Capitolo III

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Molti tentativi sono stati fatti per dimostrare il V postulato o per sostituirlo con
una proposizione più semplice o più evidente ad esso equivalente. Tali tentativi, destinati al fallimento, sono, tuttavia spesso interessanti perché illustrano possibili interpretazioni geometriche o possibili applicazioni del V postulato e conducono, talora, alla scoperta di una serie di proprietà geometriche notevoli. Cercherò in questa
sede di offrire una rassegna veloce dei tentativi più significativi e dei risultati geometrici più interessanti.
3RVWXODWRGHOO¶REOLTXD32
“Una perpendicolare D ed una obbliqua E ad una stessa retta W si
incontrano dalla stessa parte in cui l’obliqua forma un angolo acuto con la
retta W .”
Notiamo con immediatezza che dal V postulato (V P.) segue il (P.O.);
proviamo a dimostrare che dal (P.O.) segue il (V P.).
Siano D e E due rette che formano con la trasversale W angoli D e E,da una
stessa parte, soddisfacenti alla condizione D + E < 2 retti (2R). Proviamo che
le rette D e E sono incidenti.
Dei due angoli D e E,almeno uno deve essere acuto, per esempio D. Sia S
la retta per % perpendicolare ad D e sia + il piede, che cade su D, dalla parte
in cui $+ è lato di D . In caso contrario, cioè se fosse +
il piede di tale perpendicolare, l’angolo D, risultando esterno al triangolo $+
%, dovrebbe essere maggiore di un angolo retto (per il teorema dell’angolo esterno).
Se la retta S coincide con E allora il punto comune ad D e E è +.
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Se la retta E è interna all’angolo $%ˆ + per il tacito assioma del triangolo, E
deve incontrare il lato $+ , cioè D.
Supponiamo, dunque, E esterna all’angolo $%ˆ + , come in figura e consideriamo l’angolo +%ˆ & G.
Proveremo che esso è acuto. Posto H = .%ˆ & , tale che D + E + H = 2R, risultaU
parallela ad D, per la proposizione n.28, e ancora U perpendicolare a S perché se fosse obliqua, per l’ipotesi P.O., U dovrebbe incidere D. Vale quindi la
relazione: +%ˆ . G + H = 1 retto, da cui si deduce (per la nozione comune n.8)
che G è acuto, cioè che E è obliqua rispetto a S e dunque incidente D.
Possiamo concludere affermando che il V postulato di Euclide è equivalente
al postulato dell’obliqua per cui la eventuale dimostrazione del P.O., implica
la dimostrazione del V postulato.
3RVWXODWRGHOO¶HTXLGLVWDQ]D3(
3RVLGRQLR, nel I sec. a.C., ritenne di averla effettuata nel modo
seguente.
Sia D una retta perpendicolare a W in $, E un’obliqua a W in % e E l’angolo
acuto di lati Ee W. Si vuole provare che De E si incontrano.
Supponiamo, per assurdo che E sia parallela ad $. Indicati con * ed ) due
punti di D tali che $* = *) tracciamo le rette perpendicolari ad D in * e )
che incontrino la retta E, rispettivamente, in+ e ..
Dall’ipotesi assurda discende :
$% = *+ = ). (1° criterio) e quindi l’uguaglianza dei triangoli%$* e *)..
In particolare risulta: $*ˆ % = )*ˆ . e %* = *..
I triangoli %*+ e +*. sono, a loro volta, uguali (1° criterio) per avere i lati
%*e *. uguali , il lato *+ in comune e gli angoli %*ˆ+ = +*ˆ. (nozione comune n.3). In particolare gli angoli %+ˆ* e *+ˆ. risultano uguali. Concludiamo
quindi che %+ˆ* è retto.
Proviamo adesso che i triangoli $%* e %*+ sono uguali. Essi sono entrambi
retti in $ e in +, hanno i cateti $% e +* uguali e l’ipotenusa %* in comune.
Se si dimostra che$* = +%allora i triangoli considerati sono uguali.
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Supponiamo, per assurdo, $* ≠ +% e, per fissare le idee, $* > +% allora
(prop. 2 e 3) esiste un punto / interno ad $* tale che $/ = +%.
Dall’eguaglianza dei triangoli (1° criterio) %$/ e *+%deduciamo%/ = *%.
Supponiamo, per assurdo, $* ≠ +% e, per fissare le idee, $* > +% allora
(prop. 2 e 3) esiste un punto / interno ad $* tale che $/ = +%.
Dall’eguaglianza dei triangoli (1° criterio) %$/ e *+%deduciamo%/ = *%.
Nel triangolo %/*, l’angolo in / è ottuso (teorema dell’angolo esterno) e tale
risulta anche l’angolo in * essendo il triangolo %/* isoscele sulla base /*
Dunque avremmo costruito un triangolo con due angoli ottusi (contro la proposizione n.17).
I triangoli $*% e %*+ sono quindi uguali e, in particolare risulta:
$*ˆ% = *%ˆ+ e %*ˆ+ = $%ˆ*
da cui sommando membro a membro si ha:
$*ˆ% + %*ˆ+ = *%ˆ+ + $%ˆ* ⇒ 1 retto = E.
Tale conclusione è assurda perché E è stato supposto acuto. 'XQTXHDHE
VLLQFRQWUDQR
La dimostrazione di Posidonio, nell’insieme corretta, si avvale però implicitamente della proposizione: ” se due rette sono parallele allora esse sono equidistanti ” la quale non procede dai primi quattro postulati.
In sostanza Posidonio, con la sua dimostrazione ha provato solamente che:
6HGXHUHWWHSDUDOOHOHVRQRHTXLGLVWDQWLDOORUDYDOHLOSRVWXODWRGHOO¶REOLTXDH
TXLQGLDQFKHLO9SRVWXODWRGL(XFOLGH.
D’altra parte in geometria euclidea vale la proposizione inversa: ³'XH UHWWH
SDUDOOHOHVRQRHTXLGLVWDQWL´.
Si è così ottenuta una nuova proposizione equivalente al V postulato che
chiameremo SRVWXODWRGHOO¶HTXLGLVWDQ]D (P. E.).
Sull’evidenza di una tale proposizione si possono sollevare dubbi non meno
fondati di quelli relativi all’enunciato del V postulato.
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$OWUHSURSRVL]LRQLHTXLYDOHQWLDO93
Tra i matematici greci che si interessarono al V postulato, merita di essere ricordato 3URFOR (418 - 485 d. C.) che nella sua opera ³&RPPHQWRDOƒ
OLEUR GL (XFOLGH´ afferma che alcuni matematici tra cui Posidonio stesso e
Gemino, suo contemporaneo, avevano proposto, per risolvere la questione,
la seguente definizione di rette parallele: “rette parallele sono rette equidistanti“.
Sembra con ciò che il problema sia risolto. Se, infatti, rette parallele sono
equidistanti allora la dimostrazione di Posidonio è corretta e quindi vale il V
postulato. Ma, ad un esame più attento, ci si accorge che, perché sia accettabile la definizione precedente, occorre che i concetti di retta e di equidistanza siano collegabili secondo quanto richiesto dalla definizione stessa,
cioè occorre che: ”il luogo dei punti equidistanti da una assegnata retta è ancora una retta“, cioè un nuovo postulato per nulla più evidente del V postulato.
Un’altra proposizione equivalente al V postulato è la seguente: ³/DUHOD]LRQH
GLSDUDOOHOLVPRqWUDQVLWLYD´.
Essa discende dal V postulato e, viceversa si può dimostrare che se due rette parallele ad una terza sono parallele tra loro allora vale il V postulato.
Infatti siano D eE due rette che, tagliate dalla trasversaleW in $ e % rispettivamente, formano dalla stessa parte angoli D e E tali che D + E < 2 retti, allora E incide D.
Se, per assurdo, fosse E // D, allora tracciata per $ la retta E
parallela a E
(prop. n. 31 indipendente dal V postulato), per l’ipotesi di transitività del parallelismo, E
sarebbe parallela ad D; assurdo.
Un’altra proposizione equivalente al V postulato che enuncio solamente è :
³'XH UHWWH VHFDQWL VRQR GLYHUJHQWL PHQWUH UHWWH SDUDOOHOH PDQWHQJRQR GL
VWDQ]DILQLWD´.
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Tale enunciato già prefigura il concetto di rette asintotiche che, come vedremo, ha procurato tanto “turbamento” a padre 6DFFKHUL.
Molti altri tentativi di dimostrazione del V postulato si susseguirono nel corso
dei secoli. Cito soltanto alcuni matematici che si sono occupati del problema:
7RORPHR (87-165), $JDQLV (VI sec. d.C), $O1LUL], (IX sec. d.C),1DVLU$O
GLQ (1201 -1274). Nel 1550 viene trovato il già citato commento di Proclo e
ciò determina il rifiorire della critica del V postulato. Tra i matematici italiani
che svolgono studi di un certo interesse intorno al problema della parallela ricordo 3.&DWDOGL (1552 - 1626) e *9LWDOH (1633 - 1711).
Il primo, sotto l’ipotesi che rette non equidistanti convergono in un verso e
nell’altro divergono, dimostra l’esistenza di rette equidistanti.
Il Vitale riesce ad individuare l’ipotesi minima da cui si può derivare il V postulato:
³(VLVWRQRWUHSXQWLDOOLQHDWLHTXLGLVWDQWLGDXQDUHWWDGDWD³ (ipotesi utilizzata
da Posidonio).
Il teorema dimostrato da Vitale è il seguente:
'DWRXQTXDGULODWHUR$%&'ELUHWWDQJRORLQ$H%LVRVFHOH$' %&FRQ
GRWWDXQDSHUSHQGLFRODUHDG$%LQ.GDXQSXQWR+LQWHUQRD'&VLKD
o $'ˆ+ = %&ˆ+ o VH+. $'DOORUD $'ˆ+ = %&ˆ+ VRQRUHWWLHODUHWWD&'qHTXLGLVWDQWHGD
$%
Dunque: una volta dimostrato che +. $' %&,
risulta &' equidistante da $% e quindi la dimostrazione di Posidonio è corretta, per cui vale il P.O. e,
di conseguenza, il V P.
/DSURSRVL]LRQHGL:DOOLV3:
L’inglese-RKQ:DOOLV (1616 - 1703), abbandonato il concetto di distanza, enuncia la seguente proposizione (che chiameremo P.W.): ³ 'DWD XQD
TXDOVLDVLILJXUDVLSXzVHPSUHFRVWUXLUQHXQDVLPLOHFRQJOLVWHVVLDQJROLGL
JUDQGH]]DDUELWUDULD³e dimostra il teorema limitandosi ai triangoli.
Faremo adesso vedere che dalla P.W. segue il V P.:
Siano D eE due rette che incontrano la trasversaleW nei punti $ e % formando con esse angoli D e Econ D + E < 2 retti. Occorre provare che D e E sono
incidenti.
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Consideriamo un punto ' su E e con un movimento FRQWLQXR trasliamo la
semiretta %' in modo che il punto % si muova verso $ su W fino a coincidere
con $e l’angolo E non subisca modifiche.
L’ipotesi che D + E < 2 retti assicura che, dopo la traslazione , la posizione
'del punto ' è dalla parte opposta rispetto alla retta D.
Nella traslazione (movimento continuo) il punto ' assume la posizione '
su
D e il triangolo $%
'
risulta avere gli angoli in $ e %
uguali, rispettivamente
ad D e E . Sul lato$% è quindi possibile costruire un triangolo
simile al triangolo $%
'
(P.W.) i cui ulteriori lati stanno necessariamente sulle rette D e E che, pertanto si incontrano nel terzo vertice di tale triangolo.
Rimane così dimostrata la validità del V postulato. Se si osserva che la P.W.
è valida nella teoria della similitudine della geometria euclidea deduciamo
che, ammesso il V P., vale la P.W..
Possiamo concludere: 3:qHTXLYDOHQWHDO93
Wallis stesso osserva anche che il III postulato di Euclide è analogo alla
P.W. (cerchio, triangolo), per cui sembra che la P.W. possa essere evidente
come il III postulato.
Ma è possibile ammettere di conoscere con evidenza qual è il comportamento di un triangolo quando i suoi lati aumentino indefinitamente?
Possiamo sicuramente attribuire a Wallis il riconoscimento di aver legato le
questioni connesse al V postulato con la teoria della similitudine per cui in
una geometria, in cui non vale il V postulato, non esistono figure simili che
non siano anche uguali. In una geometria non euclidea non esiste la teoria
della similitudine.
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