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IL CONSENSO INFORMATO E LE MISURE DI CONTENZIONE
Il diritto alla libertà del proprio corpo è senza alcun dubbio il più elementare dei diritti di libertà
solennemente garantiti dalla Costituzione italiana che, come noto, all’art. 13 sancisce l’inviolabilità
della libertà personale.
Eppure basta una semplice malattia, una perturbazione della mente o, più semplicemente, la
vecchiaia, perché questo fondamentale diritto venga messo in discussione.
In Italia si stima che nei settori psichiatrici e geriatrici il ricorso ai mezzi di contenzione abbia una
percentuale variabile dal 20 al 50 % dei casi1.
La prima legge in materia nata dal bisogno di regolamentare un fenomeno sempre più
incontenibile, fu la num. 36 del 1904, intitolata “Legge sui manicomi e sugli alienati” seguita dalla
num. 615 del 1909 “Regolamento attuativo”.
Principio ispiratore di tali provvedimenti era che le funzioni assistenziali infermieristiche di
custodia e domestiche fossero finalizzate a far rispettare le regole, controllare e contenere i
comportamenti disturbati e disturbanti.
Nel 1968 con la legge num. 431 sull’assistenza psichiatrica si arriva ad una prima parziale
revisione della legge del 1904: punti salienti di tale intervento legislativo erano l’abolizione
dell’obbligo dell’iscrizione del paziente al Casellario Giudiziario, il riconoscimento della
possibilità di ricovero volontario e l’istituzione dei centri di igiene mentale.
Si giunge quindi alla riforma psichiatrica n. 180 del 1978, intitolata “Accertamenti e trattamenti
sanitari volontari e obbligatori”, poi inserita all’interno della legge num. 833/78.
Il principio ispiratore diventa il fatto che il malato di mente ha gli stessi diritti degli altri pazienti e
quindi non deve più essere curato in base alla pericolosità sociale con la custodia; la cura e il
ricovero diventano una libera scelta della persona, solo in casi particolari si può intervenire contro
la sua volontà tramite un trattamento sanitario obbligatorio definito un atto sanitario e non di
controllo sociale.
Tale nuova impostazione scuote dalle fondamenta il principio stesso del ricorso ai mezzi di
contenzione, al punto da ipotizzarne l’incompatibilità con il principio della volontarietà del
trattamento sanitario.
Nonostante questo, continuano ad essere redatti protocolli che disciplinano l’uso della contenzione
nelle case di riposo, nelle R.S.A, nei reparti di geriatria, nei reparti di rianimazione, nei reparti di
neurologia ecc2.
Le motivazioni che inducono a contenere gli ospiti nelle residenze per anziani si ravvisano nella
necessità di prevenire i danni da caduta, di controllare i comportamenti disturbanti, quali
l’aggressività e il vagabondaggio, di consentire la somministrazione di un trattamento medico senza
l’interferenza del paziente.
In realtà si tratta di un intervento raramente appropriato nell’anziano a causa delle conseguenze su
molte funzioni fisiche e psichiche, non più stimolate adeguatamente3. Si riduce la massa e il tono
muscolare, peggiora l’osteoporosi, si perdono progressivamente le funzioni di vita quotidiana, come
alimentarsi, vestirsi, lavarsi.
A questo devono necessariamente aggiungersi le lesioni provocate da presidi inadeguati o nel
tentativo di liberarsene.
Pesanti sono le conseguenze sul piano psicologico, anche se si tratta di pazienti confusi o dementi:
dall’agitazione all’umiliazione, alla paura, all’apatia, alla deprivazione neuro-sensoriale.
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2
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“Linee guida per l’uso della contenzione fisica nell’assistenza infermieristica” in Nursing Oggi, Numero 4, 2001
“La contenzione” Dott. Grassi e Dott. Ramacciotti in www.Filodiritto.com
“Conseguenze del contenimento sul paziente anziano” in Manuale di psichiatria dell’anziano. Padova, Piccin.
1
Le cadute, motivo per cui viene usata la contenzione, spesso non diminuiscono e gli esiti sono più
rovinosi. La mortalità nei pazienti sottoposti a contenzione pare sia maggiore, anche se è difficile
quantificarla4.
Dati i valori costituzionali inevitabilmente sottesi in materia di misure di contenzione e il totale
fallimento dell’applicazione della misura di contenzione in tema di prevenzione dei disturbi
comportamentali si pone come necessario affrontare la tematica da un punto di vista preventivo e in
virtù di un approccio multidisciplinare.
In altre parole la decisione di applicare la misura di contenzione dovrà porsi come l’extrema ratio,
assunta al termine di un processo che non potrà prescindere da una valutazione multidimensionale
del soggetto, strumento che permetterà di capire a priori chi potrebbe essere a rischio di cadute o di
disturbi comportamentali.
Il punto d’incontro tra le varie professionalità sarà rappresentato dal Piano Assistenziale
Individuale, in cui sarà possibile affrontare le varie problematiche e nel quale si cercherà di
individuare gli interventi da mettere in atto per prevenire i disturbi del comportamento in quel
soggetto ed in quel contesto.
In tale luogo d’incontro andranno affrontate le tematiche relative alla riorganizzazione del lavoro
mediante piani di assistenza che terranno conto, fin dove possibile, delle specifiche esigenze dei
soggetti.
Con altri soggetti (enti gestori), invece andranno affrontati argomenti relativi alla “protesizzazione
ambientale”’, data la scarsa padronanza dell’ambiente che hanno gli anziani affetti da patologia
dementigena, e che potrebbero scatenare i predetti disturbi comportamentali5.
In tale ambito, sarà decisa e condivisa l’eventuale applicazione del mezzo di contenzione quale
ultima risorsa in situazioni pericolose, non altrimenti risolvibili ed evitabili.
Laddove la contenzione dovesse essere l’ultima risorsa possibile si dovrà porre in essere quanto
possibile perché la stessa conservi quella valenza sanitario-assistenziale di cui si parlava.
In primo luogo preme precisare l’esatta definizione della misura di contenzione intesa come
quell’insieme di mezzi fisici-chimici-ambientali che, in qualche maniera, limitano la capacità di
movimenti volontari dell'individuo.
Più in particolare si tratta di un atto sanitario-assistenziale che utilizza mezzi fisici-chimiciambientali, applicati direttamente o allo spazio circostante all'individuo per limitarne i movimenti:
per quanto possa sembrare superfluo è importante evidenziare che la contenzione, in quanto atto
medico, necessita sempre di prescrizione medica.
E’ bene qui ricordare che una prescrizione, per essere valida, dovrà essere preceduta dal consenso
informato.
Solo in questo modo la contenzione assumerà dignità propria.
E’ chiaro, quindi, che la contenzione rimane una pratica illegale, laddove applicata senza il
consenso del paziente.
Con riferimento a soggetti cognitivamente integri il medico avrà quindi il dovere di informarli al
fine dell’acquisizione del consenso, tenendo conto di alcune peculiarità non potendo prescindere
dal livello culturale e dalle capacità di comprensione del singolo individuo ed avendo quindi cura
di usare un linguaggio semplice e accessibile (cfr. art. 30 Codice Deontologico medico).
Nel caso, invece, di soggetto dichiarato legalmente interdetto l’obbligo informativo andrà espletato
nei confronti del tutore (cfr. art. 33 Codice Deontologico medico).
Spesso, però, nelle case protette, nelle residenze sanitarie assistenziali e nei centri diurni sono
ospitati soggetti interessati da disturbi psicologici - comportamentali per i quali il trattamento
d’urgenza degli stessi disturbi diventa quotidianità.
E’ evidente come per tali soggetti risulti arduo esprimere un consenso valido in quanto è difficile
pensare ad un loro coinvolgimento nell’iter decisionale.
“Prove di efficacia sulla contenzione fisica nella riduzione delle cadute in ospedale” Centro Studi EBP Ausl Cesena
“La contenzione nelle strutture geriatriche: da strada senza uscita…a percorso circolare!” a cura di Rocco
Amendolara pubblicato su InfermieriOnline del 16.04.03
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5
2
È anche vero, però, che la diagnosi di demenza non indica di per sé una perdita della competenza
intesa come la capacità di comprendere una situazione e di prendere decisioni al riguardo.
Nelle prime fasi della malattia è infatti possibile che il paziente sia ancora in grado di valutare
correttamente una situazione e prendere quindi decisioni al riguardo. Questo perché la competenza
non è un concetto unitario: esistono molteplici abilità funzionali differenti, per cui il soggetto può
non essere più in grado di guidare la macchina ma ancora in grado di esprimere il proprio consenso
(ad esempio, per partecipare ad una sperimentazione medica).
Si parla quindi di standard soggettivo che corrisponde a ciò che quel determinato paziente può
comprendere e in merito al quale decidere6.
In questo caso, informazione e acquisizione del consenso dovranno confrontarsi con diverse
capacità decisionali.
Quando però la perdita di competenza è tale da rendere difficoltoso il coinvolgimento dell’anziano
nell’iter decisionale sarà il medico a dover decidere assumendosi ogni responsabilità in merito.
Corre onere evidenziare, infatti, che la posizione di garanzia rivestita dal sanitario pubblico
costituisce espressione dell'obbligo di solidarietà garantito dalla Costituzione7 funzione che gli
conferisce addirittura l'obbligo giuridico di intervenire sancito dall'art. 40 CP secondo il quale "non
impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire equivale a cagionarlo"8.
A questo deve necessariamente aggiungersi che le professioni sanitarie in genere, le quali
costituiscono "servizi di pubblica necessità" ai sensi dell'art. 359 C.P., implicano talora l'uso di
violenza personale nell'interesse del paziente.
È chiaro il riferimento allo stato di necessità disciplinato dall’art. 54 del Codice Penale secondo il
quale il medico che abbia applicato la misura di contenzione, pur avendo compiuto un reato (in
quanto ha limitato la libertà di movimento di una persona senza il consenso di quest’ultima) non
sarà punibile qualora vi sia stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale
di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti
evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
In tali circostanze il medico ha non solo il diritto ma anche il dovere di agire anche in assenza di
esplicito consenso in quanto, in caso contrario, potrebbe incorrere nell’accusa di abbandono
d’incapace.
Perché possa dirsi sussistente lo stato di necessità, e quindi perché il medico che ha applicato la
misura di contenzione prescindendo dal consenso del paziente non sia punibile, è però necessario
che sussista il cosiddetto principio di proporzionalità.
Oltre all’imminenza e alla non evitabilità del pericolo si richiede quindi la proporzionalità del fatto
al pericolo; più precisamente si richiede quell’adeguatezza d’intervento verso i rischi cui il soggetto
andrebbe incontro non applicando, nel caso concreto, la misura di contenzione.
È evidente quindi che la contenzione non potrà mai essere dettata da motivazioni di carattere
punitivo o giustificata per sopperire a carenze organizzative9.
Da quanto detto discende come naturale corollario che, durante tutto il periodo in cui viene
contenuto, il paziente dovrà essere assistito continuativamente e in maniera personalizzata10.
Non solo ma come un qualsiasi atto sanitario, la contenzione non è mai un processo statico, ma
sicuramente di tipo dinamico: la rivalutazione del processo, sia nel perseguimento dei suoi obiettivi
6
“Il Consenso Informato in Geriatria” Luisa Guglielmi in Assistenza Anziani Aprile 2005
7
Costituzione, art. 32 "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti".
8
“Leicità della contenzione a letto dei malati psichiatrici” -Tesi di Laurea di Alfredo Maglitto
9
In tal caso potranno configurarsi i reati di sequestro di persona (art. 605 C.P.), violenza privata (art. 610 C.P.) e
maltrattamenti (art. 572 C.P.).
Qualora, infatti, per l’uso dei mezzi di contenzione, si verificassero danni alla persona, si potrebbero configurare
gravi ipotesi di reato, per responsabilità colposa (art. 590 c.p., ‘Lesioni personali colpose’) o per violazione dell’art. 586
C.P. (‘Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto’).
10
3
(mettere in sicurezza il soggetto e gli altri), sia nei suoi standard procedurali, va affrontato e rivisto
periodicamente11.
I principi sopraesposti trovano integrale applicazione anche nel Codice deontologico dell’infermiere
che, all’art. 4.10, prevede espressamente l’obbligo per l’infermiere di adoperarsi “affinché il ricorso
alla contenzione fisica e farmacologia sia evento straordinario e motivato, e non metodica abituale
di accudimento. Considera la contenzione una scelta condivisibile quando vi si configuri l’interesse
della persona e inaccettabile quando sia una implicita risposta alle necessità istituzionali”.
Tale documento, prevedendo esplicitamente la possibilità da parte dell'infermiere di contenere,
viene a far rientrare di fatto tra le competenze dello stesso l’applicazione della predetta misura
ovviamente nei limiti e nei modi posti dal Codice Deontologico stesso (art 4.10. Rapporti con la
persona assistita) e nel rispetto della libertà e dignità della persona (art. 2. Principi etici della
professione).
In particolare, per quanto riguarda la responsabilità infermieristica, essendo la contenzione
assimilabile a una pratica terapeutica, l'infermiere potrà contenere soltanto se esiste una prescrizione
medica, rispondente alle seguenti regole12:
 registrazione in cartella clinica con l’indicazione della:
o motivazione circostanziata;
o durata del trattamento o della sua rivalutazione previa verifica;
o tipo di contenzione e modalità da utilizzare (solo polsi, polsi e caviglie, ecc.).
Naturalmente possono verificarsi situazioni talmente urgenti da non consentire la possibilità di
seguire la procedura sopra descritta o addirittura che il medico non sia presente fisicamente in
reparto.
In questo caso, perché l’infermiere possa contenere il paziente dovrà sussistere, come già illustrato
il cosiddetto stato di necessità.
Interessante in tale ambito si pone la questione del dissenso al trattamento sanitario e, più
precisamente, all’applicazione della misura di contenzione.
Quid iuris qualora il paziente, anziché essere incapace a consentire, rifiuti l’applicazione della
misura di contenzione laddove il rifiuto sia attuale, lucido ed informato rispetto alle condizioni di
salute e ai rischi eventuali
Il medico potrà intervenire ugualmente e quindi contro la volontà del paziente? E se sì con quale
strumento, giuridico?
É certo che il dissenso di una persona è cosa profondamente diversa dall'incapacità a consentire;
nel dissenso infatti si ha una manifestazione di volontà che decide in ordine alla propria salute sia
pure negativamente in quanto frutto del particolare diritto alla libera autodeterminazione.
La Costituzione italiana, inoltre, al II comma dell’art. 32, non impone di curare certe malattie ma
di subire determinati trattamenti; e perché ciò possa avvenire occorre che vi sia un interesse della
collettività.
L’interesse della collettività non è quello di un numero indefinito di persone ma la somma dei
singoli che costituiscono un certo contesto sociale ed è interesse-diritto alla propria salute.
Non può cioè trattarsi né di sanità pubblica, né di sicurezza pubblica ma di salute pubblica.
Insomma perché un trattamento sanitario possa, secondo legittimità costituzionale, essere imposto
occorre che sia finalizzato sia alla cura della persona che lo subisce sia ad un interesse per la salute
della collettività.
La contenzione nelle strutture geriatriche: da strada senza uscita…a percorso circolare!” - a cura di Rocco
Amendolara
12
“La contenzione fisica in psichiatria: reclusione o nursing? “-Giornata di studio sulla contenzione fisica e
farmacologica per il Collegio IPASVI di Pistoia- 19.04.04 Relazione di CPSE/Afd-SaP Valter Fascio
11
4
Sono quindi fuori dal dettato costituzionale quei trattamenti imposti unicamente allo scopo di
tutelare o solo la salute del singolo o solamente la salute della collettività.
Quando questi requisiti materiali sussistono, per imporre il trattamento sanitario occorre che il
legislatore si pronunci normando nella forma di legge.
La dottrina giuscostituzionalistica è inoltre concorde nel ritenere tale riserva di legge rinforzata
dal rispetto della dignità della persona umana (si ricorda infatti che ai sensi dell'art. 13 Cost. la
libertà personale è inviolabile).
In tale ambito si pongono come contrari al requisito del rispetto della dignità della persona umana
quei trattamenti imposti unicamente al fine di garantire la salute del solo paziente.
In tal modo, infatti, egli verrebbe ad essere privato del diritto alla libera autodeterminazione sulla
base di principi di uno Stato paternalistico.
Solo quindi in presenza dell’esecuzione di un trattamento sanitario obbligatorio per legge il medico
potrà prescindere dal consenso del paziente.
È chiaro quindi che la contenzione rimane una pratica illegale laddove applicata senza il consenso
del paziente.
Né si può, a parere di chi scrive, ritenere sussistente nella fattispecie in esame lo stato di necessità
di cui all’art. 54 CP legittimante l’applicazione della misura di contenzione prescindendo dal
consenso del paziente:
o Manca, infatti, il requisito dell’attualità del pericolo in quanto raramente, in ordine
all’applicazione o meno di misure di contenzione, esistono pericoli per la vita: non può
dirsi infatti che esiste un pericolo attuale per la persona, cosa tra l'altro futura oltre che
difficile da dimostrare ex ante;
o Né potrebbe ritenersi soddisfatto il principio di proporzionalità in quanto la misura della
contenzione è limitativa della libertà della persona e profondamente lesiva della dignità
della stessa, ponendosi, sine ullo dubio, eccessiva oltre che indeterminata per la forma e per
la durata.
Non è inoltre percorribile il ricorso alla nomina di un amministratore di sostegno allo scopo di
prestare il consenso informato in ordine all’applicazione della misura di contenzione trattandosi, nel
caso in esame, di soggetto capace di intendere e volere e quindi in grado di esercitare in proprio il
diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario.
Il Giudice Tutelare del Tribunale di Torino, con decreto del 22.05.2004, ha ben precisato, infatti che
l’attività dell’ amministratore di sostegno per quanto attiene la cura della persona “non potrà
comportare la sostituzione del consenso del malato, in caso di decisioni relative a interventi o
terapie già rifiutate dallo stesso, o che lo stesso non è in grado di valutare ai fini della decisione, salvi
i casi di urgenza ai sensi dell’art. 405, comma 4, c.c.”
Alla luce delle predette considerazioni, la scrivente ritiene di poter legittimamente concludere nel
senso che il medico non possa fare altro che subire il fermo e lucido dissenso del paziente, pena il
rischio di essere accusato di sequestro di persona qualora procedesse ugualmente all'applicazione
della contenzione.
Ovviamente il professionista (in collaborazione con lo staff del reparto ove il paziente è ricoverato)
dovrà provvedere all’elaborazione di strategie alternative al fine di evitare la realizzazione di quel
rischio che, attraverso l’applicazione della misura di contenzione, si voleva evitare13.
I disturbi d’ansia, ad esempio, potranno essere efficacemente combattuti attraverso l‘utilizzo di
strategie alternative di tipo relazionale come una maggiore disponibilità all‘ascolto da parte
dell‘operatore.
In tema di prevenzione delle cadute si porranno come utili e necessarie delle modificazioni
ambientali volte alla riduzione del rischio quale la diminuzione dell‘altezza dei letti, una maggiore
illuminazione e pavimentazioni adeguate.
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“La contenzione fisica in ospedale” Ospedale Niguarda Cà Granda
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