Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 4 RICERCA DI BASE Marco Racchi, Stefano Govoni Dipartimento di Farmacologia Sperimentale e Applicata, Università di Pavia Depressione e demenza, un continuum neurochimico? LA DEPRESSIONE NEL SOGGETTO DEMENTE: PREDITTORE O PRODROMO? sere indotta dall’esposizione a certi farmaci. Esistono quindi, oltre a problemi diagnostici, anche problemi pratici correlati all’uso di antidepressivi nell’anziano. Non da ultimo va ricordato che si verificano con l’invecchiamento cambiamenti “farmacocinetici” e “farmacodinamici” che rendono più lenta l’eliminazione dei farmaci, con possibile accumulo nell’organismo e variazioni del profilo di risposta (si pensi alla maggiore sensibilità agli effetti antidopaminergici dei neurolettici o antimuscarinici degli antidepressivi triciclici). Si è da tempo cercata una risposta all’interrogativo riguardante il significato della presenza di depressione in un soggetto demente e anche in un soggetto parkinsoniano. È stato suggerito che la depressione nel Parkinson sia il risultato di una reazione psicologica alla diagnosi o la percezione dei primi stadi della malattia. D’altra parte vi sono fattori neurobiologici dimostrati che suggeriscono un coinvolgimento diretto delle alterazioni a carico dei sistemi limbici nello sviluppo dei sintomi depressivi nel Parkinson (3,4). Per la demenza si sono formulate ipotesi che considerano la pregressa storia di sintomi depressivi (fino a 10 anni prima dell’esordio della demenza) come un fattore di rischio per lo sviluppo della stessa. Non tutti gli studi in letteratura hanno confermato questa ipotesi, mentre sembra più consistente l’osservazione che indica la depressione come un sintomo prodromico di una successiva evoluzione in demenza (si rimanda per una discussione più approfondita all’articolo di Panza et al. in questo stesso volume). Per ciascuna delle patologie considerate esiste, ed è stato ampiamente descritto, un difetto primario a carico di un sistema neurotrasmettitoriale, difetto che nella concezione generale caratterizza la malattia e guida le strategie terapeutiche di intervento. È utile comunque ricordare che la sostanziale sovrapposizione delle caratteristiche cliniche suggerisce un substrato patogenetico comune da ricercarsi probabilmente nell’interazio- Molti disturbi neuropsichiatrici hanno un tipico esordio tardivo e caratterizzano pertanto le patologie dell’anziano. L’anziano è particolarmente a rischio per patologie come le demenze, in particolare la demenza di Alzheimer, il Parkinson e i disturbi affettivi, tutte associate, almeno nelle maggiori teorie patogenetiche, a un’alterazione neurotrasmettitoriale. Quelle elencate sono, diagnosticamente parlando, tre distinte patologie. La depressione è una patologia dell’umore, il Parkinson un disturbo motorio e l’Alzheimer una patologia cognitiva. Tuttavia, nella depressione (specie nei soggetti anziani) si osservano spesso disturbi cognitivi e motori, mentre nel Parkinson e nell’Alzheimer vi è un’importante componente depressiva. Inoltre, spesso accade di osservare sintomi motori in un paziente demente e viceversa. Questo argomento sta assumendo sempre più rilevanza poiché la depressione nel soggetto demente o nel soggetto parkinsoniano crea una situazione di stress e alterazione della qualità della vita sia nel paziente che nel caregiver. Il carico associato a una patologia depressiva, specialmente nel demente, si traduce in una più frequente istituzionalizzazione del paziente e in un conseguente aumento della mortalità. La prevalenza della depressione in soggetti dementi è estremamente variabile in letteratura (si veda anche il lavoro di Panza et al. in questo stesso volume), anche a causa di significative differenze nel campione studiato che vanno dalle caratteristiche ambientali della popolazione analizzata alle variabili legate ai metodi diagnostici. La diagnosi differenziale nell’anziano diviene più complicata rispetto al giovane perché si instaura su un substrato che potrebbe già avere problemi medici concomitanti (1,2). La depressione in alcuni casi può “complicare” situazioni patologiche croniche, come l’ipertensione o il diabete, e può es- 4 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 5 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 ne e nell’integrazione di diversi sistemi trasmettitoriali e delle loro specifiche alterazioni patologiche. Alla luce di quando detto in precedenza il grado di comorbilità suggerisce una possibile correlazione a livello neurochimico tra queste entità nosografiche e stimola una discussione su tali interazioni, in particolare per quanto riguarda le basi neurochimiche della depressione nel paziente demente. includono un decremento del livello di L-triptofano (il precursore della serotonina), alterazioni nei meccanismi di ricaptazione del trasmettitore e alterazioni del numero di recettori. Nei soggetti depressi i livelli di serotonina e di L-triptofano sono inferiori a quelli misurati in individui sani e pare che una dieta povera di L-triptofano possa indurre sintomi depressivi. Come valutazione indiretta del livello di turnover cerebrale di serotonina è stata utilizzata la misura del livello di acido 5-idrossiindolacetico (5-HIIA) nel fluido cerebrospinale (9) e, con i limiti imposti dalla incompleta comprensione dei legami tra i livelli di 5HIIA e il metabolismo cerebrale della serotonina, questi studi hanno suggerito una ridotta attività serotoninergica nei soggetti affetti da disturbi depressivi (10-12). Questi dati tuttavia non risultano conclusivi, perché in altri studi clinici non sono state, invece, trovate differenze significative tra i livelli di 5-HIIA in soggetti depressi e soggetti sani (13). Qualche forma di depressione sembra essere legata a una minore risposta del recettore 5-HT1A (9). Sembra essere coinvolto anche il recettore di tipo 5-HT2, infatti alcuni sintomi depressivi potrebbero essere causati da un incremento patologico della funzionalità del recettore 5-HT2 nella regione limbica, la cui densità è più elevata, rispetto ai controlli, nella corteccia cerebrale delle vittime di suicidio (14). Infine, il trattamento cronico con antidepressivi porta a una riduzione della funzionalità dei recettori 5-HT2 nel cervello di ratto (8,14). Le piastrine posseggono un trasportatore per la ricaptazione della serotonina e recettori 5-HT2 strutturalmente simili a quelli cerebrali; pertanto, alterazioni a livello piastrinico possono costituire un marker della funzione serotoninergica a livello cerebrale (10). I pazienti depressi hanno un numero minore di siti di ricaptazione della serotonina e una densità di recettori di tipo 5-HT2 più elevata rispetto ai controlli (15). In soggetti depressi che abbiano tentato il suicidio o con ideazione suicida è stata descritta la presenza di un numero di siti di legame di tipo 5-HT2 significativamente più elevato rispetto a soggetti di controllo e anche a soggetti depressi ma senza storia di tentativi di suicidio (16). La teoria aminergica della depressione trova parziale supporto anche nell’attuale terapia perseguibile con i farmaci antidepressivi. L’attività farmacologica principale dei farmaci antidepressivi è infatti l’inibizione della ricaptazione sinap- LA NEUROCHIMICA DELLA DEPRESSIONE Il ruolo della noradrenalina e della serotonina La teoria monoaminergica della depressione ipotizza che l’origine della patologia sia dovuta a un deficit nella trasmissione serotoninergica e/o noradrenergica (5,6). Il supporto a questa ipotesi deriva dall’osservazione, spesso contrastante a causa di differenze metodologiche, che i pazienti affetti da depressione hanno un ridotto turnover delle monoamine e ridotti livelli di monoamine e relativi metaboliti nei fluidi biologici. È noto che negli animali la stimolazione elettrica del locus coeruleus, principalmente noradrenergico, induce stati ansiosi e di ipervigilanza e che lo stress induce l’attivazione del sistema noradrenergico. È stato suggerito quindi che una disfunzione nel sistema noradrenergico possa essere responsabile dello sviluppo di uno stato depressivo. Nei soggetti depressi sono state osservate alterazioni dei livelli di noradrenalina, della densità degli adrenocettori e della loro funzionalità (7). Nei pazienti depressi sono state misurate sia un’iperattività del sistema noradrenergico che un incremento della sensibilità dei recettori β-adrenergici, forse in relazione a una componente di stress. È stata formulata pertanto l’ipotesi che nel meccanismo patogenetico della depressione ci fosse una predominante ipersensibilià dei recettori β-adrenergici, ma, nonostante il trattamento cronico con antidepressivi sia effettivamente in grado di diminuire la risposta dei recettori β-adrenergici centrali (8), l’ipotesi non è sostenuta completamente dalle evidenze sperimentali. La serotonina è un neurotrasmettitore le cui funzioni includono la regolazione dell’umore, del sonno, della veglia, della memoria e dell’apprendimento, e recenti ipotesi sostengono l’idea che qualche carenza nel sistema serotoninergico possa essere coinvolta nell’eziologia della depressione. Alterazioni della trasmissione serotoninergica 5 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 6 RICERCA DI BASE tica e/o l’inibizione del catabolismo delle monoamine, con conseguente aumento della disponibilità sinaptica del trasmettitore (17). L’effetto di rinforzo della neurotrasmissione, immediato e facilmente dimostrabile, non viene ritenuto direttamente responsabile dell’efficacia terapeutica degli antidepressivi poiché è noto che l’efficacia della terapia si evidenzia solo dopo alcune settimane di trattamento (18). Tale insorgenza ritardata dell’effetto suggerisce la presenza di modificazioni adattative della neurotrasmissione che avvengono nel tempo, tra le quali una riduzione del numero di recettori β-adrenergici e serotoninergici e alterazioni a livello dei sistemi di trasduzione del segnale intracellulari (19-21). L’effetto a lungo termine degli antidepressivi potrebbe anche risultare in un’azione sui meccanismi molecolari di rilascio sinaptico dei neurotrasmettitori come dimostrato per i farmaci inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina da Popoli et al. (22). una riduzione dei recettori m2 in corteccia di ratto (14,26). Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi inducono psicopatologie simili allo stress post-traumatico, con sintomi neuropsichiatrici come la depressione (27), e modulano l’espressione genica nel sistema colinergico (28). DEPRESSIONE E ALTERAZIONI NEUROCHIMICHE NEL PARKINSON La principale alterazione neurochimica che caratterizza il morbo di Parkinson (PD) è una diminuzione dei livelli di dopamina nei gangli della base i quali rappresentano un circuito di regolazione del flusso di informazioni che va dalla corteccia cerebrale ai motoneuroni del midollo spinale. I neuroni dopaminergici della sostanza nera (pars compacta) vengono persi nel PD, con conseguente alterazione della bilancia neurochimica di questa complessa struttura (29). Nei soggetti affetti da morbo di Parkinson si osservano anche (in alcuni casi) sintomi depressivi, come apatia e incapacità di intraprendere un’attività di pianificazione; tuttavia, la questione, come per la malattia di Alzheimer, non è ben chiara. Si discute infatti sulla possibilità che la condizione di depressione sia dovuta a una reazione psicologica alla perdita di abilità motoria, oppure direttamente a una deficienza funzionale di dopamina. La patogenesi della depressione nel PD può essere correlata non solo con il sistema dopaminergico, ma anche con una disfunzione serotoninergica. Infatti, in pazienti con concomitanza di PD e depressione sono stati osservati più bassi livelli di serotonina nei gangli della base e nella corteccia cerebrale e più bassi livelli di 5-HIAA nel fluido cerebrospinale (30). Un’interazione tra i sistemi dopaminergico e serotoninergico è sostenuta anche dall’osservazione che una somministrazione di ritanserina, un antagonista del recettore 5-HT2, incrementa l’attivazione dei neuroni dopaminergici nella sostanza nera e nell’area tegmentale ventrale, inducendo nel paziente un miglioramento dell’umore e della motivazione. Questi dati indicano un controllo inibitorio esercitato da parte della serotonina sull’attività dei neuroni dopaminergici nel mesencefalo (31). Nel cervello del paziente con PD si osserva degenerazione neuronale anche nel locus coeruleus (principalmente noradrenergico), nel nucleo basale di Meynert (ricco di acetilcolina) e Dopamina e acetilcolina La dopamina gioca un ruolo centrale nel controllo dei meccanismi di gratificazione e motivazione e una sua carenza a livello mesolimbico induce sindromi caratterizzate da anedonia, perdita di motivazione e rallentamento psicomotorio (23,24), elementi considerati chiave nella patologia depressiva. Pare che l’alterazione della trasmissione dopaminergica correlata alla depressione sia costituita da una diminuzione di densità dei recettori post-sinaptici della dopamina D2/D3 nel nucleus accumbens e l’aumento della capacità di risposta degli stessi recettori in seguito a terapia cronica con antidepressivi confermerebbe questa ipotesi (25). Nell’anziano è stato osservato un rilevante calo di dopamina e di acido omovanillico (il principale metabolita) (HVA) ed è stato ipotizzato che l’incidenza di un tipo di depressione legato a disfunzioni nel sistema dopaminergico fosse dovuta a un incremento di attività monoaminossidasica di tipo B, responsabile specificamente del metabolismo della dopamina (26). Infine, l’interconnessione dei sistemi trasmettitoriali nella patogenesi della depressione si estende anche al sistema colinergico. È stato osservato un aumento della densità dei recettori muscarinici nella corteccia frontale delle vittime di suicidio, sebbene questi risultati non siano stati confermati in altri studi (14). I farmaci colinomimetici inducono disforia e la somministrazione cronica di mianserina e desimipramina porta a 6 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 7 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 in altri nuclei colinergici, nel nucleo dorsale del rafe (ricco di serotonina), nell’ipotalamo e in molti altri sistemi limbici (32). Tali alterazioni in diversi sistemi neurotrasmettitoriali potrebbero spiegare la co-occorrenza di demenza e depressione in una sottopopolazione di pazienti. Ciò nonostante rimane ancora da stabilire se le alterazioni in tali sistemi trasmettitoriali siano effettivamente alla base delle patologie associate che si osservano più frequentemente nei casi avanzati. Per quel che riguarda i sintomi depressivi si è ipotizzato che essi potessero avere basi neurobiologiche nella perdita di neuroni a livello del locus coeruleus (LC), il principale nucleo noradrenergico nell’uomo, anche se tale perdita neuronale non è osservata nella depressione idiopatica. La riduzione del numero di neuroni nel LC dei soggetti AD è stata da più parti confermata; tuttavia, l’alterazione di tale nucleo noradrenergico non correla con la presenza o meno di depressione nei soggetti AD. In un recente studio (34) sono stati suddivisi i pazienti in tre gruppi: soggetti AD depressi, con depressione transitoria e non depressi. È stato valutato il numero di neuroni pigmentati nel LC e, sebbene sia stata confermata la significativa perdita di neuroni in soggetti AD rispetto ai controlli, non è stata osservata alcuna correlazione tra presenza di depressione e numero di neuroni pigmentati. Il numero di neuroni pigmentati nel LC era maggiore (ma non in misura statisticamente significativa) nei soggetti AD con depressione presente all’esordio della demenza. Queste osservazioni sono in contrasto con studi precedenti sulla depressione nell’AD, ma suggerirebbero un’assenza di correlazione tra la neuropatologia del LC e la depressione, in modo simile a quanto accade nella depressione idiopatica. La marcata riduzione del numero di neuroni nel LC di soggetti AD è stata correlata a una riduzione di noradrenalina nel liquido cerebrospinale (CSF) e in molte aree cerebrali, con modeste tendenze alla riduzione anche per adrenalina e dopamina (35), e queste alterazioni sono state correlate con depressione e psicosi. In uno studio più recente è stata osservata una concentrazione media di noradrenalina (misurata post mortem in diverse aree cerebrali) significativamente più bassa nei soggetti AD rispetto ai controlli, mentre le concentrazioni del metabolita MHPG non sono risultate diverse. È stata inoltre osservata una correlazione inversa tra il numero di neuroni pigmentati che rimangono nel LC e il rapporto noradrenalina/MHPG nella corteccia frontale e nel LC (36). Gli autori suggeriscono pertanto che vi sia una risposta compensatoria da parte dei neuroni rimasti intatti nel LC, il che provoca un aumento del metabolismo della noradrenalina dimostrato dall’elevato rapporto MHPG/noradrenalina nell’AD. Tramite trattamento farmacologico con bloccanti α2-adrenergici Raskind e collaboratori osservano in modo simile un’aumentata risposta di sintesi e metaboli- DEPRESSIONE E ALTERAZIONI NORADRENERGICHE NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER In genere la malattia di Alzheimer (AD) è considerata come una patologia cognitiva, ma è quasi sempre accompagnata da disturbi psichiatrici tra cui il più frequente è la depressione, in tutte le sue forme. Nell’AD si osserva una degenerazione dei neuroni colinergici del nucleo basale di Meynert, un dato neuropatologico che caratterizza la malattia e porta a un deficit colinergico che correla con le alterazioni cognitive. La descrizione del deficit colinergico nell’AD è datata verso la fine degli anni Settanta dopo che diversi laboratori segnalarono che nel cervello dei soggetti Alzheimer vi era una significativa riduzione dei parametri relativi alla trasmissione colinergica, tra cui la riduzione della concentrazione di acetilcolinesterasi e dell’enzima di sintesi colina acetiltransferasi. Nel nucleo basale di Meynert originano la maggior parte delle proiezioni ascendenti colinergiche che innervano la corteccia cerebrale, l’amigdala, l’ippocampo e altre strutture cerebrali (33) e un gran numero di queste cellule vanno incontro ad atrofia e vengono perse nel corso della malattia. I marker colinergici vengono persi in modo significativo se si considera che l’attività di colina acetiltransferasi e la densità cellulare nel mesencefalo basale si riducono del 60-90% e del 75% rispettivamente. Non tutte le regioni del proencefalo sono colpite in modo uguale; per esempio, la maggior perdita cellulare e di marker colinergici si osserva in strutture come la corteccia entorinale e l’ippocampo, con un pattern di neurodegenerazione che sembra essere consistente con la caratteristica perdita di funzioni cognitive, come la memoria, e la conservazione relativa di altre funzioni sensoriali e motorie, specialmente nei primi stadi della malattia. 7 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 8 RICERCA DI BASE smo catecolaminergico sia nell’invecchiamento che nell’AD, suggestiva di una parziale perdita di neuroni noradrenergici (dimostrata da altri autori) e di una conseguente risposta compensatoria dei neuroni rimanenti (37). Quindi, sebbene la perdita di neuroni noradrenergici nel LC sia stata consistentemente dimostrata nell’AD, ci sono diversi studi che suggeriscono che gli indici di attività noradrenergica centrale aumentano con la gravità dei sintomi nei pazienti AD. I livelli di noradrenalina sono più elevati nel CSF di pazienti con malattia nello stadio avanzato rispetto a soggetti in stadio moderato-lieve. Oltre a questi, anche i livelli plasmatici di NA e la pressione sanguigna sono più elevati nei soggetti anziani e AD a tutti gli stadi di malattia; ciò suggerisce che, nonostante la perdita neuronale nel LC, gli elevati livelli di NA che si osservano nell’anziano e negli stadi precoci di malattia aumentano ulteriormente con il progredire della malattia. Questo aumento potrebbe essere alla base dei comportamenti agitati o dei deficit cognitivi nei pazienti negli stadi avanzati della malattia (38). Nel complesso queste osservazioni suggeriscono che le alterazioni neuropatologiche osservabili in diversi importanti nuclei funzionali nel cervello AD non sono automaticamente informative sulle alterazioni neurochimiche che si manifestano nel paziente. Nel loro insieme i dati descritti divengono utili nella razionalizzazione della terapia antidepressiva per il paziente demente. Dato che nell’AD sembra esservi un’iperattività del sistema noradrenergico, da alcuni associata a sintomi di agitazione nel paziente in stadio avanzato della malattia, una scelta terapeutica razionale potrebbe vedere esclusi quei farmaci con eccessiva attività rinforzante sul sistema noradrenergico poiché potenzialmente in grado di esacerbare lo stato di agitazione nel paziente. teccia e nel CSF, livelli che sono stati correlati alla sintomatologia cognitiva e psichiatrica (35). È stata osservata una riduzione significativa nella densità neuronale del nucleo dorsale del rafe, accompagnata da una riduzione della densità dei neuroni nel nucleo mediale del rafe nell’AD. Chen e collaboratori hanno descritto una neuropatologia fibrillare (gomitoli neurofibrillari) più significativa nei nuclei dorsale e medio del rafe nell’AD che in soggetti di controllo. Tuttavia, in questo studio non è stata rilevata alcuna correlazione tra le alterazioni neuropatologiche osservate (densità neuronale, neuropatologia fibrillare) e le alterazioni comportamentali e cognitive dei pazienti. Secondo gli autori ciò suggerisce che, nonostante l’importante neuropatologia a carico dei nuclei serotoninergici, vi è una plasticità del sistema neurotrasmettitoriale tale per cui non si osservano correlazioni tra la neuropatologia e la situazione clinica (39). Consistentemente con la neuropatologia dei nuclei del rafe sono ridotti i marker serotoninergici nelle regioni di afferenza corticale. Così si osservano riduzione di serotonina e 5-HIIA nella corteccia temporale e parietale. Tale riduzione arriva fino al 70% dei livelli di controllo e si manifesta precocemente nella malattia (40,41). Oltre a questo, e differentemente da quanto accade per il sistema colinergico, vi è perdita di elementi postsinaptici del sistema serotoninergico, con riduzioni significative per i recettori dei sottotipi 5HT1A, 5-HT2, 5-HT4. Queste alterazioni sono significative soprattutto perché nel cervello AD altri sistemi recettoriali (primo fra tutti il sistema colinergico) non sembrano essere alterati. Deve comunque essere sottolineato che tale alterazione recettoriale non è specifica della patologia, ma si verifica regolarmente con l’invecchiamento. I recettori serotoninergici sono ridotti anche nella corteccia frontale e temporale di soggetti con demenza frontotemporale (FTD), mentre la localizzazione di perdita recettoriale nell’AD è la corteccia temporoparietale. Questo indica perdita selettiva di sottopopolazioni di neuroni in aree cerebrali specifiche (42). Infine, il sistema trasmettitoriale serotoninergico è basato fortemente anche sulla funzionalità dei sistemi di ricaptazione del trasmettitore, il trasportatore della serotonina, che è il principale bersaglio della maggior parte dei farmaci antidepressivi. È stata descritta una riduzione nel numero dei DEPRESSIONE E ALTERAZIONI SEROTONINERGICHE NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER Nel contesto della depressione si osservano alcune significative alterazioni del sistema serotoninergico, soprattutto a carico dei recettori e del trasportatore per la serotonina. Alcuni autori hanno descritto alterazioni nei nuclei serotoninergici nel cervello AD. È stata dimostrata la degenerazione del nucleo dorsale del rafe con riduzione del contenuto di serotonina nella neocor- 8 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 9 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 trasportatori della serotonina nell’AD in tessuti come il nucleo dorsale del rafe, nell’ippocampo, nella corteccia entorinale e nelle piastrine, queste ultime dimostranti il fatto che l’alterazione non può essere considerata un epifenomeno. Vi sono studi che dimostrano un’associazione tra un polimorfismo del gene per il trasportatore della serotonina e l’AD a esordio tardivo (43). Tuttavia, altri autori non hanno confermato questo dato, non osservando una significativa differenza rispetto ai controlli nella distribuzione allelica dello stesso polimorfismo in quattro sottogruppi di pazienti, inclusi soggetti con AD, compromissione cognitiva lieve, alterazioni cognitive soggettive e depressione (44). Come si è detto, vi sono numerose evidenze che implicano il coinvolgimento del deficit serotoninergico nello sviluppo della depressione maggiore e sulla base di queste osservazioni è stato suggerito che le alterazioni correlate all’età potrebbero predisporre l’anziano allo sviluppo di depressione. In questo contesto esistono anche evidenze che i deficit colinergico e serotoninergico, combinandosi, contribuiscano sinergicamente allo sviluppo delle alterazioni cognitive e comportamentali caratteristiche della demenza (45). Molte delle informazioni che correlano il ruolo di uno specifico neurotrasmettitore con alterazioni comportamentali e cognitive vengono da studi nell’animale da laboratorio condotti con tecniche di antagonismo recettoriale o lesione selettiva. Vi sono evidenze sperimentali recenti che suggeriscono che la sola lesione del sistema colinergico non è sufficiente per produrre una sintomatologia cognitiva come quella che si osserva nel paziente AD. Sembra da queste osservazioni che il deficit serotoninergico diventi evidente (con alterazione cognitiva sintomatica) solo in presenza di una lesione colinergica. Ciò suggerisce che normalmente il cervello non utilizza le funzioni serotoninergiche per attività di tipo cognitivo, ma che la serotonina diviene necessaria in carenza di tono colinergico; oppure è possibile che il deficit colinergico renda il cervello più suscettibile alle carenze serotoninergiche che altrimenti non sarebbero evidenti in un cervello normale (46). Queste osservazioni suggeriscono la possibilità di intervenire anche sulla trasmissione monoaminergica con lo scopo di migliorare le performance cognitive del soggetto demente. Negli animali da laboratorio il trattamento combinato con inibitori dell’acetilcolinesterasi e inibitori delle monoaminossidasi porta a un effetto maggiore rispetto ai soli inibitori della colinesterasi nei confronti delle performance cognitive. Resta da stabilire se e come questa strategia sia perseguibile nel soggetto Alzheimer e nelle demenze in generale. DEPRESSIONE E TRASMISSIONE PEPTIDERGICA: L’ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-SURRENE Oltre ai sistemi monoaminergici vi sono almeno quattro sistemi di trasmissione peptidergica a livello ipotalamico che vengono considerati coinvolti nella sintomatologia della depressione. Si presume che la depressione derivi da un’interazione di stress ambientale e predisposizione genetica e in entrambi i fattori eziologici viene coinvolto l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Sono state descritte delle alterazioni nei sistemi peptidergici dell’asse HPA nei soggetti Alzheimer con depressione, dimostrando elevati livelli di ormone rilasciante la corticotropina (CRH) (47). I livelli di cortisolo nell’AD sono più elevati e correlano con la depressione (48), suggerendo una maggiore attivazione dell’asse HPA nei soggetti AD depressi rispetto ai pazienti non depressi. L’attivazione dell’asse HPA sarebbe coinvolta nell’interazione trasmettitoriale alla base della patogenesi della depressione e della demenza, sulla base dell’ipotesi della cascata dei glucocorticoidi (49). Secondo questa ipotesi gli elevati livelli di glucocorticoidi osservabili in seguito ad attivazione dell’asse HPA porterebbero a una degenerazione ippocampale con conseguente riduzione del controllo inibitorio che l’ippocampo ha sull’attività dell’asse HPA. Questo circolo vizioso autosostenuto sarebbe quindi alla base sia della depressione che della degenerazione ippocampale che si accompagna alla demenza. Per quanto questa ipotesi sia plausibile, rimane ancora difficoltosa la sua dimostrazione e, nonostante alcuni studi condotti sull’uomo (si veda per una rassegna Panza et al. in questo stesso volume), le conclusioni sono incerte. Esiste uno studio effettuato su cervelli post mortem di soggetti depressi (in corso di pubblicazione) (50) che descrive l’assenza di significativa perdita neuronale nelle aree dell’ippocampo più sensibili ai glucocorticoidi e che pertanto mette in dubbio la rilevanza della degenerazione ippocampale nella patogenesi della depressione. 9 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 10 RICERCA DI BASE sants. Drugs 1995; 4:1-12. 15. Sheline YI, Bardgett ME, Jackson JL, et al. Platelet serotonin markers and depressive symptomatology. Biol Psychiatry 1995; 37:442-447. 16. Pandey GN, Pandey SC, Janicak PG, et al. Platelet serotonin-2 receptor binding sites in depression and suicide. Biol Psychiatry 1990; 28:215-222. 17. Feighner JP. Mechanism of action of antidepressant medication. J Clin Psychiatry 1999; 60(S4):4-11. 18. Murphy DL, Mitchell PB, Potter WZ. Novel pharmacological approaches to the treatment of depression. Psychopharmacology: The fourth generation of progress. New York: Raven Press, 1995; pp.1143-1153. 19. Mori S, Zanardi R, Popoli M, et al. cAMP-dependent phosphorilation system after short and longterm administration of moclobemide. J Psychiatr Res 1998; 32:111-115. 20. Perez J, Mori S, Caivano M, et al. Effects of fluvoxamine on the protein phosphorylation system associated with rat neuronal microtubules. Eur Neuropsychopharmacol 1995; S5:65-69. 21. Nibuya M, Nestler EJ, Duman RS. Chronic antidepressant administration increases the expression of cAMP response element binding protein (CREB) in rat hippocampus. J Neurosci 1996; 16:2365-2372. 22. Popoli M, Venegoni A, Vocaturo C, et al. Longterm blockade of serotonin reuptake affects synaptotagmin phosphorylation in the hippocampus. Mol Pharmacol 1997; 51:19-26. 23. Gessa GL. Dysthymia and depressive disorders – dopamine hypothesis. Eur Psychiatry 1996; 11:S123-S127. 24. Rampello L, Nicoletti F, Nicoletti F. Dopamine and depression. Therapeutic implications. CNS Drugs 2000; 13:35-45. 25. Willner P. The mesolimbic dopamine system as a target for rapid antidepressant action. Int Clin Psychopharmacol 1997; 12:S7-S14. 26. Brown AS, Gershon S. Dopamine and depression. J Neural Transm 1993; 91:75-109. 27. Rosenstock L, Keifer M, Daniell WE, et al. Chronic central nervous system effects of acute organophosphate pesticide intoxication. Lancet 1998; 338:223-227. 28. Kaufer D, Friedman A, Seidman S, Soreq H. Acute stress facilitates long-lasting changes in cholinergic gene expression. Nature 1998; 393:373-377. 29. Lang AE, Lozano AM. Parkinson’s disease. Second of two parts. N Engl J Med 1998; 339:1130-1143. 30. Kostic VS, Djuricic BM, Covickovic-Sternic N, et al. Depression and Parkinson’s disease: possible role of serotonergic mechanisms. J Neurol 1987; 234:94-96. 31. Ugedo L, Grenhoff J, Svensson TH. Ritanserin, a 5HT2 receptor antagonist, activates midbrain dopamine neurons by blocking serotonergic inhibition. Psychopharmacol 1989; 98:45-50. 32. Jellinger KA. Post mortem studies in Parkinson’s disease - Is it possible to detect brain areas for specific symptoms? J Neural Transm 1999; 56(Suppl.):1-29. 33. Woolf NJ. Cholinergic systems in mammalian CONCLUSIONE La domanda iniziale “Depressione e demenza, un continuum neurochimico?” non ha quindi per il momento una risposta conclusiva anche se è possibile tracciare un qualche punto di contatto. L’interdigitazione dei sistemi e i dati disponibili suggeriscono comunque di valutare in modo aperto l’espressione sia di sintomi cognitivi che depressivi, rinunciando a un’eccessiva categorizzazione e ammettendo la possibilità che la correzione degli uni e degli altri possa vedere anche aree di sovrapposizione reciproca e di sinergia tra farmaci antidepressivi e farmaci antidementigeni. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Hay DP, Rodriguez MM, Franson KL. Treatment of depression in late life. Clin Geriatr Med 1998; 14:33-46. Waintraub L. Depression in the aged: diagnosis and treatment. Presse Medicale 1998; 27:2129-2144. Berg D, Supprian T, Hofmann E, et al. Depression in Parkinson’s disease: brainstem midline alteration on transcranial sonography and magnetic resonance imaging. J Neurol 1999; 246:1186-1193. Becker T, Becker G, Seufert J, et al. Parkinson’s disease and depression: evidence for an alteration of the basal limbic system detected by transcranial sonography. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1997; 63:590-596. Schildkraut JJ. The catecholamine hypothesis of affective disorders: a review of supporting evidence. Am J Psychiatry 1965; 122:509-522. Van Moffaert M, Dierick M. Noradrenaline (Norepinephrine) and depression. Role in aetiology and therapeutic implications. CNS Drugs 1999; 12:293-305. Leonard BE. The role of noradrenaline in depression: a review. J Psycopharmacol 1997; 11:S39-47. Zemlan FP, Garver DL. Depression and antidepressant therapy: receptor dynamics. Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry 1990; 14:503-523. Cowen PJ. A role for 5-HT in the action of antidepressant drugs. Pharmacol Ther 1990; 46:43-51. Risch SC, Nemeroff CB. Neurochemical alterations of serotonergic neuronal systems in depression. J Clin Psychiatry 1992; 53:3-7. Banki CM, Arato M, Kilts CD. Aminergic studies and cerebrospinal fluid cations in suicide. Ann NY Acad Sci 1986; 487:221-230 Mann JJ, Malone KM. Cerebrospinal fluid amines and higher-lethality suicide attempts in depressed inpatience. Biol Psychiatry 1997; 41:162-171. Reddy PL, Khanna S, Subhash MN, et al. CSF amine metabolites in depression. Biol Psychiatry 1992; 31:112-118. Leonard BE. Mechanisms of action of antidepres- 10 Articolo 1 n.9/00 22-05-2001 15:20 Pagina 11 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. Procter AW, Qurne M, Francis PT. Neurochemical features of frontotemporal dementia. Dement Geriatr Cogn Disord 1999; 10(Suppl.1):80-84. 43. Li T, Holmes C, Sham PC, et al. Allelic functional variation of serotonin transporter expression is a susceptibility factor for late onset Alzheimer’s disease. Neuroreport 1997; 8(3):683-686. 44. Zill P, Padberg F, de Jonge S, et al. Serotonin transporter (5-HTT) gene polymorphism in psychogeriatric patients. Neurosci Lett 2000; 284(1-2):113-115. 45. Meltzer CC, Smith G, DeKosky ST, et al. Serotonin in aging, late-life depression, and Alzheimer’s disease: the emerging role of functional imaging. Neuropsychopharmacol 1998; 18(6):407-430. 46. Dringenberg HC. Alzheimer’s disease: more than a “cholinergic disorder” - Evidence that cholinergicmonoaminergic interactions contribute to EEG slowing and dementia. Behav Brain Res 2000; 115(2):235-249. 47. Banki CM, Karmacsi L, Bissette G, Nemeroff CB. Cerebrospinal fluid neuropeptides in dementia. Biol Psychiatry 1992; 32(5):452-456. 48. O’Brien JT, Ames D, Schweitzer I, et al. Enhanced adrenal sensitivity to adrenocorticotrophic hormone (ACTH) is evidence of HPA axis hyperactivity in Alzheimer’s disease. Psychol Med 26(1):7-14, 1996. 49. Sapolsky RM. Why stress is bad for your brain. Science 1996; 273(5276):749-750. 50. Lucassen PJ, Muller MB, Holsboer F, et al. Hippocampal apoptosis in major depression is a minor event and absent from subareas at risk for glucocorticoid overexposure. Am J Pathology 2000, in corso di stampa. brain and spinal cord. Prog Neurobiol 1991; 37(6):475-524. Hoogendijk WJ, Sommer IE, Pool CW, et al. Lack of association between depression and loss of neurons in the locus coeruleus in Alzheimer disease. Arch Gen Psychiatry 1999; 56(1):45-51. Engelborghs S, De Deyn PP. The neurochemistry of Alzheimer’s disease. Acta Neurol Belg 1997; 97(2):67-84. Hoogendijk WJ, Feenstra MG, Botterblom MH, et al. Increased activity of surviving locus ceruleus neurons in Alzheimer’s disease. Ann Neurol 1999; 45(1):82-91. Raskind MA, Peskind ER, Holmes C, Goldstein DS. Patterns of cerebrospinal fluid catechols support increased central noradrenergic responsiveness in aging and Alzheimer’s disease. Biol Psychiatry 1999; 46(6):756-765. Elrod R, Peskind ER, Di Giacomo L, et al. Effects of Alzheimer’s disease severity on cerebrospinal fluid norepinephrine concentration. Am J Psychiatry 1997; 154(1):25-30. Chen CP, Eastwood SL, Hope T, et al. Immunocytochemical study of the dorsal and median raphe nuclei in patients with Alzheimer’s disease prospectively assessed for behavioural changes. Neuropathol Appl Neurobiol 2000; 26(4):347-355. Cross AJ. Serotonin in Alzheimer-type dementia and other dementing illnesses. Ann NY Acad Sci 1990; 600:405-415. Palmer AM, Francis PT, Benton JS, et al. Presynaptic serotonergic dysfunction in patients with Alzheimer’s disease. J Neurochem 1987; 48(1):8-15. 11