ACETILCOLINA, ATTENZIONE, MEMORIA, COSCIENZA Una storia

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Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO IX n. 33 – Marzo 2013
Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2°
ISSN 2039-9561
ACETILCOLINA, ATTENZIONE,
MEMORIA, COSCIENZA
Una storia personale del
sistema colinergico cerebrale
Giancarlo Pepeu
Professore Emerito, Università degli Studi di Firenze
Flavia Franconi sa che mi sono
occupato di acetilcolina (ACh)
per tutta la mia vita di ricercatore e ancora adesso, ormai in
pensione, seguo gli sviluppi della ricerca in questo campo, con
il rammarico di non potervi più
partecipare attivamente. Da ciò
nasce il suo invito a scrivere un
articolo sulla storia dello sviluppo delle conoscenze sulla trasmissione colinergica per Quaderni della SIF. In questo articolo
farò riferimento ad una parte dei
lavori pubblicati, con numerosi
collaboratori, in più di 50 anni di
attività di ricerca sull’ACh cerebrale, inseriti nel contesto della
letteratura internazionale che,
per ragioni di spazio, verrà citata
sommariamente. Il quadro che
ne emergerà sarà inevitabilmente soggettivo e incompleto perché alcuni aspetti mi hanno interessato più di altri, per esempio
la corteccia cerebrale più del nu2 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33
cleo caudato, la liberazione più
della sintesi, i recettori muscarinici più dei nicotinici. Per chi
volesse una descrizione sistematica della biochimica, fisiologia e
farmacologia della trasmissione
colinergica rinvio al mio capitolo
sulla “Trasmissione colinergica”
nella IV edizione del libro “Farmacologia Generale e Molecolare” curato da Clementi e Fumagalli (2012). Informazioni più
approfondite si possono trovare
nel libro “The brain cholinergic
system in health and disease” a
cura di Giacobini e Pepeu (2006).
Il mio interesse per il sistema
colinergico non è nato per vocazione, ma è stato il risultato
di una serie di contingenze. La
prima fu la tesi intitolata “Studio tossicologico del parathion
nell’olio di oliva per uso alimentare” assegnatami dal Prof. Mario
Aiazzi Mancini quando nel 1952
entrai nell’Istituto di Farmaco-
logia come studente interno. I
risultati (Aiazzi Mancini, Pepeu,
1955) sono sepolti nell’Archivio
Italiano di Scienze farmacologiche. Il parathion è un estere fosforico, inibitore delle colinesterasi (ChEI: cholinesterase inhibitor), dopo la sua trasformazione
in paraoxon. Alla metà del secolo
scorso, l’interesse per gli esteri
fosforici era molto alto. Gli esteri
più tossici e volatili, quali il Sarin e il Tabun, erano e, purtroppo sono ancora, armi di “distruzione di massa” disponibili negli
arsenali di molti eserciti. Quelli
meno tossici trovarono impiego
come insetticidi e alcuni come
farmaci, es. il DFP come miotico
e il metrifonato nella schisostomiasi. Fra gli insetticidi uno dei
più diffusi ed efficaci fu il parathion, molto usato in passato
contro i parassiti del tabacco, del
cotone, in floricultura e contro
la mosca dell’olivo. Il suo uso ha
causato numerosi casi di intossicazione acuta nell’uomo ed è stato bandito in molti paesi.
Gli esteri fosforici inibiscono
l’acetilcolinesterasi (AChE) e la
butirilcolinesterasi (BuChE) e
la loro tossicità è dovuta all’accumulo, negli spazi sinaptici,
dell’ACh liberata dalle terminazioni dei neuroni colinergici
a livello vagale, pre-gangliare,
neuromuscolare e cerebrale con
conseguente eccessiva e prolungata stimolazione dei recettori
nicotinici e muscarinici. Le ricerche condotte in quel periodo,
riassunte nel volume “Cholinesterases and Anticholinesterase
Agents” a cura di Koelle (1963),
erano sostenute da larghi finanziamenti da parte delle forze armate di molti paesi con l’obbiettivo di caratterizzare le colinesterasi, identificare i meccanismi
dell’inibizione e sviluppare trattamenti farmacologici efficaci e
di facile impiego in caso di guerra chimica. Gli studi di Kewitz et
al. (1956) portarono allo sviluppo della piridossina-2-aldossima
(pralidossima) tuttora indicata
nelle intossicazioni da esteri fosforici.
Piccole quantità di parathion
spruzzato sugli ulivi penetrano
nelle olive e 4 – 6 parti per milione si ritrovano nell’olio. Scopo
della mia tesi fu accertare il grado di tossicità di olio contenente
parathion. Nella tesi misurai l’attività dell’AChE nei globuli rossi
e della BuChE nel plasma di ratti
e cani trattati per 6 mesi con una
dieta contenente fino a 25 parti
per milione di parathion. Non furono osservate né inibizione delle esterasi, né segni di tossicità.
Quattro anni dopo la laurea
ottenni un posto di post-doc nel
Department of Pharmacology,
Yale University. Fra i progetti
che mi furono proposti, nel Settembre 1958, dal mio “mentor”
Nicholas Giarman, scelsi quello
sull’ACh cerebrale, tenendo con-
to che già sapevo qualcosa sul sistema colinergico e che, essendo
un argomento nuovo in quel laboratorio, avrei goduto di grande
autonomia. Il fatto che la somministrazione di atropina inducesse perdita della memoria nel
ratto (Macht, 1924) e nell’uomo
(vedi bibl. in Longo, 1966) fece
ipotizzare che l’ACh potesse avere un ruolo nei processi cognitivi
anche prima che venisse trovata
nel cervello. L’ACh fu identificata nel cervello di rana da Chang
e Gaddum nel 1933 e 25 anni
dopo, quando cominciai a studiare il sistema colinergico, i lavori che avevano cercato di correlare ACh e attività funzionale
del cervello erano solo 8 (vedi in
Giarman e Pepeu, 1962). L’unico
approccio possibile allora era misurare i livelli totali di ACh nel
cervello e correlarli con cambiamenti del comportamento indotti da farmaci. L’ACh era estratta
con Ringer acidificato e dosata
sul muscolo retto addominale
di rana o sul muscolo dorsale di
sanguisuga. Dimostrammo che
gli anestetici e i sedativi causano un aumento e i convulsivanti
una diminuzione del contenuto
di ACh nel cervello. La sostanza dosata con metodi biologici
era definita ACh-simile in quanto esercitava le azioni dell’ACh,
ma la sua reale natura fu definita solo nel 1968 nel laboratorio di D. Jenden con un metodo
gas cromatografico accoppiato a
spettrometria di massa (Hammar
et al., 1968), troppo complesso e
costoso per essere usato correntemente. Soltanto l’introduzione
di metodi di cromatografia liquida ad alta pressione (Dasma et
al.,1985) rese più semplice e alla
portata di tutti i laboratori il dosaggio dell’ACh a concentrazioni
di femtomoli.
Ritornato in Italia dagli Stati
Uniti nel 1961, ottenni un posto
di assistente ordinario all’Università di Sassari e, dopo un anno
di difficoltà dovute alla mancanza di attrezzature in quella sede,
ebbi la possibilità di riprendere
ad estrarre e dosare ACh.
Lo studio dei livelli di ACh, ancora dosata con metodi biologici,
permise di dimostrare nel gatto
che l’attività elettroencefalografica (EEG) sincronizzata, tipica
del sonno, era accompagnata
da livelli di ACh molto più alti
di quelli trovati durante attività
elettrica desincronizzata, indice
di attivazione (Pepeu e Mantegazzini, 1964). Facevano eccezione i farmaci anticolinergici
che causano una dissociazione
fra tracciato EEG e comportamento, sincronizzazione ma non
sonno (vedi in Longo, 1966) e
diminuzione dell’ACh corticale
(Deffenu et al., 1966).
La somministrazione di farmaci e il passaggio da sonno a veglia
inducono variazioni ben misurabili del contenuto di ACh del cervello. Tuttavia, la determinazione
dei contenuti cerebrali richiede
l’uccisione dell’animale ed essi
variano a seconda della rapidità
con la quale vengono inattivate
le colinesterasi. Pertanto, misurare il contenuto di ACh non
permette di studiare in modo
dinamico i rapporti fra neurotrasmettitore, attività elettrica
cerebrale e comportamento. Un
primo passo per correlare l’attività dei neuroni colinergici con
attività elettrica e comportamento fu l’introduzione della tecnica
della coppetta corticale per misurare la liberazione di ACh dalla corteccia cerebrale (Mitchell,
1963). Questa tecnica si basava
sulla diffusione dell’ACh, liberata
dalle terminazioni nervose sottostanti, in una piccola quantità di
Ringer, contenente un ChEI, per
lo più neostigmina, posto in un
cilindro applicato, con una leggera pressione, sulla corteccia
cerebrale nel gatto, nel coniglio,
nella cavia e nel ratto. Ogni 20
min il contenuto della coppetta
Quaderni della SIF (2013) vol. 33- 3
era raccolto e l’ACh dosata. Per
i dettagli di questa tecnica vedi
Pepeu (1973) e Pepeu e Giovannini (2007). Essa permise di dimostrare che la diminuzione del
livello di ACh osservata durante
attivazione corticale, indotta da
stimolazioni elettriche periferiche o di nuclei centrali e da farmaci stimolanti, era associata ad
un aumento della liberazione di
ACh. All’opposto, la sincronizzazione EEG, durante il sonno,
l’anestesia, la sedazione, era accompagnata da una riduzione
della liberazione di ACh che, pertanto, si accumulava nel cervello. Malgrado il dosaggio dell’ACh
nella coppetta fosse ancora fatto
con laboriosi metodi biologici,
diversi laboratori utilizzarono
questa tecnica e le conoscenze
sul sistema colinergico fecero
un rilevante passo avanti. Non
mi è possibile citare tutti i lavori
usciti dai laboratori di Mitchell,
Szerb, Phillis, Jasper, Beani e
dal mio con Bartolini, Deffenu,
Nistri. Rinvio alle rassegne di
Pepeu (1973) e di Phillis (2005).
Osservammo che anche l’attivazione EEG corticale indotta da
amfetamina era accompagnata
da un aumento della liberazione
corticale di ACh. Poiché l’azione
primaria dell’amfetamina è liberare dopamina (DA) dalle terminazioni nervose che la contengono, si prospettava l’esistenza di
una stimolazione dopaminergica
dei neuroni colinergici (Pepeu,
Bartolini, 1968, Casamenti et
al., 1986). L’interazione fra sistemi dopaminergico e colinergico
nella corteccia prefrontale è stata
confermata con la tecnica della
microdialisi (Arnold et al., 2001)
ed è stato ipotizzato che una sua
disregolazione abbia un ruolo
nella patogenesi della schizofrenia (Kozak et al., 2007). Tuttavia,
in quegli anni, maggiore attenzione era rivolta all’azione inibitoria della DA sui neuroni colinergici dello striato, dimostrata
4 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33
da Stadler et al., (1973) con la
poco usata tecnica della pushpull cannula e da Trabucchi et
al., (1975) misurando il turnover
dell’ACh nello striato. L’interesse
era dovuto al fatto che la perdita
del controllo dopaminergico sui
neuroni colinergici dello striato
è un elemento del meccanismo
patogenetico del morbo di Parkinson.
Alla diminuzione del contenuto
di ACh nella corteccia cerebrale,
osservato dopo trattamento con
scopolamina e atropina (Giarman e Pepeu, 1964), corrisponde un aumento della liberazione
di ACh dalla corteccia cerebrale
dimostrato da Mitchell (1963),
Szerb (1964) e Polak (1965) (vedi
in Bartolini, Pepeu, 1967). La
spiegazione del perchè ciò avviene fu fornita da Szerb e Somogyi
(1973) studiando la liberazione
di colina triziata da fettine di
corteccia cerebrale in vitro. In
queste condizioni sperimentali,
la liberazione di colina triziata
indotta da stimolazione elettrica
corrisponde alla liberazione di
ACh. Essa viene stimolata dall’aggiunta di atropina al liquido di
perfusione e inibita dall’aggiunta
di oxotremorina, un agonista dei
recettori muscarinici, farmaco
che aumenta i contenuti di ACh
nel cervello (Pepeu, 1963). Ciò
indicava l’esistenza di un meccanismo di regolazione a feedback
negativo della liberazione di ACh
mediato da recettori muscarinici presinaptici. Questi recettori,
situati sui terminali nervosi, attivati dallo stesso neurotrasmettitore che si libera dal terminale,
sono stati chiamati autorecettori
(Starke et al., 1989) e appartengono ai sottotipi M2 e M4. La
somministrazione di un antagonista selettivo dei recettori M2
causa un aumento della liberazione di ACh nella corteccia e
nell’ippocampo, e riduce i deficit
cognitivi indotti nel ratto dalla
scopolamina, antagonista mu-
scarinico non selettivo, e dall’età
(Vannucchi et al., 1997). Effetti
collaterali, soprattutto di natura
cardiaca, hanno impedito l’impiego nell’uomo di antagonisti
M2/4 per correggere i disturbi
della memoria.
Nel 1976 Davies e Maloney
descrissero una marcata diminuzione della colino acetiltransferasi (ChAT) nella corteccia
cerebrale e nell’ippocampo di
pazienti affetti da demenza di
Alzheimer (AD). Le conoscenze
cliniche e diagnostiche su questa
malattia erano ancora limitate,
ma il numero dei casi era in rapido aumento come conseguenza dell’invecchiamento della popolazione nei paesi sviluppati.
Con la loro osservazione Davies
e Maloney (1976) dimostrarono
un’importante alterazione biochimica nell’allora ignoto meccanismo patogenetico di AD, malattia il cui primo sintomo è la
perdita della memoria. Bartus et
al. (1982), correlando la perdita
di memoria da farmaci anticolinergici con quella da distruzione
dei neuroni colinergici nell’AD,
proposero l’ipotesi colinergica delle disfunzioni cognitive
dell’anziano. Un parallelismo fu
subito fatto con il morbo di Parkinson, malattia neurodegenerativa caratterizzata da perdita di
neuroni dopaminergici e carenza
di DA.
L’ipotesi colinergica si rivelò
presto inadeguata a spiegare la
complessità della malattia, ma
rappresentò un forte stimolo per
gli studi sul sistema colinergico
con l’obbiettivo immediato di
trovare trattamenti farmacologici per correggere la mancanza di
ACh e nel contempo completare
la mappa del sistema colinergico nel cervello, definire i meccanismi di sintesi e accumulo
dell’ACh nei neuroni e la regolazione della sua liberazione. Infine, per capire la causa dei sintomi cognitivi di AD diventava
importante studiare il ruolo del
sistema colinergico nei processi
mentali.
Fino agli anni ’80 non vi era
una mappa precisa dei neuroni
colinergici del cervello e delle
loro vie. La visualizzazione con
metodi istochimici delle colinesterasi era l’unica tecnica disponibile ma poiché la AChE è
presente anche in neuroni non
colinergici, l’attendibilità dei risultati era messa in dubbio. Lo
sviluppo di un metodo immunoistochimico che utilizza anticorpi
specifici per la ChAT (Kimura et
al., 1980), enzima presente, nel
cervello, solo nei neuroni colinergici, portò rapidamente alla
creazione di mappe dei nuclei e
delle vie colinergiche. Esse furono presentate al IV congresso
internazionale sul sistema colinergico che nel 1980 ebbi l’onore di organizzare a Firenze dove
ero tornato come professore ordinario, dopo un breve periodo
all’Università di Pisa ed uno più
lungo a Cagliari. Per una descrizione delle vie colinergiche,
rinvio ai lavori di Mesulam et al.
(1983a; 1983b) cui si deve la classificazione dei nuclei colinergici
comunemente usata. Le mappe
mostrarono che il nucleo basale magnocellulare di Meynert è
l’origine di un’ampia rete di fibre
colinergiche corticali mentre
nel setto hanno origine le fibre
colinergiche dell’ippocampo. Fu
subito effettuata la distruzione
del nucleo basale, nel ratto, per
studiarne gli effetti sul comportamento e riprodurre la perdita
di neuroni colinergici osservata nell’AD. Con Lo Conte et al.,
(1982 a e b) dimostrammo che
nel ratto una lesione elettrolitica unilaterale del nucleo basale
causa una riduzione della liberazione di ACh dal lato ipsilaterale
alla lesione, una sincronizzazione dell’attività elettrica corticale,
un deficit nell’apprendimento di
risposte di evitamento attivo e
passivo. I due lavori hanno avuto
numerose citazioni, ma avevano
il difetto che le lesioni elettrolitiche non sono selettive. Tuttavia
essi confermarono il ruolo del sistema colinergico nell’attivazione corticale e in alcuni processi
cognitivi. Negli anni successivi le
lesioni furono rese più selettive
utilizzando aminoacidi eccitatori
quali il kainico, il quisqualico e
l’ibotenico o lo AF64A, inibitore
della captazione della colina. Per
un confronto degli effetti biochimici e comportamentali osservati distruggendo i nuclei colinergici con queste sostanze vedi Olton e Wenk (1987). Tuttavia, una
distruzione selettiva dei neuroni
colinergici fu ottenuta solo con
l’impiego dell’immunotossina
IgG –saporina in cui la saporina,
tossina che inattiva i ribosomi, è
coniugata con un anticorpo che
si lega ai recettori a bassa affinità
del Nerve Growth Factor (NGF)
presenti solo sui neuroni colinergici (Pizzo et al., 1999). Con
questa immunotossina, dimostrammo (Ballmaier et al., 2001)
un ruolo del sistema colinergico nel controllo della pre-pulse
inhibition, contribuendo allo
studio dei rapporti fra sistema
colinergico e schizofrenia, cui è
stato accennato in precedenza.
L’ACh è sintetizzata dalla ChAT,
enzima presente in larga quantità nei neuroni colinergici (Tucek, 1985), a partire da colina
e glucosio. Il sistema nervoso
non ha la capacità di sintetizzare la colina e pertanto i neuroni colinergici dipendono dalla
captazione di colina presente
negli spazi extracellulari per
la sintesi di ACh. Yamamura e
Snyder (1972) dimostrarono
che i neuroni colinergici sono
dotati di uno specifico sistema
di trasporto ad alta affinità della
colina (CHT1, choline transporter 1), diverso da quello, a bassa
affinità, che fornisce la colina a
tutte le cellule per la sintesi dei
fosfolipidi. L’attività di CHT1 è
strettamente accoppiata a quella
dei neuroni colinergici e inversamente correlata al contenuto di
ACh (Antonelli et al., 1981). Essa
è ridotta in corteccia dopo una
lesione del nucleo basale e la sua
ripresa dimostra che una parte
dei neuroni colinergici può ricuperare dopo la lesione (Pedata et
al., 1982). La misura dell’attività
di CHT1 è stata utilizzata come
un indicatore dell’attivazione
del sistema colinergico durante
specifici comportamenti (vedi in
Sarter, Parikh, 2005).
Un’osservazione di grande importanza, anche per le sue possibili implicazioni nella patogenesi
e terapia dell’AD, è stata la dimostrazione che lo NGF è un fattore
fondamentale per lo sviluppo dei
neuroni colinergici del cervello
anteriore e il mantenimento del
loro fenotipo (Dreifus, 1989). Il
trattamento con NGF, iniziato
subito dopo una lesione del nucleo basale, previene nel ratto la
diminuzione del numero di neuroni colinergici, la riduzione di
ChAT e CHT1 corticali e nel ratto
vecchio aumenta la liberazione
di ACh e migliora i test cognitivi
(Di Patre et al., 1989; Casamenti
et al., 1989; Scali et al., 1994). In
alcuni di questi lavori è stato anche dimostrato che il ganglioside
GM1 potenzia l’azione del NGF
ed esercita un’azione riparativa
simile, sia pure di minore efficacia, (vedi Cuello, 2012). GM1
e NGF sono stati sperimentati in
clinica. GM1 è stato abbandonato per l’incertezza dei risultati
e il sospetto di gravi effetti collaterali. L’impiego di NGF nella
terapia di AD ha avuto alterne
vicende, ma è ancora oggetto di
sperimentazione (Cattaneo et
al., 2008).
La liberazione di ACh dalle terminazioni colinergiche è stata
studiata, oltre con il metodo della coppetta cerebrale, anche in
vitro da fettine isolate stimolate
Quaderni della SIF (2013) vol. 33- 5
elettricamente o depolarizzate
con potassio o da sinaptosomi
superfusi (Raiteri, Raiteri, 2001).
L’introduzione della tecnica della microdialisi, negli anni ‘80,
soprattutto per merito di Ungerstedt, soppiantò la coppetta corticale e rappresentò un grande
passo avanti nello studio della
correlazione fra comportamento
e liberazione di neurotrasmettitori (vedi in Di Chiara 1990,
Westerink 1995). Con l’impiego
di queste tecniche, è stato visto
che la liberazione di ACh dipende dall’attività dei neuroni colinergici ed è modulata a livello
presinaptico da diversi neurotrasmettitori. Oltre ai già descritti autorecettori muscarinici, la
liberazione di ACh è modulata
dall’adenosina (ADO). Su fettine
di corteccia cerebrale stimolate
elettricamente confermammo
l’azione inibitoria dell’ADO sulla
liberazione di ACh (Pedata et al.,
1981) e dimostrammo, con l’impiego di antagonisti selettivi, che
l’ADO esercita un effetto inibitorio, in genere predominante, attivando recettori A1 ed un effetto
stimolante mediato da recettori A2 (Spignoli et al., 1984). In
accordo con questa osservazione, caffeina e aminofillina, antagonisti dei recettori dell’ADO,
esercitano un effetto bifasico e
stimolano la liberazione di ACh
a basse concentrazioni mentre la
inibiscono a concentrazioni più
alte (Pedata et al., 1984). L’effetto
inibitorio di ADO è stato dimostrato anche sulla liberazione di
[3H]ACh da sinaptosomi incubati
con [3H]colina, depolarizzati con
potassio (Pedata et al., 1986).
Da questi lavori è nato l’interesse per l’origine, metabolismo e
ruolo dell’ADO cerebrale oggetto
di ricerche proseguite da Pedata
e collaboratori (Latini, Pedata,
2001).
La liberazione di ACh è regolata a livello presinaptico anche
da GABA e noradrenalina e se6 - Quaderni della SIF (2013) vol. 33
rotonina, con differenze regionali, come dimostrarono Beani
e collaboratori negli anni ‘80 su
fettine di corteccia, ippocampo e
striato e con la tecnica della coppetta corticale (vedi in Pepeu et
al., 1990). In vivo, con l’applicazione di farmaci mediante microdialisi inversa, è stato dimostrato che anche DA e glutammato
modulano la liberazione di ACh
a livello presinaptico, con differenze fra aree cerebrali (vedi in
Bruno, Sarter, 2006). La modulazione presinaptica esercita una
regolazione fine della liberazione
di ACh, attraverso autorecettori
o eterorecettori attivati da neurotrasmettitori rilasciati negli
spazi attorno alla terminazione
colinergica. Essa non determina
mai il blocco della liberazione
ma solo una attenuazione o un
modesto aumento.
La regolazione principale
dell’attività dei neuroni colinergici avviene a livello del soma.
Dell’azione stimolante della DA
sui neuroni colinergici del nucleo basale abbiamo già detto.
Una modulazione dei neuroni
colinergici del nucleo basale da
parte del GABA è stata dimostrata con l’iniezione nel nucleo
stesso di agonisti e antagonisti
dei recettori GABAa (Casamenti
et al., 1986) e la somministrazione sistemica di un agonista
inverso dei recettori delle benzodiazepine (Moore et al., 1995).
Un effetto bifasico, in funzione
della dose, sulla liberazione corticale di ACh, presumibilmente
indiretto, è causato dalla somministrazione periferica di colecistochinina (Magnani et al., 1987)
e i recettori coinvolti sono stati
definiti da Kimura et al. (1995).
Di fondamentale importanza è la
regolazione glutammatergica dei
neuroni colinergici, resa complessa dai diversi tipi di recettori
coinvolti e da differenze regionali nella risposta. In una serie di
lavori (Giovannini et al., 1994a e
b; Giovannini et al. 1997, 1998)
abbiamo dimostrato nel ratto,
con la tecnica della microdialisi,
accoppiata in alcuni esperimenti
ad immunoistochimica e colorazione retrograda, che i neuroni
colinergici che vanno all’ippocampo e alla corteccia sono tonicamente modulati da neuroni
GABAergici, posti nel setto, a
loro volta controllati da neuroni
glutammatergici. Nello striato, i
neuroni colinergici sono stimolati dall’attivazione di recettori
glutammatergici NMDA e sono
inibiti dall’attivazione di recettori non-NMDA posti su neuroni
GABAergici (Giovannini et al.,
1995). Dell’estesa letteratura
sull’interazione fra sistema colinergico e glutammatergico degli
ultimi anni, cito il lavoro di Sarter et al. (2006) per l’interessante schema proposto sull’integrazione fra vie glutammatergiche
e colinergiche nel meccanismo
dell’attenzione.
La tecnica della microdialisi
permette di studiare la liberazione dei neurotrasmettitori da regioni diverse del cervello mentre
l’animale, abitualmente il ratto,
esegue un’azione. Misurando i
livelli extracellulari di ACh in
regioni diverse del cervello, su
periodi da 5 a 20 min, è possibile
definire in quali comportamenti
viene attivato il sistema colinergico. Per esempio, un marcato
aumento dei livelli extracellulari
di ACh nella corteccia frontale e
nell’ippocampo si osserva quando un ratto impara che, in una
camera operativa, premendo una
leva in risposta ad un segnale visivo, ottiene del cibo. Ma non vi
è aumento in un ratto già addestrato ad ottenere il cibo premendo la leva (Orsetti et al., 1996).
Inglis e Fibiger (1995) hanno
dimostrato che la presentazione
di nuovi stimoli sensoriali induce un aumento della liberazione
di ACh sia nella corteccia che
nell’ippocampo. Giovannini et
al. (1998) hanno osservato che
un ambiente nuovo induce nel
ratto uno stato di allerta, attività esploratoria ed un aumento
dei livelli extracellulari di ACh,
indice dell’attivazione del sistema colinergico. La microdialisi
è stata utilizzata in molte situazioni comportamentali di diversa
complessità per studiare il ruolo
del sistema colinergico nell’apprendimento e la memoria, vedi
le rassegne di Pepeu, Giovannini
(2004, 2007, 2010) e Sarter et al.,
(2006). Un importante progresso
è stato recentemente compiuto
in alcuni laboratori con lo sviluppo di microelettrodi che misurano la liberazione di colina,
indice della liberazione di ACh,
secondo per secondo (Hasselmo,
Sarter 2011) permettendo di correlare comportamento e attivazione del sistema colinergico in
tempo reale. I meccanismi molecolari mediante i quali il segnale
rappresentato dalla liberazione
di ACh è tradotto dai recettori
muscarinici in apprendimento è
stato da noi affrontato studiando l’attivazione di ERK durante
l’apprendimento di una risposta
condizionata di evitamento (Giovannini et al., 2005).
L’ipotesi di Bartus et al. (1982)
sulla natura colinergica dei disturbi geriatrici della memoria
ha indotto numerosissimi studi
delle alterazioni del sistema colinergico cerebrale nell’invecchiamento e nell’AD. Ratti e topi
vecchi o con lesioni del nucleo
basale sono stati i primi modelli
animali di AD. Nei roditori vecchi (16 – 24 e più mesi) vi è una
diminuzione della liberazione di
ACh dimostrabile sia in fettine
isolate (Pedata et al. 1983) che in
vivo (Wu et al., 1993), con differenze di specie e ceppo (vedi in
Pepeu et al., 1993). L’ipofunzione colinergica è correlabile con
deficit cognitivi. I modelli animali di AD sono stati molto usati per la ricerca di farmaci che
potessero ripristinare i livelli di
ACh e correggere i deficit cognitivi. Per esempio in ratti vecchi
trattati con metrifonato (Scali et
al., 1997) si osserva inibizione
dell’AChE accompagnata da un
aumento dei livelli extracellulari di ACh e una normalizzazione
del test di riconoscimento degli
oggetti. Esiste un’ampia letteratura sull’efficacia di ChEI nel
correggere i deficit indotti da lesioni del nucleo basale (Sarter et
al., 1992). L’efficacia nei modelli
animali dei ChEI ha trovato pieno riscontro clinico ed alcuni di
essi, donepezil, rivastigmina, galantamina, sono tuttora gli unici
farmaci impiegati nella terapia di
AD. Altri farmaci attivi nei ratti
vecchi o con lesioni, quali la fosfatidilserina (Pepeu et al., 1996)
e l’aniracetam (Bartolini et al.,
1996), hanno dimostrato dubbia
efficacia clinica. Sono i casi che
obbligano a considerare sempre
con spirito critico i risultati ottenuti studiando i processi cognitivi nell’animale.
La scoperta della natura della
β-amiloide (Aβ), il costituente
delle placche neuritiche caratteristiche dell’AD e dei meccanismi della sua formazione, portò
alla formulazione dell’”ipotesi
amiloide” dell’AD (Hardy, Higgings, 1992) che considera il
deposito di Aβ l’evento centrale nella eziopatogenesi dell’AD.
Ci ponemmo, analogamente ad
altri laboratori, la domanda se
Aβ fosse tossica per i neuroni
colinergici e fosse la causa della
loro degenerazione nell’AD. Così
sembra, in quanto dimostrammo (Abe et al., 1994) che l’iniezione di frammenti peptidici di
Aβ nel setto di ratto causa una
riduzione della liberazione di
ACh nell’ippocampo. In uno studio successivo, osservammo che
l’iniezione di peptidi della Aβ nel
nucleo basale dà luogo ad un deposito simile ad una placca, circondato da una intensa reazione
gliale, e causa una diminuzione
del numero di neuroni colinergici accompagnata da una riduzione della liberazione di ACh
nella corteccia (Giovannelli et
al., 1995). Per l’estesa bibliografia sui rapporti fra Aβ e sistema
colinergico vedi Schlieb, Arendt
(2010). La reazione gliale rappresenta una risposta di tipo infiammatorio e, poiché infiammazione
cerebrale è presente nei cervelli
di soggetti affetti da AD e studi
epidemiologici hanno dimostrato che l’assunzione prolungata di
farmaci antiinfiammatori riduce
il rischio di sviluppare AD (McGeer, McGeer, 1995), la domanda
successiva fu se l’infiammazione
fosse in realtà la causa della degenerazione dei neuroni colinergici. Willard et al. (1999) hanno
dimostrato che un’infiammazione, sia acuta che cronica, indotta
nel cervello di ratto con l’infusione di β-polisaccaridi è accompagnata da una diminuzione del
numero dei neuroni colinergici
nel nucleo basale. Inoltre, la riduzione del numero di neuroni
colinergici indotta dall’iniezione
di Aβ (1 -42) nel nucleo basale
è attenuata dal trattamento con
un farmaco antiinfiammatorio
(Giovannini et al., 2002). Qualunque sia il meccanismo con il
quale si esplica, la tossicità di Aβ
per i neuroni colinergici ha trovato ulteriore conferma nei topi
transgenici che esprimono Aβ
e che si sono rivelati il migliore
modello animale di AD (Games
et al., 2006). Nel cervello di topi
TgCRND8 abbiamo dimostrato
una estesa disfunzione colinergica con riduzione del numero
di neuroni colinergici, della liberazione di ACh e perdita degli
autorecettori M2 (Bellucci et al.,
2006). Questo è stato l’ultimo
lavoro sperimentale su sistema
colinergico e AD al quale ho contribuito. Le ricerche su diversi
aspetti della patogenesi di AD e
su possibili interventi terapeutici
Quaderni della SIF (2013) vol. 33- 7
sono proseguite nel laboratorio
fiorentino da Fiorella Casamenti
e i suoi collaboratori. Ma il ciclo
della mia attività di sperimentatore si è concluso, per un caso,
con un ritorno alle origini. Ho
concluso, come ho iniziato, con
lo studio di un inibitore delle
colinesterasi. Il primo fu il parathion, un inibitore di AChE
e BuChE, l’ultimo un inibitore
selettivo della BuChE. L’osservazione nuova è stata che anche
una limitata inibizione della BuChE cerebrale causa un aumento dei livelli extracellulari di
ACh pur rappresentando BuChE
solo il 10% della AChE cerebrale (Cerbai et al., 2007). Si rende
necessaria una rivalutazione del
ruolo della BuChE cerebrale anche alla luce dei dati ottenuti in
topi knock out per la BuChE (Li
et al., 2008).
Più di 50 anni di ricerche mi
hanno dato la possibilità di assistere al formarsi di un grande
mosaico di conoscenze sul sistema colinergico cerebrale, al
quale ho potuto contribuire con
alcune tessere. Ho iniziato quando il ruolo dell’ACh nei processi
cognitivi era solo una vaga ipotesi. Oggi sappiamo che l’ACh cerebrale sottende ai meccanismi
dell’attenzione, della consapevolezza dell’ambiente e all’acquisizione di nuove informazioni e
possiamo rispondere affermativamente alla domanda posta da
Perry et al. (1999) se l’ACh nella
mente sia il neurotrasmettitore
della coscienza.
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