Nazione e teatro

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Rappresentare la nazione: la nazionalizzazione delle masse in Italia –
Intervento prof.ssa Carlotta Sorba
A differenza del collega, non parlerò della memoria del Risorgimento, ma del
Risorgimento stesso e del ruolo che l’opera ed il teatro in generale hanno avuto al suo
interno. Prima di fare tutto ciò, vi presento una piccola parte del primo film a colori di
Luchino Visconti1, “Senso”, del 1954. L’immagine di apertura del film mostra la messa in
scena dell’opera “Il trovatore” al teatro La Fenice di Venezia, nell’aprile del 1866. Nel
momento in cui il coro grida “Allarmi! Allarmi!”, all’interno del teatro parte una
manifestazione spontanea di tipo patriottico contro gli ufficiali austriaci, che si trovano in
platea. Alcune persone gridano: “Viva i Savoia! Viva l’Italia! Viva l’Italia” e dal loggione
vengono lanciati fiori. Visconti in questa scena riprende un’immagine classica della
mitografia patriottica, ovvero quella di Giuseppe Verdi come padre della patria, e
dell’opera come luogo chiave delle lotte risorgimentali. Si evince, dunque, il rapporto
stretto che il Risorgimento ha con l’opera.
Sappiamo, come ha spiegato ampiamente Massimo Baioni nell’intervento precedente,
che nel periodo postunitario è stata costruita una memoria ufficiale e dinastica del
Risorgimento, a sua volta diffusa in modo prorompente attraverso la scuola, l’esercito e i
mezzi di comunicazione. Di essa fa parte anche la figura mitica di Verdi2 come padre della
patria.
Quello che possiamo chiederci oggi è: questa scena tratta da “Senso” è da considerarsi
priva di ogni consistenza storica e dunque solo prodotto della mitologia postunitaria,
oppure no? Negli ultimi anni, i musicologi e gli storici hanno cercato di decostruire il “mito
verdiano”, andando a rivedere, sempre all’interno delle lotte risorgimentali, che tipo di
ruolo civile e politico effettivamente ha giocato il teatro, al di là della celebrazione. Il
dibattito su questo punto è molto acceso: una parte dei musicologi sostiene che la figura di
“Verdi padre della patria” sia tutta costruita e che il teatro non abbia avuto alcun ruolo
all’interno del processo risorgimentale. Nel mio lavoro di storica e utilizzando la musica
nell’intento di ricostruire una società con la sua cultura, ho cercato di capire se esiste o
meno qualche intesa documentaria che possa affermare che il teatro abbia avuto un ruolo
effettivo all’interno di questo periodo storico. Credo profondamente che il teatro sia stato
1
VISCONTI Luchino di Modrone conte di Lonate Pozzolo (1906 – 1976), regista italiano. Tra i suoi film più famosi ricordiamo Senso
del 1954 ed Il Gattopardo nel 1963, per il quale riceverà la Palma d’oro nel 1963. Dopo l’armistizio dell’8 ottobre collabora con la
Resistenza. Per questo motivo, nel ’44 viene imprigionato durante l’occupazione tedesca, riuscendo tuttavia a sfuggire alla fucilazione.
2
VERDI Giuseppe Fortunino Francesco (1813 – 1901) compositore italiano, autore di melodrammi, drammi, tragedie e opere liriche
come: Nabucco (1842), Ernani (1844), Attila (1846), Macbeth (1847), La battaglia di Legnano (1849), Rigoletto (1851), Il trovatore
(1853), La traviata (1853), Les vêpres siciliennes (I vespri siciliani – 1855), Aida (1871).
un aspetto importante per tutta una serie di motivi, riconducibili però alla cospicua
presenza di sale teatrali all’interno di tutta la Penisola, e non alla sola figura di Verdi.
Nella prima metà dell’Ottocento vengono costruiti circa seicento teatri in tutte le parti
d’Italia. Sono strutture grandi (come il teatro Felice di Genova, il teatro di Trieste e il teatro
Regio di Parma), ma anche piccole, che non hanno nulla da invidiare alle prime. Ad
esempio, il teatro di Cesena possiede una capienza di 1200 posti, nonostante il fatto che
la città conti appena 9000 abitanti. Questo fenomeno non è comparabile con gli altri Paesi
europei, i quali inizieranno a costruire teatri con maggior intensità in un periodo di gran
lunga successivo. Nel 1868, un censimento teatrale conta 942 teatri sparsi per tutta la
penisola. Il teatro diventa un monumento all’interno del centro urbano, quasi un edificio
simbolo della morfologia urbana primo ottocentesca, che verrà poi sostituita nella seconda
metà del secolo dalla stazione ferroviaria. Teatri grandi e piccoli hanno la stessa struttura,
come se fossero cloni dei grandi teatri di fine Settecento, quali ad esempio la Scala di
Milano, la Fenice, ed il San Carlo. Il teatro diventa un’importantissima carta da visita per
ogni città. Riprendendo l’esempio di Cesena, il consiglio comunale ha discusso a lungo sul
costo che un teatro del genere avrebbe prodotto, ma, il solo pensiero di essere secondi ad
una città come Rimini o Lugo, ha messo a tacere qualunque perplessità venuta fuori; lo
spirito di emulazione è pertanto molto forte.
Esiste una topografia della sala teatrale, denominata “all’italiana”, che gli architetti
italiani hanno provveduto ad esportare in tutta Europa nel corso del Settecento: oltre alla
platea priva di sedie (verranno introdotte appena nell’Ottocento), troviamo delle file di
palchi. I diversi strati della società hanno una precisa collocazione all’interno di questa
struttura: le prime due file di palchi sono riservate agli ordini nobiliari, che, con il tempo,
verranno occupati anche dall’alta borghesia; il loggione, ovvero l’ultimo piano, con una
presenza promiscua del “popolo”. In questo modo, il teatro diventa uno dei luoghi di
frequentazione e di conversazione pubblici più importanti della Penisola. Le altre forme di
associazionismo, come i circoli inglesi e i salotti francesi, sono poco diffusi rispetto al
contesto europeo. In Italia, i nobili e i notabili vanno a vedere l’opera tutte le sere,
guardando lo stesso spettacolo magari molte volte. La frequentazione teatrale, tuttavia,
non si limita a queste prime due categorie di individui, ma abbraccia anche quelle che
formano la “fascia popolare urbana” (artigiani, commercianti vari, …), che è localizzata
all’interno del teatro nel loggione. Il teatro dunque, con la sua struttura gerarchica,
permette una certa “promiscuità sociale”, ovvero la compresenza delle diverse classi
sociali.
La musica ha una potenzialità emozionale molto forte tanto da poter essere sfruttata
all’interno delle vicende risorgimentali, perché, di tutte le arti, è quella più capace di colpire
al cuore, di toccare le emozioni, come nessun altro linguaggio sarebbe in grado di fare.
Nel corso del Settecento la musica ha pochissimo a che fare con la politica. Vittorio Alfieri 3
e molti intellettuali del periodo sostenevano che l’opera fosse “uno stucchevole trastullo
all’orecchio”. C’è da considerare però, che l’opera era considerata il genere più alto ed era
rappresentato in scena nella stagione più importante per il teatro: la prosa era soltanto di
contorno. Con la Rivoluzione Francese, il ruolo potenziale della musica nella politica è
emerso in modo molto chiaro. In quel periodo infatti, proliferano inni, musiche e fanfare
che accompagnano la rivoluzione stessa. Anche nell’Italia giacobina arriva la Marsigliese,
con i suoi rifacimenti. I musicisti fino a quel momento non si erano occupati di questo
contesto. L’unico è stato Rossini4 con il suo “Guglielmo Tell”, una grande opera di
argomento patriottico, seppur non italiano, che verrà rappresentato pochissimo nell’età
della Restaurazione.
Negli anni '30 e '40 dell’Ottocento si sviluppa l’opera romantica italiana, che circola
rapidamente all’interno della Penisola, grazie a figure come Verdi, Bellini5 e Donizetti6. Il
circuito imprenditoriale è molto forte, tanto che, Rigoletto, rappresentato alla Fenice di
Venezia, pochi mesi dopo è messo in scena ad Ascoli Piceno con lo stesso cast. Nel
1835-36 Mazzini7 scrive un pamphlet, che viene ricordato con il nome di Filosofia della
musica, nel quale parla della mancanza di prosa, che, anche se ci fosse stata, sarebbe
stata ancora più difficile da comunicare. Secondo Mazzini, le veci del grande teatro di
Schiller8 dovevano essere fatte dal melodramma, grazie al circuito produttivo e diffusivo
3
ALFIERI Vittorio Amedeo (1749 – 1803) conte, drammaturgo, scrittore e poeta italiano. Tra le sue opere vengono ricordate: Saul
(1782), Maria Stuarda (1788), La congiura de’ Pazzi (1781 prima stesura). I suoi scritti sono stati influenzati da personaggi come
Montesquieu, Voltaire e Rousseau, conosciuti nel corso di viaggi in Europa. Legato sentimentalmente alla duchessa d’Albany, moglie
dell’erede al trono di Inghilterra Stuart.
4
ROSSINI Gioacchino (1792 – 1868) compositore italiano ricordato soprattutto per le sue opere liriche, tra le quali: Il barbiere di Siviglia
(1816), Guillaume Tell (1829).
5
BELLINI Vincenzo (1801 – 1835) compositore italiano e uno dei più celebri operisti dell’Ottocento. Tra le sue opere liriche si
ricordano: Il pirata (1827), La straniera (1829), Zaira (1829), Norma (1831), I puritani (1835). Si trasferì in Francia, dove conobbe
Chopin, dal quale venne influenzato artisticamente.
6
DONIZZETTI Gaetano Maria (1797 – 1848), compositore italiano, ricordato soprattutto in quanto operista. Scrisse: Anna Bolena
(1830), L’elisir d’amore (1832).
7
MAZZINI Giuseppe (1805 – 1872), filosofo patriota e politico italiano. Le sue idee contribuirono in modo molto forte alla formazione
dell’unità d’Italia, tanto da essere considerato uno dei “padri della patria”. Costretto all’esilio in Francia per le sue teorie democraticorivoluzionarie, nel 1831 fonda la Giovane Italia, un’associazione segreta con programma politico pubblico. In seguito ai moti del 1848,
Mazzini fu uno dei triunviri della Repubblica Romana.
8
SCHILLER Friedrich (1759 – 1805) poeta, drammaturgo e storico tedesco.
che possedeva e per la capacità di presa che aveva sul pubblico. L’idea di “comunicare la
patria” in modo efficace doveva passare attraverso un’opera che trattava di temi civili ed
individuare delle modalità corali
molto forti. Il coro, infatti, rappresenta l’individuale
collettivo, l’unica voce che all’unisono propone un messaggio. Da sottolineare il fatto che
siamo nel 1836: Verdi scriverà la sua prima opera appena fra tre anni.
Non è chiaro se Verdi abbia letto il pamphlet di Mazzini. I due, di fatto, non hanno mai
manifestato una particolare simpatia l’uno per l’altra. Quando dunque inizia a scrivere negli
anni 40, Verdi non segue un percorso di carattere politico, bensì artistico – commerciale. I
suoi cori hanno un accento patriottico, ma le sue opere non lo sono. Inserisce invocazioni
alla patria in opere che trattano di tutt’altro. Le uniche opere patriottiche che Verdi ha
scritto sono “La battaglia di Legnano” ed “I vespri siciliani”, che rappresenterà a Parigi.
Tutto ciò sta a significare che non costruisce la sua produzione attorno al tema patriottico,
ma che molte delle sue opere, in momenti chiave del Risorgimento, vengono lette dal
pubblico come tali.
Sono qui riportati tre esempi che consentono di capire come si associa la sfida
all’ordine costituito nei teatri, che, seppur controllati saldamente dalla censura e dalla
polizia, diventano i luoghi della lotta politica, con il lancio di coccarde e volantini.
Il primo esempio è tratto dalla “Norma” di Bellini, del 1931, il quale è ancora estraneo al
contesto del pamphlet di Mazzini e di Verdi, ma non ai moti degli anni 30. Il coro invoca
alla guerra dei Galli contro i Romani, dove quest’ultimi sono considerati gli antagonisti;
tutto ciò non ha nulla a che fare con l’Italia. Se però un coro di questo tipo è messo in
scena alla vigilia del 1848-49, è del tutto probabile che “venga giù il teatro”. Nel corso degli
anni '30 dunque, quest’opera troverà una normale rappresentazione in tutti i teatri della
Penisola, mentre dal 1846 in poi verrà messa in scena con qualche difficoltà. Come il coro
in questo punto, anche la propaganda risorgimentale parla molto spesso di sangue e di
violenza:
“Guerra, guerra! Le galliche selve
Quante han quercie producon guerrier:
Qual sul gregge fameliche belve,
Sui Romani van essi a cader!
Sangue, sangue! Le galliche scuri
Fino al tronco bagnate ne son!”
Il coinvolgimento di Bellini nel contesto risorgimentale avviene tramite un lavoro di
preparazione effettuato dai mazziniani. Quando, nella primavera del 1835 a Parigi, il
compositore darà in scena la sua ultima opera, “Puritani”, la critica mazziniana non sarà
entusiasta. La sua morte prematura, avvenuta nello stesso anno, avvierà un processo di
“canonizzazione”. Ciò avviene tramite la stesura di una serie di poesie, una delle quali è di
Carlo Pepoli9, nella quale paragona Bellini al “musicista impegnato”, descritto nel pamphlet
di Mazzini.
Il secondo esempio prende in considerazione gli interpreti, i quali possono operare
delle variazioni all’interno di opere, che presumibilmente non hanno quasi nulla di
patriottico, ma che lo acquisiscono proprio tramite la loro interpretazione. Stiamo parlando
de “Ernani” di Verdi:
Si ridesti il Leon di Castiglia
e d'Iberia ogni monte, ogni lito
eco formi al tremendo ruggito,
come un dì contro i Mori oppressor.
Siamo tutti una sola famiglia,
pugnerem colle braccia, co' petti;
Nel 1848 il “Leon di Castiglia” viene trasformato nel “Leon di Caprera” oppure nel “Leon di
San Marco” della Repubblica di Venezia. Il teatro riflette gli eventi dell’attualità, diventando
un mezzo di comunicazione.
Il terzo esempio è “Attila” sempre di Giuseppe Verdi, nel quale troviamo i barbari contro
i Romani, dove i primi sono gli oppressori mentre i secondi sono gli oppressi. Volendo
operare un parallelismo, i Romani diventano Italiani: la protagonista viene raffigurata come
“principessa italica” e non “romana”. All’interno dell’opera vengono inseriti altri elementi di
carattere patriottico, come: “Santo di patria indefinita amore”. Verdi dà voce ad un tipo di
narrazione molto presente nel contesto politico europeo del periodo, ovvero l’idea che tutta
la storia delle nazioni europee si basi sulla contrapposizione di due popoli, uno oppresso
ed uno oppressore. Nell’Italia del 1846-47 è molto evidente chi svolga questi due ruoli.
L’ultimo esempio è dichiaratamente patriottico: “La battaglia di Legnano” di Verdi,
commisionatagli nel gennaio del 1849 a Roma. Assieme al librettista Cammarano10,
decide di assumere come soggetto per un’azione patriottica la battaglia di Legnano,
dunque la lotta della Lega Lombarda contro Barbarossa. Il regime repubblicano permette
che l’opera non sia intaccata dalla censura. Il coro dell’apertura dell’opera canta:
Viva Italia! un sacro patto
Tutti stringe i figli suoi:
Esso alfin di tanti ha fatto
9
10
PEPOLI Carlo (1796 – 1881) poeta, politico e librettista italiano.
CAMMARANO Salvadore (1801 – 1852) famoso librettista italiano del periodo romantico. Abbandona la carriera commediografa per
collaborare con i maggiori operisti italiani del tempo, come Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi.
Un sol popolo d'Eroi!
Le bandiere in campo spiega,
O Lombarda invitta Lega,
E discorra un gel per l'ossa
Al feroce Barbarossa.
Viva Italia forte ed una
Colla spada e col pensier!
Questo suol che a noi fu cuna,
Tomba sia dello stranier!
Anche questa volta il tema patriottico non è al centro dell’opera, bensì l’amore contrastato
per una donna tra due uomini.
Dagli anni '50 dell’Ottocento non troveremo più delle accensioni patriottiche del genere
nelle opere di Verdi, che attraversa una fase compositiva diversa. Lo influenzerà la società
del periodo, caratterizzata da un clima di censura. Non a caso, l’opera patriottica dei
Vespri verrà composta appositamente a Parigi, lontana dal contesto italiano. Prenderà
come episodio chiave quello dei vespri siciliani, che, assieme alla battaglia di Legnano,
sono uno degli episodi più utilizzati dalla propaganda risorgimentale. In questa fase, però,
l’interesse di Verdi è volto soprattutto alla conquista della fama internazionale, che non di
essere identificato con l’Italia. Dal 1862, le cose cambieranno. Gli verrà infatti proposto di
scrivere un pezzo che rafforzasse l’Italia all’esposizione internazionale di Londra.
Comporrà invece un pezzo sulle nazioni, nel quale verranno inseriti parti degli inni
nazionali per legittimare la sua forte immagine internazionale. L’immagine di Verdi vate del
Risorgimento si affermerà invece nel corso degli anni ’60 e ’70 in un’operazione di
pedagogia nazionale, ma anche e soprattutto commerciale. L’editore Ricordi infatti non è
per nulla estraneo a questa costruzione mitografica, al di sotto della quale però rimane
l’effettivo ruolo che il teatro d’opera ha svolto all’interno del Risorgimento italiano.
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