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte di questi ultimi. In definitiva, il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga dell’intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo discendenti o solo ascendenti; non ha considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci discendenti e ascendenti, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano l’azione di riduzione.”. In pratica, il legittimario chiamato alla successione che rinunci all’eredità non dovrebbe far numero per il calcolo della quota di riserva dato che ex art. 521 c.c. deve essere considerato come se non vi fosse mai stato delato6, mentre, invece, lo dovrebbe fare il preterito per determinare quell’eventuale parte della quota di riserva concretamente spettante agli altri legittimari – oltre che, di riflesso, la disponibile 4 In questo senso pare invece orientato Leo, La rinuncia all’azione di riduzione non può essere considerata irrilevante, in Guida al diritto 28/2006, 70; così pure anche Colasanti, La quota dei legittimari si cristallizza all’apertura della successione, in Diritto e Giustizi@ online del 26 luglio 2006 che analogamente non sembra distinguere tra rinuncia alla quota riservata e all’azione di riduzione. In effetti il Collegio dichiara espressamente di non poter condividere l’orientamento della dottrina e della giurisprudenza prevalenti secondo cui: “occorre tenere presente che, a norma dell’art. 521 c.c. la rinunzia all’eredità è retroattiva nel senso che l’erede rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato all’eredità divenendo estraneo alla successione sotto ogni aspetto, come non esistesse. È dunque impossibile far riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione, dal momento che tale situazione è soggetta a mutare, per effetto di eventuali rinunzie, con effetto retroattivo. È quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell’apertura della successione, indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario e non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto partecipare.” ciò che ingenera il dubbio sul suo effettivo convincimento e sulla portata innovatrice della sentenza. 5 Integralmente tratto dal pensiero del Mengoni, op. cit., 163. 6 Con effetto retroattivo al momento dell’apertura della successione, dunque. -2- – seppur avesse deciso di non avvalersi dell’azione di riduzione a lui spettante. Le sorti della quota di riserva dipenderebbero dunque, almeno in parte, dall’atteggiamento concretamente tenuto dal legittimario, ma in modo radicalmente diverso. Il legittimario che, evidentemente delato, anche se eventualmente leso, decidesse di rinunciare all’eredità non dovrebbe più essere tenuto in considerazione e l’asse ereditario andrebbe devoluto come se fin dall’apertura della successione egli non fosse risultato tra i chiamati. Del legittimario che, invece, se preterito, rinunciasse all’esperimento dell’azione di riduzione (eventualmente anche lasciandola prescrivere) dovrebbe continuare a tenersi conto ai fini della determinazione sia della quota di riserva che, eventualmente anche, della sua ripartizione interna tra i diversi legittimari. Le conseguenze di tale ultima tesi porterebbero addirittura a poter vedere esclusi dal novero degli aventi diritto ad una quota di riserva gli ascendenti, non solo in virtù di autonome scelte del de cuius, ma anche per quelle dei discendenti, evidentemente considerati categoria potiore dato che per la Cassazione il legislatore non avrebbe considerato iniquo che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, che lasci a sé superstiti entrambe le categorie, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti non esperiscano l’azione di riduzione. La Corte fonda le proprie originali conclusioni7 su di una serie di argomenti. In primo luogo la lettera della legge. Si fa rilevare, infatti, come la formulazione dell’art. 537, primo comma, c.c. prenda in considerazione l’ipotesi che: “…se il genitore lascia…”; che analogamente l’articolo 538, primo comma, c.c. reciti: “Se chi muore non lascia…”; che pure l’articolo 542, primo comma, c.c. preveda per il caso in cui: “… 7 La dottrina e la giurisprudenza (Cass. 27 gennaio 1943, in Riv. dir. priv., 1944, II, 1, e Cass. 24 gennaio 1957, n. 221) paiono invero essersi principalmente occupate del caso del legittimario rinunziante all’eredità: Santoro-Passarelli, Dei legittimari, 276; Cicu, Successioni, 251, e in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, 285; Azzariti, Successioni e donazioni, Napoli, 1990, 292; Azzariti Iannacone, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, Torino, 1997, 88 e 255; Ferri, Legittimari, Comm. SB artt. 536-564, Bologna, 1981, 31; D’Avanzo, Delle successioni, II, 442; Giannattasio, Delle successioni, Torino, 1959, 262; Perrone Capano, Sulla quota spettante al legittimario che solo accetta l’eredità in caso di rinuncia degli altri legittimari, in Riv. dir. priv., 1944, II, 1; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, 1962, 303; Bin, La diseredazione, Torino, 1966, 93, nota 36; Bianca, Diritto civile vol. 2, La famiglia e le successioni, Milano, 1989, 519 nota 44; Capozzi, Successioni e donazioni, 2002, Milano, 271; Cantelmo, I beneficiari della riserva in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, volume 1, Padova, 1994, 493; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2005, 128; contra Barbero, Il sistema del diritto privato italiano, II, 1955, 997 il quale fa derivare l’accrescimento delle quota degli altri chiamati sia dalla rinuncia, sia dalla morte dopo l’apertura della successione di uno di essi; Ferrari, L’accrescimento, in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. 6, Torino, 1982, 262, secondo quest’ultimo autore la rinunzia a un diritto individuale non incide sull’entità aritmetica della riserva spettante a ciascun legittimario, la cui quota rimane invariata. Il problema è invece trattato specificamente da Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale: Successione necessaria, Milano, 2000, 163; Cattaneo, La vocazione necessaria in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. 5, Torino, 1997, 450; Metitieri, Rinunzia all’eredità e calcolo della legittima, in La successione del coniuge dopo la riforma del diritto di famiglia: problemi vecchi e nuovi, Nuovi quaderni di Vita notarile n° 5, Palermo, 136 ss. -3- chi muore lascia…”; che infine anche il primo comma dell’art. 544 c.c. (non il secondo comma del 542 c.c., come erroneamente indicato in sentenza), disponga che: “Quando chi muore non lascia…”, per cui occorrerebbe calcolare la quota di legittima alla luce del numero dei legittimari chiamati alla successione al momento della sua apertura. Le uniche condizioni che dovrebbero sussistere al momento della morte del de cuius per poter tener conto del legittimario ai fini del calcolo della quota di riserva sembrerebbero dunque essere la sua esistenza in vita (fatto salvo il diritto di rappresentazione) e la sua capacità giuridica a rivestire una tale qualità8. Né la Cassazione, proprio alla luce di tali indici testuali, non ravvisando alcuna lacuna da colmare ritiene di poter far applicazione dell’art. 521 c.c. non considerando sussistenti le condizioni essenziali per un’estensione in via analogica delle norme in tema di successione legittima. Le conclusioni raggiunte dalla Corte nella sentenza in esame, risulterebbero, in secondo luogo, fondate dalla presunta ratio ispiratrice della successione necessaria che non sarebbe solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche quella di consentire a quest’ultimo di conoscere, prima dell’apertura della sua successione, entro quali limiti poter disporre liberamente del suo patrimonio. Come terzo argomento a sostegno della propria ricostruzione le sezioni unite utilizzano quello ab inconvenienti visto che – non essendo l’azione di riduzione passibile di actio interrogatoria9, al contrario di quanto avviene con riferimento all’accettazione di eredità (art. 418 c.c.), ed essendo quindi soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale senza alcuna sua possibilità di abbreviazione con la fissazione di un termine di decadenza – diversamente opinando, ogni legittimario potrebbe esperire l’azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione familiare esistente nel momento in cui agisse in giudizio che potrebbe tuttavia differire da quella definitiva10: “Solo dopo la rinunzia all’esercizio dell’azione di riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi.”11. Non dovrebbe invece avere rilevanza – ed il legittimario cesserebbe di far calcolo per la determinazione della quota di riserva – l’eventuale indegnità del potenziale erede dato che la pronuncia giudiziale d’indegnità, avendo natura costitutiva, comporterebbe la caducazione con effetti ex tunc della delazione di cui l’indegno sia titolare in base a successione legittima o testamentaria (con salvezza di un eventuale lascito disposto ai sensi dell’art. 466, secondo comma, c.c.) o degli eventuali diritti spettanti a costui in qualità di legittimario, Monosi, L’indegnità a succedere, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, volume 1, Padova, 1994, 150; Moscati, L’indegnità, in Trattato di dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. V, tomo I, Torino, 1997, 89, 97 e 114. 9 Azzariti, op. cit., 318. 10 Oltretutto non vi è litisconsorzio necessario attivo, Mengoni, op. cit., 237. 11 Così un passaggio di Cass. 13524/2006 pubblicata anche in Quotidiano Giuridico del 25/07/2006 8 -4- Oltretutto, l’ampiezza dello stato d’incertezza potrebbe protrarsi ben oltre i dieci anni dato che il termine di prescrizione decennale dell’azione di riduzione, secondo quanto recentemente stabilito dalle stesse sezioni unite12, decorre, nell’ipotesi di disposizioni testamentarie lesive della legittima, dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato ciò che potrebbe addirittura condurre alla somma dei due termini13. RINUNZIA ALL’AZIONE DI RIDUZIONE E RINUNZIA ALL’EREDITÀ Anche se la Corte pare essersi occupata solo delle conseguenze della rinuncia all’esperimento dell’azione di riduzione è indubbio che sia questa, che la rinunzia all’eredità14 possano ciononostante condurre al medesimo risultato pratico finale. Ove, infatti, il soggetto a cui l’ordinamento riservi una quota di eredità15 sia solo stato leso, rinunziando alla delazione (parziale) in suo favore, sempre che non ricorrano i presupposti della rappresentazione in favore dei discendenti del rinunciante all’eredità relativamente alla quantità di eredità devolutagli per testamento o in base a successione legittima, perderà ogni diritto successorio e si precluderà pure la possibilità di agire in riduzione. Analogamente il legittimario preterito, estromesso dalla delazione ereditaria, rinunciando ad avvalersi dell’azione giudiziale di riduzione16 delle disposizioni lesive, non potrà più ottenere la quota riservatagli per legge, e perderà l’unica possibilità per adire l’eredità del de cuius. In un modo o nell’altro il legittimario non verrà alla successione. Almeno nei casi di riservatario solamente leso, al risultato finale di precludersi l’adizione dell’eredità egli potrebbe poi giungere, in parte con una rinuncia all’azione di riduzione (o lasciandola prescrivere) ed in parte, in un momento seguente, con una rinunzia formale all’eredità (sempre che non sussistano i presupposti della rappresentazione). Non potrebbe comunque nemmeno escludersi che il legittimario pur avendo esperito l’azione di riduzione, magari anche con esito vittorioso, decida poi ciononostante di rinunciare all’eredità, secondo quanto gli sarebbe ancora consentito, alla luce del più recente orientamento della stessa www.dottrinaediritto.it con nota di Scarano, Criterio di determinazione della quota di riserva e applicazione dell’istituto dell’accrescimento. 12 Cassazione civile , sez. un., 25 ottobre 2004, n. 20644. 13 Salvo l’esperimento contro i delati di un’actio interrogatoria al fine di accelerare almeno il termine per l’accettazione dell’eredità. 14 Cui si deve parificare la prescrizione del diritto ad accettarla. 15 Sulla distinzione tra quota di eredità e pars bonorum V. anche Mengoni, op. cit., 51, nota 23. 16 “Il legittimario leso può rinunciare all’azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, ma è necessario, a tal fine, che egli manifesti positivamente la volontà di rinunciare al suo diritto di conseguire l’integrazione spettantegli. Ove manchi una rinuncia espressa in tal senso, si può giungere a ritenere l’esistenza di una rinuncia tacita solo in base a un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione.” Cassazione civile , sez. II, 07 maggio 1987, n. 4230 in Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 5. -5- Corte di Cassazione17, essendo divenuto semplice chiamato alla successione. Per determinarsi il definitivo assetto della successione, non potendosi prescindere concretamente dalle scelte del legittimario, dovrà quindi, comunque, considerarsi l’eventualità che non tutti i beneficiari intendano avvantaggiarsi del loro diritto ad ottenere una quota dell’asse ereditario, individuandoli concretamente e stabilendosi la diversa modulazione delle quote loro riservate a seconda delle diverse, svariate, ipotesi che potrebbero in concreto prospettarsi. CRITICA DEGLI ARGOMENTI A SOSTEGNO DEL DECISUM Gli argomenti addotti dalla Suprema Corte a supporto delle proprie conclusioni appaiono avere scarsa consistenza giuridica. Già per loro stessa natura quello letterale e ab inconvenienti, a maggior ragione se riguardati alla luce della compiutezza delle ricostruzioni in tema di successione necessaria proposte dalla dottrina specialistica18 al confronto delle quali appaiono inadeguati, se non addirittura “irrispettosi”. Il termine “lasciare” ha, infatti, un significato generico e atecnico non soltanto negli articoli 537, 538, 542 e 544, ma anche nell’articolo 568 c.c. Sembra tra l’altro costituire un primo elemento letterale contrario, quello ricorrente nelle norme in tema di quota di legittima, che fa riferimento ad un “concorso” tra più legittimari e che parrebbe giustificato da un’effettiva loro venuta alla successione, dato che altrimenti sarebbe forse stato preferibile utilizzare il verbo “coesistere”. L’argomento ab inconvenienti, ulteriormente utilizzato dalla Corte nel motivare la sua decisione, appare di per sé stesso ontologicamente debole, anche se innegabilmente basato sull’effettiva disciplina codicistica. L’ultimo motivo su cui la Cassazione fonda il principio di diritto enunciato, basato sulla presunta ratio della scelta del legislatore di fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione ai fini della individuazione della quota di riserva, parrebbe, invece, poter essere sostenuto19-20 anche per la rinuncia all’eredità e perderebbe dunque parte della propria valenza 17 La posizione di chiamato all’eredità verrebbe, infatti, acquisita solo dal momento della sentenza costitutiva che accoglie la sua domanda di riduzione rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie Cassazione civile , sez. II, 03 dicembre 1996, n. 10775 Riv. not. 1997, 1302; conforme Cassazione civile, sez. III, 12 gennaio 1999, n. 251 in Giust. civ. Mass. 1999, 57; contra Mengoni, op. cit., 232 secondo il quale il legittimario, se esperisce vittoriosamente l’azione, diventa erede fin dal momento dell’apertura della successione, anche se questa efficacia retroattiva non è propria direttamente della sentenza bensì della vocazione ereditaria ex lege che ne consegue. 18 Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale: Successione necessaria, Milano, 2000; Ferri, Legittimari, op. cit.; Azzariti, Successioni e donazioni, op. cit. 19 La rinuncia all’eredità da parte del legittimario (sia preterito che già chiamato all’eredità e dunque leso da un punto di vista patrimoniale) comporterà, infatti, l’automatica rinuncia non solo alla (integrale quota di) riserva, ma anche necessariamente all’azione volta ad assicurarne il conseguimento integrale posto che la volontà del soggetto è definitivamente caratterizzata da una volontà negativa in ordine al conseguimento della quota ereditaria riservatagli. La rinunzia all’azione di riduzione dovrà tuttavia essere considerata -6- argomentativa. Evidente, infatti, che l’ereditando potrebbe, analogamente, avere un interesse ad evitare ogni incertezza conoscendo in anticipo chi tra i chiamati non intendesse accettare la sua eredità in modo da potersi conseguentemente regolare per disciplinare compiutamente la sua successione. Ciò almeno in astratto, parendo evidente che per salvaguardare effettivamente l’interesse dell’ereditando dovrebbe presupporsi la possibilità e la capacità di quest’ultimo di poter eventualmente modificare fino all’ultimo l’assetto della sua successione alla luce del concreto mutare delle circostanze. Anche tuttavia questo argomento appare poco fondante dato che l’ereditando ha certamente a disposizione diversi strumenti negoziali per indirizzare la sua successione mortis causa. Ovvio che, ove non si potesse far riferimento ai “lasciati” al momento dell’apertura della successione, ciò che semplificherebbe invero il problema, e si dovessero invece prendere in considerazione coloro che effettivamente potrebbero venire alla successione, il ventaglio delle ipotesi che si prospetterebbero al “futuro de cuius” si moltiplicherebbero in proporzione al novero dei propri parenti riservatari, obbligandolo ad approntare una complessa disciplina della propria successione mortis causa diversificata con molteplici ipotesi, ma tant’è. POSSIBILI ARGOMENTI A SOSTEGNO DEL DECISUM L’effetto retroattivo espressamente previsto dall’art. 521 c.c. alla luce del quale: “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” pare, in effetti, dover essere limitato alla sola rinuncia all’eredità21. Non risulta, infatti, prevista da alcuna norma la retroattività della rinunzia all’azione riduzione, né tantomeno della sua eventuale prescrizione22, a meno di voler concordare sulla sopraevidenziata potenziale identità di effetti delle due diverse rinunce, ciò che ne consentirebbe, forse, un’applicazione analogica. Mancando la previsione di una fictio juris insita nella retroattività di un evento verificatosi, invero, in un momento successivo, i legittimari rinunzianti alla riduzione dovrebbero quindi continuare a irrevocabile giustificandosi l’inapplicabilità dell’art. 525 c.c. alla luce dell’eccezionalità della norma e della sua conseguente non applicabilità analogica ex art. 14 disp. prel. cod. civ. 20 La rinuncia all’azione di riduzione rappresenterebbe insieme alla prescrizione una delle cause di estinzione dell’azione. Vengono invece considerati meri fatti impeditivi del sorgere dell’azione di riduzione, la rinunzia all’eredità, il conseguimento di un legato sostitutivo di legittima e l’accettazione dell’eredità senza beneficio d’inventario ove si intenda agire contro i donatari e legatari estranei (art. 564 c.c.), Mengoni, op. cit., 319. 21 Il principio della retroattività della rinunzia, per effetto del quale la delazione del rinunziante viene meno, ex tunc, a partire dall’apertura della successione, mira ad assicurare al pari dell’efficacia retroattiva dell’accettazione sancita dall’art. 459 c.c., la continuità nella titolarità delle situazioni soggettive facenti capo al de cuius, onde impedire che i beni relitti possano essere considerati sia pure transitoriamente come res nullius. 22 Si è invece già segnalato (nota 17) che secondo Mengoni, op. cit., 232, la riduzione ha invece efficacia retroattiva e pertanto il legittimario, se esperisce vittoriosamente l’azione, diventa erede fin dal momento dell’apertura della successione, anche se questa efficacia non è propria direttamente della sentenza bensì della vocazione ereditaria ex lege che ne consegue. -7- far calcolo ai fini della determinazione della quota di riserva dovendo necessariamente operare ex nunc la loro decisione e dovendo quindi continuare a dover essere considerati almeno fino al momento della perdita definitiva del loro diritto all’azione. Le conclusioni della Corte potrebbero quindi trovare un primo, più sicuro, appiglio su tale caratteristica e sulle conseguenze che ne discendono, piuttosto che su altre più fragili motivazioni. Ancora, in base all’art. 551, secondo comma, c.c. l’onorato di un legato in sostituzione di legittima: “Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento, nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede.”; il terzo comma dell’art. 551 c.c. prevede poi che: “Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile”. Ancorché non acquisti concretamente la qualità di erede, il legittimario tacitato dal legato23, conserverà dunque la qualità di legittimario continuando a far numero per il calcolo della riserva 24 e potrà trattenere il legato fino alla concorrenza col valore risultante dal cumulo della disponibile con la sua quota di legittima25. Secondo la migliore dottrina26, il verbo «gravare» sarebbe utilizzato dal legislatore come sinonimo di «imputare», per significare che il legato tacitativo è valutato dalla legge come modo di attribuzione concreta della legittima. Perciò, se attribuito a un figlio, esso formerebbe, fino a concorrenza del valore della sua legittima, una detrazione della quota complessivamente riservata ai figli dall’art. 537 o dall’art. 542 ed il figlio tacitato, non solo farebbe numero per la determinazione della quota riservata ai discendenti, ma anche vi prenderebbe parte, sebbene non a titolo di erede. Anche il coniuge destinatario di un legato in luogo di legittima, ove lo “accetti”, continuerebbe a contare come legittimario ai fini dell’applicazione dell’art. 542 c.c.27 Il legato sostitutivo sarebbe, insomma, la stessa legittima in forma di attribuzione a titolo particolare ed i legittimari onorati da un tale legato dovrebbero essere comunque conteggiati per la determinazione della quota riservata, benché non vengano alla successione e non esercitino l’azione di riduzione. Pare che anche per questa via potrebbe giungersi a conclusioni analoghe, benché maggiormente fondate sul dato testuale di legge, a quelle sostenute dalle sezioni unite in epigrafe dato che pur non 23 Senza facoltà di chiedere il supplemento poiché altrimenti si tratterebbe di c.d. legato con diritto al supplemento (art. 551, secondo comma, c.c.) che attribuirebbe al legittimario la qualità di erede testamentario. Azzariti, op. cit., 274; Capozzi, op. cit., 295. 24 Il legato sostitutivo è quota di riserva perché a tale titolo è attribuito al legittimario Capozzi, op. cit., 293. 25 Mengoni, op. cit., 125. 26 Mengoni, op. cit., 126. 27 Anche se la sua quota individuale di legittima essendo distinta da quella collettivamente riservata ai figli non potrebbe accrescersi a questa ma alla disponibile. -8- potendo essere considerato erede il legittimario cui sia stato attribuito un legato in conto tacitativo, dovrà essere conteggiato ai fini della determinazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria. La particolare posizione successoria del coniuge pare poter portare ulteriori argomenti a sostegno della tesi fatta propria dalla Suprema Corte. Questi è infatti successore sia a titolo universale che a titolo particolare28 avendo tra l’altro diritto ai c.d. legati ex lege dell’abitazione sulla casa coniugale e di uso sui mobili che la corredano (art. 540 c.c.) che per la dottrina preferibile gli vengono riservati nella sua qualità di legittimario29, come parte (aggiuntiva30) della sua quota di riserva31. Non potendosi escludere che il coniuge decida di conseguire solo i legati ex lege di abitazione e di uso, egli potrebbe ciononostante continuare a dover essere ricompreso tra i legittimari da conteggiare ai fini della determinazione delle effettive quote di riserva. Tenendo presente che l’art. 540, secondo comma, c.c. sembra esattamente l’opposto dell’art. 551, terzo comma, c.c. considerato che nel primo, i diritti d’uso e abitazione gravano sulla disponibile e per la parte rimanente sulla quota indisponibile, mentre nel secondo il legato sostitutivo grava sulla porzione indisponibile e per l’eccedenza sulla disponibile la tesi sembra tuttavia difficilmente sostenibile. Benché, infatti, l’art. 540 c.c. non appaia dettare la propria disciplina distinguendo a seconda che il coniuge accetti o meno l’eredità, si potrebbe tuttavia sostenere con pari fondamento che solo al coniuge che venga effettivamente alla successione debba essere riservata una quota di legittima dovendo altrimenti determinarsi le quote dei legittimari ex artt. 537 e 538 c.c. Se così fosse, dunque, anche i diritti di uso e di abitazione non potrebbero mai incidere sulla quota di riserva del coniuge (ed eventualmente anche su quella riservata ai figli) ex art. 540, secondo comma, secondo periodo, c.c., che non verrebbe nemmeno mai determinata, dovendosi limitare il legato nell’ambito della sola disponibile 32. La legge 14 febbraio 2006 n° 55 (Modifiche al codice civile in tema di patto di famiglia)33 pare 28 Mirone, I diritti successori del coniuge, Napoli, 1984, 15 nega la doppia posizione del coniuge quale successore a titolo particolare e universale. 29 Contra Azzariti Iannacone, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, Torino, 1997, 103 e 107. 30 Cassazione civile, sez. II, 06 aprile 2000, n. 4329 in Giust. civ. 2001, I, 2198, Giur. it. 2001, 33, Notariato 2001, 357, Vita not. 2001, 141. 31 Corte appello Venezia, 3 febbraio 1982 in Riv. not., 1983, 534. Sull’imputazione di tali diritti Ferri, op. cit., 55 ss.; Cassazione civile, sez. II, 06 aprile 2000, n. 4329 citata alla nota precedente. 32 Mengoni, op. cit., 172 ritiene tuttavia che ove il coniuge rinunzi all’eredità possa trattenere i due legati nell’ambito della sola disponibile. Così pure Pretura Campi Salentina, 25 novembre 1980 in Giur. it. 1982, I, 2, 152. 33 La normativa sul patto di famiglia recepisce la raccomandazione della Commissione UE n° 94/1069 del 7 dicembre 1994, pubblicata sulla G.U.E. n° 385 del 31/12/1994, e la comunicazione n° 98/C 93/02, pubblicata sulla G.U.E. n° C-93 del 28/3/1998. -9- fornire più sicuri elementi a favore della tesi fatta propria dalla Suprema Corte nella sentenza in epigrafe34. L’art. 768 quater c.c. stabilisce, infatti, che al contratto, con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisca, in tutto o in parte, l’azienda, ed il titolare di partecipazioni societarie trasferisca, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti, debbano partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari35 ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore. “… gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti” (art. 768 quater, secondo comma, c.c.) ed i beni assegnati agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti 36 mentre quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione (art. 768 quater, quarto comma, c.c.). La qualifica di legittimario e le quote di riserva concretamente spettanti37 sono dunque stabilite in un momento diverso dall’apertura della successione38 a prescindere da quelle che saranno le scelte (e la stessa eventuale esistenza in vita) dei riservatari che sopravviveranno all’imprenditore in ordine alla sua successione. 34 Sull’argomento De Martino, Brevi note in tema di patti di famiglia: i principi, consultabile su www.personaedanno.it. 35 Il legislatore sembrerebbe porre su due piani differenti il coniuge rispetto agli altri legittimari, ma si tratta, in realtà, di un’imprecisione terminologica rientrando di diritto anche il coniuge nel novero dei legittimari. De Martino, op. cit. 36 Il legislatore ha previsto per la prima volta in assoluto che siano imputati alle quote di legittima beni non provenienti dal de cuius, ma da un terzo. La norma pare essere giustificata dall’esigenza di assicurare stabilità al patto conferendo alle attribuzioni effettuate dal discendente assegnatario a favore degli altri legittimari la medesima disciplina rispetto alle attribuzioni effettuate dal disponente al discendente assegnatario che sono già soggette ad imputazione in base ai principi generali. Caccavale, nello studio pubblicato su CNN notizie del 22/03/2006 ed in Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie in Notariato 3/2006, 305 ritiene che la ragione dell’imputazione sia ravvisabile nel fatto che l’attribuzione a favore dei legittimari non assegnatari debba essere ricondotta ad una liberalità indiretta proveniente dall’imprenditore disponente. 37 Ancorché la determinazione del valore delle quote di legittima non debba essere fatta con riferimento all’intero asse ereditario ma unicamente al valore di quanto trasferito con il patto di famiglia, De Martino, op. cit. 38 Al patto di famiglia non dovrebbero quindi partecipare anche coloro che sarebbero legittimari se all’apertura della successione si modificasse lo stato si famiglia del disponente (gli ascendenti che diventerebbero legittimari nel caso in cui non vengano alla successione i discendenti (art. 538 c.c.), i discendenti ulteriori, che lo diventerebbero se non venisse alla successione il loro ascendente (art. 536 c.c.) ciò che tuttavia non conferisce al patto di famiglia una sicura stabilità, Lupetti nello studio pubblicato su CNN notizie del 14/02/06; così pure Petrelli in Riv. not., 2006, 401. - 10 - La stessa rinunzia all’azione di riduzione è anticipata39, coincidendo con il momento in cui si procede alla verifica di quali siano i legittimari, dato che nel patto di famiglia, questi ultimi, sia che accettino, sia che rinuncino alla liquidazione, comunque non possono esperire l’azione di riduzione sui beni assegnati con il contratto rinunciandovi, di fatto, parzialmente40 e tacitamente. Anche dunque nel nuovo istituto introdotto dal legislatore il legittimario deriva i propri diritti di riserva, benché eventualmente limitati al valore dell’azienda o delle partecipazioni, non da una sua effettiva adizione dell’eredità quanto piuttosto dal suo rapporto coniugale o parentale con il disponente mentre costituisce un dato, addirittura positivamente affermato dal legislatore, che la perdita ex lege all’azione di riduzione – che in questa fattispecie è contestuale – non incida affatto sulla situazione esistente al momento della stipula del patto. L’identità del principio di diritto affermato dalle sezioni unite nella sentenza che si commenta, con quanto previsto dal legislatore in tema di patto di famiglia, pare evidente. Si dirà che non è possibile trarre delle conseguenze valevoli per la generalità dei casi da fattispecie particolari (il legato in sostituzione di legittima) ed eccezionali41 (il patto di famiglia), caratterizzate da specifici presupposti non sempre ricorrenti, che dovrebbero imporre all’interprete il divieto dell’interpretazione analogica (art. 14 preleggi) e più in generale il dovere di interpretare la normativa in maniera rigorosa e restrittiva. La critica potrebbe certamente avere un suo fondamento. Nel silenzio del legislatore sulla problematica risolta dalla Cassazione, tuttavia, gli argomenti proposti potrebbero forse costituire degli indici emergenti dalla disciplina legale su cui fondare più saldamente l’ipotesi ricostruttiva fatta propria dalla Suprema Corte. CONCLUSIONI La sentenza in esame ha senz’altro il pregio di semplificare il calcolo della quota di riserva spettante al legittimario, che diviene insensibile alle vicende successive (limitate tuttavia alla sola rinuncia o prescrizione del diritto potestativo ad agire in riduzione), rendendola conoscibile già al momento dell’apertura della successione, ma paga un alto prezzo in termini di sacrificio d’una ricostruzione sistematica e completa dell’impianto normativo in subiecta materia. L’autorevolezza della dottrina che ha contribuito ad interpretare la volontà del legislatore in materia successoria e la sedimentazione della giurisprudenza formatasi su tali ricostruzioni avrebbero forse imposto una maggior esaustività di motivazioni ed una più compiuta valenza dogmatica della presa 39 È una rinunzia tacita e parziale in quanto non coinvolge tutti gli altri beni che costituiranno oggetto della successione del disponente Merlo in CNN notizie del 14/02/2006. 40 Anche se eventualmente definitiva e potenzialmente totale ove il bene attribuito sia e rimanga l’unico del disponente. 41 Con significative deroghe ad alcuni principi di carattere generale dell’ordinamento quali il divieto dei patti successori, l'intangibilità quantitativa della legittima, ecc… - 11 - di posizione della Suprema Corte, non da ultimo anche al fine di porre le basi per l’evoluzione di una interpretazione univoca della normativa in questione, mentre, fra le righe, sembra che la decisione si sia, purtroppo, più che altro preoccupata di eliminare gli inconvenienti pratici della contraria posizione42. 42 Balestra, Il calcolo della quota di riserva spettante al legittimario: le sezioni unite prendono posizione, in www.personaedanno.it si rammarica che la Corte nel decidere una delle questioni più controverse del nostro diritto successorio abbia perso l’occasione per proporre una ricostruzione sistematica e completa dell’impianto normativo e si mostra scettico sul fatto che il dibattito dottrinale sulla questione venga sopito dall’intervento delle sezioni unite. - 12 -