L`Europa delle nazioni: dal Congresso di Vienna alla

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L’Europa delle nazioni: dal Congresso di Vienna alla Restaurazione,
dai moti insurrezionali al Risorgimento italiano e alla nascita del
Reich tedesco
L’idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura
europeo, che ha il nome di Romanticismo: affondando le sue prime radici già nel secolo XVIII… trionfando in
pieno con il secolo XIX, quando il senso dell’individuale domina il pensiero europeo… contro la «ragione»
cara agli illuministi, rivendica i diritti della fantasia e del sentimento, contro il buon senso equilibrato e
contenuto proclama i diritti della passione… esalta l’eroe, il genio, l’uomo che spezza le catene del vivere
comune… le norme borghesi… Sul terreno politico fantasia e sentimento, speranze e tradizioni non
potevano avere che un nome: nazione. La reazione contro le tendenze universalizzanti dell’illuminismo (in
politica, il dispotismo illuminato), che aveva cercato leggi valide per ogni governo… questa reazione non
poteva che mettere in luce il particolare, l’individuale, cioè la nazione singola. (“F. Chabod, L’idea di
nazione)
Il Congresso di Vienna
In tutta Europa, all’indomani della sconfitta di Bonaparte, si tentò di tornare alla situazione politica e
sociale precedente. Con tale scopo, dal 3 novembre 1814 al 9 giugno 1815 si tenne a Vienna un Congresso
per discutere l’assetto politico che avrebbe dovuto assumere l’Europa, dopo i venti anni della Rivoluzione
francese e delle guerre napoleoniche. Vi parteciparono l’Inghilterra, la Russia, l’Austria e la Prussia1. La
Francia, per quanto sconfitta, non venne esclusa dalle trattative, anzi fu proprio il suo delegato, CharlesMaurice de Talleyrand, a proporre uno dei criteri che il Congresso decise di seguire: il principio di
legittimità, secondo il quale bisognava ricostruire la situazione politica esistente prima dello scoppio della
Rivoluzione francese, riportando sui troni i numerosi sovrani deposti da Napoleone (per questo l’epoca
del Congresso di Vienna venne denominata età della Restaurazione). Le potenze vincitrici tentarono però
allo stesso tempo di dare all’Europa un assetto più stabile e sicuro, adottando anche il principio
dell’equilibrio (sostenuto soprattutto dall’Inghilterra, preoccupata che nessuno stato assumesse sul
continente un peso eccessivo), in base al quale ci si premurò di rafforzare alcuni stati confinanti con la
Francia. Il Belgio venne così posto sotto la sovranità olandese, mentre al Regno di Sardegna vennero
aggiunte la Savoia e la Repubblica di Genova. Nella regione del Reno, venne rafforzata la Prussia. La
Repubblica di Venezia con il Trattato di Campoformio aveva perso la sua indipendenza, in base al
principio di legittimità doveva ritornare a essere uno stato libero, invece fu assegnata all’Austria.
L’ordine viennese
Nel 1815, i sovrani di Austria, Prussia e Russia si unirono nella cosiddetta Santa Alleanza, sorta per
garantire l’ordine uscito dal Congresso. A Vienna trionfò il principio dell’equilibrio anche grazie
1
Al Congresso, il Regno Unito fu prima rappresentato dal ministro degli esteri, Visconte Castlereagh; dopo il febbraio
1815, dal Duca di Wellington; e nelle ultime settimane, dopo che Wellington se ne andò per affrontare Napoleone, dal
Conte di Clancarty. L'Austria era rappresentata dal principe Klemens von Metternich, il ministro degli Esteri, e dal suo
delegato, Barone Wessenberg. La Prussia era rappresentata dal principe Karl August von Hardenberg, il cancelliere, e
dal diplomatico e studioso Wilhelm von Humboldt. La Francia di Luigi XVIII era rappresentata dal ministro degli Esteri
Charles Maurice de Talleyrand-Perigord. Sebbene la delegazione ufficiale della Russia fosse guidata dal suo ministro
degli Esteri, il Conte Karl Vasil'evič Nesselrode, lo zar Alessandro I per lo più operò personalmente.
all’accantonamento del problema della libertà nazionale dei singoli popoli. Per es. il Congresso di Vienna
decise che Milano e l’intera Lombardia sarebbero dovuti tornare sotto il dominio asburgico, in nome del
principio di legittimità2.
Nel 1820-1821, si verificarono i primi tentativi di mettere in discussione l’ordine viennese; in Spagna, a
Napoli, a Palermo e in Piemonte, scoppiarono moti rivoluzionari con l’obiettivo di costringere i sovrani a
concedere le Costituzioni. In Italia i moti erano guidati da società segrete (gruppi clandestini che facevano
largo ricorso a simboli e rituali della Massoneria, un’organizzazione nata nel Settecento per diffondere il
pensiero illuminista). I membri delle società segrete (fra cui si distinse, a Napoli, la Carboneria) provenivano
soprattutto dall’ambiente militare e da quello nobiliare e i legami con le popolazioni (delle città e
soprattutto delle campagne) erano pressoché nulli. A causa di tale isolamento fu possibile all’Austria
stroncare ogni fermento rivoluzionario (per lo stesso motivo fallì anche l’insurrezione decabrista in Russia
nel 1825).
Luigi Filippo re di Francia
Il 4 giugno 1814, Luigi XVIII (fratello del dacapitato Luigi XVI) – il sovrano che aveva assunto il potere in
Francia dopo l’abdicazione di Napoleone – promulgò a Parigi una Costituzione. Per il nuovo re, infatti, era
evidente che una pura e semplice restaurazione del passato era impossibile. Nella concezione del sovrano,
tuttavia, questa Carta Costituzionale era “concessa”, in quanto l’unico titolare della sovranità era il re
stesso, il quale per propria volontaria iniziativa decideva di limitare il proprio potere, accettando di
condividerlo con altri soggetti politici. La Charte octroyéè riconosceva l’uguaglianza degli uomini di fronte
alla legge, la libertà di culto e l’inviolabilità della proprietà privata. Vi erano però limitazioni alla libertà di
opinione, di stampa, di associazione. La Costituzione prevedeva due Camere, una composta di
aristocratici nominati dal re, l’altra eletta a suffragio censitario (era necessario un reddito molto alto per
votare).
Nel 1824 divenne re Carlo X, deciso sostenitore dell’origine divina del potere dei re. Nel luglio 1830 il re
emanò 5 ordinanze che sospendevano la libertà di stampa, scioglievano la Camera dei deputati e
fissavano parametri censitari ancora più elevati per esercitare il diritto di voto. Tale politica reazionaria
provocò la collera dei cittadini di Parigi, che insorsero e tennero nelle loro mani la città per tre giorni (2729 luglio), finché Carlo X non ebbe abdicato. Al suo posto fu incoronato Luigi Filippo d’Orléans, il quale
assunse il titolo di re dei francesi, accettando il principio secondo cui il suo potere non discendeva da Dio,
ma era conferito dal popolo. Luigi Filippo cancellò il preambolo della Carta Costituzionale, in cui la si
definiva octroyéè, essa era ora invece l’esisto di un contratto sociale3 fra il re e il popolo. Tuttavia, il
suffragio restava censitario, escludendo dal voto la maggioranza dei cittadini.
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Numerosi intellettuali assunsero una posizione ostile al nuovo governo, in nome del principio di nazionalità.
Alessandro Manzoni compose un’ode civile intitolata Marzo 1821 in cui esortava gli italiani ad unire le proprie forze e
a combattere lo straniero; Silvio Pellico diede vita ad un giornale, chiamato Conciliatore per sostenere la causa italiana
e dopo la sua chiusura aderì a una società anti-austriaca, motivo per cui fu arrestato nel 1820 e dovette scontare 8
anni di carcere nella fortezza dello Spielberg, in Moravia, in seguito pubblicò, nel 1832, Le mie prigioni.
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Il contratto sociale è, secondo alcuni pensatori, alla base della nascita della società, ossia di quella forma di vita in
comune che sostituisce lo stato di natura, in cui gli esseri umani vivono in una condizione di instabilità e insicurezza
per la mancanza di regole riguardo a quelli che sono i loro diritti e doveri. Il contrattualismo comprende quelle teorie
politiche che vedono l'origine della società in un contratto tra governati e governanti, che implica obblighi precisi per
ambedue le parti. In questa concezione il potere politico si fonda su un contratto sociale che pone fine allo stato di
Le insurrezioni degli anni 1830-1831
L’esempio della rivoluzione parigina del luglio 1830 spinse all’insurrezione la popolazione di Bruxelles (25
agosto), dove si formò un governo provvisorio, che proclamò, l’anno successivo, l’indipendenza del Belgio
(ratificando la secessione dall’Olanda), di cui si fece garante l’Inghilterra. Non ebbero successo invece le
insurrezioni che si verificarono in Polonia (novembre 1830) e in Italia (Parma, Modena, Bologna, nel
febbraio 1831). Gli insorti polacchi e italiani contavano sull’aiuto francese, ma Luigi Filippo, per
tranquillizzare le potenze europee, dichiarò di non voler intervenire a sostegno dei rivoltosi, che pertanto
furono schiacciati dall’esercito russo e da quello austriaco.
Il fallimento di queste rivoluzioni e la linea di non intervento della Francia spinsero Giuseppe Mazzini
(1850-1872) ad elaborare un nuovo e coerente programma per affrontare i problemi dell’Italia, divisa e
frammentata in numerosi stati, tutti sottomessi o legati all’Austria. La Lombardia e il Veneto erano sotto
controllo austriaco e venivano amministrati direttamente da Vienna; il Ducato di Parma, quello di Modena
e il Granducato di Toscana, erano retti da sovrani imparentati con la famiglia imperiale Asburgo. Gli altri
stati (Regno di Sardegna, Stato della Chiesa e Regno delle Due Sicilie) erano governati da sovrani assoluti e
reazionari.
Secondo Mazzini, il difetto più grave delle insurrezioni degli anni 1820-21 e 1831 era di aver avuto
prospettive limitate ad ambiti regionali e locali. Egli invece pose l’accento sull’obiettivo dell’unità politica
dell’Italia. Per sostenere tale causa, fondò nel luglio 1831, la Giovine Italia, che si distinse dalle società
segrete sia per la propria meta (l’unità nazionale) sia per gli strumenti, puntando non su pochi congiurati,
ma sul popolo italiano.
Il pensiero politico di Mazzini
Mazzini, pur non riconoscendosi in nessuna Chiesa, rifiuta l’ateismo ed è convinto che Dio avesse assegnato
agli uomini la missione di vivere in pace e giustizia. Gli individui dovevano concepire la propria esistenza
come un dovere e dedicare le proprie energie alla costruzione del nuovo mondo libero. Dio, secondo
Mazzini, aveva assegnato all’Italia un ruolo importante, proprio perché la sua condizione era
particolarmente difficile, doveva essere l’esempio a tutti gli altri popoli e indicare la via della liberazione
dallo straniero. L’idea di nazione era dunque al centro del pensiero mazziniano, senza tuttavia eccedere nel
nazionalismo: tutti i popoli avevano pari dignità e diritto all’indipendenza; per questo nel 1834 fondò la
Giovine Europa, che avrebbe dovuto coordinare la lotta di tutti i popoli oppressi e gettare le basi di una
convivenza rispettosa dei diritti di ciascun gruppo etnico.
Quanto all’Italia, dopo la liberazione dallo straniero, sarebbe dovuta diventare uno stato unitario,
repubblicano e democratico.
natura, segnando l'inizio dello stato sociale e politico. Accettando spontaneamente le leggi che vengono loro imposte,
le persone perdono una parte della loro assoluta e (potenzialmente) pericolosa libertà per assicurarsi una maggiore
tranquillità e sicurezza sociale. Nel momento in cui il patto viene violato, il potere politico diventa illegittimo; di
conseguenza il diritto di resistenza e ribellione viene legittimato. Si considerano contrattualisti quei pensatori che
muovono da tale sintassi del discorso. Lo stato di natura, benché sia solitamente considerato punto di partenza del
discorso contrattualista, non ha una definizione universalmente accettata, poiché si considera essenzialmente come
mera ipotesi logica. Fra i maggiori contrattualisti vanno annoverati Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques
Rousseau.
Negli anni Trenta e Quaranta, tutti i tentativi insurrezionali promossi dalla Giovine Italia fallirono
miseramente (nel Regno di Sardegna e in Savoia). Particolarmente drammatica fu la spedizione organizzata
dai fratelli Attilio e Emilio Bandiera in Calabria 1844: speravano di far insorgere i contadini del Regno delle
Due Sicilie, ma la popolazione li ignorò. Le truppe borboniche li catturarono e giustiziarono. Il popolo, che
nelle intenzioni di Mazzini sarebbe dovuto insorgere per sostenere i militanti, non mostrò alcun interesse
nei confronti delle idee di unità e indipendenza nazionali.
Gioberti e il “papato liberale”
Vincenzo Gioberti (1801-1852), un sacerdote cattolico, nel suo Del primato morale e civile degli italiani, del
1843, sostenne che il nuovo futuro dell’Italia potesse trovare nel papato una fondamentale figura di
riferimento: proponeva che gli stati italiani si riunissero in una federazione guidata dal papa.
Quando venne eletto il nuovo pontefice Pio IX, il suo primo atto fu un’amnistia per i prigionieri politici, ciò
venne interpretato dal popolo come un nuovo modo di gestire il potere. Le speranze in un papato liberale
crebbero quando nel 1847 lo Stato della Chiesa, il Regno di Sardegna e il Granducato di Toscana
incominciarono a prendere in considerazione la possibilità di procedere a una lega doganale.
La situazione subì una brusca accelerazione nel 1848, quando il 29 gennaio esplose un moto a Palermo,
dopo che l’insurrezione si estese in tutta l’Italia meridionale, il re Ferdinando II fu obbligato a concedere
una Costituzione; anche a Roma (Stato della Chiesa), Firenze (Granducato di Toscana) e Torino (Regno di
Sardegna), i sovrani furono costretti a promulgare delle Carte Costituzionali.
Lo Statuto albertino
La Legge fondamentale (Costituzione) che fu adottata dal Regno di Sardegna prese il nome di Statuto
albertino, in quanto fu concessa dal re Carlo Alberto di Savoia (il 4 marzo 1848). Essa diverrà nel 1861 la
Costituzione del Regno d’Italia e rimarrà in vigore fino al 1946. Si trattava di una Costituzione “concessa”; il
re controllava quasi ogni organo dello stato: i giudici erano istituiti dal re e i ministri dovevano rispondere
al sovrano, il quale disponeva anche della possibilità di veto in campo legislativo. Il Parlamento era
costituito da due Camere, una (il Senato) di nomina regia, l’altra (la Camera dei deputati) eletta dai sudditi
con un suffragio rigidamente censitario.
Confronto tra lo Statuto albertino e la Costituzione repubblicana
Statuto albertino del Regno di Sardegna
Costituzione della Repubblica italiana
Costituzione concessa dal re: la sovranità Costituzione elaborata da una Assemblea: la
appartiene a un monarca, che decide di limitare il sovranità appartiene al popolo
suo potere
La Costituzione può essere modificata da una legge La Costituzione è rigida: può essere modificata solo
ordinaria
con una procedura speciale
Il Senato è di nomina regia
Il Senato è eletto dai cittadini
La Camera dei deputati è eletta a suffragio
censitaria
La Camera dei deputati è eletta a suffragio
universale (come il Senato)
La rivoluzione del 1848 in Francia
Il 24 febbraio a Parigi era esploso un tumulto rivoluzionario e Luigi Filippo fu costretto ad abdicare. In
questa lotta il popolo di Parigi adottò un nuovo strumento di lotta: la barricata, arrivando a bloccare le
principali strade. Il popolo era insorto per protestare contro il suffragio censitario e per ottenere libertà di
associazione e di discussione. Una volta sconfitto Luigi Filippo, venne istituito un regime di tipo
repubblicano e democratico e vennero istituiti i cosiddetti laboratori nazionali: manifatture di proprietà
dello stato, che permettevano di dare occupazione agli operai rimasti senza lavoro. Quando il nuovo
governo repubblicano, il 21 giugno 1848, emanò un decreto che escludeva i lavoratori non ammogliati dai
laboratori, vi fu una nuova insurrezione operai, schiacciata dopo tre giorni di combattimenti. Dopo questi
fatti fu varata una nuova Costituzione che concedeva ampi poteri al presidente della Repubblica. Alle
elezioni del 10 dicembre 1848, fu eletto a grande maggioranza Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del
grande imperatore. Il 2 dicembre 1851 Luigi Napoleone procedette ad un colpo di stato e l’anno seguetne
si proclamò imperatore dei francesi col titolo di Napoleone III.
La prima guerra d’indipendenza in Italia
La notizia della rivoluzione parigina del 24 febbraio si diffusa in tutta Europa, provocando insurrezioni e
rivolte. Il 14 marzo 1848 insorsero gli studenti e gli operai di Vienna, obbligando Metternich ad
abbandonare il potere. In Italia, la prima a insorgere fu Venezia, che riuscì a espellere gli austriaci e a
proclamare di nuovo la Repubblica (17-22 marzo 1848). Anche Milano, dopo cinque giornate di furiosi
combattimenti (18-22 marzo), obbligò l’esercito asburgico alla ritirata. Il re di Sardegna Carlo Alberto, per
timore che esplodesse una rivoluzione anche a Torino decise di entrare in guerra contro l’Austria4.
Nella battaglia di Custoza (25 luglio 1848), l’esercito piemontese fu sconfitto e Carlo Alberto fu costretto
all’armistizio. Il conflitto riprese nella primavera del 1849 e si concluse con la definitiva sconfitta
piemontese e l’abdicazione di Carlo Alberto a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
A Roma, l’8 febbraio 1849, era stata insediata una repubblica democratica guidata da Mazzini, mentre
Venezia continuava a combattere con gli austriaci. Roma fu espugnata il 4 luglio 1849 dalle truppe
francesi, mentre Venezia capitolò il 24 agosto. Nonostante i fallimenti delle insurrezioni del 1848-1849,
Vittorio Emanuele II scelse di non revocare lo Statuto albertino, per cui il Regno di Sardegna, anche dopo la
sconfitta, rimase una monarchia costituzionale.
La concezione politica di Cavour
In quegli anni si fece accesa, nel Regno di Sardegna, la questione dei rapporti fra Stato e Chiesa, che
godeva di notevoli privilegi. Nel 1850, il ministro Siccardi propose di abolire il foro ecclesiastico (il tribunale
speciale, gestito dalla Chiesa, per giudicare i reati compiuti da sacerdoti e religiosi); venne vietato inoltre
agli enti ecclesiastici di accettare donazioni senza l’autorità governativa. Nel corso della discussione su
questo pacchetto di provvedimenti si mise in luce Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), che nel
1850 rivestiva l’incarico di ministro dell’agricoltura e aveva introdotto con successo alcune importanti
innovazioni, mutuate dai paesi europei che aveva visitato (Svizzera, Inghilterra, Francia, Belgio) come ad
es. l’uso del guano come fertilizzante. Cavour era inoltre convinto della superiorità morale dei regimi
liberali rispetto a quelli assoluti. Egli era un liberale moderato: il suo modello politico di riferimento era la
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All’appoggio di Carlo Alberto si oppose uno dei dirigenti della rivoluzione milanese, Carlo Cattaneo, secondo il quale
l’intervento di un sovrano moderato e conservatore poteva rappresentare un ostacolo allo sviluppo della repubblica e
della democrazia. Cattaneo era sostenitore di un modello federalista, secondo il modello statunitense.
monarchia costituzionale inglese e la sua politica mirava a una sorta di giusto mezzo tra l’immobilismo dei
conservatori e la rivoluzione dei democratici, nella convinzione che le riforme graduali fossero in grado di
evitare la crisi. Cavour riuscì ad aggregare ampi consensi sia fra i deputati di centro-sinistra che tra quelli di
centro-destra, per questo la sua politica venne detta “connubio”).
Nel 1852 Cavour divenne presidente del Consiglio. Nel campo del commercio estero adottò una politica
liberista: si propose di sviluppare la produzione dei prodotti agricoli piemontesi, destinati all’esportazione
con l’Inghilterra, in cambio di manufatti britannici. Cercò inoltre di migliorare le comunicazioni, facendo
costruire 400 chilometri di strade e centinaia di chilometri di strade ferrate (nel 1859 il Regno di Sardegna
possedeva una rete ferrovia di 914 chilometri, tutti gli altri stati nel loro complesso ne avevano 986), la cui
costruzione fu quasi interamente a carico dello stato. Pertanto, secondo Cavour, l’adozione del libero
scambio poteva essere compatibile con una forte presenza dello stato in materia economica, almeno in
quei settori (come le ferrovie) che necessitavano di ingenti capitali. Una simile strategia però comportò un
aumento della tassazione e la rinuncia alla parità del bilancio, ovvero un pesante indebitamento dello
stato.
Mazzini, Cattaneo e Cavour a confronto
Carattere
principale
Obiettivo politico
Obiettivo
istituzionale
Strumento
principale
Mazzini
Intensa religiosità
Espulsione
Repubblica
dell’Austria e stato democratica
(suffragio
nazionale unitario
universale)
Rivoluzione
popolare
Cattaneo
Attenzione
problemi
economici
ai Espulsione
Repubblica
dell’Austria e stato democratica
(suffragio
federale
universale)
Rivoluzione
popolare
Cavour
Attenzione
problemi
economici
ai Espulsione
dell’Austria
ed
espansione
del
Regno di Sardegna
Diplomazia
e
guerra gestita dal
governo
piemontese
Monarchia
costituzionale
moderata
(suffragio
censitario)
La seconda guerra d’indipendenza in Italia
Nel 1854, il Regno di Sardegna decise di intervenire a fianco degli inglesi e dei francesi nell’assedio di
Sebastopoli (Guerra di Crimea, in cui la Russia attaccò l’Impero ottomano, sostenuto da Francia e
Inghilterra). La partecipazione al conflitto permise a Cavour di essere presente al Congresso di Parigi del
1856 e di entrare a contatto con le potenze europee, portando alla loro attenzione la questione italiana.
La guerra del 1848-1849 aveva mostrato che da solo il Piemonte non era in grado di sconfiggere l’esercito
austriaco, era necessario il sostegno di qualche altra potenza europea. Cavour identificò tale potenza nella
Francia di Napoleone III, che aspirava a far entrare l’Italia nella propria orbita. Il 21 luglio 1858, Cavour e
Napoleone III si incontrarono a Plombières e concordarono che in caso di aggressione austriaca al Regno
di Sardegna la Francia sarebbe intervenuta in sua difesa. Dopo la vittoria, il Piemonte avrebbe ottenuto
l’annessione del Lombardo-Veneto, ma in cambio avrebbe ceduto alla Francia Nizza e la regione della
Savoia. Gli stati dell’Italia centrale sarebbero stati accorpati e assegnati ad un principe francese, mentre il
Regno delle Due Sicilie sarebbe rimasto ai Borboni. Il papa avrebbe perso parte dello Stato della Chiesa, ma
sarebbe diventato il presidente di una Confederazione composta dai regni dell’Alta Italia, dell’Italia Centrale
e dell’Italia meridionale. Tutto doveva svolgersi con il consenso delle grandi potenze.
Nel 1859, Cavour incaricò Giuseppe Garibaldi (un comandante militare di idee democratiche che si era
distinto nella difesa della Repubblica romana, nel 1849) di organizzare un gruppo di volontari e ammassarli
al confine, per mettere in atto una provocazione nei confronti dell’Austria, la quale in effetti il 29 aprile
1859 dichiarò guerra al Regno di Sardegna. Napoleone III, coerentemente con gli accordi di Plombières,
intervenne in Italia nelle battaglie di Palestro, Magenta, Solferino e San Martino. Nell’aprile-maggio 1859
l’esercito austriaco era costretto ad abbandonare la Lombardia, in Emilia-Romagna e in Toscana si
verificarono delle insurrezioni popolari, che rovesciarono le autorità tradizionali e instaurarono governi
provvisori, che scelsero di sottomettersi all’autorità di Vittorio Emanuele II.
Napoleone III si rese conto che ogni speranza di sostituire la Francia all’Austria stava svanendo, pertanto
stipulò con l’Austria l’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) che prevedeva il passaggio della Lombardia
al Regno di Sardegna, ma lasciava il Veneto sotto dominazione austriaca.
La spedizione dei Mille
Il 1° aprile 1860, il Piemonte e la Francia trovarono un accordo: in cambio di Nizza e della Savoia,
Napoleone III acconsentì al fatto che il Regno di Sardegna annettesse la Toscana, l’Emilia e la Romagna.
Il 4 aprile 1860, esplose un’insurrezione popolare a Palermo. Garibaldi incominciò allora ad organizzare
una spedizione militare, finalizzata a portare la rivoluzione nel Regno delle Due Sicilie. Ufficialmente il
Regno di Sardegna non era coinvolto, eppure Garibaldi poté radunare uomini e mezzi a Genova senza alcun
disturbo dalle autorità piemontesi. I Mille (1100 volontari) di Garibaldi partirono da Quarto (vicino Genova)
la notte del 5 maggio 1860; approdati in Sicilia riuscirono a sconfiggere l’esercito borbonico a Calatafimi il
16 maggio e ad entrare a Palermo il 275.
Il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli. La prossima meta sarebbe stata Roma. Consapevole che ciò
avrebbe provocato la reazione della Francia, che difendeva il papa dal 1849, il Regno di Sardegna
intervenne per fermare Garibaldi: guidate dal re in persona, le truppe piemontesi entrarono nello Stato
Pontificio, attraverso le Marche e l’Umbria e infine raggiunsero Garibaldi, che in ottobre accettò, a Teano,
di rimettere il comando del proprio esercito nelle mani di Vittorio Emanuele II.
Il 14 marzo 1861, Vittorio Emanuele II venne ufficialmente proclamato “re d’Italia, per grazia di Dio e
volontà della nazione”. Torino fu scelta come capitale. Il nuovo regno comprendeva l’intera Penisola, ad
eccezione del Veneto (di dominio austriaco) e del Lazio (appartenente al papa).
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Durante l’estate i contadini della cittadina di Bronte, nella Sicilia orientale, uccisero alcuni proprietari terrieri e
procedettero alla spartizione delle terre. Garibaldi, consapevole che solo l’appoggio della borghesia meridionale
poteva garantire successo alla sua impresa di unire il Sud Italia al Regno di Vittorio Emanuele II (che ormai
comprendeva tutta l’Italia settentrionale, ad eccezione del Veneto), ordinò l’immediata repressione del moto
contadino di Bronte. La città venne riportata all’ordine in modo spietato dal suo luogotenente, Nino Bixio.
Tutto l’insieme di avvenimenti politici e militari che condussero l’Italia alla conquista dell’indipendenza e
alla sua unificazione va sotto il nome di Risorgimento.
La frammentazione della Germania
Al Congresso di Vienna, la Germania era stata suddivisa in 39 stati, riuniti in una Confederazione,
presieduta dall’Austria. Circa 600 deputati di ogni parte del paese nel marzo del 1849 decisero di offrire al
re di Prussia, Guglielmo I, la corona di imperatore tedesco. Il sovrano rifiutò quell’offerta proveniente dal
basso. Il re di Prussia, comunque, decise di concedere una Costituzione e nel 1862 alla carica di cancelliere
fu chiamato Otto von Bismarck (1815-1898).
Le guerre di Bismarck
Nel 1866 la Prussia entrò in guerra con l’Austria e il 3 luglio riuscì a sbaragliarne (trasportando mezzo
milione di soldati sul campo per mezzo della ferrovia) l’esercito a Sadowa, in Boemia6. La vittoria permise
alla Prussia di mettersi a capo di un vasto complesso politico tedesco comprendente tutti gli stati situati a
nord del fiume Meno. Poiché si trattava di un’alterazione dell’equilibrio fissato a Vienna, la Francia di
Napoleone III protestò e nell’estate del 1870 si arrivò alla guerra aperta.
La nascita del Reich tedesco
Lo scontro decisivo si ebbe il 2 settembre 1870 a Sedan: l’imperatore e 104 000 soldati francesi vennero
fatti prigionieri dai tedeschi7. La cattura di Napoleone III provocò a Parigi l’immediata proclamazione della
Repubblica. Parigi venne assediata dall’esercito tedesco fino al 1° marzo del 1871, quando il governo
repubblicano decise di arrendersi. Il 18 gennaio 1871, nel palazzo di Versailles rinacque ufficialmente il
Reich (Impero) della nazione tedesca e il re di Prussia Guglielmo I venne proclamato imperatore (Kaiser)
del nuovo stato, comprendente ora l’intera Germania. La Francia fu costretta a rinunciare all’Alsazia e alla
Lorena. Il successo di Bismarck appariva totale: il processo di unificazione della Germania era riuscito senza
il minimo contributo popolare. Il Reich tedesco restò così fino al 1918 una monarchia semi-assoluta.
Le conseguenze in Italia e in Austria delle vittorie prussiane
Nella guerra austro-prussiana del 1866 il Regno d’Italia era alleato con la Prussia. Benché l’esercito
italiano venne sconfitto a Custoza e la flotta subì pesanti perdite nella battaglia di Lissa, tuttavia la
vittoria conseguita dai prussiani obbligò l’Austria ad arrendersi e a cedere il Veneto all’Italia.
L’Ungheria minacciò di ribellarsi, il governo viennese decise allora di concedere ampia autonomia a
Budapest, così che dal 1867 non si parlò più di Impero austriaco, ma di Impero austro-ungarico.
La vittoria tedesca del 1870 risultò decisiva per l’annessione di Roma al Regno d’Italia. A più riprese (nel
1862 e nel 1867) Garibaldi aveva tentato, con reparti di volontari, di marciare sullo Stato della Chiesa, ma
era sempre stato fermato da Napoleone III che si era assunto il compito di difendere il papato.
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In quell’occasione i soldati prussiani utilizzarono per la prima volta il fucile ad ago, a retrocarica, che permetteva al
soldato di sparare accovacciato o disteso, senza doversi alzare per caricare il fucile dalla bocca.
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L’esercito prussiano mise in campo nuovi cannoni a retrocarica, in acciaio, prodotti dalle fabbriche dell’industriale
Alfred Krupp, di Essen
Il governo italiano cercò una capitale adatta alle esigenze del nuovo stato e la scelta cadde su Firenze. Ma
dopo la disfatta di Sedan e la proclamazione della Repubblica, la guarnigione francese che difendeva la
Roma del papa venne ritirata. Le truppe italiane pertanto poterono entrare nel Lazio e occupare Roma il
20 settembre 1870, dopo aver forzato le mura a Porta Pia. L’anno successivo Roma divenne capitale del
Regno d’Italia.
Il papa Pio IX, per protesta, si chiuse nei palazzi del Vaticano e rifiutò perfino i benefici che lo stato italiano
gli concesse con la Legge delle guarentigie, che gli riconoscevano i diritti di sovrano e gli assegnavano la una
cospicua cifra annua. Il papato vide nel nuovo stato unitario solo una costruzione violenta e illegittima e
proclamò il non expedit (non è opportuno), ovvero la proibizione ai fedeli di partecipare alla vita politica,
che durò fino al 19138.
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Nel 1864 papa Pio IX ordinò la compilazione del Sillabo (elenco) degli errori del mondo moderno, in cui la
Chiesa condannava categoricamente la società borghese moderna figlia dell’Illuminismo e della Rivoluzione
francese
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