05-Ivabradina

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COS’E’ L’IVABRADINA
Prima applicazione clinica, frutto di una scoperta italiana
La frequenza cardiaca è regolata dal nodo senoatriale, gruppo di cellule cardiache dove
origina l’attività di pacemaker, il “segnapassi”. A differenza delle altre cellule del muscolo
cardiaco, queste cellule (miociti senoatriali) hanno la capacità di depolarizzarsi e generare
autonomamente il potenziale d’azione, un’onda che si propaga a tutto il muscolo cardiaco.
Il meccanismo sottostante a questa corrente autogenerata fa capo a una corrente ‘If’
(“funny”) descritta per la prima volta da un’equipe di ricercatori italiani condotta dal prof.
Dario Di Francesco di Milano alla fine degli anni ‘70. Il sistema nervoso simpatico
(noradrenalina) la accelera, mentre il sistema parasimpatico la riduce.
Negli ultimi decenni la ricerca si è rivolta verso lo studio di agenti bradicardici puri che
prevenissero gli attacchi ischemici senza avere gli effetti collaterali dei farmaci in uso. In
altre parole, composti che abbassassero la frequenza cardiaca, riducendo il consumo di
ossigeno, senza agire a livello periferico sulla muscolatura liscia vascolare, come i calcioantagonisti, e che non alterassero la contrattilità miocardica, come i beta-bloccanti, né la
circolazione coronarica sia a riposo che in esercizio.
Dopo la metà degli anni ’90 fu sviluppato un primo derivato parzialmente selettivo della
corrente If, la zatebradina, che arrivò ai test clinici, ma il suo sviluppo è stato limitato per
gli effetti collaterali sulla retina in relazione al dosaggio.
Una maggiore selettività e specificità per i canali If è stata ottenuta con l’ivabradina,
permettendo così l’uso di dosi relativamente elevate con una buona inibizione della
corrente If e una sostanziale riduzione della frequenza cardiaca. Questo effetto conduce ad
una ridotta domanda di ossigeno nel miocardio e migliora l’apporto di sangue
all’endocardio: due aspetti importanti nel trattamento della malattia ischemica.
L’Ivabradina rappresenta quindi la prima applicazione clinica frutto delle scoperta italiana
dei cancali ‘If’.
L’ivabradina, derivato bradicardizzante “puro”, determina l’inibizione della corrente If e
la riduzione della frequenza cardiaca, senza abbassare sensibilmente la pressione arteriosa.
Quale prototipo di inibizione specifica della corrente If, l’ivabradina non ha effetti
apprezzabili a livello del muscolo cardiaco atriale e ventricolare, rallenta la
depolarizzazione diastolica senza alterare la durata del potenziale d’azione, non modifica
la velocità di conduzione intratriale, atrioventricolare o intraventricolare, né modifica la
contrattilità, come invece accade con i calcio-antagonisti e i beta-bloccanti. Non ha effetti
sui vasi periferici, né sul sistema di conduzione cardiaca, né effetto rebound alla
sospensione o tolleranza farmacologica in seguito ad uso prolungato.
Gli studi clinici effettuati e quelli in corso
L’Ivabradina è stata approvata nel corso del 2005 dall’Agenzia europea del farmaco
(EMEA), ed è gia in commercio nel maggiore parte dei paesi europei. Arrivo imminente
previsto anche in Italia per questo farmaco innovativo.
L’ivabradina è stato l’unico inibitore della corrente If a raggiungere lo sviluppo clinico in
fase III. Molti studi preclinici hanno dimostrato l’efficacia anti-ischemica (cioè antiinfarto) dell’inibizione della corrente If e dell’ivabradina come anti-anginoso. Trial clinici
hanno coinvolto più di 4.000 pazienti (i più vasti mai condotti sull’angina), in cui sono
stati valutati gli effetti anti-ischemici e anti-anginosi, rispetto a placebo o a due faramci
correntemente in uso come amlodipina (calcio-antagonista) o atenololo (beta-bloccante).
Un effetto collaterale abbastanza frequente è rappresentato da sintomi oculari dosecorrelati (effetti stroboscopici e visione offuscata non tipica). Questi effetti sono
generalmente transitori, e comunque reversibili, e molto raramente tali da indurre il
paziente a interrompere la somministrazione del farmaco.
Lo Studio COURAGE (Clinical Outcomes Utilizing Revascularization and Agressive
DruG Evaluation), condotto tra il 1999 e il 2004, ha interessato quasi 2.300 pazienti con
ischemia miocardica e malattia coronarica confermata angiograficamente. La metà di
questi pazienti, seguiti fino a 7 anni, hanno avuto una procedura di angioplastica
coronarica prima di ricevere una terapia farmacologica ottimale, mentre l’altra metà ha
ricevuto soltanto questa terapia farmacologica.
I risultati tra i due gruppi sono statisticamente paragonabili, evidenziano quindi
l’importanza di impostare nei pazienti con malattia coronarica una terapia farmacologica
precoce ed ottimale.
Lo studio BEAUTIFUL (morBidity-mortality EvAlUaTion of the If inhibitor ivabradine in
patients with stable coronary artery disease and left ventricULar systolic dysfunction),
iniziato a gennaio 2005 e i cui risultati sono previsti per il 2008, sta valutando l’efficacia
dell’ivabradina in pazienti con malattia coronarica stabile e disfunzione ventricolare
sinistra sulla mortalità cardiovascolare e l’ospedalizzazione per infarto o peggioramento
dello scompenso cardiaco su circa 10.000 pazienti in 660 centri europei.
Ivabradina è incorso di valutazione anche nello scompenso cardiaco, con due studi, il
BEAUTIFUL (su 10.000 pazienti) e lo SHIFT (su 5.000) che vede il centro del prof.
Roberto Ferrari, a Ferrara, tra i coordinatori per il nostro Paese.
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