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BIODIVERSITÀ
MASSIMO RINALDI CERONI, ROBERTO RINALDI CERONI
BIODIVERSITÀ
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Il tarassaco
Umile ma virtuoso
Si utilizzano il fiore, la foglia e la radice per depurare
l’organismo ed è attivo soprattutto sul fegato.
Pianta molto diffusa ma poco utilizzata, chi impara a
conoscere le sue virtù saprà apprezzarla: rinforza la
resistenza del corpo alle infezioni, migliora la coagulazione
del sangue e ripulisce i condotti linfatici.
Massimo Rinaldi Ceroni, Roberto Rinaldi Ceroni
non solo ricette
Insalata di tarassaco - Il sapore amaro delle foglie è gradevole
se queste vengono raccolte prima che la pianta fiorisca e
possono essere unite a foglie di lattuga, condite con olio di oliva,
sale, succo di limone, aglio e prezzemolo finemente tritati.
In forma curativa - Diverse sono le proprietà attribuite al
tarassaco (stomachico, depurativo e diuretico), conosciute
in erboristeria e proposte nei vari derivati, capsule, tinture,
compresse. La medicina popolare raccomanda alle persone con
problemi gastrointestinali di mangiare 5 fiori di tarassaco venti
minuti prima dei pasti, masticandoli attentamente. Capace di
fornire una bella scorta di ferro, calcio, iodio e fosforo, è una
buona soluzione per i problemi a denti, ossa e articolazioni:
basta mangiare a stomaco vuoto 10 petali freschi di tarassaco.
Per di più, lo si può riscontrare come ingrediente in diversi
rimedi per curare il sistema nervoso e quello cardiovascolare,
contiene infatti grandi quantità di magnesio. Un infuso di radici
di tarassaco è usato nella medicina popolare per curare l’acne,
la foruncolosi e l’arteriosclerosi. Risolve anche i problemi alla
tiroide: basta arricchire il proprio menu con un’insalata a base
di tarassaco.
I
n Italia lo si conosce come soffione, dente
di leone o anche piscialetto alludendo alle
sue proprietà diuretiche. Linneo, a metà del
settecento, lo battezzò Taraxacum officinalis.
La prima parola, il genere botanico, deriva
dal mondo arabo che già dal X secolo conosceva e
utilizzava questa pianta, mentre il nome della specie,
officinalis, Linneo gliela attribuisce perché si impiegava
nelle farmacie che a quel tempo si chiamavano officine.
Umile e rustica pianta erbacea che cresce nei prati
e negli incolti, ai bordi delle strade, dei boschi o dei
corsi d’acqua dalla pianura fino alla montagna è
riconoscibilissima per la bella infiorescenza gialla
tipica della famiglia delle Asteracee chiamata
capolino. Se si guarda bene però ognuno di quelli che
a noi sembrano petali in realtà sono piccoli fiori. Dopo
essere stati impollinati dagli insetti ciascuno forma
verso l’esterno un piccolo paracadute che agevola col
vento la dispersione del seme quando poi si stacca dal
capolino.
Del tarassaco si utilizzano la radice, le foglie e i fiori.
La radice è un fittone che nelle piante di qualche
anno, specie su terreni soffici, raggiunge anche i 15/20
centimetri di lunghezza. Si raccoglie quando la pianta
è in riposo vegetativo cioè a partire dall’autunno. Si
utilizzava in decozione per via orale come tonico nelle
attività del fegato. Oggi sul mercato sono presenti
tinture, compresse e capsule.
Le foglie, dalla caratteristica dentellatura dei margini
con lobi molto incisi (da cui il nome comune di dente
di leone), si cominciano a utilizzare in primavera fino
alla piena fioritura quando diventano molto dure. Si
consumano fresche in misticanze o lessate insieme alle
comuni bietole e spinaci. Sono ricche di fibra, di sali
minerali e di sostanze amare che aiutano i processi
digestivi. Con le infiorescenze si fa uno sciroppo dal
gusto intenso e leggermente amarognolo. Ci vogliono
200 grammi di capolini raccolti in piena fioritura. Se
non si ama il gusto amarognolo allora conviene tagliare
tutto il calice prima di metterli insieme a un limone
tagliato in 4 spicchi, qualche chiodo di garofano e
1 litro d’acqua a bollire lentamente per un’oretta in
una pentola d’acciaio. Dopo averlo raffreddato si
filtra, si aggiunge mezzo chilo di zucchero e si lascia
bollire sempre lentamente per un’ora circa a seconda
della densità voluta. Si imbottiglia sterilizzando in
contenitore e una volta aperto per l’uso va tenuto in
frigo: c’è molto lavoro ma ne vale la pena. Un’altra
ricetta del tarassaco in cucina è l’antipasto di capolini
in aceto. Ricetta laboriosa ma di grande gratificazione.
Si raccolgono i capolini ancora chiusi poco prima della
fioritura. Si sbollentano un attimo in acqua, sale e un
po’ di aceto di vino. Si asciugano bene e si dispongono
in vasetti appena pressati coperti da olio di semi.
Abbiamo detto che il tarassaco è una pianta che
cresce un po’ dappertutto e proprio per questo
occorre attenzione nel raccoglierlo lontano da fonti
di inquinamento come strade, frutteti e campi dove
si praticano trattamenti alle colture. Si può anche
coltivare facilmente in giardino, nell’orto o addirittura
in qualche fioriera un po’ capiente.
Massimo Rinaldi Ceroni
Dottore Agronomo con
specializzazione universitaria
in Fitopatologia ed in Erboristeria,
Istituto Agrario di Faenza (RA)
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