Liceo Scientifico “GIORDANO BRUNO” - Mestre - AVANGUARDIA DELLA TRADIZIONE “L’INFINITO DELLA VITA ANIMALE” Professor Boncinelli Edoardo Lezione del 12 marzo 2009 Professor Giuliano Martufi: Possiamo iniziare. Oggi con il Prof. Boncinelli chiudiamo il nostro ciclo dedicato a Darwin. Credo che il Prof. Boncinelli sia una delle personalità più autorevoli in Italia per chiudere anche le celebrazioni, da noi almeno. Oggi pomeriggio, sarà, se non sbaglio, al Museo di Storia Naturale di Venezia, non so se farà la stessa lezione, ma personalmente andrò ad ascoltarlo comunque, proprio invitato da un’associazione di naturalisti veneziani per parlare in occasione dell’Anno darwiniano. Intanto, comunico a tutte le persone interessate che dai prossimi giorni saranno disponibili le trascrizioni delle due precedenti conferenze. Ho qualche imbarazzo a presentare io il professore, la nostra Preside si era impegnata a farlo, non mi sono preparato nel senso che per presentare una persona così bisogna scegliere cosa dire e cosa non dire, quindi non mi sono preparato. E’ un genetista, io l’ho ascoltato anche di recente ad una trasmissione radio dove parlava di letteratura e gli spiegavo che, per esempio, mi ha fatto venire la voglia di leggere un libro che una persona della mia età, e credo anche della sua età, più o meno, non avrebbe di per sé voglia di leggere. Mi ha sorpreso sentire che quel libro gli era stato suggerito da un giovanissimo scrittore, che oggi è molto noto: Paolo Giordano. Quindi ho immaginato strane interrelazioni di personalità tra i due. In gioventù ha anche collaborato con una rivista importante della letteratura italiani, diretta da Bonsanti. E’ laureato in Fisica. Raccontavo questa cosa ad alcuni studenti l’altro giorno, se noi pensiamo alla ripartizione del nostro corso di studi, a maggior ragione in tempi nostri, Fisica e Scienza della vita come entità separate e, invece, poi è diventato un grande genetista. Insomma, tante cose che io non so dire ordinatamente, ripeto, perché non sono preparato. Comunque sia, voglio solo ricordare, a questo punto, prima di lasciare a lui il microfono, il titolo preciso della lezione di oggi che è: “L’evoluzionismo ieri e oggi”. Per preparare la quale lezione il professore ci ha dato indicazione di qualche suo libro che sta circolando tra i nostri studenti per quel che riguarda la copia di cui disponiamo in biblioteca e il suo articolo nel numero del mese scorso di “Le Scienze”, questo articolo in fotocopia è circolato abbastanza. Adesso io mi taccio e lascio la parola al Prof. Boncinelli. Professor Boncinelli Edoardo: Grazie, buongiorno. Penso che sia chiaro di che cosa sto per parlare. Sto parlando della teoria dell’evoluzione. Si dovrebbe aggiungere l’aggettivo “biologica”, perché, purtroppo, si fa una certa confusione tra l’evoluzione degli astri, l’evoluzione biologica, e cioè dei viventi, e l’evoluzione culturale, che è una caratteristica tipicamente umana. Io parlerò della teoria dell’evoluzione biologica, che è nata circa 150 anni fa, attraverso un’opera, “L’Origine delle Specie”, scritta da Charles Darwin, come tutti sanno, che è nato 200 anni fa. Quindi quest’anno è un po’ magico da questo punto di vista, perché sono 200 anni dalla nascita di Darwin e 150 anni dalla pubblicazione di questo libro. La teoria dell’evoluzione è un racconto scientifico di quello che, presumibilmente, è successo sulla terra negli ultimi circa 4 miliardi di anni, cioè da quando sono comparsi i primi esseri viventi fino ai nostri giorni. E’ una teoria scientifica, è una teoria con tutti i crismi, è una teoria della quale chi lavora in laboratorio o sul campo in genetica, in biologia molecolare non dubita per niente. Però è una teoria che ha avuto una certa risonanza e ha suscitato anche polemiche. Già fin da quando è uscita nell’Inghilterra vittoriana c’è stata gente che si è violentemente risentita. Badate bene: non gli scienziati, per quanto anche gli scienziati abbiano una certa resistenza ad accettare il nuovo, come è successo nei campi della fisica, per esempio, con la teoria della relatività, o con la meccanica quantistica; è sorprendente quanto poco la compagnia dei naturalisti ha resistito alla penetrazione della teoria dell’evoluzione. Quelli che, invece, hanno resistito sono stati gli uomini della strada, soprattutto gli uomini di un certo tipo di cultura, che vedevano minacciata da questa teoria una certa visione del mondo e soprattutto dell’uomo. Queste polemiche non hanno quasi mai toccato l’Italia, perché il nostro beato Paese di cui della scienza non ce ne importa assolutamente niente. Quindi l’italiano medio, 30 anni fa, sapeva che c’era la teoria dell’evoluzione, pensava che avesse qualche ragione, ma di fatto non se ne occupava minimamente. Come sapete, è successo che qualche anno fa, negli Stati Uniti, per opera di alcune chiese protestanti, si è messo in dubbio l’intero racconto prospettato da Darwin, la teoria dell’evoluzione, e gli si è contrapposto la lettura letterale delle Sacre Scritture, nelle quali, appunto, c’è scritto che Dio ha creato il mondo in sei giorni e, secondo questa teoria, anche se non c’è scritto chiaramente nella Bibbia, le specie sono sempre state le stesse, non sono mai cambiate, sono rimaste fisse. Questa corrente di pensiero prende il nome di “creazionismo”, perché dice le cose sono state create direttamente da Dio. In Italia credo che creazionisti non se ne incontrino o, perlomeno, apertamente convinti di questo. Almeno io, in tanti anni, in tante conferenze, in tanti dibattiti, un creazionista italiano non l’ho mai incontrato. Anche perché la Chiesa cattolica, per bocca di Giovanni Paolo II, aveva aperto qualche anno fa alla teoria dell’evoluzione dicendo che non era più un’ipotesi, ma era una serie di fatti dimostrati. Nell’America, invece, non sono stati tranquilli: hanno fatto processi, hanno fatto litigi, stanno facendo litigi. Una parte di coloro i quali avversano la teoria dell’evoluzione, ma non sono necessariamente lettori attenti della Bibbia, ha dato vita a un secondo movimento che prende il nome di “intelligent design”, come dire “progetto intelligente”, il quale non dice che tutto l’ha fatto Dio, però lo stesso non crede alla teoria dell’evoluzione; dice che la spiegazione che la teoria dell’evoluzione prospetta è troppo semplicistica, non spiega bene le cose, però costoro non ci dicono mai perché. Io direi che in questo momento nel nostro Paese, visto che il creazionismo non ha mai attecchito, c’è questa polemica (si fa per dire) tra sostenitori della teoria dell’evoluzione e sostenitori di questo fantomatico progetto intelligente o intelligibile, perché poi intelligente che cosa vuol dire? Come fa un progetto ad essere intelligente? Per cui, appunto, ci sono delle critiche. Io entrerò il meno possibile nelle polemiche perché io dico che quando due polemizzano hanno torto tutti e due. Io mi limiterò a farvi un riassunto della parte scientifica, cioè della parte seria, della teoria dell’evoluzione, quale ogni biologo sente che corrisponde alla verità e adopera, anche se magari chiamato qui non la saprebbe raccontare bene, però l’adopera spontaneamente. E quindi dirò cose che forse qualcuno di voi sa, ma è inevitabile in qualsiasi conferenza, non è che si può dire sempre qualcosa di nuovo. Non è che posso dire che i cani hanno sette zampe, i cani hanno quattro zampe, chi lo sa si deve arrangiare! Cominciamo con il problema: una teoria scientifica deve spiegare qualche cosa. Che cosa deve spiegare la teoria dell’evoluzione? Se guardate bene questa pagina, vedete che ci sono tre voci messe in un certo ordine. Io le ho messe in ordine di obiettività decrescente. Sulla prima non ci piove, sulla seconda quasi, sulla terza si può discutere. Questo voi lo troverete molto raramente, perché in genere si ritiene che il problema da spiegare sia l’ultimo. Prima di tutto, esistono innumerevoli specie di esseri viventi. Su questo credo che ci sia poco da chiacchierare. Lo sappiamo tutti: esistono tante specie di animali, tante specie di piante, tante specie di funghi, tante specie di batteri. Quante? Certamente più di 10 milioni. 10 milioni è un bel numero! In realtà, noi non ne conosciamo 10 milioni, noi ne conosciamo qualche milione; ma, facendo una serie di calcoli indiziari, si può pensare che le specie siano più di 10 milioni, delle quali, pensate voi, solo gli insetti ne occupano 2 milioni. Punto primo: grande diversità degli esseri viventi. Punto secondo: ovunque su questa terra è possibile che ci sia vita. Per ragioni fisiche, per ragioni chimiche voi ce la troverete e non ci trovate e non ci trovate una specie sola, ci trovate diverse specie che permettono l’una all’altra di sopravvivere. Quindi la vita è presente con innumerevoli specie ovunque è possibile. Questi sono due dati di fatto inoppugnabili. Io, però, ho aggiunto, perché in genere si parte da questo: queste specie ci paiono – attenzione: “ci paiono” – possedere caratteristiche biologiche mirabilmente adatte alla vita negli ambienti dove vivono. Di solito, si mette questo al primo posto. Si dice: come spiegare l’adattamento. L’adattamento non è una parola scientifica. Non si può misurare l’adattamento, non si può comparare, non si può confrontare, e soprattutto è un’interpretazione umana. A noi sembra ragionevole pensare che il formichiere ha la lingua lunga, fatta apposta per pigliare le formiche da un formicaio, e che questa sia la ragion d’essere di quella lingua. A noi sembra che la coda di un castoro sembra fatta apposta per comprimere il fango per formare una diga, però è un’interpretazione puramente umana. Quasi sempre la scienza ci dimostra che queste caratteristiche sono nate per tutt’altri motivi, anche se noi le interpretiamo a modo nostro. Ma sappiamo altre due cose. Sappiamo che nel passato la situazione è stata diversa, basta scavare un pochettino per terra e si vede specie che una volta sono esistite e che oggi non ci sono più; viceversa, specie di oggi che in passato non esistevano. E poi l’argomento della sistematica. Non è che le specie sono distribuite a ventaglio, senza parentela; alcune specie si somigliano di più, alcune specie si somigliano di meno. Per esempio, noi assomigliamo più a uno scimmione che a un cane, ma assomigliamo più a un cane che a un serpente, assomigliamo più a un serpente che a una mosca. Quindi c’è una serie di relazioni gerarchiche che, badate bene, erano note molto prima che Darwin pensasse alla teoria dell’evoluzione. Il ‘700 è stato il trionfo della sistematica, il trionfo dei comparatisti, ma non riuscivano a capire perché c’erano queste relazioni. Oggi sappiamo – e non riusciamo nemmeno a capire come non l’avessero capito – che due specie che si somigliano di più vuol dire che si sono separate più di recente tra di loro; due specie che si somigliano di meno vuol dire che si sono separate da più tempo. Darwin stesso, che ha scritto parecchie cose anche autobiografiche, e che ha una prosa lineare, limpida, quasi infantile, ci racconta da dove è partito. La prima osservazione che lui ha fatto, ma l’hanno fatta tanti prima e dopo di lui, che però è fondamentale: in ogni popolazione esiste qualche individuo diverso dagli altri, che lui chiamò “variante” e che noi oggi chiamiamo “mutante”. Badate bene, questo si vede da tanto tempo. Il genio di Darwin – come succede sempre, un occhio particolare, naturalmente un occhio della mente – ha visto in questa osservazione banale qualcosa di interessante. Non solo nelle popolazioni naturali, ma anche nelle popolazioni artificiali. Lui, come tutti i ricchi dell’800 in Inghilterra, aveva delle coltivazioni di fiori, aveva o visitava degli allevamenti di bestiame, e lui notò che anche nelle popolazioni, appunto, artificiali, cioè fatte dall’uomo, c’era sempre qualche esemplare diverso dagli altri: il classico quadrifoglio in un campo di trifogli. Prima osservazione. Seconda osservazione, basata sempre sugli orticoltori e sugli allevatori: la selezione che loro fanno, cioè la selezione artificiale è potentissima; infatti, si può costruire una nuova razza di cani in poco più di venti anni, si possono costruire nuove varietà di fiori o in genere di piante in poco tempo. Cosa fa un allevatore? Cosa fa un orticoltore? Se vuole ottenere un cane con le gambe corte, piglia in una popolazione di cagnolini i maschi e le femmine con le gambe più corte e li fa accoppiare, non facendo accoppiare quelli con le gambe più lunghe; quindi ‘costringe’, in un certo senso, ad accoppiarsi individui che a lui piacciono di più. Naturalmente, può cercare i cani con le gambe corte, ma può cercare anche i cani con le gambe lunghe; può cercare i cani con il pelo corto, ma può cercare i cani anche con il pelo lungo. A seconda della caratteristica che cerca, lui li fa incrociare in una certa maniera e, a quell’epoca, era una floridissima impresa quella di coltivatori e allevatori. Quella che più colpito me da uomo di oggi è quella dei piccioni viaggiatori. A noi fa ridere oggi il piccione viaggiatore, eppure, evidentemente, a quell’epoca, doveva essere una cosa importante. Pensate che c’erano 65 varietà di piccione viaggiatore e Darwin le conosce tutte e le nomina tutte con nomi che oggi, praticamente, non esistono più. Infine, lui lesse un libro, che a quell’epoca divenne rapidamente molto famoso, un libro di Malthus, che poi ha dato luogo a quella moda intellettuale che ha preso il nome di malthusianesimo, nel quale Malthus seguiva un pochettino l’andamento del numero di esseri umani sulla Terra, ma quello vale per tutte le altre specie. L’osservazione qual è? Che in ogni specie nascono molti più individui di quanti ne arrivino effettivamente all’età riproduttiva; il che raggiunge il massimo con certi pesci che depongono milioni di uova, da questi milioni di uova all’età riproduttiva arrivano tre, quattro esemplari. Quindi c’è un’enorme carneficina naturale in questa che, purtroppo, è stata successivamente chiamata la “lotta per la vita”. Non è la lotta per la vita, è la lotta per lasciare discendenti. Sulla base di queste osservazioni, dopo averci pensato venti anni - perché lui ci racconta che la prima idea l’aveva avuta venti anni prima di buttarla giù e di pubblicarla - lui fece due proposte semplicissime. La prima non trova sostanzialmente nessuna opposizione: tutte le specie che vivono oggi derivano da uno stesso gruppo primitivo di organismi vissuti un tempo. Lui pensava a qualche milione di anni fa, oggi noi sappiamo 3 miliardi e 800 milioni di anni fa. A questo punto, bisogna dire che ad aprire la strada a tutto questo è stata la geologia, perché se uno pensa che la Terra abbia non dico 6 giorni, ma 6 mila anni, certe osservazioni della geologia non si possono spiegare. Allora la geologia aveva a poco a poco persuaso gli studiosi che la Terra aveva ben più di qualche migliaia di anni, però lui stesso pensava che si trattasse di qualche milione. Oggi noi sappiamo che i primi esemplari viventi - ma si fa per dire, insomma, sono delle tracce praticamente ininterpretabili - sono di 3 miliardi e 800 milioni di anni fa, un tempo per noi inconcepibile. La seconda proposta, invece, è quella che raccoglie tutte le obiezioni perché è troppo semplice. Tutta questa differenziazione, tutta questa produzione di specie diverse è avvenuta per due semplici meccanismi: per variazione, che oggi chiamiamo “mutazione”; e per selezione naturale. La parola “selezione naturale”, che è entrata ormai nel nostro linguaggio, doveva risultare ben strana ai contemporanei di Darwin, perché accanto alla parola “selezione” c’era sempre l’aggettivo “artificiale”. Quello che Darwin pensò è che la natura, nel suo complesso, si comportava un po’ come un allevatore, come un agricoltore, che sceglieva certi esemplari a danno di certi altri. A differenza dell’allevatore umano, non aveva un obiettivo, ma comunque preferiva alcuni piuttosto che altri. Classico esempio semplicissimo: in una prateria ricca di erba esiste una popolazione di erbivori; ogni tanto, per puro caso, nasce qualche animale più piccolo; poiché è più piccolo, perde nell’arrivare al pascolo, nell’arrivare alla riproduzione e magari nello scappare da qualche predatore. Quindi questi nuovi animali, che nascessero per caso un po’ più piccoli, non hanno nessuna possibilità di affermarsi. Supponete, però, che il periodo delle vacche grasse finisca, che le piogge diminuiscano, l’erba disponibile diventi più scarsa. Allora un animale più piccolo, che consuma di meno, che ha bisogno di meno erba, da svantaggiato diventa avvantaggiato. Forse qualcosa del genere è successo con i dinosauri, i quali si mangiavano tante tonnellate di erba che quando l’erba è cominciata a diventare scarsa sono dovuti soccombere. Comunque, riprendendo il nostro esempio, questi eventuali animaletti, che nascevano più piccoli, in questa nuova situazione sono addirittura avvantaggiati e quindi si riproducono di più di quanto fanno i vecchi animali di dimensione normale. A questo punto, possono succedere due cose: o se le condizioni ambientali persistono tutta la popolazione passa da animali di media taglia ad animali di piccola taglia; o, molto più probabilmente, si dividono il territorio, da una parte si piazzano quelli di media taglia, da un’altra si piazzano quelli di piccola taglia. Sia nel primo caso che nel secondo si ha, dopo qualche generazione, la nascita di una nuova specie. La nascita di una nuova specie, o “speciazione”, è il nocciolo, l’elemento, il mattone del processo evolutivo. Bisogna fare due precisazioni importantissime: la prima riguarda le variazioni o mutazioni; la seconda riguarda la selezione naturale. Le variazioni sono inevitabili e casuali. Non è possibile che non ci sia qualche variante, come aveva osservato sperimentalmente Darwin stesso. Oggi sappiamo perché: perché ogni volta che il DNA si replica deve copiare tutti i suoi caratteri che lo compongono, che nel caso di una specie come noi o simili a noi sono 3 miliardi. Questo processo di copiatura è perfetto, ma non è completamente esatto, fa un errore, pensate voi, ogni miliardo di elementi. Sarebbe come una segretaria facesse un errore di battitura ogni 500 mila pagine. E’ un errore irrilevante, ma poiché i caratteri che compongono il genoma delle specie che ci interessano sono 3 miliardi vuol dire che ogni volta che il DNA si replica c’è almeno qualche errore. Il risultato, che sappiamo oggi, ma lui non sapeva allora, è che per forza ci deve essere sempre in ogni popolazione, in ogni generazione qualche mutante. Sono anche casuali. Cosa vuol dire “casuali”? Che non hanno una direzione, non hanno una progettualità. Questo lo dico, lo si dice per distinguere la posizione darwiniana da quella di Lamarque. Lamarque è un naturalista francese che aveva intuito che le specie evolvono, ma ne aveva data una spiegazione molto diversa e diciamo pure psicologicamente molto più accettabile: un animale che in vita incontri sempre un certo tipo di ostacolo forma un certo callo, che a lui serve, oppure gli si allunga un’appendice perché gli serve. Secondo Lamarque, dopo qualche generazione, i discendenti nascevano già con il callo appena nato o nascevano con le corna più lunghe. Questa è una bellissima spiegazione, intuitivamente accettabile, purtroppo è falsa. Non si è mai dimostrato in 300 anni che qualche carattere che uno sviluppa durante la vita, e che si chiama “carattere acquisito”, sia stato ereditato. Per cui quando si dice che le mutazioni sono casuali si dice, sostanzialmente, che nascono sia le mutazioni che potrebbero favorire sia le mutazioni che potrebbero sfavorire sia un sacco di mutazioni che né favoriscono né sfavoriscono. Siccome noi, istintivamente, personalizziamo tutto, potremmo pensare che la selezione è qualcuno o qualcosa che ha un obiettivo. No, sono due parole, è una locuzione che indica un processo, per giunta osservabile a posteriori. Noi, quando vediamo chi viene selezionato, diciamo la selezione lo ha selezionato, ma non riusciamo mai a fare una previsione perché la selezione naturale avviene secondo principi che non sono, in genere, anticipati. Quindi la selezione naturale è un processo attraverso il quale l’ambiente circostante premia alcuni individui e ne penalizza altri, concedendo loro una diversa prolificità. Chi lascia tanti discendenti lascia anche i suoi geni e, quindi, è più probabile che, dopo un certo numero di generazioni, gli individui siano come lui; chi ne lasciano meno è più improbabile che lasci discendenti numerosi; chi non ne lascia nessuno non ha nessuna probabilità di affermarsi. Questa diapositiva contiene il nucleo concettuale di tutta la teoria. Se non si capisce questo, si dice che si parla della teoria dell’evoluzione, ma, in realtà, si parla di un’altra cosa. Il classico esempio che si fa sempre, che sta su tutti i libri, è quello del collo della giraffa, e si fa anche il confronto, in genere, tra il punto di vista darwiniano, cioè quello nostro di oggi, e il punto di vista lamarquiano. Supponiamo che esista una popolazione di protogiraffe che hanno il collo lungo, ma non tanto; quelle invece di brucare l’erba, che brucando tanti altri erbivori si nutrono delle foglie tenere all’inizio delle fronde degli alberi. Il punto di vista lamarquiano che cosa dice? Dice che una giraffa media in tutta la vita tende il collo e un pochino gli si allunga, il che probabilmente è vero perché l’uso sviluppa l’organo, ma quello che non è vero che dopo qualche generazione nasce un giraffino con il collo già lungo. La teoria darwiniana è molto più semplice. Dice: in una popolazione di protogiraffe nascono giraffe con il collo più lungo e con il collo più corto; quelle con il collo più lungo sono avvantaggiate perché mangiano più foglie e, quindi, dopo un certo numero di generazioni, prevale. Naturalmente, voi non trovate giraffe con il collo di 10 metri, perché? Perché troppo lungo sarebbe un vantaggio per pigliare le foglie altissime, ma sarebbe uno svantaggio per stare su perché ci vuole una colonna vertebrale, ci vogliono dei muscoli, ci vuole tutta una serie di… Quindi, quando in una sequenza evolutiva si vede la crescita o la diminuzione di un organo, bisogna sempre pensare che è una cosa di compromesso, altrimenti le corna diventerebbero sempre più grandi, le gambe diventerebbero sempre più lunghe, i colli diventerebbero sempre più lunghi. Cosa che non succede. Cinquanta anni fa circa, al tempo della Seconda Guerra Mondiale (un po’ più di cinquanta anni, per dire la verità), si riteneva che tutti gli animali e tutte le piante seguissero la teoria dell’evoluzione darwiniana, fuorché i batteri. Con i batteri c’era qualcuno che ancora dubitava, perché? Perché se io metto un antibiotico in una popolazione di batteri, vedo che abbastanza presto si formano i batteri resistenti. Allora si diceva: vedi, in questo caso, la presenza dell’antibiotico favorisce la presenza di batteri resistenti. Nel 1943, un certo numero di scienziati, tra cui l’italiano Salvatore Luria decise di vederci chiaro in questa faccenda. Ma è possibile che i cavalli e le mimose seguano un principio e i batteri ne seguano un altro? Facendo gli esperimenti, videro che anche nel caso dei batteri non era vero. Nel caso dei batteri si possono formare batteri favorevoli, cioè resistenti all’antibiotico, ma anche batteri ancora più suscettibili, o anche batteri che non sono più nemmeno suscettibili. Solo che quelli resistenti vengono selezionati molto velocemente, perché molto velocemente? Perché una generazione di certi batteri può durare poche ore o anche mezz’ora. Ecco che allora era un’illusione quella che i batteri fossero veloci a sviluppare una resistenza perché avevano delle proprietà diverse da quelle degli altri animali. Quindi dal 1943, anche se c’è qualcuno che non lo sa, il discorso è completamente chiuso. Le mutazioni sono casuali e sulle mutazioni che sono, per definizione, di tutti i tipi interviene l’ambiente a sceglierne alcuni invece che altri. La teoria dell’evoluzione è una teoria scientifica e come tale non spiega tutto. Alcune cose le spiega benissimo, alcune cose le spiega benino, alcune cose le spiega così e così, altre non le spiega per niente. Qui ho segnato un certo numero di date, per esempio: 3 miliardi 800 milioni di anni fa i primi esseri viventi; 600 milioni di anni fa circa, che è una data molto importante per la storia della vita perché di schianto compaiono tutte le divisioni tra i fenomeni animali importanti, 31 su 32. Deve essere successa l’ira di Dio, tanto è vero si chiama “esplosione del Cambiano”; poi, naturalmente, 6–7 milioni di anni fa i nostri antenati si sono separati dagli antenati delle scimmie antropomorfe. Ecco allora che ci chiediamo che cosa spiega la teoria dell’evoluzione. La teoria dell’evoluzione spiega molto male quello che è successo prima di 3 miliardi e 800 milioni di anni fa, o in quel momento. Non abbiamo nessuno strumento per capire perché siccome la teoria della selezione si basa sulla selezione di esemplari viventi, se non c’è esemplare vivente non si può selezionare. Purtroppo, si parla anche in quel caso di evoluzione prebiotica o evoluzione chimica facendo di nuovo confusione. La parola “evoluzione”, se significa cambiamento, va bene, ma se significa qualcosa di specifico, prima di quella data non c’è evoluzione. Spiega bene ma non benissimo quello che è successo da allora fino a 600 milioni di anni fa. Perché non spiega benissimo? Perché ci mancano dei dati, delle informazioni. Era un’epoca in cui sulla terra succedeva un po’ di tutto: terremoti, grandi inondazioni, glaciazioni, riscaldamento, meteoriti, che sono elementi di disturbo, non che sono elementi che contraddicono la teoria dell’evoluzione. Invece, la teoria spiega molto bene quello che è successo negli ultimi 600 milioni di anni, che è poi tutto quello ci interessa. Pensate, 600 milioni di anni fa non c’erano ancora i vertebrati, ma non c’erano ancora nemmeno gli insetti, c’erano gli artropodi che poi si sono divisi in insetti, molluschi, crostacei e via discorrendo. Un problema a parte, come capirete facilmente, è il problema dell’origine dell’uomo. Prove, ogni tanto qualcuno dice: ma quali sono le prove della teoria dell’evoluzione? Si fa più presto a dire che cosa non è una prova. Ci sono prove paleontologiche dagli scavi dei fossili; ci sono prove dalla sistematica per quale motivo gli animali hanno delle famiglie; ma oggi come oggi, diciamo da 30 anni almeno, le prove più schiaccianti vengono dalla genetica e dalla biologia molecolare, le quali hanno dimostrato, come vi farò vedere fra un attimo, che gli esseri viventi esibiscono un’incredibile unitarietà. Incredibile vuol dire che fino a 30 anni fa non si sarebbe nemmeno immaginato. Il risultato che oggi in laboratorio o sul campo, ogni giorno, c’è una nuova conferma della teoria. Direi che di queste tre voci ormai il numero delle prove genetiche e di biologia molecolare ha superato enormemente quelle precedentemente esistite. Ma, naturalmente, Darwin è esistito un po’ di tempo fa e ha scritto la sua opera principale 150 anni fa. È abbastanza logico chiedersi: ma è possibile che da allora non sia successo nulla? No, non è possibile, soprattutto in campo scientifico, soprattutto in campo biologico, dove, come tutti sanno, ne succede una tutti i giorni. Intanto, sono stati scoperti i geni che Darwin non conosceva assolutamente, sapeva che c’era l’eredità, ma non sapeva come funzionava. Si è scoperto il meccanismo di azione dei geni. Si è scoperto, come vi ho detto un attimo fa, la natura della mutazione. Tutte queste cose né Darwin né i suoi contemporanei le sapevano. In tempi più recenti, si sono scoperti i meccanismi genetici complessi e alcuni processi di sviluppo embrionale e post-embrionale assolutamente sconvolgenti. Quindi tutto questo ha cambiato profondamente l’articolazione della teoria, non la teoria, che è sempre basata sui due punti che ho enunciato prima, ma i dettagli, le rifiniture, i sottocapitoli. Guardate questa figura, che è presa da un mio articolo. Qui sopra c’è l’embrione di una mosca, anzi, di un moscerino. Questa è la testa, cioè la futura testa, questa è la futura coda. Vedete che il corpo è suddiviso in fasce colorate. Qui sotto ci sono i geni con nomi diversi, con colori diversi. Il gene verde controlla il collo, il gene azzurro controlla il torace, il gene giallo controlla la coda del moscerino. Scoperta 1983–1984. Scoperta 1985: gli stessi geni, con la stessa logica, controllano anche il corpo di un topolino, di un rospo, di un uomo e anche, perché no, di un mollusco. Qui sotto vedete l’embrione di topo, questa è la testa, questa è la coda, e vedete la stessa logica: il gene verde controlla il collo, il gene azzurro o il gene indaco controlla il torace, il gene giallo, anzi, i geni gialli, perché nelle nostre specie sono di più, controllano la coda. Questo è stato uno choc: 1985, quando si toccò con mano che l’importanza di quelli che suddividono il futuro corpo di un animale, che io a suo tempo chiamai “geni architetto”, sono gli stessi in un moscerino e nell’essere umano. Qui non c’è disegnato, ma io successivamente ho dimostrato che gli stessi geni controllano anche il cervello di un moscerino e il cervello di un topo, che sono ben diversi dal torace, dal collo e dall’addome, perché il cervello è molto più articolato. Ciò nonostante, ricordatevelo, come curiosità, il nostro cervello è suddivisibile in tre esattamente come il cervello di un moscerino. Questo ha cambiato molto il quadro e ha portato al cosiddetto “neodarwinismo”, cioè una versione aggiornata, arricchita, con linguaggio completamente diverso, dal darwinismo. Il neodarwinismo è stato bersaglio di molte critiche scientifiche, come è giusto che sia, perché senza critiche scientifiche, le teorie scientifiche non crescono. Io ho visto, nella mia vita, quindi negli ultimi 40, 45 anni, due critiche prevalentemente: il cosiddetto “neutralismo”, a opera di un giapponese incomprensibile che si chiama Kimura, che ha notato, giustamente, che in natura quando le vai a cercare trovi che le mutazioni sono molte di più di quelle mi aspettavo e moltissime di quelle sono senza effetto, cioè sono neutrali, ecco perché il nome di neutralismo; l’altra critica vi sarà più facilmente arrivata all’orecchio, è quella del “saltazionismo” o “teoria degli equilibri punteggiati”, il cui principale sostenitore è Stephen Jay Gould, che dice un’altra verità, se io scavo nei fossili mi rendo conto che in certi periodi è cambiato tutto e in certi periodi, anche lunghi, non è cambiato nulla. Ricordate che vi ho già parlato di quello che è successo intorno a 600 milioni di anni fa, cioè l’esplosione del cambiano; in quel periodo è successo un numero incredibile di cose. Poi siamo andati avanti milioni e milioni di anni con il succedere poco. Il neodarwinismo ha dovuto tenere conto di queste critiche scientifiche, cioè vere, cioè basate su osservazioni vere, e quindi è ulteriormente cresciuto dal punto di vista sperimentale e dal punto di vista teorico. Infatti, siamo arrivati al neodarwinismo attuale. Il paradosso qual è stato? Che se per i nostri gusti uno degli aspetti meno simpatici della teoria dell’evoluzione è che assegna una grande importanza agli avvenimenti casuali, la crescita del neodarwinismo invece di farli diminuire li ha fatti aumentare; cioè oggi noi sappiamo che c’è molto più spazio per le azioni del caso di quello che pensavamo 50 anni fa. Quindi i critici sono rimasti scornati, se sono quelli a cui non piace il caso. Infatti, noi sappiamo che tantissime cose, nell’evoluzione, sono avvenute per sconvolgimenti, alcuni dei quali non biologici: cambiamenti atmosferici, cambiamenti di temperatura, meteoriti, vulcanismi, comparsa o scomparsa di nuove terre, inondazioni, siccità. Non si può non fare la storia della vita sulla terra, se non si tiene conto di cose non biologiche che sono accadute. Per esempio, una delle teorie, non la teoria, ma una delle teorie per spiegare la scomparsa dei dinosauri è, appunto, che sulla terra sia caduto un meteorite talmente grosso che ha sollevato tanta polvere, la polvere ha oscurato la luce del sole, senza sole le piante non crescono; c’è stata una tremenda diminuzione della disponibilità di vegetali e questi animaloni, grandi grandi, che quando i vegetali erano abbondanti avevano un vantaggio, improvvisamente, si sono trovati senza mangiare. Oppure sconvolgimenti biologici esterni all’individuo: invasioni di altre specie, estinzioni improvvise per i motivi più diversi, espansioni o contrazioni delle popolazioni. Questo è un punto importante. Molte popolazioni naturali non restano fisse con una certa quantità di membri, ma fluttuano; in certi periodi hanno tanti membri, in certi periodi hanno pochi membri. Pensate alle mosche d’estate o d’inverno, d’estate sono tante, d’inverno sono poche. Questo assottigliarsi della popolazione è chiamato in inglese “bottleneck” (collo di bottiglia), perché lo rappresenta abbastanza bene. Una popolazione che cambia difficilmente quando contiene tanti esemplari cambia più facilmente quando ne contiene pochi, perché basta far fuori, per caso, alcuni di quelli e la popolazione cambia. Anche nella storia dell’uomo, anche se, invece, di effetto ‘collo di bottiglia’ si parla di ‘effetto del fondatore’. Per esempio, nel mezzo all’oceano, c’è un’isola, che si chiama “Tristan da Cunha”, sulla quale c’è un’alta percentuale di asmatici. È difficile capire perché ci sia una percentuale così alta di asmatici in un’isola che è quasi un paradiso, che è piena di aria e di vento. Che cosa possiamo pensare? Possiamo pensare che le prime popolazioni, che sono sbarcate su quest’isola, che è lontanissima dalla terra ferma, arrivando con uno, due, tre vascelli, quindi un’ottantina di persone, avessero, per caso, un certo numero di portatori di geni dell’asma. Il risultato è che tutti i loro discendenti, che sono molto superiori a 80, hanno un’abnorme percentuale di asmatici. Ma esistono poi altri sconvolgimenti genetici: cambiamento del numero dei cromosomi, fusioni; per esempio, lo scimpanzé ha 48 cromosomi, noi ne abbiamo 46, perché 2 cromosomi dello scimpanzé si sono fusi tra di loro. Oppure, al contrario, rotture cromosomiche, grandi riassortimenti genetici o semplicemente mutazioni in quei geni, di cui vi ho parlato prima chiamandoli “architetti”, ma in genere si chiamano “geni master”, quando muta uno di questi succede una cascata di variazioni, perché ciascuno di questi controlla l’azione di tanti altri. Quando io lavoravo avevo per le mani un gene che controllava contemporaneamente lo spessore della corteccia cerebrale, la struttura della laringe, più tante altre cose. Io non dico che sia successo così, ma un gene simile può essere stato alla base della comparsa del linguaggio. Cresciuto il cervello, deformata la laringe perché voi sapete che la nostra laringe è diversa anche da quella dei nostri parenti più vicini e tante altre cose. Darwin aveva un grande problema, nonostante che alla fine della vita lui non dubitasse della sua proposta; un grande problema che mette per iscritto diverse volte: come è possibile che per tante piccole variazioni successive si creino organi così complessi come l’occhio o come il rene? L’occhio ha una lente, anzi, ha due o tre lenti, ha una pupilla che si allarga o si stringe come le nostre macchine fotografiche, ha un tappeto sensibile che è la retina, ha un nervo che porta questi segnali al cervello e via discorrendo. Come è possibile che tutto questo si sia formato per piccoli passi? Oggi lo sappiamo: non tutti i passi evolutivi sono necessariamente piccoli, possono esserci anche grossi passi perché per mutazione di uno dei geni master si può raddoppiare il numero delle ali, può cambiare il numero delle zampe, può crescere una parte del corpo a danno di un’altra. Il nocciolo fondamentale di quello che Darwin non riusciva a capire è stato, probabilmente, toccato quando una trentina di anni fa si sono scoperti questi geni che quando mutano fanno sconquasso. Nella maggior parte dei casi, ovviamente, i mutanti di questi geni non sono compatibili con la vita, ma quelli che sono compatibili sono animali nuovi, sono animali diversi. Possiamo capire, in un certo senso, perché la teoria dell’evoluzione non piaccia, a parte che nessuna teoria nuova piace. Quando avevo l’età vostra, scrivevo per un giornalino, era l’antologia d’essai, che era viva ancora dall’800, e venivo subissato da manoscritti di inventori pazzi che volevano dimostrare che Einstein aveva torto, che la relatività era falsa. Ora, penso che abbiano smesso di fare questo, ma per darvi l’idea che a distanza di decenni ancora c’era qualcuno che non credeva alla teoria della relatività. Certo, la teoria dell’evoluzione ha delle resistenze psicologiche interne: manca di una direzione, manca di una finalità, manca di un progetto e noi, istintivamente, siamo portati a pensare che tutto abbia una direzione, una finalità, un progetto. Noi siamo portati a pensarlo proprio per ragioni evolutive, però in questo caso si ritorce contro la teoria dell’evoluzione. La teoria dell’evoluzione, come dice la parola stessa “evoluzione”, è nata in un’epoca, il ‘700, in cui si parlava tanto di progresso, guardando l’evoluzione culturale umana e, quindi, ci sono molte persone che non sanno vedere nell’evoluzione se non aspetti di progresso, ma è un errore gravissimo. Se in alcune storie evolutive c’è progresso, in tante altre c’è stasi e in tante altre c’è regresso. Per esempio, i grandi vincitori della lotta per la vita sono i batteri, che sono rimasti tali e quali da oltre 3 miliardi di anni; esistono anche tanti organismi che sono tornati indietro, erano liberi e sono diventati parassiti obbligati. Però noi abbiamo radicato nel cervello questo concetto di progresso, che non si applica all’evoluzione biologica, o perlomeno non si applica a tutte le storie che mettono insieme l’evoluzione biologica. Poi c’è il fatto che tutto o quasi, in larga percentuale, è opera del caso, e all’essere umano il caso non piace. Poi c’è il piccolo problemino dell’uomo per cui la Chiesa cattolica, anche nel momento in cui ammetteva la veridicità della teoria dell’evoluzione, faceva sempre un caso particolare per l’uomo e parlava di salto ontologico. Poi ci sono le critiche non scientifiche, di cui ho già parlato: il creazionismo, che non merita nemmeno di essere preso in considerazione e l’intelligent design, che invece ha buona stampa, pochi libri ma tanti articoli e tante chiacchiere; il problema è che non è scientifico perché non contropropone nulla, non porta nessun argomento, si limita a dire: non basta quello che dite voi, va bene, non basta, però dimmi cosa dici tu, dimmi cosa proponi, e lì casca l’asino, come tutte le cose non scientifiche. Conclusione: la teoria dell’evoluzione biologica è un edificio solidissimo che, come si addice a ogni teoria scientifica, è in continua evoluzione e perfezionamento. Praticamente, non passa giorno in cui si abbiano nuove prove. Per esempio, io vi ho parlato dei geni che suddividono il corpo negli insetti e nei vertebrati. Un mesetto fa, è comparso su “Nature”, che è una delle principali riviste biologiche, un lavoro che mi ha molto colpito e del quale ho parlato su “Le Scienze”, di un gene che si chiama “Nodal”, come nodo. Voi sapete che la nostra parte destra del corpo è molto simile alla nostra parte sinistra, ma non identica, perché abbiamo il cuore a sinistra e il fegato a destra. Diversi anni fa, si scoprì che nel caso dei mammiferi il gene che per primo controllava questa asimmetria era il gene Nodal. Che cosa si è scoperto? Si è scoperto che nei molluschi, in particolare quelli che hanno la conchiglia, alcuni hanno la conchiglia che gira verso destra, altri hanno la conchiglia che gira verso sinistra. Il controllo di questo verso di rotazione è dovuto a un gene che è tale e quale al Nodal. Quindi pensate un gene tipo Nodal controlla l’asimmetria corporea, là della conchiglia, qui del cuore e del fegato, da almeno 650 milioni di anni. Quindi tutti i giorni ce n’è una nuova. È una teoria scientifica, la migliore che abbiamo per spiegare il mondo della vita, l’unica che possa dare un senso a tutto quello che osserviamo in biologia. Come sapete, in fisica ci sono diverse leggi, in biologia pochissime, quasi nessuna, e una delle poche strutture teoriche funzionanti in biologia è proprio la teoria dell’evoluzione. Però non è finita, tutti i giorni cambia, e non è detto che qualcuno di voi, se decide di intraprendere questa carriera, scopra lui o sia testimone della scoperta di nuovi elementi che possono arricchire certamente e forse magari riorientare la teoria dell’evoluzione. Il risultato di tutto questo è che c’è ancora tanto da lavorare. Non è affatto vero, come spesso si sente dire, che sappiamo tutti, anzi, ogni volta che scopriamo qualcosa si apre un nuovo problema. Non abbiate paura di intraprendere questa carriera perché c’è da lavorare per tutti e, forse, forse, quello che succederà nei prossimi venti anni sarà più divertente di quello che è successo negli ultimi venti anni. Grazie. (Applausi) Professor Giuliano Martufi: Stavo per correggermi due lapsus, due dimenticanze che nella fretta della presentazione improvvisata mi ero accorto di aver commesso, mi ero appuntato. L’ultimo ha provveduto direttamente, anzi, aveva già pensato di farlo il professore, cioè il libro in questione, di cui prima avevo dimenticato il titolo e l’editore, l’autore naturalmente no perché è il Prof. Boncinelli stesso, è quello che è stato citato alla fine. Per quel che riguarda il nostro liceo dalla biblioteca sta circolando tra alcuni studenti, ma comperatelo perché costa pochi euro, sostanzialmente. L’altro era: ho citato Sandro Bonsanti, mi sono reso conto di avere dimenticato la rivistina che con molto “understatement” il professore stesso ha citato, cioè “Antologia Vieusseux”, a cui ha collaborato in gioventù. Abbiamo molto tempo in più delle altre volte per intervenire. Prego. Domanda: Volevo parlare, una curiosità, dell’uomo moderno. L’uomo in quanto animale ha meno cause per, diciamo, una speciazione, quindi si può dire che l’evoluzione dell’uomo, in quanto uomo moderno, si stia fermando oppure continua lo stesso? Professor Boncinelli Edoardo: Questa è una domanda che ci riguarda molto da vicino, quindi particolarmente delicata. Dipende di quando parliamo. Se parliamo di 2 milioni di anni fa, la velocità era la stessa; se parliamo di 500 mila anni fa, la velocità era la stessa; se parliamo degli ultimi 2–3 mila anni, non c’è dubbio che l’uomo ha un po’ interferito con l’evoluzione, perché prendiamo un semplice miope: in condizioni naturali un miope è svantaggiato, nel mondo nostro il miope non è assolutamente svantaggiato; non parliamo di un diabetico o di un emofilico. L’emofilico è uno che a ogni piccolo tagliettino ha un’emorragia e può addirittura morire; in condizioni naturali, questo individuo ha poche probabilità di lasciare prove, nel nostro mondo ormai praticamente non ce ne accorgiamo più. Quindi l’uomo, negli ultimi 2–3 mila anni, ma soprattutto negli ultimi 100, ha effettivamente leggermente rallentato l’evoluzione, però è un effetto minimo, infimo. Considerate che prima di osservare comunque qualcosa, qualche cambiamento devono passare 2 o 300 mila anni, rispetto a 2 o 300 mila anni 100 anni o anche 1000 anni non sono nulla. Quello che, invece, potrebbe succedere è che l’uomo tanto fa che modifica più o meno coscientemente il proprio genoma e allora lì, per la prima volta, si assisterà a una specie che invece di seguire passivamente la selezione modifica volontariamente. Questo, però, per ora non è successo e quindi non sappiamo se succederà e quando succederà. Domanda: Una curiosità visto che questa dei geni master, tutto sommato, è qualcosa che veramente ci ha dato un nuovo impulso, almeno da quando l’ho studiata io, ai tempi che furono, alla teoria dell’evoluzione perché il periodo che ci voleva per accumulare le variazioni era uno dei grossi problemi. Mi chiedo, però, a questo punto, mi è venuta in mente questa cosa: si parla del DNA spazzatura dell’uomo, di tutto questo DNA di cui non sappiamo bene che cosa serve, cosa fa, cosa non fa; cioè dal punto di vista evolutivo che tipo di lettura si può fare, che tipo di collegamento si può fare? Professor Boncinelli Edoardo: Il DNA che noi possediamo, ma non solo noi, tutte le specie vicine a noi, è tanto. Cosa vuol dire “tanto”? Vuol dire che del nostro DNA, del DNA contenuto nel genoma sappiamo trovare una funzione soltanto del 5–6%, di un 10% riusciamo a immaginare, resta un 60–70% del nostro DNA di cui, al momento, non conosciamo la funzione. Questo DNA è stato chiamato in tante maniere, è stato chiamato anche “Junk DNA”, che qualcuno ha tradotto “DNA spazzatura”. Attenzione! Prima di pensare che nelle vostre cellule avete tutta questa spazzatura pensateci bene. Dobbiamo essere umili e dire: bene, 60–70% del DNA, che ho io, ma che ha lo scimpanzé, ma che ha il lupo, che ha la zebra non conosco la funzione. Posso fare due ipotesi: o la funzione è più sottile di quello che penso e quindi la scoprirò fra venti, trenta, quaranta anni; oppure non ha nessuna funzione. Che non abbia nessuna funzione è molto improbabile, perché me lo dovrei portare appresso tutto questo DNA, considerando che ogni volta che lo duplico faccio un errore? Però, dal punto di vista scientifico, non vi do la risposta perché non ce l’ho, non ce l’ha nessuno. Abbiamo tanto DNA. Immagino che la stessa conferenza, fatta fra quindici anni, direbbe qualcosa in più. Io, in particolare, ho studiato molto questo tipo di DNA. Quello che sta succedendo sotterraneamente – i giornali ne parlano molto poco – è che si comincia a rosicchiare la parte sconosciuta e si vede che non è altro che una zona regolativa. Per esempio, i geni di cui conosco la funzione, tra noi e gli scimpanzé, sono incredibilmente simili, si parla del 98,5% di similitudine; non è possibile che loro abbiano portato la differenza che ci separa dallo scimpanzé, molto probabilmente la differenza è nella regolazione, nel controllo, questo si fa prima, questo si fa dopo, attraverso – ve lo dico, ma non è necessario che ve lo ricordiate – dei piccoli RNA, talmente piccoli, lunghi 20 nucleotidi, che si chiamano “micro-RNA”. Probabilmente, ma non faccio il mago di mestiere, questa conferenza fatta fra quindici anni vi racconterebbe tanto di più di questi piccoli RNA di quanto non ho fatto io, che in realtà non ho fatto per niente. Quello che è certo è che paragonando genoma dell’uomo e quello dello scimpanzé si è trovato 65 piccoli RNA che noi abbiamo e che gli scimpanzé non hanno. Quindi può darsi che alla fin fine tutta la differenza stia nascosta nel famoso DNA in eccesso rispetto al DNA dei geni, e non ci dovrebbe sorprendere per niente, perché naturalmente non basta che un gene faccia il suo prodotto, è anche importante sapere quando lo fa, quanto ne fa e dove lo fa. Domanda: Io ho una domanda, però non sono sicurissimo di quello che so, nel senso: la coniugazione batterica non esprime la possibilità che dei caratteri acquisiti siano trasmessi alla prole? Professor Boncinelli Edoardo: No. La coniugazione batterica è sesso dei batteri, quindi piccino piccino, ma non è niente di diverso dalla nostra replicazione sessuale. È stata una grande scoperta, ma non c’è niente di particolare. Siccome noi tra uomini e donne ci scambiamo materiale genetico, così i batteri si scambiano materiale genetico. Domanda: Volevo chiedere quanto un virus può modificare il patrimonio genetico di un organismo, di una cellula. Professor Boncinelli Edoardo: I virus sono strane entità, sono tra quelle entità che erano libere e sono diventate parassite, anzi, il virus è il massimo del parassitismo, perché gli è rimasto soltanto il materiale genetico, che può essere DNA o può essere RNA. Un virus da solo non può riprodursi, può solo mantenersi; ha bisogno di una cellula da invadere, da controllare in modo da produrre i discendenti. Tra l’altro, voglio prendere l’occasione per dirvi una cosa: quando noi parliamo di virus, in genere, pensiamo ai virus animali, o ai virus delle piante, ma i virus più abbondanti della Terra non sono questi, sono quelli che vivono dentro i batteri, che si chiamano “batteriofagi” o “fagi”, dai quali probabilmente non avete mai sentito parlare, anche se la biologia molecolare è nata negli anni ‘40 dallo studio dell’interazione tra i batteri e i loro fagi. I fagi sono come i nostri virus, sono solo più piccini, sono pezzettini, a volte infinitesimali di DNA, pensate c’è un fago fatto di 15 geni e basta che entra in un batterio, piglia la bacchetta dal direttore d’orchestra e gli cambia completamente la musica. I virus possono essere distruttivi o, come si dice in termine, “litici”, che per riprodursi portano alla morte dell’ospite, ma questo evolutivamente non è conveniente perché se un parassita ammazza l’ospite, praticamente, si taglia le gambe al futuro. Allora la maggior parte dei virus, invece di uccidere, fa stare un po’ male l’ospite. Alcuni virus, anzi, la stragrande maggioranza dei virus stanno lunghi periodi zitti e buoni infilando il loro DNA nel genoma dell’ospite. Questo DNA può non svegliarsi mai più oppure ogni tanto può svegliarsi e produrre altri virus. Buona parte del DNA, di cui non sappiamo la funzione, dei mammiferi sono pezzi di virus che sono entrati dentro e sono rimasti intrappolati, non sono riusciti più a uscire. Quindi il virus ha una certa importanza nell’evoluzione perché può introdurre materiale nuovo o può spezzare dei geni. Due o tre mesi fa, è comparso un articolo che a me ha fatto una grande impressione, che parla di cose delle quali non parla mai nessuno: il fondo degli oceani, che rappresenta l’86% della superficie terrestre, è sede di un’immane battaglia tra batteri e virus. I batteri vogliono riprodursi e si riproducono, i virus vogliono rompergli le scatole per riprodursi. C’è un continuo nascere e morire. È una strage infinita, che però ha il vantaggio di mettere una certa quantità di materiale organico negli oceani, che poi sale, viene mangiato dai pesci, poi dai pesci che mangiano pesci e poi entra a far parte del ciclo del carbonio, senza il quale la vita sulla terra non ci sarebbe. Noi, quando parliamo di evoluzione, pensiamo al canguro, alle rose, al panda, ma sull’economia della vita della terra questo sono sciocchezze. Pensate ai quintali di batteri, unici e uguali, che nascono e muoiono. Questa lotta gigantesca nella quale, praticamente, non vince nessuno, ma che ci assicura materiale nutritizio a tutti quanti, ai pesci, alle piante e agli esseri viventi. Quindi il sunto della mia richiesta è che il virus può cambiare il materiale genetico di uno, due, venti, quaranta organismi, ma si comporta anche in questo caso come una mutazione, cioè o favorisce o sfavorisce o lascia indifferente. L’entrata di un virus in un genoma non è qualitativamente diverso da quella di una nuova mutazione. Domanda: Volevo sapere se mutazioni che derivano, non so, per esempio, da radiazioni nucleari sono trasmissibili alla prole. Professor Boncinelli Edoardo: Tutte le mutazioni sono trasmissibili, altrimenti non sono mutazioni. L’esempio che io vi ho fatto di un errore ogni miliardo di nucleotidi è il livello basale, è il minimo in assenza di radiazioni di sostanze chimiche inquinanti o di altre diavolerie. Però basta una radiazione ionizzante, i raggi ultravioletti, il catrame che si trova nelle sigarette per aumentare di 10, 100, anche 1000 volte la frequenza di mutazioni. Quindi oggi, ma soprattutto miliardi di anni fa, molto probabilmente, la frequenza di mutazioni era più alta di quella basale, non fosse altro perché c’era uno strato di ozono molto misero e quindi tanti raggi ultravioletti. Quindi mentre 1 su 1 miliardo è una stima, se tutto va bene, possiamo arrivare in certe condizioni anche di 1 su 1 milione, anche 1 su 100 mila, però il discorso non cambia, aumenta solo la frequenza di mutazione. Domanda: La scoperta dell’esistenza e del funzionamento di alcuni geni che hanno influenza sulla struttura del cervello, sul suo funzionamento, pensa che possano avere un peso e che tipo di peso sull’evoluzione della teoria evolutiva? Professor Boncinelli Edoardo: In un certo senso l’hanno già avuto, perché quello che sappiamo oggi e che prima non sapevamo ci ha fatto pensare in maniera diversa. Se la domanda è intesa a pensare se questo potrà direttamente cambiare il nostro orientamento e portarci a intervenire sul genoma è una domanda che riguarda il futuro, come ho detto, per ora non è successo. Io sono tra quelli che pensa che fra una ventina di anni succederà. Nessuno ne parla, si fa finta che non ci sia, ma io sono pronto a scommettere che prima o poi l’uomo non si accontenterà di subire gli effetti della selezione dell’ambiente circostante, ma cercherà di intervenire. Speriamo che ottenga risultati positivi e non negativi. Domanda: Parliamo di salute. Il comparire nell’individuo di una famiglia di una forma patologia che non era stata riscontrata precedentemente, né nel padre né nel nonno né nel bisnonno, può far parlare di un effetto di una mutazione ed è quella forma patologia trasmissibile ai discendenti di quell’individuo? Professor Boncinelli Edoardo: Diciamo che la maggior parte delle mutazioni sono proprio così, o perlomeno quelle delle quali è più facile accorgersi sono quelle che portano una patologia. Però, attenzione, noi istintivamente associamo l’idea di mutazione all’idea di danno, di patologia, ma perché? Perché noi viviamo oggi in un mondo al quale, tutto sommato, siamo bene adattati, ma se non ci fosse mai stata una mutazione, non ci sarebbe stata l’evoluzione, saremo ancora alle amebe originarie. Quindi lo scenario che lei ha prospettato è quello consueto: in una certa famiglia, in una certa famiglia di famiglie compaiono dei mutanti; se sono neutri, vengono tollerati. Che oggi come oggi compaia una mutazione vantaggiosa è quasi impossibile, ma non è impossibile. Diciamo che se tutto continua così magari fra 100–150 mila anni compare una mutazione favorevole nella specie umana e quindi si ha un’altra ondata evolutiva. Però io non lo vedrò e dubito che anche i giovani che stanno qui oggi lo vedranno. Anche se mai dire mai, chiaramente. Domanda: Il salto della cellula procariote a quella eucariote, per cui l’ipotesi più accreditata oggi è quella della fagocitosi di un batterio e di un’alga verdeazzurra, che avrebbe portato alla nascita dei mitocondri e dei cloroplasti, non è in contraddizione con la teoria dell’evoluzione? Professor Boncinelli Edoardo: Chiariamo di cosa stiamo parlando, una cosa della quale io non avevo parlato. Le cellule che esistono su questo mondo sono di due grandi tipi: quelle procariotiche in cui il nucleo non si distingue bene, leggete i batteri, e quelle eucariotiche nelle quali il nucleo si distingue bene, e sono tutti gli organismi fuorché i batteri. Si pensa che all’inizio tutti fossero procarioti. Si pensa. Se hai visto bene le mie diapositive, io dico che prima di 600 milioni di anni fa non dobbiamo fare affermazioni. L’affermazione che tu hai dato per certa, che la cellula eucariotica dall’inglobare in una cellula diverse cellule procariotiche, che è l’ipotesi di Lieberman, è molto probabile, ma io personalmente non la cito mai perché io non parlo mai di quello di cui non sono sicuro. È possibile che qualcosa sia successo. Come pure noi dobbiamo spiegare un altro evento: come è successo che da organismi unicellulari si sia, a un certo momento, creato organismi pluricellulari, cioè fatti di tante cellule. Io penso che passerà parecchio tempo prima che noi lo sappiamo, anche se è una curiosità che abbiamo tutti quanti. Non vedo, però, né l’uno né l’altro come possano contraddire lo spirito della teoria dell’evoluzione perché, come ti ricorderai, in una diapositiva io ho parlato anche di sconvolgimenti genetici, che sono molto probabili, tra questi l’entrata di un genoma intero. L’entrata di un genoma intero è una cosa che succede piuttosto di rado, però è possibile. Quindi il principio della teoria non è violato, è violato invece il dettaglio, chiaramente, ma, ripeto, sono solo ipotesi. Voi, probabilmente, non ci avrete fatto caso, perché non avete questa mentalità, ma è fondamentale specificare cosa si spiega bene, cosa si spiega meno bene, cosa si spiega poco, perché altrimenti si trasforma una teoria scientifica in un dogma. Le teorie scientifiche che spiegano tutto, anche se qualcuno magari è venuto a dirvelo, non sono teorie scientifiche. La teoria scientifica è qualcosa che è incompleta per definizione e ha un suo ambito di validità. Questa teoria spiega questo, ma in quest’altro campo non spiega. Ricordatevelo, sembra un dettaglio, ma è un dettaglio che nella vita di uno scienziato è cruciale, perché altrimenti si prendono degli abbagli clamorosi. Professor Giuliano Martufi: C’è qualche domanda? Altrimenti salutiamo e ringraziamo il professor Boncinelli qui e chi, come me, oggi pomeriggio lo vuole sentire si ritroverà al Museo di Storia Naturale a Venezia alle quattro. A presto.