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Parrocchia di san Simpliciano – Ciclo di 5 incontri sul tema
SAN BENEDETTO E L’EUROPA
tenuti da don Giuseppe Angelini, nei lunedì di gennaio/febbraio 2017
1. “San Benedetto e l’Europa di oggi “
nei discorsi di papa Benedetto XVI
San Benedetto e l’Europa
Il nesso è suggerito dalla proclamazione di san Benedetto patrono d’Europa, ad opera di Paolo VI
nel 1964.
Al crollare dell'Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d'Europa sembravano cadere nelle tenebre e
altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo
nostro continente l'aurora di una nuova era. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con
l'aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall'Irlanda alle pianure
della Polonia. […] Col libro, poi, ossia con la cultura, lo stesso san Benedetto, da cui tanti monasteri attinsero
denominazioni e vigore, salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimonio umanistico stava
disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmettendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere.
Giovanni Paolo II ha aggiunto, nel 1980, due altri patroni, Cirillo e Metodio, quasi a riequilibrare
ilo volto occidentale dell’Europa. Ma l’identità europea, per se stessa problematica, diventa così
ancor più dubbia.
Il rischio dell’ideale europeo è stato fin dall’inizio di confondersi con l’ideale civile universale.
Appunto questa è l’immagine dei Europa che propone ad esempio Montesquieu: ‘europeo’ è quel
che contrasta il particolarismo francese, italiano o tedesco. Per dire che cosa è Europeo propone il
punto di vista del persiano (Lettere Persiane, 1721). Così concepita, l’Europa è una realtà vaga e
senza volto. Con sarcasmo crudo, Rousseau ironizzava a proposito della pretesa qualità europea dei
Russi, perseguita da Pietro il grande.
L’Europa non è il prodotto dei lumi della ragione, contrariamente a quel che pensavano i filosofi
illuministi, a quel che continua a pensare quella sorta di illuminismo d’accatto rappresentato dai
discorsi che si fanno all’Onu o sui giornali illuminati. È vero che l’Europa è nella sostanza la
matrice di tutto quello che c’è di civile nel mondo. Ma quel che c’è di civile non basta a garantire la
vita comune di un popolo, o addirittura di un’intera famiglia umana. Dalla civiltà occorre
distinguere la cultura. E l’Europa è, prima che matrice della civiltà universale, matrice di una
cultura.
L’Europa è palesemente in crisi. La crisi più evidente è quella istituzionale, clamorosamente
segnalata dalla Brexit, dai movimenti populisti e neo nazionalisti che attraversano tutte le
democrazie europee. È anche quella segnalata dal difetto di una iniziativa politica consistente a
livello internazionale. I principi di convivenza proclamati all’Onu, con vigore intenzionalmente
mondiale, sono europei. Ma il rilievo politico dell’Europa è quasi nullo.
La sproporzione di cui si dice per preciso riferimento alla causa d’Europa è soltanto un indice di un
fenomeno di carattere più generale, planetario. La civiltà planetaria minaccia di tagliare le radici
dalle quali nasce.
Cultura e civiltà
La distinzione tra i due termini inizia con la filosofia tedesca. Già Kant distingue fra civiltà,
l’abilità tecnica dell’uomo, e cultura, connessa invece alla morale. Lo stesso modo di distinguere è
nel pensiero pedagogico di Pestalozzi e influenza la lingua della pedagogia. In area tedesca la
distinzione rimane sempre connotata dal privilegio della cultura, alla quale la civiltà deve essere
subordinata. Questo non accade invece nell’area anglofona, e neppure nell’area francofona. Per gli
illuministi francesi la civiltà esprime appunto il processo di civilizzazione comune all’intera specie
umana. Si afferma il modello storiografico che intende il processo civile universale come passaggio
dallo stato selvaggio a uno stato civile superiore. Quest’idea di civiltà è quella propria di Voltaire in
particolare.
Questa concezione della civiltà alimenterebbe nel pensiero dell’Ottocento, a giudizio di molti
critici, uno spiccato eurocentrismo. Il pensiero romantico tedesco nell’ottocento, poi la letteratura
del primo Novecento che articola la denuncia della crisi dell’Occidente (Spengler e Toynbee),
mettono in dubbio il modello progressistico di lettura della storia universale. Si aggiunge poi
l’antropologia culturale; essa radicalizza il teorema del relativismo culturale: quel che appartiene
alla cultura è comprensibile soltanto per riferimento al sistema cultura. La denuncia del tratto solo
culturale del gender si alimenta appunto a questo assunto.
Fine dell’eurocentrismo: obiettivo o pericolo?
Questo sfondo più generale di filosofia della storia è ignorato dalla riflessione corrente a proposito
della crisi europea. La filosofia del ‘politicamente corretto’ continua a proclamare come obiettivo
da perseguire la fine dell’eurocentrismo. La stessa strategia pastorale di papa Francesco proclama
(con quale consapevolezza non so) la fine dell’eurocentrismo. Io penso invece che la perdita di
leadership dell’Europa a livello planetario è certo un dato di fatto, ma è un inconveniens. È il
retaggio tardo dell’egemonia intellettuale del pensiero illuminista. Contro tale egemonia è urgente
un sussulto di consapevolezza.
La fine dell’eurocentrismo proposta da papa Francesco intenzionalmente non è l’allineamento al
programma illuminista, ma semmai a quello terzo mondista (vedi discorso del 25 novembre 2014 al
Parlamento Europeo; e discorso in occasione del conferimento a lui del premio Carlo Magno nel
maggio 2016). I “valori” invocati, a supporto della riscossione dell’Europa sono non quelli della
memoria culturale, ma quelli “Onu”: apertura, creatività, dialogo, attenzione agli ultimi, ai
giovani… Non è abbozzata un’analisi della consistenza che assume il rischio della perdita di
memoria.
Mentre appunto questo rischio è al centro dei molteplici interventi di Benedetto XVI sul tema
dell’Europa. In molti modi egli prospetta al tesi che riconosce due volti diversi dell’Europa,
addirittura opposti. Il primo è il volto più noto, è il volto illuminista. Il palese successo di tal volto
decreta il declino dell’Europa reale; il successo dell’Europa illuminista rende l’Europa reale
superflua. Il secondo è invece il volto dell’Europa cristiana, determinato come volto benedettino.
Lo stato liberale e i suoi presupposti
Molto esplicito appare in tal senso già un discorso del cardinal Ratzinger del 1984: «Orientamento
cristiano in una società pluralistica? Impossibilità di rinunciare al cristianesimo nel mondo
moderno». È citato qui per la prima volta il teorema di E. W. Böckenförde:
Lo Stato liberale secolarizzato si fonda su presupposti che esso stesso non è in grado di garantire. Questo è il grande
rischio che per amore della libertà lo Stato deve affrontare. Come Stato liberale, esso da una parte può sussistere
soltanto se la libertà che concede ai suoi cittadini si regola a partire dall’interno, dalla sostanza morale del singolo e
dall’omogeneità della società.
Le premesse che lo stato liberale non può garantire sono quelle che un tempo offriva un ethos
condiviso. Nessuna vita comune può sopravvivere senza un ethos comune, un orizzonte di idee e
credenze che rendano possibile l’alleanza dei cittadini. Appunto in questo teorema politico il
cardinale cerca argomento per la tesi che il cristianesimo ha qualcosa di irrinunciabile da offrire alla
democrazia pluralista. Tre importanti fattori minacciano la democrazia contemporanea.
a) L’incapacità di accettare l’imperfezione delle cose umane. La pretesa dell’assoluto nella storia è
nemica del bene che pure nella storia è presente; alimenta un fanatismo, che si nutre della nausea
davanti a ciò che esiste. Oggi ormai nessuno più rende omaggio alla fede nel progresso propria
dell’illuminismo; e tuttavia un certo messianismo profano è profondamente penetrato nella
coscienza collettiva.
1. Nell’imminente società liberata il bene non riposerebbe più sull’impegno morale dei singoli, ma
dovrebbe essere previamente garantito in modo semplice e irrevocabile, mediante le cosiddette
strutture.
2. Parallela rispetto alla dimissione dell’ethos è la dimissione della virtù, il volto soggettivo
dell’ethos. Il regolamento può e addirittura deve essere seguito senza necessità che intervenga la
virtù; l’ethos invece diventa praticamente operativo soltanto formando il carattere, e dunque la virtù
del singolo. L’agire del singolo è rappresentato, dalla razionalità moderna (è citato Bacone), come
una razionalità teleologica, che rende superflua la morale..
3. La radice comune della duplice rinuncia, all’ethos e alla virtù, è la rinuncia a Dio.
La perdita della trascendenza porta con sé la fuga nell’utopia. Sono convinto che la distruzione della trascendenza è
la vera e propria ferita dell’uomo, da cui discendono tutte le altre infermità. Spossessato delle sue dimensioni reali,
l’uomo può soltanto rifugiarsi in speranze apparenti. Ecco allora che viene suggellato quel riduzionismo della
ragione che non è più in grado di percepire come razionali le realtà specificamente umane.
Le due Europe
In un momento successivo, quando si discute sulla opportunità o meno di una menzione delle radici
cristiane dell’Europa nel Prologo alla carta costituzionale, Ratzinger interviene con un contributo
espressamente dedicato al doppio volto dell’Europa. Lo sfondo è la crisi planetaria: (a) lievitano
sempre più i poteri del genere umano, sulla natura e su se stesso, (b) a questa lievitazione
corrisponde una diminuzione delle “energie morali”. Le energie morali che diminuiscono sono le
virtù. Sarebbe opportuno chiarire precisare la diagnosi chiarendo il nesso tra le virtù morali e i
mores. Le risorse morali del soggetto sono nutrite da un costume, non da un esercizio per così dire
atletico (ascesi). Proprio il fatto che la morale sia confinata entro un ambito soggettivo ne
pregiudica il rigoglio.
Potrebbe apparire come una smentita di questo impoverimento morale dell’umanità il gran parlare che si fa
di diritti dell’uomo, di promozione umana, e magari anche di difesa dell’ambiente. Ma giustamente
Ratzinger esprime un dubbio a proposito di questo che egli chiama nuovo moralismo.
Il nuovo moralismo è ripreso dalle teologie militanti (della speranza e della liberazione), accomunate dalla
secolarizzazione della speranza cristiana; essa è pensata come una speranza secolare e storica. Al posto di
Dio subentrano le grandi parole (“valori”) che si prestano a qualsiasi tipo di abuso. Il moralismo politico
concorre a nutrire la debilitazione morale dell’uomo.
Appunto su questo sfondo planetario è poi affrontato il tema del rapporto tra cristianesimo e polis in Europa.
La declinazione illuministica suppone una possibilità irreale, staccare il sapere della ragione da quello della
fede, e da quello della vita quotidiana. Mentre proprio le forme della vita quotidiana sono la radice della
virtù, e insieme della religione. Offende l’Islam e il Giudaismo molto più l’ateismo civile europeo che la
menzione delle radici cristiane. Appunto il nesso con l’ethos dispone ad intendere il rilievo di san Benedetto.
Il confronto tra laïcité e religious freedom.
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