Comunicazione nell`autismo

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Intervento della dr.ssa Liliana Pensa
LA COMUNICAZIONE
(prima parte)
Accenno agli STADI di sviluppo del linguaggio
COME si sviluppa il linguaggio nei bambini
Il primo stadio di apprendimento del linguaggio, va da 0 a 8 – 9 mesi ed è quello in cui il
bambino acquisisce i primi significati verbali e le immagini mentali.
Il secondo stadio
è quello in cui il bambino
inizia a comprendere il LINGUAGGIO
PARLATO e sembra che sia questa la fase in cui avviene il danno.
Il terzo stadio è
quello in cui il bambino inizia a sviluppare il linguaggio espressivo e
quindi a parlare. Il bambino con autismo non arriva a questo stadio. Come conseguenza:
sono parzialmente compromesse o assenti LE ABILITA’ DI CONVERSAZIONE e quindi i
presupposti alla comunicazione sociale.
Compromissioni - deficit dell’alunno/a
con autismo
COSA osserviamo noi insegnanti quando abbiamo di fronte il nostro bambino. Quali
caratteristiche possiamo riscontrare:
 Innanzitutto un ritardo generale nello sviluppo del linguaggio
 Mancanza totale di linguaggio = mutismo
 Mutismo legato alla non collaborazione nell’atto comunicativo
 Ecolalia
 Linguaggio perseverativo ma non comunicativo, non serve a comunicare un
bisogno
 Uso di frasi lunghe memorizzate
 Uso rigido del linguaggio, una parola appresa in un contesto ha sempre e solo
un significato, non si può generalizzare.
 Mancanza di sistemi gestuali di supporto alla comunicazione come indicare –
additare che facilitano la comprensione.
Se il nostro bambino non comprende la gestualità che per noi è qualcosa di automatico, se
usa gesti o parole senza intenzionalità comunicativa, COME motivarlo a comunicare ?
Attraverso: la funzione di richiesta e le routines di gioco La FUNZIONE DI RICHIESTA è la migliore per insegnare a comunicare, perché è la
funzione che compare per prima ed è la più facile da dimostrare:
Dobbiamo insegnare a chiedere al nostro bambino, non come un’abitudine meccanica ma
per chiedere quando ne ha bisogno.
I comportamenti problema, il più delle volte, sono tentativi di comunicarci qualcosa (
quando S. batte la testa contro i compagni di classe, ci fa capire che la confusione gli dà
fastidio ne ha bisogno di uscire dall’aula).
Ricordandoci di insegnargli una funzione alla volta.
richiesta, il nostro bambino
Per far apprendere la funzione di
NON deve avere modo di ottenere ciò che vuole se non
attraverso di noi e quindi lo dobbiamo mettere in condizione di CHIEDERE (aiuto) per
OTTENERE. Esempio:
Gli diamo un gioco che gli piace e che non sa fare funzionare da solo perché (manca la
pila) ; togliamo un pezzo per completare un puzzle e gli diamo l’immagine del pezzo
mancante…
Le ROUTINES
sono la modalità che i ragazzi con autismo prediligono. A loro piace la prevedibilità e le
routine sono fisse.
Noi iniziamo una routine positiva, gliela rendiamo familiare. La
ripetiamo più volte, poi la interrompiamo
e il bambino deve avere lo strumento per
chiedere di continuare la routine.
CARATTERISTICHE delle routines:
 Vanno messe in atto in un contesto significativo per il bambino
 Coinvolgono due persone, quindi hanno carattere sociale
 Stimolano il livello di comprensione del bambino, iniziando dallo svolgimento di
un’azione in parallelo, poi in collaborazione, poi con il turno….
TIPI di routines:
 R. semplici di tipo motorio
 R. più complesse come ad es. preparare la spremuta
 R. della piscina, contesto motivante dell’acqua.
 R. del gioco con gli animali ….
LA COMUNICAZIONE SOCIALE
(seconda parte)
Abbiamo visto che le routines si basano essenzialmente su proposte di gioco, quindi è
fondamentale il suo ruolo sia per entrare in contatto con il bambino che per iniziare una
interazione sociale.
COME possiamo insegnare il gioco?
Attraverso un insegnamento diretto e sistematico e quindi strutturato.
Prima però dobbiamo verificare se il bambino possiede i prerequisiti
per iniziare
questo apprendimento:
 il contatto oculare
 saper riconoscere un oggetto
 rimanere seduto tranquillo
 decodificare comandi e istruzioni semplici; seguire semplici istruzioni
 Imitare un gesto o un movimento
 Non avere comportamenti “non accettabili”.
SE il bambino NON
possiede questi prerequisiti, COME possiamo intervenire per
stimolarne lo sviluppo ?
 Per attivare il contatto oculare: prendo vicino il bambino…
 utilizzo un oggetto che piace al bambino…
 lavoro sull’appaiamento – discriminazione di due oggetti
 Lavoro (con l’aiuto fisico) con l’oggetto …
Oltre alla mancanza dei prerequisiti, vi sono altri limiti per l’apprendimento del gioco nei
nostri bambini che:
 NON osservano le persone intorno e perciò non imitano…
 NON hanno una motivazione intrinseca a compiere le azioni …
Esistono numerose METODOLOGIE di intervento che codificano le sessioni di GIOCO. Ve
ne citerò alcune delle più diffuse attualmente.
METODOLOGIA ABA
Si tratta di un intervento intensivo di tipo comportamentale di cui esiste documentazione
dal 1985 circa. In Italia viene applicata al Centro ABA di FANO ( Ancona)
L’ABA parte dal presupposto che è poi comune al Teacch
 di iniziare la sessione di gioco, se così si può chiamare, in un ambiente privo di
distrazioni,
 di scomporre le abilità di gioco che voglio insegnare al bambino in piccole parti (
quello che il Teacch chiama Task analysis del compito),
 di aiutare il bambino e dargli un rinforzo.
Anche il Modello D.I.R. del dottor Greespan ( Floor Theraphy)
 parte dall’aspetto sociale della comunicazione ed individua il gioco come elemento
di partenza per sviluppare la relazione tra educatore e bambino.
 prevede e codifica sessioni di intervento per l’apprendimento del gioco
Anche il Modello DENVER della dottoressa Sally Rogers
 parte dall’approccio al gioco che viene messo in atto con bambini in età molto
precoce
 prevede sessioni strutturate da 20 a 40 ore settimanali col bambino
Per i bambini con Asperger, il modello del dottor Greespan può anche integrarsi con altri
approcci come l’AERC (Zappella 1996) Attivazione con Reciprocità Corporea. l’AERC n
 prevede che il terapeuta renda attive delle strategie di avvicinamento al bambino,
basate su modalità amichevoli, affettuose, esplorative.
 utilizza il terapeuta come modello col genitore che porterà avanti un programma
giornaliero intensivo.
Entriamo ora nel dettaglio degli apprendimenti del gioco sociale.
Diamo per assodato che il bambino possegga i prerequisiti di base.
COME organizziamo il GIOCO SOCIALE con i pari?
 sarebbe opportuno iniziare con il compagno/a preferito dal bambino;
 se il livello è non verbale e con problemi cognitivi, il compagno si siede di fronte
a lui e cerca di inserirsi nel gioco del nostro bambino
seguendo le nostre
istruzioni;
 il compagno deve verificare se c’è il contatto oculare e aiutare il bambino ad
ottenerlo;
 il compagno gratifica il bambino ogni volta che fa l’azione di gioco, se possibile
gli fa una carezza o un gesto..
 il compagno lo aiuta fisicamente nell’azione se necessario;
 se il bambino ha comportamenti socialmente negativi, il bambino non deve
parlare, lo deve ignorare, sarà l’adulto ad intervenire;
 se si usano giochi di ruolo con turno occorre fare prima delle simulazioni con il
compagno.
Utilizzo il RINFORZO con modalità precise… cambio il tipo di rinforzo….
Mentre avviene questa interazione, il nostro bambino IMPARA a:
 imitare l’azione del compagno
 imitare il linguaggio verbale del compagno ( anche con vocalizzi…)
 imitare un’azione dietro istruzione del compagno
 chiedere un gioco
 dare il gioco richiesto
 iniziare il gioco
 rispettare il turno nel gioco
 fare quello che gli chiede il compagno
 avere il senso del tempo con timer ( o altro)
RIFLESSIONI
Le Metodologie di intervento che ho citato si differenziano sostanzialmente nell’approccio
al gioco: alcune sostengono che occorre agire in un contesto naturale, partendo dal gioco
spontaneo del bambino ( M. Denver) per poi svilupparlo in modo sistematico e adeguato;
altre codificano rigorosamente le sessioni di gioco (M. ABA).
Tutte condividono il presupposto che deve essere ben chiaro prima di ogni intervento:
CHIUNQUE interviene sul bambino deve CONOSCERE molto bene i suoi prerequisiti;
deve DEFINIRE CON PRECISIONE gli obiettivi che vuole raggiungere;
deve POSSEDERE UNA BUONA PREPARAZIONE nel campo;
deve LAVORARE in rete coi genitori, i terapeuti, gli operatori sociali ….
deve CONDIVIDERE il più possibile le modalità di intervento
pena il mancato miglioramento del bambino.
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