giovane, dico a te: “alzati - WebDiocesi

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SU UNA FRAGILE CANOA
Gli studenti dell’Istituto “Don Bosco”
intervistano il Vescovo
Borgomanero, 20 aprile 2005
1. IL VESCOVO, LA SUA VITA, LA SUA VOCAZIONE, IL SUO RUOLO NELLA CHIESA
Che cosa ci può dire del suo cammino di vocazione?
E del suo ministero sacerdotale ed episcopale?
La vocazione è come un amore. Chi la riceve è come se se la trovasse
dinanzi. Prima che una discussione essa chiede una constatazione. Ci si trova
di fronte un fatto. Avverti che la vita totalmente dedicata a Dio è fatta per te; il
Signore ti chiama; i mille interessi che puoi avere possono piacerti ed essere
molto belli, ma di nessuno di essi riesci più a dire: “È la mia vocazione”. La tua
vocazione è un’altra: quella di diventare Sacerdote. Siamo di fronte ad un
mistero di grazia, di una grande grazia che solo Dio comprende fino in fondo. A
te non resta che esprimere la tua risposta al Signore, lasciare la barca e le reti
in riva al lago; ti aspetta un altro mare.
Quanto al ministero sacerdotale ed episcopale, chi diventa prete mette a
disposizione di Dio e degli altri tutto quello che è e che ha. Come dice il
Vangelo, “perde la sua vita”. Non cerca la carriera, ma il servizio. Non ha un
suo progetto circa il dove, come, con chi realizzarlo. Dice soltanto: “Io sono qui.
Dove la Chiesa ha bisogno di me, io andrò”. Questa è l’ubbidienza che investe
tutta la vita.
Questo criterio vale per chi diventa prete, per chi diventa vescovo,
persino (e a maggior ragione), per chi diventa Papa. Come diceva l’apostolo
Paolo ai Corinti parlando di se stesso: “Noi siamo vostri servitori per amore di
Gesù”. Nella vita di tutti i giorni il Vescovo sa di avere una grande
responsabilità: sostenere la vita di fede nei cristiani, alimentare l’attenzione e
l’accoglienza in favore di ogni uomo, prestare attenzione a ciò che avviene nella
società, indicando l’orientamento che il Vangelo offre per affrontare i problemi in
un modo veramente degno dell’uomo. Ma in questa responsabilità il Vescovo
non è solo. Molte persone la condividono: i genitori cristiani, tutti gli educatori
ispirati dal Vangelo; i sacerdoti, religiosi e religiose; i cristiani laici, a cominciare
dai giovani cristiani, presenti su tutte le frontiere dell’umano. Chiedo anche a
voi, giovani, di entrare in questa responsabilità. Il Signore ha bisogno di voi; ne
ha bisogno la Chiesa e ne ha bisogno la società.
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2. IL VESCOVO E IL PAPA
Che cosa ci può dire degli ultimi giorni di Giovanni Paolo II?
E dei suoi incontri con lui?
E del nuovo Papa?
Circa gli ultimi giorni c’è forse stata qualche strumentalizzazione, come
qualcuno di voi ha osservato. Ma resta straordinario il fatto che una folla
immensa, senza che alcuno gliel’abbia comandato, si sia mossa per andare a
Roma o per partecipare a momenti di preghiera e riflessione nelle Diocesi
(anche la nostra). In particolare, occorre riflettere sui tanti giovani che abbiamo
visto presenti: essi sono il segno abbastanza evidente che il Papa è stato una
grazia di Dio per loro. Adesso si tratterà di non sciupare il dono e di non
dilapidare l’eredità.
Questa osservazione mi conduce a dire una parola su colui che, proprio
ieri sera, è stato eletto come successore: si tratta del Card. Joseph Ratzinger,
che ha preso il nome di Benedetto XVI. Se grande è il Papa che ci ha lasciato, il
nuovo Papa va accolto con alcune attenzioni proprie del cristiano. La prima è
che i credenti cristiani ricordano la parola di Gesù: “Tu sei Pietro e su questa
pietra edificherò la mia Chiesa”. Vi è una grazia specialissima di Cristo per
Pietro e i suoi successori. Per questo il cristiano guarda al futuro con speranza.
La seconda attenzione è che proprio per il motivo indicato, i Cardinali chiamati a
eleggere il Papa, nei giorni scorsi hanno dato molto spazio alla preghiera per
lui, invocando i doni dello Spirito Santo. Né andrebbe dimenticato che il luogo
dell’elezione è la Cappella Sistina, dominata, nella sua parete di fondo, dal
giudizio finale di Michelangelo: è sotto quello sguardo che la scelta di un nuovo
Papa avviene. È facile avvertire l’originalità di questo stile che consiste nel
lasciarsi interrogare da Cristo rimanendo liberi nei confronti di ogni altra indebita
ingerenza.
Nelle scorse settimane abbiamo più volte sentito la parola, pacata e
forte, del Card. Ratzinger. A lui è stato affidato di proporre i testi della “Via
Crucis” del venerdì santo al Colosseo. In qualche passaggio di quel testo egli
ha richiamato, anche in termini che hanno molto impressionato, la necessità
della purificazione nella vita della Chiesa. A lui è pure toccato, come Cardinale
Decano, di presiedere i funerali di Giovanni Paolo II. Ha svolto l’omilia
ripercorrendo il cammino di Karol Wojtyla e ne ha trovato il denominatore
comune nella parola di Gesù a Pietro: “Tu seguimi!”. Ha citato anche il
penultimo libro scritto da Giovanni Paolo II - “Alzatevi, andiamo!” –
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aggiungendo: “Con queste parole ci ha risvegliato da una fede stanca, dal
sonno dei discepoli di ieri e di oggi”. E infine, ha svolto anche l’omilia ai
Cardinali mentre si radunavano per il Conclave: “In questa ora di grande
responsabilità, ascoltiamo quanto il Signore ci dice…”. Commentando la
seconda lettura della liturgia (Ef. 4,11-16) si è espresso con una franchezza
inusuale. Ha parlato di cammino verso “la maturità di Cristo”, “la misura della
pienezza di Cristo”, cui siamo chiamati per arrivare ad essere realmente adulti
nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede – ha aggiunto –
“sballottati dalle onde e portati qua e là – come dice l’apostolo Paolo – da
qualsiasi vento di dottrina” (v. 14). “Una descrizione – nota ancora il Card.
Ratzinger – molto attuale! Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi
ultimi decenni, quante ideologie, quante mode del pensiero.. La piccola barca
del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata
da un estremo all’altro… Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa,
viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il
lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’ appare come l’unico
atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del
relativismo che non riconosce nulla come definitivo… Noi, invece, abbiamo
un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo”. E conclude: “Questa fede adulta
dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo”. Credo
che questo nuovo Papa sarà un pungolo per tutti. Penso anche che Giovanni
Paolo II sia contento di avere questo successore. Se fosse stato in Conclave
forse gli avrebbe dato il suo voto.
Quanto ai miei incontri con Giovanni Paolo II, difficilmente potrò
dimenticare di aver trascorso una settimana presso di lui negli ultimissimi tempi
della sua vita. Anche per questo gli sono molto grato.
Ma devo aggiungere che la mia vicinanza a lui è avvenuta anche quando
c’era una lontananza fisica. Quante volte l’ho sentito vicino meditando le sue
parole, approfondendo i suoi documenti, riflettendo sui suoi incontri,
accompagnandolo spiritualmente nei suoi viaggi pastorali e missionari,
vedendolo affrontare i grandi problemi del mondo contemporaneo. E poi c’è una
vicinanza ancora più profonda: è quella di condividere la stessa fede in Gesù
Cristo, Dio fatto uomo, la stessa fatica apostolica, la sollecitudine per tutte le
Chiese nell’unica Chiesa cattolica sparsa in tutto il mondo.
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3. IL VESCOVO E LA SUA GENTE
Qual è il rapporto del Vescovo di Novara con la città?
Quando e come il Vescovo incontra le comunità cristiane sparse in
tutta la Diocesi?
Quanto alla città, devo anzitutto dire che il Vescovo di Novara non è
semplicemente il Vescovo della città di Novara, bensì della Diocesi di Novara
che è molto più ampia e comprende tutta la provincia di Novara, quella di
Verbania e parte di quella di Vercelli. Posso poi aggiungere che al Vescovo
tocca valorizzare tutte le opportunità che si presentano per incontrare le realtà
sociali, istituzionali, culturali. Se penso, in concreto, a questi ultimi mesi, ricordo
gli incontri con gli Amministratori dei Comuni nei quali sto svolgendo la Visita
Pastorale, l’incontro sulla “Bemberg” (attualmente in grande difficoltà
occupazionale), l’incontro con le Associazioni di Volontariato, due incontri
sull’Europa svoltisi nell’Aula Magna dell’Università, alcune interviste a giornali,
radio, tv locali.
Quanto alle comunità cristiane, e in particolare alle Parrocchie, il
Vescovo vive costantemente in Visita Pastorale su tutto il territorio che
comprende 346 Parrocchie. Il che vuol dire condividere, almeno per qualche
momento, il cammino delle comunità; rivedere insieme i vari capitoli del lavoro
pastorale (ragazzi, giovani, famiglie; liturgia e preghiera; carità e missione)
domandandoci come rendere vigorosa e fedele la testimonianza che, come
cristiani siamo chiamati a offrire in un tempo di grandi e rapidi mutamenti.
Insieme con questi incontri parrocchiali posso ricordare anche quelli che
avvengono a un livello più ampio (negli otto Vicariati o a livello diocesano vero e
proprio) sia con i Sacerdoti e sia con i laici. Questi ultimi incontri toccano
fidanzati, famiglie, anziani, religiose e religiosi e, in modo particolarmente
ampio, i giovani.
4. I GIOVANI E LA FEDE
Perché molti giovani sembrano allontanarsi dalla fede cristiana?
Quali sono le cause più importanti?
Che cosa può oggi aiutare un giovane a diventare cristiano come
avvenne tanti secoli fa per un grande giovane chiamato Agostino?
Con queste domande entriamo nel vivo del rapporto “giovani/vita
cristiana”: c’è un interrogativo problematico da affrontare e ve n’è un altro che
rivela un’attesa.
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Quello problematico è la percezione che la fede vada da una parte e i
giovani da un’altra. A questo riguardo si deve anzitutto evitare di generalizzare
perché, in realtà, anche oggi ci sono giovani – e io ne conosco! – con una fede
molto viva. Giusta è la richiesta di indicare le principali cause
dell’allontanamento di un giovane dalla fede. C’è una causa ambientale: mi
riferisco ai vari “soggetti” che agiscono nella nostra società mass-mediatica e
che si rivolgono in particolare ai giovani proponendo, attraverso le varie forme
di comunicazione (la musica, la tv, il cinema, il teatro, eccetera) un modo di
pensare e di comportarsi diverso, se non alternativo, al Vangelo. Talvolta la
difficoltà può nascere a livello specificamente culturale, legato allo studio della
storia, della letteratura, della filosofia, della psicologia, delle scienze, ecc. Il
giovane si trova di fronte alla complessità e non sempre vi è qualcuno in grado
di aiutarlo a rispondere agli interrogativi, a fugare i dubbi. Il risultato può essere
quindi lo spaesamento o anche la tentazione di cedere al relativismo e di
ritenere che – come per anni pensava e temeva Agostino – la verità sia
irraggiungibile. Ma poi vi è un livello propriamente personale da considerare.
Voglio dire che talvolta l’allontanamento dalla fede è provocato dal fatto di
lasciarsi andare, soprattutto negli anni dell’adolescenza, a una condotta
disordinata, istintiva, senza regole. Quando questo avviene, il Vangelo comincia
a parere lontano, la preghiera viene lasciata cadere, Dio e Gesù Cristo vengono
messi in un angolo.
Questi riferimenti già lasciano intuire come un giovane può crescere
cristiano. Primo, non bisogna avere paura di andare controcorrente; secondo, è
necessario conoscere e confrontarsi con qualche persona, meritevole della
vostra stima, con la quale affrontare con onestà e profondità le questioni più
serie della vita umana; terzo, siete chiamati a diventare “responsabili” di voi
stessi e a imporvi un certo rigore morale nella vita di ogni giorno, tenendo conto
che, con la vita non si gioca. Ma c’è da aggiungere il punto più importante: il
cristianesimo non è una teoria, non è una filosofia, ancor meno un’ideologia. Il
cristianesimo è una persona: Gesù Cristo. È lui che va cercato, è la sua vicenda
che va approfondita, è l’assoluta singolarità di un Dio fatto uomo che va
meditata. Un giorno, quando numerose persone abbandonarono Gesù dopo il
discorso sul “pane di vita” fatto a Cafarnao, egli disse ai discepoli: “Volete
andarvene anche voi?”. I discepoli sono rimasti: “Signore, da chi andremo? Tu
solo hai parole di vita eterna!”.
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5. I GIOVANI E LA CHIESA
Che cosa spiega un certo distacco e una certa diffidenza dei giovani
nei confronti della Chiesa?
Che cosa spiega il fascino di Giovanni Paolo II sui giovani?
In che modo un sacerdote dovrebbe accostarsi ai problemi dei
giovani?
Qual è l’esempio umano che è stato molto importante per
l’orientamento della sua vita?
Le domande che mi ponete sulla Chiesa accostano due termini fra loro
opposti (o quasi): diffidenza, fascino.
La diffidenza può essere provocata dal fatto di non sentirsi
sufficientemente avvicinati, ascoltati, amati da coloro che danno volto alla
Chiesa. Quando questo avviene è giusto chiedere a queste persone un
cambiamento di stile, maggiore semplicità e sincerità, rispetto e condivisione.
Talvolta la diffidenza nasce dai pregiudizi contro la Chiesa. A piene mani,
ogni giorno, essi vengono rovesciati addosso ai giovani (e anche agli adulti),
talvolta con un certo livore e con una spregiudicatezza impressionante. Qui
viene chiesto ai giovani di aprire gli occhi, di scoprire l’inganno o la voluta
parzialità, di farsi aiutare da chi può dare saggiamente una mano per conoscere
la verità.
Quanto al fascino, riscontro nel Papa Giovanni Paolo II ciò che l’apostolo
Paolo scriveva in forma autobiografica: “Noi non predichiamo noi stessi, ma
Gesù Cristo nostro Signore. Quanto a noi stessi siamo vostri servitori per amore
di Gesù”. Non dimenticando che il fascino non può voler dire, per la Chiesa,
seguire le mode, ma ancorarsi senza incertezze alla roccia che è Cristo, il quale
non ha temuto di essere, per i suoi contemporanei “segno di contraddizione”. A
pochi giorni dalla morte di Giovanni Paolo II non posso non auspicare che i
Sacerdoti sappiano accostare voi giovani come egli ha cercato – si direbbe
testardamente – tutti i giovani del mondo. Anche per la prossima Giornata
Mondiale della Gioventù di Colonia, nei mesi scorsi egli ha coraggiosamente
rivolto l’invito ad esserci, non soltanto ai giovani credenti, ma anche ai non
credenti. Spinto, in questo, dalla persuasione profonda che la conoscenza del
Signore sia il dono più grande che la Chiesa ha ricevuto come tesoro per
l’intera umanità.
Se devo dire qual è l’esempio umano che più mi ha aiutato
nell’orientamento della mia vita, dovrei mettere al primo posto mia madre,
testimone umile e fedele del Vangelo. Poi il Padre spirituale che mi ha seguito
con grande saggezza, freschezza e fiducia negli anni del liceo. Dovrei nominare
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anche qualche altra persona. E dovrei anche riferirmi agli studi, specialmente
alla filosofia, che mi hanno permesso di approfondire molto seriamente
domande radicali circa il senso della vita umana. Ma mi preme dire che, se
questi aiuti umani hanno visibilizzato per me, per il mio orientamento cristiano e
per la decisione definitiva di diventare prete, un ruolo incomparabile ha giocato
la preghiera, e soprattutto l’adorazione del Signore presente nell’Eucaristia e la
preghiera a Maria. Hanno permesso di superare, con la fragile canoa che
ciascuno di noi è, anche i passaggi più difficili e le onde più impetuose. Mi
ritrovo pienamente nell’esperienza di cui racconta Giovanni Paolo II a proposito
della sua adolescenza e giovinezza e del giorno nel quale è maturata una
decisione definitiva circa il diventare prete: “Un’illuminazione interiore che
portava in sé gioia e sicurezza. E questa consapevolezza mi riempì di una
grande pace interiore”. Dopo tanti anni di vita sacerdotale, posso dire che quel
dono spiega tutta la mia vita, anche adesso.
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