la giustizia in un mondo globalizzato

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La giustizia in un mondo globalizzato
( appunti per la discussione )
Prima di tutto, è bene dare una definizione di giustizia.
La giustizia è una modalità dell'azione sociale, la virtù che rapporta e vincola gli
uomini tra loro nella società secondo il criterio dell'eguaglianza.
Pertanto, tre sono i requisiti distintivi della giustizia:
1) l'alterità, perché la giustizia si declina sempre in rapporto all'altro e mai verso
se stessi.
2) L'obbligatorietà, che esprime il dovere di ciascuno nei confronti dei legittimi
diritti altrui.
3) L'eguaglianza, principio che definisce e stabilisce il tipo e la qualità delle
relazioni reciproche.
Allo stesso modo, tre sono i contenuti della giustizia secondo A. Sen: vita, libertà,
capacità.
Il primo vincolo della giustizia è l'ordine giuridico: un vincolo oggettivo legato alla
forza del diritto e non alla benevolenza del soggetto agente. Non viene determinato
dalla disposizione interiore di ciascuno, ma dal criterio dell'eguaglianza nelle
relazioni sociali e, come tale, è fonte dell'ordine giuridico, distinto dall'ordine
morale. Dunque, quando parliamo di giustizia, ne parliamo sempre secondo un
duplice significato: a) come virtù sociale, b) come virtù morale.
L'uomo può essere giusto come persona morale (vincolo interiore) e giusto in quanto
conforma il suo agire nella società a criteri di giustizia sociale (vincolo esterno).
Fatta questa precisazione, possiamo mettere a tema le questioni che ci interessano
rispetto all'obiettivo che ci siamo dati.
A) I mercati e la giustizia
Per affrontare le questioni relative alla giustizia, non in modo puramente teorico, ma
più propriamente legandole al tempo in cui stiamo operando, diventa necessario fare
chiarezza sulla crisi economica che stiamo attraversando, alle sue cause e, più in
generale, ai processi di trasformazione del sistema economico avviatisi a partire dalla
crisi petrolifera degli anni settanta del secolo scorso ( espansione del sistema
finanziario, politiche di deregulation, crescente protagonismo delle grandi
corporations). La cause dunque che hanno determinato la crisi non paiono
riconducibili soltanto alla speculazione finanziaria, ma, in prima battuta, alla
trasformazione del sistema economico avvenuta con scelta politica con l'illusione
che il venir meno di ogni lex mercatoria potesse aiutare la crescita ( su questo tema il
riferimento è a Guido Rossi, Il mercato d'azzardo, Adelphi 2008) e al ruolo delegato
dal neoliberismo al sistema finanziario che, con i suoi comportamenti, ha poi
determinato l'esplosione della crisi. Ci sono dunque responsabilità riconducibili a
diversi agenti: politici, imprenditoriali, finanziari. E' evidente che urge recuperare
regole di sistema capaci di ricondurre, in primo luogo, il sistema finanziario al ruolo
che gli è proprio.
B) Per superare il neoliberismo1
Forse è il caso di ricordare la lezione dei classici e, in particolare, quella di Adam
Smith e David Ricardo. In Smith, come ci ricorda A. Sen, la “mano invisibile” non è
riconducibile al mercato in sé e per sé, ma piuttosto va interpretata nel senso
dell'etica condivisa di quel soggetto che Smith definisce con il termine “uomo
medio”. Smith della “Ricchezza delle Nazioni” non è comprensibile senza “La teoria
dei sentimenti morali”. In Smith etica ed economia non sono in conflitto e lo
scozzese non vede cesure tra i due ambiti. Nell'analisi smithiana, l'ambito del politico
è assente e non è mai preso in esame. L'ingresso del politico complica il quadro
ottimistico di Smith, perché quel politico che dovrebbe gestire la complessità
riportando a progetto condiviso le molteplici istanze della società civile, oggi si
dimostra inadeguato. Oggi infatti il sistema politico si presenta di fronte alla sfida
frammentato, privo di una visione d'insieme, incapace di cogliere il mutamento e i
partiti assomigliano sempre di più ad agenzie di collocamento in difesa di interessi
propri. Assistiamo così ad una crisi di rappresentanza che è insieme crisi di
selezione e reclutamento delle classi dirigenti. Diventa urgente chiederci in che
modo la politica possa recuperare un suo ruolo di mediatore degli interessi
contrapposti di fronte alla deriva del sistema finanziario e alla frammentazione del
sistema sociale.
In questo mondo globalizzato Ricardo ci ricorda invece che il capitale non può
essere trattato come una merce tra le altre, perché incorpora in sé le strutture della
società che lo produce ( dimensione sociale del capitale poi ripresa e sviluppata da
K.Marx ). Il denaro come capitale oltrepassa la semplice determinazione di denaro.
Ciò che avevano già intuito gli economisti classici viene ripreso oggi da autori come
Stiglitz, Sen, Acemoglu e Robinson. La critica è rivolta nei confronti di coloro che ,
già in passato (marginalisti), tentavano di ridurre il capitale a cosa. La trasformazione
di denaro in capitale è, al contrario, il risultato di un complesso processo di natura
storico-sociale. Rinvio in particolare ad alcuni studi di Acemoglu, in cui, sulla base
dell'assunto “capitale come processo sociale”, l'autore sostiene l'esistenza di molti
mosi di essere del capitale stesso e dunque di molte e diverse forme di capitalismo,
espressioni della diversità delle strutture sociali, politiche, giuridiche, storiche di
ciascuna realtà. Poiché i mezzi produzione non sono capitale, così come il sovrappiù
non è ancora definibile come profitto se non in virtù del rapporto che li lega in un
determinato processo storico-sociale (su questa questione rinvio alle lezioni di
Claudio Napoleoni, pubblicate da Bollati-Borighieri ). Certamente, per fini contabili
e a certe condizioni, possiamo considerare il capitale come semplice mezzo di
1 Il termine usato va riferito a quella scuola di pensiero che fa capo a Milton Friedman e ai suoi allievi, ispiratori delle
politiche economiche a cui, secondo molti, vanno imputati i danni che stiamo cercando di sanare. Tale scuola (sede
Chicago ) è stata definita da alcuni analisti come “anarco-capitalista”.
produzione, consapevoli tuttavia di compiere una semplificazione. In alternativa,
possiamo anche sostenere che il capitale sia ipso facto un semplice mezzo di
produzione, ma allora dobbiamo dichiarare, per onestà, che stiamo facendo uso di
un'ipotesi di scuola già validamente criticata, tra gli altri, proprio da M. Keynes.
Diversamente, senza rendercene conto, rischiamo di minare dalle fondamenta il
nostro patrimonio più prezioso: i presupposti della civiltà giuridica dell'Occidente, i
principi fondativi del moderno Stato di diritto insieme alle regole che governano il
sistema sociale europeo.
C) La giustizia e il bene comune
Le scelte di politica economica dei governi e le scelte imprenditoriali sembrano
sempre meno ispirate a obiettivi di sviluppo sociale e da una visione del bene
comune. La non-contemporaneità dei sistemi politici, culturali, giuridici, sociali e di
vita esistenti nel mondo facilitano scelte che tendono ad utilizzare le diseguaglianze
esistenti per profitti e vantaggi di breve periodo, aggravando in questo modo le
diseguaglianze stesse e rendendo difficile superare le non-contemporaneità esistenti.
Il termine “non-contemporaneità” ( Ungleichzeitigkeit )individua le tensioni che si
determinano a livello internazionale tra realtà socio-economiche, giuridiconormative, statuali, tra loro diverse, che, in condizione di globalizzazione, non
possono essere ignorate, ma neppure risolte in modo autoritario dalle agenzie
internazionali. Su questo tema ritengo importanti i contributi di A. Sen, in particolare
in quei saggi dedicati all'economia indiana, in cui propone una rilettura del
patrimonio storico-culturale del suo Paese alla luce delle sfide del presente. Il facile
utilizzo delle disparità di sistema per fini di interesse privato sta provocando effetti
destabilizzanti sugli stessi attori di queste politiche. Da troppo tempo, infatti,
abbiamo barattato la difesa dei diritti umani in cambio di affari ( pensiamo a come il
mondo occidentale si è comportato nei confronti del sistema cinese, ma non solo ).
Nel nostro paese si è sviluppata una mentalità diffusa che è un mix di rivendicazioni
eversive e ricerca di protezione, intollerante delle regole e incapace di pensare al di
là del proprio interesse individuale e familiare. Per questo l'evasione fiscale non è
percepita come un furto nei confronti dell'intera società. La rivoluzione finanziaria
ha provocato lo stravolgimento di molte normative che che regolavano il mercato e
costituivano un punto di equilibrio del sistema nato e cresciuto nella concorrenze tra
imprese ( si pensi, ad esempio, al venire meno di uno dei principi fondamentali delle
leggi antitrust dal momento in cui si è scelto di salvare con soldi pubblici le big
corporations ). La globalizzazione ha contribuito a modificare e, in certi casi, a
stravolgere, sia gli statuti giuridici dei mercati, sia la natura e la disciplina dei
protagonisti delle relazioni economiche. Di fronte al vuoto legislativo creatosi a
livello internazionale, i singoli stati hanno continuato a regolarsi in base ai loro
sistemi giuridici interni, senza cercare un'adeguata risposta giuridica globale,
aggravando così la situazione.
D) La necessità di ritrovare il senso dell'azione comune
Oggi fatichiamo a pensarci come cittadini e ancor prima a considerarci come esseri
umani vicendevolmente responsabili. Ci percepiamo piuttosto come atomi all'interno
delle funzioni esercitate da ciascuno nel gioco economico e mai invece come parte di
un sistema sociale organizzato, sia esso il paese Italia, l'Europa o altro.
Dimentichiamo così quanto le nostre scelte individuali determinino le scelte
collettive e il grado di giustizia e di equità di un sistema nel suo complesso.
Ritornare ad essere cittadini responsabili, diventa dunque una priorità. In Italia in
particolare è ostacolo alla pratica della giustizia il diffuso familismo che ancora
orienta le dinamiche sociali, dove il merito viene considerato con sospetto dalle
corporazioni e combattuto perché ritenuto bandiera di pochi privilegiati. Si preferisce
la via dei rapporti clientelari, di amicizia o di patronato politico, ci si arrangia per vie
familiari. Garantire le condizioni di pari opportunità nel segno dell'eguaglianza, di
piattaforma comune di ingresso, pensare lo sviluppo sociale in termini di capability
( A.Sen) è essenziale per praticare la giustizia. Il merito non si riconosce nello
scontro dissennato tra gli agenti, ma nella capacità di valorizzare le intelligenze, i
talenti di ciascuno all'interno di un progetto formativo non fondato sul censo.
Per concludere, non abbiamo bisogno di trovare un modello trascendentale di
giustizia, ma di dare soluzioni concerete e praticabili, anche se parziali, che
sappiano coinvolgere tutti noi come soggetti agenti per sanare le disuguaglianze, le
discriminazioni sociali, i guasti prodotti da una pessima gestione politica del bene
pubblico e dalla crisi economica.
Federico Avanzini
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