Il problema dei fondamenti della matematica

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Mauro Palma
Il problema dei fondamenti della matematica 1
di Mauro Palma
Le Scienze hanno permeato tutti gli eventi del ‘900 e si sono sviluppate molto
spesso intorno ad eventi drammatici di questo secolo. Molti settori si sono sviluppati a partire da eventi bellici: lo sviluppo in ambito chimico relativo alla prima
guerra mondiale ed alla campagna d’Africa, gli aerei utilizzati prima come aerei di
guerra e poi come aerei da trasporto, le ricerche sull’atomo e la bomba atomica.
Anche l’informatica è nata per l’opera di Alan Turing (1912-54), che riuscì a
decodificare, per conto dei servizi britannici, il codice di trasmissione dei tedeschi.
Così si arriva alla contemporaneità, la guerra del Golfo, la guerra del Kosovo, le cui
immagini visualizzate e schematizzate dai monitor televisivi, rappresentano in fondo applicazioni più consistenti degli investimenti informatici.
Il ‘900 è quindi un secolo caratterizzato innanzitutto dal rapporto tra lo sviluppo scientifico e le varie tappe drammatiche che l’umanità ha attraversato, ma è
anche un secolo in cui la scienza è stata sempre più vicina alla vita quotidiana: è
infatti arrivata a modificare gli usi, i comportamenti; è diventata cioè scienza distribuita, che ha posto anche problemi di carattere etico, come, in anni recenti, la bioetica
o la manipolazione genetica.
Per quel che riguarda la matematica, in particolare, negli ultimi tempi, si è
fortemente specializzata. I matematici parlano vari dialetti, quello della topologia,
dell’algebra, dei singoli specialismi eppure la matematica è molto più vicina ai soggetti nella quotidianità proprio perché si è tutti immersi in grandi processi di
numerizzazione. Il rapporto con il numero e con le rappresentazioni grafiche è
oggi molto diverso da quello che una persona poteva avere 50 anni fa.
Per una breve riflessione sulla prossimità tra matematica e quotidianità, si
deve necessariamente partire dall’inizio di questo secolo, in particolare dalla crisi
dei fondamenti della matematica.
Gottlob Frege (1848-1925) stava pubblicando il secondo volume dei
Grundgesetze, in cui costruiva la matematica come un’estensione della logica, quando
ricevette da Bertrand Russell (1872-1970) una lettera che lo informava dei paradossi della teoria degli insiemi e quindi della stessa teoria di Frege.
Nella chiusura del secondo volume della sua opera, lo stesso Frege osserva:
È difficile che uno scienziato si imbatta in qualcosa di meno desiderabile del
1
Testo rivisto e rielaborato dalla prof. Miryam Benvenuto.
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vedere buttare a mare i fondamenti proprio quando ha appena finito il suo lavoro.
Sono stato messo in questa posizione da una lettera del sig. Bertrand Russell proprio
quando il lavoro stava per essere stampato.
Infatti nel 1903 il programma di Frege di mettere in piedi un sistema di coerenza logica complessiva, viene messo in crisi dalla lettera del giovane Russell.
Gli anni che si svilupperanno subito dopo, la prima decade del secolo e gli
anni successivi, vedranno il formarsi di varie scuole di pensiero. Saranno anni importanti, dal 1903 al 1931, fin quando un teorema stabilito da un altro logico matematico Kurt Gödel (1906-1978) affermerà l’inutilità di cercare l’autoconsistenza
logica di una teoria. Ogni teoria, infatti, ha bisogno di un’altra teoria che la spieghi.
Non esiste una teoria ultima, un sistema totalmente autosufficiente che sia in grado
di spiegare se stesso senza far ricorso ad un altro. Dal 1931 si svilupperà il cammino
della contemporaneità, in cui si abbandoneranno i programmi logicisti, cioè di una
totale fondazione logica, della matematica e si andrà verso i programmi costruzionisti,
cioè i programmi in cui si cercherà di capire quali sono gli oggetti che sono effettivamente costruibili e non solo ben definibili. La logica matematica tenderà a saldarsi con l’informatica, disciplina, quest’ultima, che ha poco a che vedere con la
definibilità degli oggetti, ma è più interessata alla loro concretezza, alla loro
costruibilità.
Alla fine del diciannovesimo secolo, ci sono alcune certezze: prima di tutto la
sistemazione disciplinare. Le discipline così formulate e ben definite nella scuola
attuale, sono infatti una sistemazione post napoleonica, della prima metà dell’800.
Come esempio si consideri che in Italia, anche per la sua frammentazione territoriale, erano moltissime le unità di misura di lunghezza utilizzate nei vari paesi e
soltanto attorno al 1845 si ha una unificazione complessiva di esse.
Anche nella letteratura, ad esempio, in alcune pagine di Guerra e Pace (1860),
si nota l’interesse che L. N. Tolstoj (1828-1910) ha per quella che lui chiama il nuovo
ramo delle matematiche, cioè la sistemazione che aveva avuto l’analisi matematica nei
primi anni dell’’800. Tolstoj fa un paragone tra i flussi della storia che non sono
descrivibili esaminando le singole soggettività perché sono moti di popolazioni, e le
continuità dei processi che esamina l’analisi matematica che non sono riconducibili a
tanti piccoli punti, forme e situazioni perché la continuità non è riconducibile a tante
piccole discretezze. Contrapponendosi ad una visione della storia come risultato
delle gesta di personaggi positivi o negativi, Tolstoj sottolinea il ruolo delle volontà
dei singoli individui che costituiscono le masse: di essi i protagonisti della storia sono
semplicemente degli interpreti, delle sintesi, allo stesso modo in cui un integrale registra e condensa, in un valore solo, le singole infinite variazioni.
L’altro aspetto che l’800 sistema è l’aspetto dell’esperimentum: la scienza deve
abbandonare ogni teleologismo, deve essere esperienza concreta. Si fa strada un
positivismo che sarà poi messo in crisi nel secolo successivo ma che ricerca obiettività al di là di qualunque pulsione finalistica. C’è, inoltre, una necessità di sistemare
le scienze attraverso una organizzazione deduttiva: dopo aver fatto l’esperimento,
si dà una sistemazione in chiave deduttiva a ciò che si è scoperto.
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Nell’800 c’è il sorgere anche di nuove discipline di area sociologica e psicologica, quelle che oggi si indicherebbero come scienze sociali. Sintetizzando alcune
delle certezze dell’800, si potrebbe seguire uno schema in cui mettere per prima la
sistemazione disciplinare, quindi le discipline con i loro separati statuti e le loro
separate costruzioni, poi alcuni concetti assoluti come spazio e tempo e le loro
rappresentazioni, quindi l’esperimentum, la fiducia nella ricerca scientifica e la sua
relativa espansione, la sistemazione deduttiva come a posteriori ed infine l’avvento
di nuove discipline.
L’800 è, però, anche segnato, ormai già al suo esordio, da alcune distinzioni.
Emanuel Kant afferma, nella Critica della ragion pura (1781), che la geometria
euclidea è la sintesi a priori del concetto di spazio, così come i numeri naturali sono
una sintesi a priori del concetto di tempo; quindi numeri naturali e geometria euclidea
per lo scienziato che inizia il suo percorso nell’800 e per la cultura allora diffusa,
sono elementi stabili, certezze che non possono essere messe in discussione.
In questo panorama culturale avvengono tre eventi che mutano il patrimonio di riflessioni del secolo successivo.
Il primo evento, verso la prima metà del secolo diciannovesimo, ma reso
noto e generalizzato attorno alla metà dello stesso secolo, è quello delle geometrie
non euclidee. Il problema delle geometrie non euclidee passa come crisi del quinto
postulato. Euclide, infatti, aveva dato una sistemazione rigorosa alle conoscenze
geometriche attraverso una organizzazione ipotetico-deduttiva, individuando 23
definizioni e formulando 10 assiomi, o più precisamente 5 nozioni comuni e 5
postulati. Gli assiomi sono delle proposizioni non dimostrate che vengono assunte
come vere dalle quali ricaviamo le altre proposizioni: in particolare le nozioni comuni riguardano il comune modo di ragionare, mentre i postulati riguardano il
ragionare geometrico cioè le caratteristiche della geometria. Di questi cinque
postulati, il quinto ha una minore autoevidenza rispetto agli altri e ha una formulazione ben più complessa, al contrario degli altri facilmente accessibili.
I primi quattro affermano:
- Si può condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto
- Una retta finita si può prolungare continuamente in linea retta
- Si può descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni raggio
- Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro.
Il quinto o postulato della parallela, non era formulato come lo riportano i testi
attuali (per un punto esterno ad una retta passa una sola parallela alla retta data) ma
aveva una formulazione più complessa, riconducibile però alla precedente:
Se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla
stessa parte tali che la loro somma sia minore di due rette, le due rette prolungate
illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli la cui
somma è minore di due rette.
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Euclide stesso, nella sua opera, non lo utilizza per un gran tratto, anzi dimostra come teorema la seguente affermazione che è inversa rispetto al quinto postulato:
Se due rette intersecate da una trasversale formano angoli coniugati la cui
somma è un angolo piatto, allora le due rette non si intersecano.
Il dubbio, quindi, era che il quinto postulato potesse essere ricavato a partire
dagli altri quattro, cioè che non fosse anch’esso un assioma indipendente dagli altri
ma che fosse dimostrabile come un teorema. La dimostrazione della indipendenza
del quinto postulato e quindi della impossibilità di ricavarlo dagli altri quattro apre
la strada a nuove geometrie.
Le geometrie non euclidee non ebbero vita facile in un mondo in cui lo spazio aveva come sua sintesi a priori la geometria euclidea stessa così come Kant aveva detto e abituato a pensare: si trattava, infatti, di mettere in discussione la sintesi a
priori del concetto di spazio cioè un modo a priori con cui l’intelletto realizza la
conoscenza della spazialità.
È interessante notare come nell’800 i matematici che incominciarono a mettere in discussione la geometria euclidea furono destinati a vite grame. La storia del
povero I. Bolyai (1802-60) ne è un esempio. Egli era arrivato a buoni risultati sulla
geometria non euclidea e li aveva sottoposti al padre matematico egli stesso e amico
del più insigne matematico del momento che era C.F.Gauss (1777-1855). Quest’ultimo manifestò la sua perplessità rispetto ai modelli che Bolyai aveva sviluppato.
Bolyai, sfiduciato, abbandonò i suoi studi, salvo rivederseli poi riproposti anni dopo
da un altro matematico che parallelamente li aveva sviluppati, N.I. Lobatchevsky
(1793-1856) e poi successivamente da Gauss stesso che vent’anni dopo li aveva acquisiti e genialmente anche sviluppati.
Un secondo evento determinante riguarda i primi studi della teoria degli insiemi, cioè la formulazione del concetto stesso di insieme e l’organizzazione delle
conoscenze matematiche a partire da tale concetto. L’osservazione riguardava essenzialmente il problema di come si confrontano due insiemi, come si fa, cioè, a
stabilire se un insieme è maggiore o minore di un altro. La risposta è semplice se gli
insiemi sono finiti: se per le persone che sono all’interno di un’aula, si immagina un
altro gruppo di persone all’interno di un’altra aula e se si riesce a stabilire una corrispondenza di tipo uno a uno, tra i due gruppi di persone alla fine si può stabilire se
sono rimaste alcune persone di un gruppo o dell’altro. Se nessuno resta fuori da
questa corrispondenza, i due insiemi sono ugualmente numerosi o, come si dice in
matematica, hanno la stessa cardinalità.
La teoria degli insiemi estende anche agli insiemi infiniti la possibilità del
confronto. Ad esempio, confrontando l’insieme dei numeri naturali e l’insieme dei
numeri pari, a ogni numero naturale corrisponde un numero pari, basta moltiplicarlo per due; viceversa, a ogni numero pari corrisponde un numero naturale, basta
dividerlo per due. I numeri pari e i numeri naturali sono ugualmente numerosi e
sono due insiemi infiniti, che possono essere messi in corrispondenza di tipo uno a
uno. Eppure i numeri pari sono una parte dei numeri naturali, cioè sono tanti quan110
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ti i numeri naturali pur essendo una loro parte. La quinta delle nozioni comuni di
Euclide che afferma che il tutto è sempre maggiore della parte, non regge più applicata alla teoria degli insiemi. Per una matematica che andava costruendo la propria
organizzazione numerica a partire dal concetto di insieme e quindi organizzava i
vari insiemi numerici successivi (N i naturali, Z gli interi, Q i razionali, R i reali, C
i complessi) questo diventa un forte punto di discussione.
Il terzo evento è rappresentato dalle nuove discipline che si andavano sviluppando. Esse, dalla sociologia alla psicologia, sono discipline che si interessano di
fenomeni collettivi piuttosto che delle individualità, sono discipline che hanno un
germe statistico e che quindi non possono seguire i singoli casi, non possono esaminare le singole situazioni, ma hanno bisogno di utilizzare modelli non più
deterministici ma di tipo probabilistico. Sono discipline che hanno un altro modo
di giungere a delle conseguenze. L’inferenza non è più soltanto un’inferenza logica
ma è anche un’inferenza statistica. Si possono trarre delle conseguenze su un’intera
popolazione avendo esaminato alcune situazioni su un particolare sottoinsieme o,
come si usa dire, su un particolare campione. Le discipline di indagine scientifica
nel sociale pongono, quindi, il problema di ricavare delle asserzioni generali a partire da una sapiente oculata osservazione di sottoinsiemi particolari finiti. Tre punti
di grande crisi nascono da tre contesti diversi: la possibilità di altre geometrie, la
necessità di reinterrogarsi su come trattare l’infinito, la necessità di aprirsi a modelli
non solo deterministici ma anche a modelli probabilistici.
Il Novecento si apre con la crisi di una triade che caratterizzava il sapere del
secolo precedente: il reale, il razionale e l’evidente. All’inizio dell’800, ciò che è
reale è razionale, ciò che è evidente è anch’esso reale; questi legami sono messi in
crisi da una serie di eventi e successivamente anche da una serie di contributi del
tipo: esistono dei mondi logici e razionali che non sono né reali né evidenti; una
geometria non euclidea, ad esempio, è un mondo logico e razionale che non è assolutamente evidente. Sarà più avanti A. Einstein nel 1905 ad affermare che una geometria non euclidea può essere reale in quanto un modello della realtà. Per il filosofo e il matematico di fine 800, invece, è rotto il legame sia con l’evidenza sia con la
realtà: ci sono dei mondi costruiti come logicamente coerenti quindi razionali indipendentemente dalle loro caratteristiche di realtà. Quindi si può prima definire
deduttivamente un mondo simbolico e poi eventualmente interpretarlo, cioè stabilire un insieme di regole formali, come dirà in seguito Ludwig Wittgenstein (18891951). Il matematico non scopre ma inventa, quindi può prima inventare un mondo
matematico e successivamente interpretarlo. La rivoluzione è totale rispetto al punto
di vista dell’800, per cui prima si sperimenta, poi si dà l’organizzazione deduttiva.
Anche scrittori del ‘900 scriveranno frasi del tipo: non esiste un solo mondo. Questa
frase, ad esempio, è l’inizio di un dialogo di R. Queneau (1903-1976), appartenente,
insieme ad I. Calvino, al movimento letterario dell’Oulipò, che aveva fra i suoi
obiettivi anche quello di organizzare scientificamente il mondo letterario. Si possono stabilire, per esempio, anche nella narrazione, possibili organizzazioni logiche e
poi riempirle di contenuti.
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Alla fine dell’800, altri legami vengono meno. F. Klein (1849-1925), infatti,
nel 1872, sistema nel programma di Erlangen le geometrie non euclidee. Anche in
altri campi, il legame che si rompe all’inizio del secolo è quello tra realtà ed evidenza. Per quel che riguarda la psicanalisi, S. Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, esattamente nell’anno 1900. La psicanalisi testimonia così l’esistenza di meccanismi e processi reali dell’individuo che sono indipendenti dalla loro evidenza. L’evidenza che il mondo si rappresenta e la realtà del subconscio non è detto che siano
collegate e connesse tra di loro, ma possono essere scisse.
Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo, precisamente
nel 1898, G. Frege tenterà di dare una sistemazione al problema dei numeri, al problema dell’infinito e a quello degli insiemi, problema che sarà poi messo in crisi nel
1902 e nel 1903 dal giovane B.Russell. Quasi contemporaneamente, nel 1905, Einstein
pubblica gli studi sulla relatività ricostruendo in un altro modo il legame tra razionalità e realtà.
La splendida certezza che avevo riposto nella matematica si è ora persa in un
labirinto inestricabile, scriverà Russell. Questa è la situazione con cui si apre il
Novecento e in questo contesto si apre il problema dei fondamenti della matematica. Si apre cioè per la matematica il problema di domandarsi di quale natura siano i
propri oggetti, quale siano in sostanza i fondamenti su cui la propria costruzione si
basa.
Nel 1893 Frege avvia un tentativo di basare tutta la costruzione della matematica sulla logica e sui suoi concetti, pubblicando il primo volume de I principi
dell’aritmetica (Grundgesetze der Arithmetik). Ogni insieme numerico matematico è riconducibile ad un insieme via via più elementare fino ad arrivare ai numeri
naturali. Se si fondano logicamente i numeri naturali e l’aritmetica, si dà una costruzione logica a tutto l’impianto matematico. È l’operazione simile ma concettualmente
inversa di quella di Leibniz che tendeva a matematizzare il ragionamento. L’ipotesi
che poi si pone Frege, in questo programma fondazionale, è di ricondurre la matematica a particolare capitolo di un programma logico. D’altra parte la logica ha
sempre avuto un modello privilegiato nell’insiemistica. Frege, quindi, utilizza fortemente il modello logico e ne dà una costruzione complessiva tenendo ben presente che dare una costruzione complessiva di un sistema in termini logici significa
stabilire che tutto ciò si sa essere vero è dimostrabile all’interno di quel sistema. Il
sistema, quindi, è completo, cioè le proprietà vere sono dimostrabili, e soprattutto
il sistema è consistente, non contiene alcuna contraddizione. Un sistema è consistente se non contraddittorio, cioè se, al suo interno, non può essere dimostrato
una proposizione P e contemporaneamente la proposizione non P. Frege sostanzialmente cerca di rispondere a tre requisiti sintetizzati in tre aggettivi: deducibile,
consistente, completo.
Mentre stava per dare alle stampe il secondo volume, Frege ricevette da Russell
una lettera in cui questi gli comunicava una antinomia.
Ma cosa è un’antinomia? Una antinomia è una proposizione contraddittoria
in sé, tale cioè che “se è vera allora è falsa e se è falsa allora è vera”.
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Occorre distinguere tra incongruenze logiche in senso proprio e proposizioni che solo apparentemente producono contraddizioni, ma in realtà testimoniano
soltanto di un “cattivo” modo di ragionare, oppure conducono a conclusioni che
cozzano con l’opinione comune. Si usa perciò distinguere tra antinomie, che recano in sé, per motivi logici o linguistici, qualcosa di irresolubile, e paradossi che,
come rivela l’etimologia, esprimono qualcosa che contrasta l’opinione comune, ma
non contengono in sé insanabili contraddizioni. Tuttavia, nell’uso, il termine “paradosso” comprende entrambe le categorie.
I paradossi di solito sono di tre tipi:
- veridici, cioè in un certo senso non fanno altro che esprimere una proprietà
che in realtà è vera, ma è espressa in maniera molto singolare, e quindi attraverso un ragionamento per assurdo possono essere risolti;
- falsifici, cioè che partono da fallace iniziali e che quindi in realtà sono semplicemente un qualcosa da negare;
- antinomici, che rappresentano una antinomia e che costringono ad una nuova sistemazione concettuale.
Quello di Russell è appunto un paradosso antinomico.
Si erano già avuti paradossi di questo genere nell’antichità come il paradosso
del mentitore, che risale all’antica Grecia del VI secolo avanti Cristo e che così si
può formulare:
“Io mento”
Se chi parla stesse mentendo (affermasse cioè il falso), allora non starebbe
dicendo una bugia (direbbe cioè il vero). Se invece non stesse mentendo (e affermasse perciò il vero), starebbe effettivamente dicendo una bugia (direbbe cioè il
falso). In ambedue le ipotesi, ci si imbatte in proposizioni per le quali l’attribuzione
di un valore di verità obbliga ad attribuire loro il valore di verità opposto.
I paradossi sono tanti e di vario genere. Si racconta che nel convegno del
1905, ai tempi della lettera di Russell a Frege, uno dei paradossi, analogo al paradosso del mentitore, consisteva in un foglietto di carta con scritto sui suoi due
lati:
Ciò che è scritto sull’altro lato di questo biglietto è falso.
Ciò che è scritto sull’altro lato di questo biglietto è vero.
Ma quale era l’antinomia in cui Frege era caduto? Per Russell l’antinomia è
essenzialmente questa, il poter parlare di insieme di tutti gli insiemi. Russell infatti
generalizza la categoria di insieme anche all’insieme di tutti gli insiemi e praticamente utilizza il termine insieme per indicare questa totalità. Egli osserva che il
pensare che l’insieme di tutti gli insiemi sia ancora un insieme determina delle irriducibili antinomie.
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Poiché gli insiemi si definiscono “in piena libertà”, essi si possono pensare
suddivisi in due categorie:
- insiemi che tra gli elementi hanno loro stessi: ad esempio, l’insieme di tutti i
concetti astratti è a sua volta un concetto astratto ed ha perciò se stesso tra i
suoi elementi;
- insiemi che non hanno loro stessi come elementi: ad esempio, l’insieme dei
numeri naturali non è un numero naturale e perciò, tra i suoi elementi, non
c’è se stesso; analogamente, l’insieme di tutti i gatti non è un gatto.
Si indichi allora con K l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se
stessi. Formalmente, si può scrivere:
K = {x; x∉x}
Ci si pone il problema: K appartiene o no a se stesso?
Se K appartiene a se stesso, allora, per la definizione, K ha la proprietà di non
avere se stesso tra i suoi elementi; K perciò non appartiene a se stesso:
K∈K fi K∉K
Se invece K non appartiene a se stesso, allora, per definizione, ha la proprietà
di avere se stesso tra i suoi elementi; K perciò appartiene a se stesso:
K∉K fi K∈K
Un esempio banale può aiutare a capire quanto sopra scritto: si considerino
degli aggettivi della lingua italiana. Essi possono essere suddivisi in due categorie:
- gli aggettivi autologici, che si riferiscono a loro stessi (ad esempio “polisillabo”
è autologico perché è esso stesso polisillabo);
- gli aggettivi eterologici, che non si riferiscono a loro stessi (ad esempio “monosillabo” è eterologico perché esso stesso non è monosillabo).
Se quindi si considera “eterologico” come aggettivo, se è eterologico vuol
dire che è omologico, se invece è omologico vuol dire che è eterologico. Di qui
l’antinomia perché uno stesso termine è sia eterologico che omologico.
Analogamente se si presuppone che esista una totalità che contiene tutti i
predicati, dovrà contenere anche il predicato essere un predicato, e si avrebbe anche
questa volta una antinomia.
G.G. Berry nel 1906 dice che ogni numero è identificato da un’espressione
linguistica: per esempio il numero 18 è il prodotto di 3 con 6. Tutti i numeri che
possono essere espressi con meno di 30 sillabe costituiscono un insieme finito, sottoinsieme dei numeri naturali. Se si considera il più piccolo numero naturale che
non può essere indicato con meno di 30 sillabe, questo numero, dice Berry, determina una contraddizione, perché è il più piccolo numero naturale che non può
essere indicato con meno di 30 sillabe, ma contemporaneamente l’espressione è il
più piccolo numero naturale che non può essere indicato con meno di 30 sillabe contiene meno di 30 sillabe. Anche in questo caso si ha una contraddizione.
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Ritornando, quindi, all’antinomia di Russell, questa fu pubblicata proprio da
Frege come epilogo del secondo volume della sua opera e, confessando il suo sconforto, lo stesso Frege aprì la crisi dei fondamenti della matematica, scrivendo:
Tutti coloro che nelle loro dimostrazioni hanno fatto uso di estensioni concettuali, classi, insiemi sono nella mia stessa situazione. Qui non è in causa il mio metodo di fondazione particolare, ma la possibilità di una fondazione logica dell’aritmetica in generale.
Nel 1918 Bertrand Russell propone una versione figurata della sua antinomia.
Essa è nota come paradosso del barbiere:
“In un paese vi è un solo barbiere, che non porta la barba. Egli rade tutti e soli
gli uomini del paese che non si radono da soli. Il barbiere rade se stesso?”
Se si rade da solo non è vero che rade tutte e sole le persone che non si radono
da sole, se si fa radere da un altro cade lo stesso in contraddizione.
In questi anni la letteratura è piena di invenzioni e di paradossi che hanno
tutti lo stesso schema: l’antinomia di Russell, sceneggiata in vari modi, è riformulata
sotto vari aspetti.
La scoperta delle antinomie determinò intense ricerche ed un lungo dibattito
nel corso del quale si confrontarono diverse scuole di pensiero: Russell stesso non
abbandonò l’idea di fondare la matematica come capitolo della logica; c’era, infatti,
chi proponeva di evitare le astrazioni incondizionate che derivavano dalla teoria
degli insiemi di Georg Cantor (1848-1918) e chi, invece, sottolineava la necessità di
non perdere la potenza degli strumenti concettuali che la matematica era riuscita a
darsi da Cantor in poi. Il maggiore esponente di quest’ultimo indirizzo di pensiero
era il matematico tedesco David Hilbert (1862-1943), che così si espresse: “Nessuno
potrà cacciarci dal paradiso che Cantor ha creato per noi!”.
Il metodo proposto da Hilbert era quello di distinguere tra la matematica ed
i discorsi che si fanno attorno alla matematica.
“Accanto alla matematica vera e propria - disse in una conferenza del 1922 si presenta in un certo senso una nuova matematica, una metamatematica, che è
necessaria per la sicurezza dell’altra, nella quale - contrariamente al modo di inferenza puramente formale della matematica vera e propria - si applica l’inferenza
contenutistica, ma unicamente per la dimostrazione della coerenza degli assiomi. In
questa metamatematica si opera con le dimostrazioni della matematica vera e propria e queste ultime formano l’oggetto della ricerca contenutistica”.
Con i metodi della metamatematica (nella quale si evitava di far ricorso a
procedure e concetti che implicassero l’infinito), si dovevano impegnare tutte le
energie nella ricerca di dimostrazioni non contradditorie rispetto agli assiomi delle
diverse teorie matematiche, ed in particolare della teoria dei numeri naturali, che sta
alla base di ogni altra teoria.
Questo programma hilbertiano sarà messo in crisi da H. Poincaré (18541912). Egli scriverà che Hilbert ha ridotto la geometria come una strana macchina
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dove si infilano dei simboli e si producono dei teoremi. Anzi si servirà di una metafora molto pesante, che prende spunto dal fatto che, in quel periodo, andavano per
la maggiore i macelli di Chicago con la grande lavorazione delle carni e si favoleggiava
di una macchina, che avrebbe realizzato un prodotto finito già macellato, immettendo
semplicemente dei pezzi di animale.
Scrive Poincaré che il programma formalista hilbertiano è come la favolosa
macchina di Chicago dove entrano maiali ed escono salsicce, citazione testuale per
descrivere un processo deduttivo che non governa più se stesso in quanto non capisce più gli oggetti su cui lavora.
Il programma di studi e di ricerche che aveva delineato Hilbert per superare
la crisi dei fondamenti si prefiggeva l’obiettivo di dimostrare la non contraddittorietà dei sistemi di assiomi delle diverse teorie matematiche. All’interno di tale programma hilbertiano si situa l’opera di Kurt Gödel (1906-1978), i cui risultati sono
da considerarsi tra i più importanti della storia del pensiero contemporaneo. Inizialmente i suoi studi sembravano confermare l’impostazione hilbertiana secondo
la quale un maggiore sforzo di ricerca avrebbe messo ordine nei sistemi assiomatici
fino ad arrivare a dimostrare la consistenza dei diversi sistemi. Invece, nel 1931,
Gödel mise fine ad una grande illusione razionalista: la possibilità che la matematica sia in grado di dimostrare la propria non-contraddittorietà. Egli, esasperando il
progetto di Frege sull’utilizzo dell’aritmetica, fa diventare ogni affermazione logica
affermazione numerica. Realizza quindi un processo di aritmetizzazione: ciò che è
deduzione logica diventa sostanzialmente una successione di stringhe numeriche.
Riesce a stabilire, in questo modo, una codifica assegnando ad ogni simbolo, qualunque sia il linguaggio utilizzato, un particolare numero, secondo un procedimento che, sfruttando le proprietà dell’aritmetica, permette di riconoscere se quel numero è rappresentativo di un simbolo, di una stringa o di un intero ragionamento.
Fatto ciò, Gödel dimostra un teorema, il quale afferma che un sistema logico e completo non è consistente.
Il senso del teorema di Gödel è il seguente: l’aritmetica, con l’utilizzo dei
suoi propri mezzi (e cioè attraverso il processo di aritmetizzazione ottenuto con i
numeri di Gödel), non può dimostrare la sua propria consistenza, cioè che nessuna
affermazione è contraddittoria. D’altra parte, l’aritmetica (cioè l’insieme delle proposizioni riguardanti i numeri naturali) è alla base dell’intero impianto costruttivo
della matematica. Quindi, esiste un limite invalicabile al processo di formalizzazione
e di costruzione su basi logiche dell’impianto matematico: esso, senza ricorrere a
“livelli superiori”, non può, tramite se stesso, garantire la sua non contraddittorietà. O, meglio, è necessario realizzare una sorta di “compromesso” tra le esigenze di
non contraddittorietà e quelle di completezza: se si vuole che la teoria assiomatica
dei numeri naturali non abbia contraddizioni, non si può pretendere che essa sia
completa e quindi permetta di dimostrare, al suo interno, tutte le verità riguardanti
i numeri naturali stessi.
Come conseguenza di questo risultato, si ottiene un limite più generale alle
potenzialità di qualunque formalizzazione: ogni dimostrazione della matematica
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sulla coerenza di un sistema formale deve utilizzare principi più complessi di quelli
del sistema in esame.
La coerenza di qualunque sistema formale o linguaggio può essere dimostrata soltanto ricorrendo ad un metalinguaggio che utilizzi strutture sempre più complesse di quelle impiegate dal sistema stesso.
Ogni teoria ha quindi bisogno di una metateoria e non esiste alcuna “teoria
ultima” che fondi tutte le altre, inclusa se stessa, perché necessariamente si
autoreferirebbe.
Sui piani matematico, filosofico, comportamentale e personale, le conseguenze
del teorema di Gödel sono notevoli.
Dopo Gödel l’attenzione matematica non è più rivolta alla totalità ma alla
parzialità, non è più rivolta alla costruzione di un universo in grado di descrivere
l’intero universo matematico ma a quello di caratterizzare universi parziali, e questo sarà l’aspetto più aperto nella logica degli anni successivi. Gödel dice che ogni
teoria ha qualcosa di indecidibile, qualcosa che non si può dimostrare come vera e
lo stesso vale per la sua negazione.
Quale è il significato del suo risultato? È la fine della crisi dei fondamenti
non perché si raggiunga la certezza ma perché si è capito l’inutilità di cercare il
fondamento del tutto, l’inutilità della generalizzazione. Si aprirà, da quel momento
in poi, un’altra branca della logica, la logica delle parzialità, la logica che indaga non
tanto sull’assoluta fondazione dei propri elementi ma sulla capacità che hanno gli
elementi di essere costruibili, di essere concretamente realizzabili. Si aprirà la strada
dell’intuizionismo logico, del costruttivismo, una matematica più attenta e che dà
realtà a ciò che si costruisce.
Due nomi significativi sono L.E.J. Brouwer (1881-1967) e A. Turing (191254). Con Brouwer si va verso l’intuizionismo, con Turing verso l’informatica. Essi
hanno fatto in modo che il tipo di indagine del matematico e del logico non fosse
più caratterizzato soltanto dai termini definibile, ben definito, corretta definizione,
ma anche dal termine costruibile e successivamente, negli anni recenti, sulla base
dello sviluppo degli strumenti di calcolo, dal termine trattabile. Oggi la logica matematica si occupa della definibilità degli oggetti ma anche della loro costruibilità,
in quanto non tutto ciò che è ben definito può essere costruito, e all’interno degli
oggetti costruibili, della trattabilità degli oggetti perché un oggetto che può essere
costruito può non essere trattabile.
É una logica, quella moderna, che non cessa di essere fondamento ma che
capisce i perimetri e gli angoli del proprio possibile sviluppo.
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