Il farmaco della contesa - Andrea Capocci, 07.09.2016 Medicina. L'università del Minnesota accusa l'azienda farmaceutica Gilead Sciences di non essere stata la prima a brevettare il sofosbuvir, che cura l'epatite C. Litigano le grandi multinazionali, mentre il malato viene dimenticato La società farmaceutica statunitense Gilead Sciences deve difendersi da nuove accuse. Nel mirino, le strategie fiscali e commerciali dell’azienda che detiene il brevetto sul sofosbuvir, il formidabile farmaco in grado di curare l’epatite C. La malattia colpisce centocinquanta milioni di persone nel mondo. In Italia i malati sono un milione e mezzo, con circa diecimila decessi ogni anno. I farmaci basati sul sofosbuvir hanno un’efficacia del 90%, e il prezzo fissato dalla Gilead è altissimo: negli Usa, il prezzo di un trattamento supera i novantamila dollari. In Europa, le cifre sono di poco inferiori. Ma il business plan della Gilead potrebbe presto cambiare. Secondo una denuncia appena presentata dall’Università del Minnesota, il brevetto del sofosbuvir è illegittimo: il farmaco sfrutterebbe un meccanismo scoperto e brevettato nel 2002 da Carston Wagner, ricercatore dell’ateneo di Minneapolis. Se la corte darà ragione all’università, la Gilead dovrà girarle una parte del ricavato dalla vendita dei farmaci basati sul sofosbuvir. È già successo in altri casi: la Northwestern University di Chicago, ad esempio, da un’analoga controversia ha ottenuto ben 1,4 miliardi di dollari di royalties sulle vendite dell’analgesico Lyrica, prodotto della casa farmaceutica Pfizer. All’università di Princeton, invece, la Eli Lilly ha dovuto versare 524 milioni di dollari ricavati dall’anti-cancro Alimta. Il ruolo della ricerca pubblica Si tratta di cifre enormi: per avere un termine di paragone, i soli indennizzi a Northwestern e Princeton valgono un terzo dell’intero finanziamento pubblico annuale di tutte le università italiane. Cifre così grandi, peraltro, mostrano quanto sia decisivo il contributo della ricerca pubblica nello sviluppo di farmaci redditizi per le aziende farmaceutiche. La torta di cui l’università del Minnesota vuole una fetta è ancora più grande. I farmaci contro l’epatite C (Sovaldi, Harvoni e Epclusa, tutti basati sul sofosbuvir) hanno fruttato alla Gilead ben 19 miliardi di euro nel 2015. La Gilead però non si è fatta spaventare, forte di una causa simile già vinta contro la rivale Merck. Anche l’ufficio brevetti indiano dovrà tornare a pronunciarsi a breve sul sofosbuvir. In un primo tempo aveva respinto il brevetto, ma poi si era rimangiato la decisione. Le associazioni dei pazienti hanno presentato un ricorso che verrà valutato nel mese di settembre. Altri paesi come Cina, Ucraina e Egitto hanno già bocciato il brevetto della Gilead ma in India la posta in gioco è più alta. New Dehli, grazie a una legislazione piuttosto ostile nei confronti dei brevetti occidentali, è diventata la «farmacia» dei paesi in via di sviluppo, a cui vende gran parte di farmaci salvavita a prezzi inferiori sul mercato parallelo, nonostante le opposizioni del governo statunitense presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Oltre che per il brevetto, però, la Gilead è sotto esame anche per aver eluso il fisco statunitense. Gran parte delle sue attività hanno sede ufficialmente in Irlanda e lì vengono contabilizzate. È una pratica comune per molte corporation internazionali, come la Apple recentemente sanzionata dall’Unione Europea. L’associazione Americans for Tax Fairness, in un rapporto pubblicato nel mese di luglio, ha calcolato che in Irlanda la Gilead paga una tassa pari a solo l’1% dei profitti e ciò ha permesso alla Gilead di risparmiare circa 10 miliardi di euro di tasse presso il fisco statunitense. Grazie a queste manovre finanziarie, il carico fiscale della Gilead è sceso complessivamente dal 27% al 16% negli ultimi tre anni. Accessi & profitti Nonostante questi dati, si lamentano anche gli azionisti della Gilead, divenuta in pochi anni la sesta azienda farmaceutica al mondo per fatturato. Le azioni nel 2016 hanno perso il 23% del loro valore e secondo gli analisti finanziari il declino continuerà. Da un lato, la rivale GlaxoSmithKline sta per lanciare un nuovo farmaco contro l’Hiv, l’altro mercato rilevante per i profitti della Gilead oltre a quello dell’epatite C. In secondo luogo, i profitti generati dal sofosbuvir sembrano aver toccato un picco nel 2015 e hanno iniziato una curva discendente. A causa dei prezzi troppo elevati, infatti, il numero di prescrizioni è in calo. Infine, in Europa, dove il mercato è meno controllato dalle assicurazioni private, i governi stanno negoziando l’acquisto del farmaco a prezzi (relativamente) ridotti. L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), per esempio, ha stipulato un accordo (secretato) che lega il prezzo dei trattamenti Gilead al numero di prescrizioni. Finora, i trattamenti avviati sono stati oltre cinquantamila, selezionati tra i malati in uno stadio più avanzato della malattia. Nel 2015 il sistema sanitario nazionale ha speso un miliardo di euro per curare trentamila pazienti, con un costo unitario di trentamila euro e relative proteste dei parlamentari del M5S. Del caso si è occupata anche la trasmissione televisiva Report. Raggiunta ora la soglia dei cinquantamila trattamenti, il prezzo del farmaco dovrebbe scendere a quindicimila euro: una cifra ancora eccessiva, ma comunque più bassa rispetto al resto dell’Europa. L’accordo Aifa-Gilead nel frattempo è scaduto e il nuovo negoziato è in corso. Notevoli pressioni gravano sul direttore dell’Aifa, Luca Pani: garantire l’accesso alle cure al maggior numero di malati in tempi di tagli alla sanità è un rebus insolubile. Se la Gilead tratta con molti piccoli acquirenti ha il coltello dalla parte del manico. Perciò, «dal punto di vista economico sarebbe estremamente più vantaggioso effettuare una tale procedura a livello nazionale o, meglio ancora, europeo», afferma Pani in L’innovazione sostenibile. Il farmaco e le sfide per il futuro del nostro Servizio Sanitario Nazionale (Edra, 2016), visto che circa un quarto dei profitti Gilead proviene dall’Ue. Ma il negoziato non esonera la politica: «ai decisori spetta il compito di stabilire quanto si è disposti a pagare e per cosa», conferma infatti Pani. Il potere di contrattazione delle agenzie pubbliche deriva dalla possibilità di rifiutare accordi svantaggiosi, privando le aziende farmaceutiche di un potenziale mercato. In altre parole, per offrire i farmaci a tutti i malati, l’Aifa deve mettere in conto di non offrirli a nessuno. La trattativa, per quanto vincente, si svolge dunque sulla pelle dei pazienti. Per garantire davvero l’accesso alle cure servono regole diverse. © 2017 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE