Determinazione delle distanze planetarie

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5.1 Determinazione delle distanze dei corpi del Sistema Solare
5.1.1 Distanza Terra-pianeti
Parallassi equatoriali
Questo è il metodo più preciso ma anche quello più delicato da eseguire. Esso si basa sul fatto che
un oggetto relativamente vicino sembra cambiare posizione rispetto ad altri oggetti molto più
lontani, se noi cambiamo il punto d’osservazione. Questo fenomeno è alla base della nostra visione
tridimensionale, e ne abbiamo la prova ogni secondo della nostra vita.
Per capire di cosa sto parlando, ponete un dito della vostra mano a circa 20cm dai vostri occhi, di
fronte al vostro naso. Ora osservatelo alternativamente con un solo occhio; cosa succede? Il dito
sembra cambiare posizione se guardato con l’occhio destro invece che con il sinistro e viceversa. La
metà dell’angolo di cui questo oggetto sembra cambiare posizione è detto angolo di parallasse. Il
suo valore è legato alla distanza tra i nostri occhi e alla distanza del dito dalla nostra faccia.
Allontanando il dito si può notare che l’angolo di parallasse cambia, e diventa sempre più piccolo,
fino a non essere più percettibile per oggetti molto lontani come ad esempio una montagna lontana
o le stesse stelle.
D’altra parte, la geometria dei triangoli rettangoli ci dice che se conosciamo l’angolo di parallasse e
la distanza tra i due punti d’osservazione, possiamo facilmente ricavare la distanza dell’oggetto
(questa tecnica è conosciuta con il più famoso nome di triangolazione).
Se analizziamo la figura, possiamo capire meglio quello che sto dicendo.
Schematizzazione del’angolo di
parallasse. Una sorgente vicina
che si staglia prospetticamente
su uno sfondo lontano appare
spostarsi se si cambia punto di
vista. Questo fenomeno è lo
stesso alla base della visione
tridimensionale
dell’occhio
umano
In particolare, la distanza dell’oggetto è data da d=CH= AH/tan(p) , dove d=CH=distanza,
AH=metà della distanza tra i due osservatori e p=angolo di parallasse, che vediamo essere la metà
dello spostamento dovuto al differente punto di osservazione. Per angoli piccoli, al di sotto di un
grado, (e quindi nella totalità dei casi astronomici) possiamo scrivere la formula in modo ancora più
semplice: CH=AH/p
Questa semplice formula è così potente che ci permette di determinare la distanza di ogni corpo
celeste, a patto di riuscire a misurare l’angolo di parallasse, cosa tutt’altro che facile in certe
situazioni.
Adesso che avete le basi, il passo successivo è di applicare questa tecnica ai pianeti!
Sappiamo che l’angolo di parallasse dipende dalla distanza dei due osservatori e dalla distanza
dell’oggetto da misurare; siccome si suppone che i pianeti siano molto distanti dalla Terra, allora
per avere un angolo di parallasse misurabile, ci serve una base abbastanza larga. Il modo migliore
che abbiamo è quindi di osservare contemporaneamente un pianeta ad una certa distanza sulla
superficie terrestre e stabilire di quanto esso si sposta rispetto alle ben più lontane stelle.
La tecnica ci consente di stabilire teoricamente la distanza di qualunque pianeta dalla Terra;
abbiamo solo bisogno di fare due osservazioni ad una certa distanza e allo stesso tempo; misuriamo
lo spostamento angolare (questo è facile da eseguire, soprattutto se ho a disposizione delle
immagini) e dall’angolo risalgo subito alla distanza dell’oggetto.
Sebbene qualunque base possa essere in grado di misurare la parallasse di un oggetto relativamente
vicino, le parallassi planetarie vengono espresse come metà dell’angolo che due osservatori
misurerebbero se fossero distanti tra di loro esattamente la lunghezza del diametro terrestre; è come
se essi osservassero dai due poli terrestri. In questo modo siamo sicuri di poter usare la massima
base possibile e quindi di misurare i maggiori spostamenti possibili. Naturalmente non è fattibile
osservare esattamente da due postazioni poste agli antipodi del nostro pianeta, soprattutto in regioni
ostili come i poli terrestri; nella realtà succede che si misura una parallasse data da una base più
piccola, ad arbitraria scelta degli astronomi (purché sufficientemente grande da poter essere
misurata!) e poi il valore ottenuto lo si ricalcala come se la base fosse stata l’intero diametro
terrestre. Perché si fa questo lavoro apparentemente inutile? La risposta è molto semplice: siccome
l’angolo di parallasse dipende dalla lunghezza della base scelta (e poi vedremo che non è solo
questo, ma conta anche la sua orientazione!), ogni astronomo misurerebbe un angolo diverso a
seconda della sua scelta della base; è certo che la distanza misurata sarà la stessa, ma lo scambio di
informazioni con altri astronomi diventerebbe problematico e al alto rischio di errori. Per questo, si
sceglie di correggere il proprio valore trovato, come se si fosse usato l’intero diametro terrestre; in
questo modo lo scambio di informazioni è molto più facile e privo di errori.
La cosa importante da capire, a questo punto, è che per misurare un oggetto relativamente vicino,
rispetto ad uno sfondo posto molto molto lontano (come ad esempio le stelle rispetto ai pianeti) è
sufficiente costruire una semplice geometria data da un triangolo isoscele, che si può tagliare in due
triangoli rettangoli, tracciando l’altezza (che in un triangolo isoscele è anche mediana e bisettrice
dell’angolo al vertice). Successivamente bisogna solamente risolvere uno dei triangoli rettangoli,
cosa possibile dalla semplice conoscenza dell’angolo al vertice (la cui metà è definita parallasse) e
della base (la distanza tra due osservatori).
Tuttavia le cose, apparentemente semplici, sono più complicate del previsto, come spesso accade e
come a breve vi renderete conto; ogni volta che si vogliono misure più precise, si dovranno
introdurre difficoltà nei calcoli.
Non sapete ancora di cosa stia parlando?
Vi do alcuni punti su cui riflettere:
- La terra è una sfera, non è piatta; come faccio a misurare la parallasse se non ho più una
base piatta, ma un arco di circonferenza?
-
Cosa succede se la base, oltre ad essere un arco di circonferenza, è anche inclinata e non
forma un triangolo rettangolo risolvibile immediatamente?
Le risposte potreste trovarle anche da soli, se avete un po’ di dimestichezza con i triangoli e con
la trigonometria.
Per ora vi lascio ragionare, e se siete proprio curiosi, avrete le risposte che cercate, mano a mano
che andrete avanti a leggere queste pagine.
Vi faccio solamente notare una cosa: la formula che vi ho dato per il calcolo della distanza, a
partire dall’angolo di parallasse (che vi ricordo si misura!) : d=CH= AH/tan(p) non è l’unica
formula per risolvere il problema; tocca a voi essere elastici e capire che a seconda delle
situazioni geometriche che si vengono a creare, quale formula usare.
Per esempio, per trovare la distanza del corpo celeste colorato di rosso, nella figura 1, questa
formula non serve, ma se ne applica un’altra; quale secondo voi? (suggerimento: nella figura1 la
distanza da calcolare è D, che non è più un cateto del triangolo rettangolo EDB, ma l’ipotenusa,
e per questo essa non si può calcolare come un cateto moltiplicato la tangente del suo angolo
adiacente!)
Metodi geometrici
Abbiamo visto che per calcolare la distanza dei pianeti dalla Terra ci sono diversi metodi; la
parallasse equatoriale è sicuramente il più potente e preciso dei metodi geometrici, ma non sempre
essa è facilmente attuabile; cosa ne direste di riuscire a misurare la parallasse di Nettuno, che ha un
semiasse di circa 30 UA? Da un rapido calcolo, possiamo stimare che la parallasse di un oggetto
così lontano, mettendoci agli antipodi della Terra (e per questioni puramente geometriche questo
r
non è possibile!) è di P = = 0.29” !Questo corrisponde ad uno spostamento tra polo nord e polo
d
sud di 0.58”, un valore molto piccolo! E’ vero che i moderni telescopi sono in grado di misurare
angoli di parallasse almeno 10 volte più piccoli, ma è anche vero che questa parallasse è ottimale e
soprattutto teorica!Non esistono telescopi posti a così grande distanza, per non tenere conto delle
eventuali difficoltà di misurazione di un oggetto che si presenta così basso sull’orizzonte (Infatti se
Nettuno si trovasse esattamente sull’equatore celeste, esso apparirebbe esattamente all’orizzonte sia
se osservato dal polo nord che dal polo sud!), dovute al seeing, alla rifrazione atmosferica e anche
all’assorbimento della stessa; bisogna parlare chiaro; una tale misurazione è impossibile. Cosa fare
dunque?
- si percorre la stessa strada, cercando di misurare la parallasse non con una base così estesa,
- si cercano altri metodi geometrici,
- si trovano altri metodi: osservazioni e costruzione orbite con l’aiuto delle leggi di Keplero
oppure un altro metodo ancora più semplice e preciso che spiegherò presto: le misurazioni
radar.
Siccome la tecnologia radar è relativamente nuova, vale la pena di scoprire come si misuravano le
distanze planetarie anche solo 100 anni fa.
Naturalmente il discorso è quello già visto: la difficoltà dei calcoli dipende dalla precisione che si
vuole raggiungere.
Vale la pena, anche in questo caso di distinguere tra pianeti interni (Mercurio e Venere) e pianeti
esterni (tutti gli altri, compresi asteroidi e comete).
Pianeti Interni: Il discorso per essi, è molto simile a quello già affrontato nel calcolo della distanza
Terra-Sole; effettivamente in quel caso avevamo visto che un pianeta, nella fase di dicotomia, ci
consente di ottenere la sua distanza dal Sole e dalla Terra, contemporaneamente.
Il procedimento che descriverò ora è una generalizzazione di quello precedentemente visto:
dall’osservazione del pianeta interno, voglio ricavare ad ogni istante la distanza di esso dalla Terra.
Va detto che questo problema si risolve in fretta conoscendo semplicemente le orbite dei pianeti e le
loro posizioni reciproche, cosa abbastanza facile da fare; infatti conoscendo l’unità astronomica
conosciamo il fattore di scala del nostro sistema solare, mentre la terza legge di Keplero ci da una
misura dei semiassi maggiori di tutti i corpi del sistema solare; quello che si deve fare quindi, è di
misurare, come su una cartina, la distanza tra i pianeti, conoscendo naturalmente le loro posizioni
reciproche e moltiplicare per il fattore di scala che altro non è che l’unità astronomica. Se si
vogliono fare le cose per bene, si introducono le orbite esatte, comprese di inclinazione ed
eccentricità; dati che si ricavano dalle semplici osservazioni (e Gauss dice che ne bastano già 3!);
quello che descrivo è quindi solamente una semplificazione (o complicazione?) per chi non vuole
ogni volta controllare le posizioni reciproche delle orbite, ma con un semplice calcolo, che si
effettua anche mentalmente, conoscere almeno l’ordine di grandezza delle distanze.
Supponiamo di conoscere quindi l’unità astronomica e la distanza
del pianeta attorno al Sole (almeno quella media, cioè il semiasse
maggiore); per i pianeti interni, possiamo costruire una
configurazione costituita non più da un triangolo rettangolo, ma da
un triangolo qualsiasi:
Attraverso le relazioni dei triangoli qualsiasi più il teorema di
Carnot,
possiamo
costituire
il
seguente
sistema:
2
2
2
C = B + A − 2 AB cos c
da cui si ricava la distanza C, valida

 A = C cos b + B cos c
per ogni angolo b (che altro non è che l’elongazione del pianeta, o
meglio, la separazione angolare):
C = A cos b ± A 2 cos 2 b − A 2 + B 2 . Questa formula, ci da la
distanza del pianeta dalla Terra in funzione della sua separazione
angolare dal Sole (b); il segno ± sta ad indicare se il pianeta si
trova tra la Terra e il Sole (segno - ) oppure più distante del Sole.
La formula sembra andare bene; infatti studiando i casi limite si ha:
- per b=0° cosb=1 e quindi la distanza sarà: C = A ± B ; se osserviamo bene, la configurazione
con b=0 corrisponde a 2 casi: Venere perfettamente tra la Terra e il Sole, e Venere
esattamente dietro il Sole; in questi casi è elementare capire che la distanza è proprio C=A-B
se venere si trova davanti al Sole, e C=A+B se esso è dietro.
Chiaramente il valore di b non può essere qualunque, in quanto si tratta di pianeti interni, che mai si
discosteranno dal Sole per più di poche decine di gradi. Il valore di b va inserito in valore assoluto,
nel senso che esso non importa se sia destro o sinistro, basta che sia sempre positivo.
Pianeti esterni: Per essi vale la stessa relazione cercata, con la differenza che l’angolo b può
variare da 0 a 180°; le formule comunque sono le stesse:
C 2 = B 2 + A 2 − 2 AB cos c
e quindi: C = A cos b ± A 2 cos 2 b − A 2 + B 2 . A differenza dei pianeti

 A = C cos b + B cos c
interni, qui abbiamo tutti gli angoli possibili, da 0 a 180, e quindi non c’è più la simmetria che si
aveva nel caso precedente; la formula può così essere leggermente semplificata in questo modo:
C = A cos b + A 2 cos 2 b − A 2 + B 2 , in quanto è l’angolo ora (da 0 per la congiunzione, a 180° per
l’opposizione) che ci da il segno di A (se è da sottrarre nel caso dell’opposizione, o da aggiungere
nel caso della congiunzione). La simmetria orizzontale invece resta; non importa se il pianeta si
trova a destra o a sinistra del Sole; l’importante è inserire un valore dell’angolo di separazione dal
Sole compreso tra 0 e 180°
Analizziamo i casi limite anche in questo caso, per avere una prova delle veridicità della formula;
- quando il pianeta è in opposizione, si ha b=180°, e quindi cosb=-1 e cos 2 b =1, e quindi la
distanza sarà C = − A + B ;
- per b=0° cioè quando esso è in congiunzione con il Sole, si ha cosb=1 e quindi C = A + B
- per b=90° (il pianeta è in quadratura), si ha cosb=0° e la distanza C sarà data dal semplice
teorema di Pitagora: C = B 2 − A 2 come ci si aspetterebbe.
La formula sembra quindi essere corretta, e dare la distanza del pianeta dalla Terra per ogni punto
della sua orbita.
Questa formule sono, come già detto, approssimate; in particolare esse non tengono conto
dell’eccentricità delle orbite. Per avere un valore corretto, è necessario inserire il valore puntuale
della distanza Terra-Sole (A) e della distanza del pianeta dal Sole (B), i quali si ricavano dalla
conoscenza delle loro orbite, attraverso la legge già vista: rP = a P (1 − e P cos E P ) . Questo
accorgimento può essere utile se usato con pianeti con alta eccentricità, come Marte, mentre può
essere trascurato per pianeti con bassa eccentricità come Giove, o ancora meglio Nettuno, che
insieme a Venere è il pianeta con l’orbita più circolare di tutti.
Come già detto, queste formule, pur essendo corrette dal punto di vista matematico, sono da usare
solamente se si vuole effettuare un rapido calcolo senza stare a guardare le posizioni reciproche
delle orbite (e questo calcolo è molto semplice quando il pianeta è per esempio in quadratura, cioè
forma un angolo di 90° con il Sole).
Per calcoli più precisi, bisogna usare le orbite, che si determinano facilmente dalle semplici
osservazioni. La cosa in assoluto più difficile è solamente determinare il fattore di scala del sistema
solare, che abbiamo trovato descrivendo i vari metodi per la misura dell’unità astronomica.
Il resto richiede solo pazienza e osservazioni accurate.
Distanza Terra-Luna
Parallasse diurna
Sappiamo cosa è l’angolo di parallasse e che esso, in linea di principio, esiste sempre quando due
osservatori osservano da due punti di vista diversi; questo può essere fatto sulla Terra per la misura
di oggetti lontani, e naturalmente funziona anche per oggetti al di fuori del sistema solare; il metodo
è sempre lo stesso: osservare da due posizioni abbastanza lontane da poter misurare un angolo di
parallasse; misurato questo posso facilmente risalire alla distanza in Km dell’oggetto considerato.
Abbiamo anche visto come per gli oggetti del sistema solare si parli del concetto di parallasse
equatoriale; esso è l’angolo visibile se si usa una base lunga quanto il diametro terrestre (ricorda che
la parallasse è metà di questo angolo di spostamento).
Vediamo ora un’altra applicazione del metodo della parallasse, chiamata parallasse equatoriale
diurna. La sua misurazione non richiede due osservatori che misurano lo stesso oggetto nello stesso
istante, ma sfrutta il fatto che la Terra ruota su se stessa.
Il concetto è molto semplice, almeno in linea teorica. Ci si mette sull’equatore, in modo da avere la
Luna che passa esattamente sopra le nostre teste e si conducono almeno due osservazioni,
annotando scrupolosamente gli orari.
La prima osservazione si effettua al sorgere del nostro satellite; si annota l’ora esatta al secondo e
poi si aspetta fino a quando la luna non raggiunge la massima altezza sull’orizzonte (che sarà
prossima ai 90°, anche se questo valore, come vedremo non è poi così scontato). A questo punto si
prende nota dell’ora esatta (al secondo possibilmente) e il gioco è fatto; ora abbiamo tutti i dati a
nostra disposizione, ed ora comincia il procedimento di calcolo.
Va detto che quello che vado a spiegare ora, è un procedimento abbastanza rozzo o poco preciso,
che comunque da una misura abbastanza precisa della distanza del nostro satellite naturale.
Tutto risulta più semplice se ci aiutiamo con una figura; la nostra situazione geometrica è all’incirca
questa (all’incirca perché naturalmente il disegno non è in scala!):
Il nostro scopo è ora di risolvere il triangolo rettangolo della figura, con semplici formule
trigonometriche.
Conosciamo sicuramente l’angolo a che è di 90°, in quanto formato da una retta che passa per il
centro, perpendicolare alla superficie terrestre con la tangente alla superficie terrestre, passante per
il centro della Luna; l’angolo b può essere calcolato abbastanza facilmente; esso è infatti l’angolo
del quale la Terra si è spostata durante le due osservazioni.
Il suo valore è già contenuto negli istanti annotati. Infatti, sappiamo che la terra compie una
rotazione in 23h 56 min e 4 sec, il che equivale a dire un angolo giro, cioè 360°. Allora, con una
semplice proporzione possiamo trovare l’angolo percorso nell’intervallo di tempo ∆T = T1 − T0 :
360 x∆T
, dove P è il periodo di rotazione della Terra. In questo modo troviamo l’angolo b, e
b=
P
ora possiamo calcolare facilmente anche l’angolo di parallasse p. Infatti, in ogni triangolo la somma
degli angoli è sempre uguale a 180°; siccome conosco già due angoli, allora il terzo si ricava subito:
p = 180 − (a + b) ; ora che ho l’angolo di parallasse, sono a buon punto; basta solamente fare un
piccolo calcolo per trovare la distanza della Luna.
A
dove D= distanza oggetto e A= raggio
Infatti, per piccoli angoli, vale la relazione già vista: D =
p
terrestre; questa formula ci da direttamente la distanza del centro della Luna dal centro della nostra
Terra. Per avere una distanza che si riferisca alla superficie terrestre bisogna almeno correggere per
il raggio terrestre, che è di 6378 Km.
Dobbiamo ancora una volta fare uno delle trigonometria; analizziamo la seguente figura.
Attraverso l’angolo di parallasse noi troviamo la distanza D, mentre a noi fa comodo avere la
distanza D 1 . Vediamo che è possibile costruire un piccolo triangolo rettangolo (in giallo), dove il
lato retto T è la distanza che dobbiamo sottrarre al nostro valore affinché sia riferito al nostro punto
di osservazione e non al centro della Terra. Il suo valore è un po’ più piccolo del raggio terrestre R,
di una quantità che dipende dall’angolo t; in particolare si ha: T = R cos t e quindi la distanza sarà:
1

D 1 = r  − cos t  . Questa è la distanza tra la superficie terrestre e il centro della Luna.
p

Tuttavia, non tutto è così semplice, e questa formula introduce un grande errore: la luna infatti ( e
anche la Terra) nell’intervallo di tempo delle due misurazioni, si muove lungo l’orbita attorno alla
Terra (e la terra attorno al Sole); in particolare, la Luna nel moto apparente in cielo, sembra andare
più lentamente, restare indietro rispetto alle stelle di fondo; questo significa che in realtà, quando la
luna raggiunge la massima altezza sull’orizzonte, essa non è tale perché nel frattempo essa si è
mossa (e non a causa della sola parallasse!); bisogna tenere conto dello spostamento della luna
lungo la sua orbita, se vogliamo ottenere un dato sensato; senza entrare nei dettagli, conoscendo la
velocità orbitale del nostro satellite, possiamo correggere per il suo moto e capire il vero istante in
cui esso raggiunge la massima altezza ed avere un valore che contenga solo l’informazione della
parallasse, e non anche il suo moto orbitale. E’ chiaro che questo errore affligge solamente il valore
dell’angolo della parallasse e non il procedimento di calcolo.
Nella pagina dedicata al nostro Satellite, faremo un esempio numerico di quanto conti lo
spostamento orbitale e di come correggerlo.
Parallasse equatoriale
La distanza Terra-Luna può essere misurata con ottima precisione usando il metodo della parallasse
equatoriale.
A differenza del metodo della parallasse diurna, che richiede solo un osservatore, ma posto
all’equatore e che deve tenere conto del moto orbitale del nostro satellite, la parallasse equatoriale
richiede due osservatori che osservano a distanza lo stesso fenomeno, allo stesso istante; per
semplificare i calcoli, è necessario che i due osservatori si trovino sullo stesso meridiano,
Il metodo della parallasse equatoriale in realtà prevede l’osservazione da parte di due osservatori
posti ai 2 poli terrestri, in modo da avere un angolo di parallasse che sfrutta l’intero raggio terrestre,
che poi non p altro che la massima base che si possa raggiungere sulla Terra.
Naturalmente questo solo in linea teorica, mentre in pratica è abbastanza difficile trovare 2
osservatori che siano posti esattamente ai poli, per non parlare degli evidenti problemi osservativi
che si incontrano: la luna non sarà mai ben visibile da entrambi i poli contemporaneamente!
E’ chiaro che nella pratica, le cose devono essere diverse; c’è un metodo per calcolare la parallasse
tra due luoghi postai ad una distanza arbitraria, non necessariamente ai poli? La risposta è senz’altro
affermativa, visto che per notare l’angolo di parallasse non è richiesto nessun vincolo alla lunghezza
della base scelta; l’importante è che sia abbastanza grande da rendere precisa la misura dell’angolo!
Quindi, il procedimento da seguire è abbastanza semplice; si osserva la luna allo stesso istante, in
due luoghi distanti almeno 100km tra loro, possibilmente sullo stesso meridiano (cosa non difficile
da effettuare con i moderni programmi di cartografia, che indicano in modo molto preciso le
coordinate di qualsiasi punto terrestre, o con i ricevitori gps), necessariamente alla stessa ora; si
misura quindi lo spostamento rispetto alle stelle di fondo, e si ricava subito l’angolo di parallasse.
Con le moderne tecnologie digitali, questa parte osservativi è diventata abbastanza facile da
effettuare; basta sincronizzare gli orologi dei computer e scattare qualche immagine digitale in
contemporanea. Inoltre le immagini digitali sono facili da calibrare e misurare, molto di più delle
immagini su pellicola chimica.
L’unico problema serio è dato dall’alta luminosità della Luna, che rende difficile, se non
impossibile riprendere anche le stelle di fondo; il problema si risolve facilmente riprendendo
durante un’eclisse di luna totale, naturalmente durante la totalità, quando la luminosità superficiale
del nostro satellite è confrontabile con quella delle stelle di fondo e quindi si possono facilmente
riprendere immagini di stelle e del nostro satellite.
Dopo aver ripreso le immagini il gioco è fatto; abbiamo già tutti i dati di cui disponiamo; bisogna
solo elaborarli, e la cosa è meno semplice di quanto si possa pensare.
Per noi osservatori italiani, che osserviamo da medie latitudini (circa 40° nord), la situazione
geometrica che si viene a creare è data dalla seguente figura:
Il disegno non è naturalmente in scala, ma da un’idea di quello che succede. L’orbita della luna è
inclinata di circa 5° rispetto all’eclittica; in questo caso abbiamo supposto che la luna all’equatore
passi allo zenit (e quindi questa è un’eclissi che può verificarsi realmente a cavallo degli equinozi,
in primavera o in autunno), ma il procedimento non cambia qualsiasi sia la posizione della luna
sull’eclittica.
Vediamo subito che la nostra base di osservazione A è inclinata e non forma un triangolo rettangolo
con le congiungenti al centro della luna. Questo significa 2 cose:
- non abbiamo un triangolo rettangolo e quindi non sappiamo risolvere il problema con i dati
che abbiamo
- l’angolo di parallasse che si viene a creare dipende solamente dall’altezza B del triangolo e
non dalla base A, ma dalla sua proiezione perpendicolare. Questo non è banale, ma
facilmente verificabile dalla figura. In particolare, l’angolo di parallasse che avrei a causa di
una base lunga ed orientata come la A, è uguale a quello che in questo caso avrei con una
base B posta sull’equatore, dove la luna è esattamente allo zenit (90°).
La parallasse che misuriamo quindi, corrisponde alla proiezione B di A; per trovare la distanza della
luna da uno dei due punti di osservazione devo necessariamente conoscere B, che è la vera base che
mi da la parallasse p.
Come fare per calcolare B? Bisogna risolvere il triangolo rettangolo BAF, cosa che non è possibile
visto che conosciamo solamente il lato A e l’angolo retto c.
A questo punto abbiamo due possibilità; una risoluzione approssimata con un metodo semplice, o
una risoluzione esatta con un metodo un po’ più complicato;
la prima consiste nell’analizzare la figura, e trascurando la curvatura della Terra, possiamo
conoscere tutti gli angoli del triangolo rettangolo BAF; infatti, gli angoli a e d possono essere
considerati, in prima approssimazione come l’altezza della luna sugli orizzonti, nello stesso istante.
In realtà questo non è vero, in quanto l’altezza di un astro sull’orizzonte si misura rispetto alla
tangente alla superficie terrestre di quel punto; Gli angoli a e d invece sono dati dall’intersezione
delle rette E+F e D con la corda che congiunge i due punti di osservazione. Se trascuro la curvatura
della Terra, allora posso considerare la corda e le tangenti ai due punti di osservazione, paralleli, e
che quindi formano gli stessi angoli con le due rette considerate.
Misurando quindi l’altezza della Luna sull’orizzonte nel punto F, ottengo subito l’angolo a, mentre,
l’angolo b si ottiene tenendo conto delle proprietà di tutti i triangoli, e cioè che la somma dei loro
angoli (interni) è sempre di 180°. Conoscendo due angoli, si ha il terzo, cioè b=90-a .
Possiamo calcolare quindi il lato B dato da: B = A sin a . Questa è la vera base per la quale si ha il
valore calcolato della parallasse.
B
A sin a
Quindi, ora possiamo calcolare la distanza D della Luna: D =
=
e il gioco è fatto!
sin p
sin p
Se invece vogliamo complicarci la vita ed avere un valore esatto (questo procedimento è
giustificabile solamente se le misurazioni dell’angolo di parallasse sono state molto precise,
altrimenti non ha senso usare il procedimento esatto; ricorda infatti che la precisione di una serie di
misure è data sempre dalla misura meno precisa!), allora dobbiamo considerare la curvatura
terrestre e il fatto che non posso misurare l’angolo a, ma, un angolo minore di quello effettivo.
Per
capire
meglio,
analizziamo
la
seguente
figura:
In questa figura sono spariti tutti i riferimenti relativi alla luna e alla parallasse, e in effetti questo
problema non riguarda più la misura della distanza lunare.
Analizziamo la figura: la lunghezza 2B è la corda che unisce i due punti di osservazione, mentre C è
la tangente ad uno dei due punti, che ci da anche la linea d’orizzonte. L’angolo t è quello che ci
interessa; esso è l’angolo per il quale devo correggere l’altezza della Luna che misuro. In
particolare, all’altezza della Luna misurata, deve essere aggiunto il valore dell’angolo t, che sarà
tanto più piccolo quanto minore sarà la base.
b
Dobbiamo conoscere il raggio terrestre, che è di circa 6378 Km. L’angolo a è dato da: a = dove
r
b è metà dell’arco di circonferenza tra le due località, che altro non è che la distanza tra le due
località; l’angolo c è di 90°, in quanto, per costruzione essa è la mediana del triangolo isoscele
RRB, e quindi anche la bisettrice e l’altezza. L’angolo b sarà dato da b=90-a e quindi finalmente
l’angolo t sarà dato da t=90-b (visto che ogni tangente è sempre perpendicolare al raggio della
circonferenza).
Quindi il vero valore dell’angolo a della prima figura sarà dato dall’altezza della luna sull’orizzonte
(che chiamiamo a 1 )più l’angolo t appena trovato. Quindi a = a 1 + t e finalmente la distanza sarà
B
A sin(a + t )
=
.
data da: D =
sin p
sin p
Questo secondo metodo è preciso e da un risultato esatto, senza aver usato alcuna approssimazione.
Esso ci da la distanza dal secondo punto di osservazione, conoscendo la parallasse e l’altezza della
luna sull’orizzonte del primo osservatore, corretta per la curvatura della Terra.
Quello che si richiede è di riprendere due immagini della luna, contemporanee, in località poste allo
stesso meridiano e quando essa è alla massima altezza sull’orizzonte (cioè in meridiano); solo in
queste condizioni vale lo schema geometrico appena esposto; è chiaro che si possono effettuare
misurazioni in località poste a diversi meridiani e con la luna non all’orizzonte, ma questo complica
notevolmente i calcoli, già di per se piuttosto noiosi.
La distanza che si ricava è del centro della luna rispetto al secondo punto di osservazione e non al
centro della Terra o all’equatore.
Distanze pianeti-Sole
Legge di Keplero
Abbiamo visto fino ad ora come si misurano le distanze degli altri corpi celesti rispetto al nostro
pianeta; sappiamo che tutti i corpi del sistema solare orbitano intorno al Sole su orbite ellittiche; è
quindi naturale che il prossimo passo sia come misurare la distanza tra il Sole e gli altri pianeti.
A differenza dei procedimenti puramente geometrici usati fino ad ora, alcuni anche piuttosto lunghi
e precisi, in questo capitolo useremo delle approssimazioni inevitabili, e vedremo dei metodi sia
geometrici che non; in particolare, con l’aiuto delle leggi di Keplero. Vedremo quanto il problema
sarà di più immediata e precisa soluzione.
Prima di cominciare, bisogna distinguere, un’altra volta ancora, la differenza tra il semiasse
maggiore di un’orbita, la distanza media dal Sole e la distanza istantanea.
Per un’analisi completamente giustificata dal punto di vista fisico-matematico, bisognerebbe
analizzare il molto più complesso problema dei due corpi, nel quale si analizza il moto di due corpi
sottoposti alla mutua interazione gravitazionale. Da questa semplice ipotesi ( e cioè che l’unica
forza ad agire è la gravitazione) si ricavano molte informazioni sulla forma dell’orbita, sulla
distanza, sul periodo di rivoluzione, sulla velocità orbitale, e molto altro, comprese le tre
fondamentali leggi di Keplero, ricavate su basi puramente empiriche dal grande astronomo, nel
XVII secolo.
Per ora mi limito a dare delle relazioni che non dimostro; per chi vuole una giustificazione fisicomatematica, mi prometto di darla in un altro capitolo.
Fu Keplero che, su basi puramente osservative, giunse a dire che le orbite planetarie sono delle
ellissi, e che il Sole, attorno al quale ruotano i pianeti, è posto non al centro dell’ellisse, ma su uno
dei fuochi.
In modo puramente geometrico, cosa è un’ellisse? Un’ellisse è il luogo geometrico dei punti la cui
distanza da due punti, detti fuochi, è costante. In altre parole, un’ellisse è quella particolare forma
geometrica che si costruisce prendendo due punti allineati, detti fuochi, e tracciando la curva
mantenendo costante la distanza tra i due fuochi
Quando la distanza tra i due fuochi tende a zero, l’ellisse tende ad una circonferenza; è lecito
dunque affermare che la circonferenza è un caso particolare di ellisse, in cui i due fuochi coincidono
entrambi al centro.
La grandezze più importanti che caratterizzano un’ellisse sono sostanzialmente 3: il semiasse
maggiore (a), il semiasse minore (b) e l’eccentricità (e).
Il semiasse maggiore, come dice la parola stessa, è metà dell’asse maggiore, e fin qui non abbiamo
detto nulla di nuovo. Esso è la massima distanza che c’è in un’ellisse; è la retta che nasce nel centro,
passa per uno dei fuochi, fino ad arrivare al bordo dell’ellisse.
Allo stesso modo, il semiasse minore è la retta che nasce nel centro, perpendicolare all’asse
maggiore; queste due grandezze sono quindi una specie di raggio massimo e minimo dell’ellisse.
L’eccentricità, esprime in qualche modo la forma dell’ellisse; qualitativamente, essa ci dice quando
essa è schiacciata o somigliante ad una circonferenza: è definita come il rapporto tra la distanza di
un fuoco dal centro e il semiasse maggiore a. Risulta quindi evidente che una circonferenza, nella
quale i due fuochi coincidono al centro, abbia eccentricità e=0, mentre d’altra parte, e=1
corrisponde non più ad un’ellisse, ad una curva aperta, una parabola. Se e>1 allora l’orbita è
un’iperbole. Parabola e iperbole sono due curve aperte, e quindi gli oggetti con questa orbita,
passeranno solamente una volta attorno al Sole, per poi perdersi nello spazio profondo e non tornare
mai più. Questo è il caso di molte comete, che passano una sola volta visino al Sole, per poi uscire
dal sistema solare. L’eccentricità di un’ellisse quindi varia tra questi 2 valori limite, 0 ≤ e ≤ 1 ; nel
caso dei pianeti, questa relazione si riduce a 0<e<1; questo significa che non esistono orbite
perfettamente circolari, e ne chiaramente orbite che non sono più tali, ma delle semplici retta (e=1).
Senza entrare nell’ambito fisico-matematico del problema dei due corpi, analizziamo le leggi che
Keplero formulo in base alle sole osservazioni, in particolare la terza, la quale è quella utile al
nostro scopo; infatti essa evidenzia un legame tra i periodo di rivoluzione dei pianeti e il semiasse
maggiore della loro orbita.
Un errore molto comune, a questo punto, è quello di considerare il semiasse maggiore come la
distanza del Pianeta dal Sole; per quanto detto fino ad ora, questo non è vero; il semiasse maggiore
non è la distanza del pianeta rispetto al Sole. Lo è solamente se le orbite che consideriamo sono
perfettamente circolari, o in prima approssimazione quasi. E’ altresì chiaro che conoscendo la forma
e la dimensione dell’orbita planetaria, in particolare l’eccentricità, si possa facilmente risalire dal
semiasse maggiore alla distanza del pianeta dal Sole, che nel sistema solare occupa uno dei fuochi.
Considerando bene tutte le proprietà delle ellissi, a dire il vero il semiasse maggiore è in qualche
misura collegato direttamente alla distanza corpo-sole; il suo valore infatti, può essere ritenuto come
il valore della distanza media Corpo celeste-Sole (in realtà dipende da che tipo di media si
considera). Conoscendo comunque le proprietà delle ellissi, si trova facilmente una relazione che mi
lega il semiasse maggiore (che ricordiamolo, è una costante) alla distanza istantanea Pianeta-Sole;
la formula, che abbiamo già visto è la seguente:
rP = a P (1 − e P cos E P ) , dove rP è la distanza Sole-Terra, e P è
l’eccentricità dell’orbita, a P il semiasse dell’orbita ed E P è
un angolo chiamato anomalia eccentrica; è un angolo
facilmente misurabile, ed è descritto dalla figura a lato.
Il procedimento per ottenere E è lungo e richiede la
conoscenza approfondita del problema dei due corpi; per i
nostri scopi basta sapere che esso si misura a prescindere
dalla conoscenza della misura in Km del semiasse maggiore
orbitale.
Detto questo, possiamo ora passare direttamente ad analizzare
la terza legge di Keplero e trovare quindi le distanze planetarie dal Sole e le dimensioni delle loro
orbite (semiassi).
La legge fu espressa da Keplero nella seguente forma: P 2 = a 3 ; in realtà questa è una forma
particolare e approssimata della più generica legge, che si ricava sempre dallo studio del problema
2πa 3 / 2
dove G è la costante di gravitazione universale, M è la massa del
dei due corpi: P =
G(M + M S )
considerato e M S è la massa del Sole.
La forma data da Keplero si ricava se noi consideriamo la legge applicata alla Terra:
2πaT
3/ 2
1/ 2
P  a   M + MS 
 ;
=  
; dividendo membro a membro troviamo:
PT =
PT  aT   M T + M S 
G(M T + M S )
Tuttavia possiamo fare anche un’approssimazione che non pregiudica in alcun caso il risultato
finale; se infatti consideriamo che le masse planetarie sono tutte molto più piccole di quella del
3/ 2
1/ 2
1/ 2
3/ 2
M 
 M + MS 
P  a 
 ≈  S  = 1 e quindi la legge diventa:
Sole, allora il rapporto: 
=   ; se
PT  aT 
 MS 
 MT + M S 
misuriamo il periodo in anni, e poniamo quello terrestre uguale ad 1, così come il semiasse
maggiore della terra, otteniamo: P 2 = a 3 , dove esprimendo il periodo in anni terrestri, ricavo il
semiasse maggiore dell’orbita in unità astronomiche (AU). Siccome conosciamo il valore dell’unità
astronomica, è facile, dalla semplice misura del periodo orbitale, ricavarci direttamente il semiasse
maggiore delle orbite in Km.
A causa dell’eccentricità, sappiamo che esso però rappresenta solamente una distanza media dei
pianeti dal Sole; naturalmente usando il valore del semiasse, con la relazione
rP = a P (1 − e P cos E P ) , otteniamo allora il valore puntuale della distanza del pianeta dal Sole ad
ogni istante di tempo (definito tramite l’angolo E, che è chiamato anomalia eccentrica).
Metodi Geometrici
Oltre alla legge di Keplero, ci sono anche altri modi di calcolare, almeno in via approssimata, la
distanza dei pianeti dal Sole.
E’ chiaro che data la semplicità della legge di Keplero, andare a cercare metodi alternativi e per di
più complicati, sembra una follia, ed in parte lo è; tuttavia, questi metodi servono e sono serviti
proprio per confermare la validità della stessa legge di Keplero, prima che fosse ricavata
direttamente dallo studio del modello fisico.
Come spesso abbiamo visto con questi metodi, la difficoltà dei calcoli è direttamente proporzionale
alla precisione della misura che si vuole raggiungere; di seguito darò solo una breve descrizione di
alcuni di questi metodi, non andando molto nel particolare, a volte anche con approssimazioni
piuttosto brute.
In realtà, chiunque abbia dimestichezza con la geometria dei triangoli qualsiasi e rettangoli, è in
grado di trovare metodi che consentano di ottenere la distanza dei pianeti dal Sole e dalla stessa
Terra.
Distinguiamo ora due metodi, uno applicabile ai pianeti interni (quindi Mercurio e Venere), l’altro a
tutti gli oggetti esterni all’orbita terrestre (almeno in linea di principio).
1) Pianeti interni. Un metodo molto semplice per
misurare
la
distanza
Pianeta-Sole
consiste
nell’analizzare i pianeti interni al momento della
cosiddetta dicotomia, cioè quando essi mostrano
esattamente metà superficie illuminata dal Sole; questo
corrisponde quindi alla configurazione geometrica a
lato.
In questa configurazione, siamo capaci di risolvere
completamente il triangolo rettangolo formato dal
Sole, uno dei pianeti interni e la Terra, e quindi di
determinare senza difficoltà, sia la distanza PianetaSole, che la distanza Pianeta-Terra (entrambe
istantanee e non mediate!).
Infatti conosciamo tutti e tre gli angoli e il lato B, che
può essere sia considerato uguale all’unità
astronomica, per facilitare i calcoli (a scapito di un po’
di precisione), oppure ricavato dalla semplice formula
già vista: rP = a P (1 − e P cos E P ) =B. Questo sta a voi deciderlo; un’alternativa, che può
essere un buon compromesso tra semplicità e precisione è quello di leggere su qualche
effemeride la distanza Terra-Sole di quel determinato giorno ed inserire quella come misura
di B, senza dover passare per la formula appena scritta che richiede la conoscenza
dell’eccentricità e dell’anomalia eccentrica.
Un’altra soluzione, meno ortodossa ma ugualmente precisa è di ricavare la distanza TerraSole (B nel nostro caso) dalla misura del diametro angolare apparente del Sole. Se
conosciamo il suo diametro apparente quando la Terra si trova esattamente ad 1 AU da esso,
allora con una semplice proporzione possiamo trovare la distanza per la quale esso ci appare
del diametro angolare misurato. Oppure, ancora, sapendo le sue dimensioni reali e l’angolo
che ci sottende, possiamo ricavare facilmente la distanza, con l’aiuto dei soliti triangoli
r
rettangoli; in particolare; la distanza B sarà data da: B =
, dove a è l’angolo
a
tan  
2
apparente che ci sottende il Sole (circa mezzo grado, ma si richiede un valore più preciso) ed
a a
r è il raggio Solare espresso in Km, o in forma approssimata (considerando tan  ≈ ,
2 2
D
r
valida per angoli piccoli) B = e se consideriamo r =
con D= diametro solare, allora si
a
2
2
D
ha: B = .
a
Ora che conosciamo con più precisione B, calcoliamoci finalmente la Distanza Pianeta-Sole.
L’angolo a lo conosciamo ed è la separazione angolare tra Venere e il Sole (l’elongazione),
mentre chiaramente l’angolo b è di 90° e quindi c=90-a. La distanza A allora sarà data da:
A = B cos c ! Tutto qui!
M non solo, perché con un’altra piccola relazione otteniamo anche la distanza del Pianeta
dalla Terra: C = B sin c , ed il gioco è fatto!
2) Pianeti esterni. Per i pianeti esterni il discorso cambia radicalmente, perché non possiamo
più avere la configurazione geometrica dei pianeti interni, e per questo non siamo in grado
di conoscere la distanza dal Sole dalla sola conoscenza dell’unità astronomica e dell’angolo
di elongazione.
Per conoscere la distanza dal Sole, dobbiamo per forza conoscere la distanza del pianeta dal
Sole, cosa che sposta solamente il problema e non lo risolve. Certo, si potrebbe sempre calcolare
la parallasse del pianeta, e subito dopo, conosciuta la distanza attuale dalla Terra, sin riesce a
calcolare la distanza dal Sole. Ma a questo punto sorge una domanda: vale la pena complicare
così tanto un calcolo che può essere fatto molto più velocemente e con molta più precisione
attraverso la legge di Keplero?
Inoltre, fu lo stesso Gauss a dimostrare che per costruire un’orbita di un corpo celeste intorno al
Sole, bastano 3 osservazioni.
Non starò qui ad enunciare il metodo di Gauss, ma la sua potenza è davvero grande. Bastano 3
osservazioni per costruire l’orbita di un corpo celeste, calcolare quindi l’eccentricità,
inclinazione, orientazione, periodo di rivoluzione, e quindi anche il semiasse maggiore.
Effettivamente, ogni volta che viene scoperto un nuovo corpo del sistema solare, si usa proprio
il metodo di Gauss per tracciare una prima, approssimata orbita, che successivamente viene
affinata con altre osservazioni.
Questo cosa significa? Significa che dietro tante formule e numeri a volte incomprensibili, si
“nasconde” un background costituito ancora dal buon vecchio e caro occhio umano, o una
camera CCD. Basta osservare e capire quello che si sta osservando per farsi un’idea di come
funzionano le cose fuori dal nostro pianeta.
Parallasse solare: distanza Terra-Sole
Metodo di Aristarco di Samo
La distanza Terra-Sole, detta Unità Astronomica (UA) è una grandezza di fondamentale importanza
nella misura dell’intero universo. Abbiamo già visto il caso della legge di Keplero, che è l’unico
strumento a nostra disposizione per calcolare la distanza dei pianeti dal Sole (e non dalla Terra, cosa
che invece risulta facilmente realizzabile con metodi geometrici), che però si ferma a dirci di quanto
l’orbita di un pianeta è più grande o più piccola di quella del nostro pianeta. La mossa da fare è
quella di trovare il fattore di scala; è come se avessimo un modellino in scala; sappiamo che la Terra
dista 1, Giove 5.2, Venere 0.72, Nettuno 30, ma in realtà non sappiamo quanto valgano
effettivamente questi numeri.
La distanza Terra-Sole è molto importante anche per il metodo delle parallassi annuali, metodo che
vedremo serve a calcolare la distanza delle stelle a noi più vicine, e che fa da scalino alla taratura
delle distanze cosmologiche.
L’importanza dell’UA era già conosciuta da tempo; risalgono infatti ai tempi dell’antica Grecia i
primi tentativi di misurazione, anche se con poco successo. Solamente nell’età moderna, con
l’avvento di strumenti di osservazione, si è potuto finalmente rispondere alla domanda.
Ora, con la disponibilità della tecnologia radar le cose sono molto diverse; bastano poco più di 16
minuti per avere una misura precisissima della distanza Terra-Sole, sia da terra che dallo spazio.
Il metodo che esporrò ora è semplice da capire, ma non tanto da attuare, perché richiede
l’osservazione precisa di angoli piuttosto piccoli.
Il metodo risale addirittura ad Aristarco di Samo, il primo ad
effettuare una stima della distanza Terra Sole. Consideriamo la
seguente situazione geometrica. Il Sole, posto molto lontano, illumina
il sistema Terra-Luna. Sebbene esso sia molto lontano, il sistema
Terra-Luna è in grado di dirci a quale distanza esso si trova. Infatti se
esso fosse infinitamente lontano, i suoi raggi arriverebbero paralleli, e
la luna sarebbe illuminata esattamente a metà quando l’angolo SoleTerra-Luna sarebbe di 90° esatti. Siccome questo non è il caso, noi
vediamo la luna illuminata esattamente a metà quando essa non si
presenta esattamente a 90° rispetto a noi, ma con un angolo un po’
più piccolo. Di conseguenza, misurando l’angolo (l’elongazione)
della luna esattamente al primo quarto, possiamo, con un po’ di
semplice trigonometria, calcolare la distanza Terra-Sole, a patto di
conoscere la distanza Terra-Luna. Risolvendo il triangolo rettangolo appena formato, otteniamo
c = btgγ
. Inserendo la distanza Terra-Luna (b) e la separazione Luna-Sole ( γ )
subito: 
a = b 2 + c 2
ricaviamo facilmente la distanza Terra-Sole, che altro non è che l’unità astronomica.
Questo semplice metodo non è però molto preciso se applicato in maniera così
semplice. Ci sono 2 problemi che non
possiamo trascurare:
- La difficoltà di misurare l’angolo γ esatto, che si discosta molto poco dal valore di
90°
- L’elliticità dell’orbita lunare non può essere trascurata; quindi questa misura deve
essere preceduta da una misura accurata della distanza Luna-Terra, che varia
significativamente a seconda della posizione orbitale del nostro satellite. Anche se
non molto preciso, questo metodo fu il primo ad essere usato, da Aristarco di Samo,
che giunse alla conclusione che il Sole avrebbe dovuto essere molto più distante
della Luna.
In realtà, inoltre, in questo modo non troviamo proprio la misura dell’unità astronomica, ma una
stima della distanza istantanea della Terra dal Sole. La differenza può non risultare evidente, ma
esiste e non può essere trascurata. Anche l’orbita della Terra è un’ellisse e quindi la distanza TerraSole varia nel tempo; per esempio d’estate, il Sole è più lontano di circa 4 milioni di km rispetto a
Gennaio, punto in cui il sistema Terra-Sole raggiunge la massima vicinanza.
L’unità astronomica invece rappresenta la distanza mediata su un’intera orbita del sistema TerraSole, e anche un parametro orbitale molto importante: il semiasse maggiore dell’orbita terrestre.
Infatti, si può dimostrare, che nel caso di orbite ellittiche, il valore del semiasse maggiore coincide
con il valore della distanza media del pianeta dal Sole. Questo non è per niente scontato in quanto il
semiasse maggiore non ha alcun legame banale con il Sole.
Ricordando infatti la prima legge di Keplero, sappiamo che le orbite dei pianeti sono delle ellissi, in
cui il Sole occupa uno dei fuochi. In realtà questo è vero solo per il nostro sistema solare, mentre la
legge più generale, valida per ogni sistema gravitazionalmente legato afferma che le orbite sono
delle ellissi e i corpi ruotano attorno al loro comune baricentro, che si trova su uno dei fuochi.
Siccome il Sole è migliaia, a volte milioni di volte più massiccio dei pianeti del sistema solare, la
posizione del baricentro delle orbite, che dipende dalla massa del pianeta e da quella del Sole, è
praticamente interna al disco della nostra stella.
Vedremo meglio in seguito questo punto, in quanto importante nello studio della ricerca dei pianeti
extrasolari.
Tornando al nostro discorso, il metodo di Aristarco ci può ancora essere molto utile per determinare
efficacemente la distanza media del Sole dalla Terra, e proprio il fatto che questo valore è uguale al
semiasse maggiore dell’orbita, che ci da la chiave di analisi.
Dal punto di vista della meccanica delle orbite di due o più corpi, sappiamo (quasi) tutto; il
problema di due corpi gravitazionalmente legati e del loro comportamento reciproco, è stato
studiato già qualche secolo fa e quindi sappiamo descrivere molto bene le dimensioni e le
caratteristiche delle orbite planetarie (questo è vero fino ad un certo punto; il problema che noi
possiamo risolvere è di due corpi legati in un sistema isolato; il nostro sistema solare invece non è
costituito da soli 2 corpi, ma molti di più, le cui reciproche influenze gravitazionali si fanno sentire
e a volte non possono essere trascurate; questo problema, a n corpi non può essere risolto
esattamente, ma solo con metodi approssimati, tramite computer).
Misurando quindi esattamente la distanza lunare (istantanea, visto che l’orbita lunare è ellittica),
ricavo la distanza Terra-Sole, che chiamiamo rT ; questa non è però la misura dell’unità
astronomica, ma da questo dato possiamo ricavarci facilmente tale misura.
Dalla prima legge di Keplero (che si ricava dal problema dei due corpi), abbiamo una relazione che
ad ogni istante ci lega la distanza pianeta-Sole (i due centri) al semiasse maggiore del pianeta, in
questo modo: rT = aT (1 − eT cos ET ) , dove aT è il semiasse maggiore dell’orbita terrestre, eT è
l’eccentricità e ET è un angolo facilmente misurabile, chiamato anomalia eccentrica.
rT
e quindi abbiamo anche il
Ricavando il semiasse maggiore, abbiamo: aT =
aT (1 − eT cos ET )
valore dell’unità astronomica (AU). Questo metodo era sconosciuto agli antichi greci, e quindi non
fu applicato da Aristarco, la cui unica ipotesi fu che il Sole fosse molto più lontano della luna.
Metodo dei transiti
Sviluppiamo ora un procedimento che risulterà abbastanza elaborato, per il calcolo della parallasse
solare, e quindi della distanza media Terra-Sole (che può essere ritenuta dello stesso valore del
semiasse maggiore dell’orbita terrestre). Il calcolo non è semplice, e richiede delle conoscenze di
base, in particolare la risoluzione dei triangoli rettangoli.
Prima di introdurre il calcolo, è necessario descrivere il problema dal punto di vista osservativo e
qualitativo; solo successivamente, quando sarà ben chiaro quello che dovremmo fare, potremmo
passare all’analisi quantitativa.
Il nostro scopo è di misurare la parallasse solare, cioè di quanto il Sole si sposta rispetto allo sfondo
delle stelle fisse (meglio sarebbe dire al piano tangente alla sfera celeste) quando visto da due punti
di osservazione diversi sulla superficie terrestre.
Il metodo è a grandi linee quello già visto per la Luna e i pianeti e si basa sul concetto di parallasse
equatoriale; essa non è altro che l’angolo sotto cui l’oggetto cambia posizione se visto da due punti
di vista che distano esattamente un raggio terrestre.
Il problema, piuttosto semplice nel caso della Luna, in cui è facile, durante un’eclissi, misurare la
parallasse anche con una base molto piccola, come poche centinaia di Km, è molto più complesso
nel caso del Sole, per il semplice fatto che esso è troppo brillante e non è possibile misurare il suo
spostamento rispetto ad oggetti distanti quali le stelle.
Come fare quindi? Abbiamo già visto che la terza legge di Keplero ci fornisce un modello in scala
di tutte le distanze planetarie, e nota una, è possibile risalire a tutte, compresa la tanto agognata
unità astronomica. Tuttavia, il metodo si presenta difficile, sia per le piccole parallassi planetarie da
misurare, sia perché bisogna conoscere molto bene le caratteristiche delle orbite, la cui eccentricità
può introdurre errori molto grandi nelle misure.
Anche la nostra Luna non ci semplifica i compiti; la sua orbita inclinata ed eccentrica necessita di
calcoli complicati e molto sensibili per dare un valore molto preciso.
Il metodo dei transiti invece attenua tutte queste problematiche, anche se come vedremo, ne
introduce di nuove. Esso si basa sostanzialmente nell’osservazione di un transito di Venere (anche
Mercurio, anche se i risultati non saranno tanto precisi) davanti al disco solare, da parte di due
osservatori situati in diversi punti sulla superficie terrestre; in questo modo è possibile ricavare la
parallasse solare, e quindi la misura dell’unità astronomica.
La domanda che sorge spontanea è: come è possibile ricavare la parallasse solare, se Venere è
molto più vicino del Sole e quindi nell’osservazione avrò anche il contributo della parallasse di
Venere, sicuramente maggiore di quello del Sole?
A questa domanda si risponde facilmente, appena inizieremo l’analisi quantitativa del problema.
Intanto consideriamo quindi il nostro scenario; due punti di osservazione che osservano lo stesso
fenomeno esattamente alla stessa ora. I due punti, a differenza dei casi precedenti, possono anche
essere non allineati; l’importante è che l’osservazione avvenga allo stesso istante (e forse questa è la
difficoltà osservativa più grande).
Lo schema geometrico che ci si presenta è il seguente:
I due osservatori, vedranno il disco di Venere proiettato in due diversi punti del disco solare, e
un’attenta misurazione della separazione tra i due centri planetari, ci da informazioni sulle parallassi
di entrambi i corpi celesti.
Analizzando la seguente figura, è abbastanza facile
capire la situazione che ci si presenta, nella figura a
destra.
La differente posizione dei centri di Venere è il risultato
della parallasse di Venere e del Sole, ma in che modo?
Pensiamo per un attimo di togliere il sole e porre delle
stelle molto lontane la cui parallasse è praticamente 0;
misurando lo spostamento dei centri di Venere avremo
un certo valore A. Se consideriamo anche il Sole, che è
si più lontano di venere, ma non tanto lontano da avere
una parallasse trascurabile, è facile capire che anche
esso si sposterà rispetto alla sfera celeste di un certo
angolo, nella stessa direzione dello spostamento dei
centri di venere, anche se di una quantità inferiore, in
quanto più lontano del pianeta. Se essi fossero alla stessa distanza dalla Terra, noi non vedremo il
centro di venere spostarsi, perché la sua parallasse sarebbe uguale a quella del Sole, e quindi essi si
sposterebbero di uno stesso angolo.
Avrete sicuramente capito che quindi lo spostamento che noi misuriamo (allo stesso istante) nei
centri dei dischi proiettati di venere sarà minore di quello che si avrebbe se di misurasse non
rispetto alo sole ma rispetto a oggetti molto più lontani. Quindi lo spostamento angolare che
misuriamo del pianeta venere sul disco solare sarà dato dalla parallasse di venere meno la parallasse
Solare; in formule: ∆π = π S − π V , dove π S è la parallasse solare e π V è la parallasse di Venere.
Naturalmente non conosciamo la parallasse di Venere, ne quella solare, e per di più, non sapendo
quanto dista il sole, non sappiamo neanche quanto vale lo spostamento dei centri del pianeta sul
disco solare, spostamento che quindi misuriamo in unità convenzionali, come i raggi solari;
prendendo il raggio apparente del Sole uguale ad 1, allora lo spostamento angolare ∆π sarà una
frazione del raggio solare (ad esempio 1/500 del raggio), ma non avremo mai un valore in gradi o
secondi d’arco.
Per risolvere il problema ci servono altre equazioni.
Per trovarne, partiamo proprio dal principio; la definizione di parallasse solare e di venere:
d
d
d
=
La parallasse di venere è data da: π S=
(1) e π V =
(2) , dove rT è la distanza TerrarT
d V rT − rV
Sole, d V è la distanza Terra-Venere, che si può scrivere anche come rT − rV cioè la differenza tra la
distanza terra-Sole e la distanza Terra-Venere, mentre d è la distanza lineare tra i due punti
d’osservazione. Questa distanza sarà molto importante in seguito, e bisogna ben capire cosa essa sia
in realtà. Essa è la proiezione sul piano tangente la sfera celeste della distanza tra i due punti di
osservazione. Con qualche figura sarà tutto più chiaro:
Vedremo in seguito che, sempre con l’ausilio di formule trigonometriche, d sarà dato banalmente
dalla distanza tra i due osservatori moltiplicata il seno dell’angolo θ .
Comunque per ora, questo dato non ci interessa.
Consideriamo le equazioni (1) e (2) e manipoliamole un po’, per arrivare a delle relazioni che ci
possano dare qualche elemento in più.
Dalla (1) e (2)si ha:
r
rT
d
d rT
V
∆π = π S − π V =
−πS =
−πS = πS
−πS = π +
= ∆π (3)
S
r −r
rT − rV
rT − rV rT
rT − rV
T V
r
d
d rT
T
Inoltre, dalla (2) si ottiene: π =
=
=π
(4)
V d V rT − rV rT
S r −r
T V
r

Dalla (3) si ottiene: π S = ∆π  T − 1 (5) e quindi, in definitiva abbiamo il seguente sistema:
 rV


r

π = ∆π  T − 1
r

 S
 V
 , dove comunque ho ancora troppe incognite. Infatti, oltre alle parallassi, ho

r

T
π V = π S
r
r
−

T V
anche le distanze Terra-Sole e Terra-Venere da misurare, e sembra quindi che non abbia fatto nulla.
In realtà quello fatto è un gran bel passo in avanti; infatti basta usare appropriatamente le leggi di
r
Keplero per avere ciò che cerco, e cioè la parallasse solare. Infatti, il rapporto V è facilmente
rT
esprimibile con l’aiuto delle leggi di Keplero. La terza legge, ci dive infatti che i rapporti dei
semiassi maggiori al cubo sono uguali ai rapporti dei periodi di rivoluzione al cubo, o in formule:
a P3 PP2
a P3
=
; questo è analogo a scrivere che per un solo corpo celeste si ha: 2 = cos t , cioè per un
aT3 PT2
PP
pianeta, il rapporto tra il cubo del suo semiasse maggiore (che può essere considerata la distanza
media dal Sole) e il quadrato del suo periodo di rivoluzione sono costanti. Se poi consideriamo la
legge di keplero applicata alla Terra, vediamo subito che possiamo ricavare il rapporto dei semiassi
maggiori delle due orbite semplicemente dalla conoscenza dei periodi di rivoluzione (che sono
2/3
P 
a
sempre misurabili con ottima precisione): P =  P  . Questa relazione però ancora non ci è
aT  PT 
molto utile, perché nelle nostre formule non abbiamo i semiassi maggiori, ma le distanze dal Sole,
le quali dipendono dall’eccentricità delle orbite (se le orbite fossero state circolari allora avremmo
subito potuto usare la formula, e i semiassi sarebbero coincisi con le distanze usate nelle formule).
Tuttavia la prima legge di Keplero, ci da un fondamentale aiuto: essa afferma che le orbite dei
pianeti sono delle ellissi e il Sole occupa uno dei fuochi. Sviluppando analiticamente questa idea
qualitativa, usando le conoscenze delle curve geometriche, è abbastanza facile risalire alla relazione
fondamentale che stavamo cercando, la relazione che ci da, con l’aiuto della terza e prima legge di
r
Keplero, il valore del rapporto V , l’unica incognita rimasta per la risoluzione del sistema di
rT
equazioni. Il raggio vettore, cioè la distanza tra il fuoco dell’ellisse (il centro del sole) e il pianeta è
legato al semiasse maggiore del pianeta stesso (che è una costante indipendente dalla forma
dell’orbita!) dalla relazione: rP = a P (1 − e P cos E ) dove e P è l’eccentricità dell’orbita planetaria ed E
è un angolo chiamato anomalia eccentrica, facilmente misurabile con qualsiasi strumento. Questa
relazione vale per ogni pianeta, e nel nostro caso per la Terra e Venere: rV = aV (1 − eV cos EV ) e
rT = aT (1 − eT cos ET ) .
Dividendo
membro
a
membro,
trovo
2/3
rT
a (1 − eT cos ET )  PT  (1 − eT cos ET )

e quindi posso conoscere facilmente il rapporto
= T
=
rV aV (1 − eV cos EV )  PV  (1 − eV cos EV )
r
fondamentale T . Ora ho tutto quello che mi serve e il sistema diventa:
rV


r


 T − 1
=
∆
π
π
 S
r


 V


r

T
π V = π S
−
r
r

T V

2/3

P 
(1 − e cos E )
r


T
T
T
T

r = 
(
1
cos
)
e
E
−
 V P 
V
V
 V 

Un sistema di 3 equazioni in tre incognite
facilmente risolvibile.
In questo modo troviamo la parallasse solare
istantanea che varia a seconda della posizione
della Terra nella sua orbita. Per calcolare la
parallasse media, bisogna fare ancora un altro
sforzo.
Partiamo di nuovo dall’inizio.
.
R
, dove aT è il semiasse maggiore dell’orbita
aT
terrestre (che può essere considerato anche come la distanza media Sole-Terra, ed è per questo
La parallasse solare media sarà data da: π 0 =
motivo usato qui) ed R è il raggio equatoriale della Terra; infatti non dobbiamo dimenticare che la
parallasse solare è definita proprio come l’angolo sotto il quale il centro del sole sembra spostarsi,
usando come base il raggio equatoriale della Terra.
d Ra d d a
=
=
π0 .
Riprendiamo ora l’equazione (1) e manipolandola un po’ troviamo: π S =
rT Ra rT R rT
R rT
E quindi la parallasse media ( π 0 ) sarà: π 0 = π S
, dove R=raggio equatoriale della Terra e d è
d a
la distanza parallela alla sfera celeste dei due osservatori. Quindi, a partire dalla parallasse
istantanea, che si misura per una qualunque base sulla superficie terrestre, si risale alla parallasse
solare equatoriale media, misurata con una base uguale al diametro equatoriale della Terra. L’ultima
difficoltà è nella misura di d, che però non presenta particolari problemi una volta capito di cosa si
tratta.
Questa distanza infatti si misura facilmente
E come già accennato d =|| M 1 M 2 || sin θ , cioè esso è uguale alla distanza (vettore) tra i due
osservatori moltiplicato il seno dell’angolo compreso tra la retta passante per i due osservatori e la
retta perpendicolare alla sfera celeste (in realtà un altro vettore). L’angolo θ non è facile da
misurare, per questo si preferisce eliminarlo attraverso altre relazioni vettoriali. In particolare, è
facile notare che vale la relazione M 1 M 2 ^ OC =|| M 1 M 2 |||| OC || sin θ ; ricavando sin θ e
sostituendo in ( ) si ricava direttamente d =|| M 1 M 2 ^ c || . Questo prodotto vettoriale è facile da
risolvere, anche se il procedimento è piuttosto lungo e richiede l’introduzione di un sistema di
coordinate. Il procedimento nella sua intera estensione è disponibile a questo link:
http://www.pd.astro.it/othersites/venere/ESO/b4.htm . Se i calcoli sono giusti e le misurazioni
precise, si ricava un valore medio piuttosto accurato e una conseguente distanza media del Sole, che
R
.
altri non è che l’unità astronomica, pari a AU =
π0
Riassumendo
Anche se il procedimento è lungo e pieno di calcoli non sempre immediati, è importante capire il
ragionamento attuato. Osservando Venere davanti al disco solare, allo stesso istante in due luoghi
diversi, noi vedremo che la sua proiezione sul disco solare differirà di un certo angolo, che
possiamo misurare rispetto al raggio apparente del Sole (posto come =1). L’informazione che ne
otteniamo, contiene in se tutto quello di cui abbiamo bisogno; essa infatti “nasconde” la parallasse
sia del pianeta Venere che dello stesso Sole; in particolare questa separazione sarà la differenza tra
le due parallassi. Detto questo, la mossa successiva è di riuscire a separare il contributo delle
singole parallassi e successivamente, attraverso la terza legge di Keplero, dobbiamo cercare di dare
delle unità di misura “convenzionali” ai nostri dati, cioè km per le distanze e secondi d’arco per le
parallassi. Usano la prima e la terza legge di Keplero questo risulta possibile, ed otteniamo quindi
finalmente un valore della parallasse solare (e di venere) utilizzabile, in secondi d’arco. Questo
però, è un valore puntuale, nel senso che varia da punto a punto dell’orbita terrestre, che è ellittica.
Ad ogni transito si troverà un diverso valore della parallasse solare e della distanza Terra-Sole. Il
passo successivo è quindi trovare un valore medio, che corrisponde anche al semiasse maggiore
dell’orbita terrestre (che a priori non ha nulla a che fare con la distanza Terra-Sole; il semiasse
maggiore è infatti la retta tra il centro e il bordo dell’ellisse, passante per uno dei fuochi; esso
corrisponde alla distanza Pianeta-Sole solo se l’orbita del pianeta è circolare, e quindi i due fuochi e
il centro dell’ellisse convergono tutti al centro); questo può essere fatto sempre con metodi
geometrici che comunque non vanno mai oltre nozioni di trigonometria e prodotto tra vettori, alla
portata di chiunque abbia una preparazione da scuola superiore.
Dopo i noiosi calcoli, finalmente si arriva al valore tanto cercato; questo valore, è bene ricordarlo, è
stato ottenuto solamente dall’osservazione simultanea del transito di venere sul disco solare.
L’anello debole di tutta questa catena, è sicuramente il fatto di dover fare osservazioni allo stesso
istante, cosa che ora pone pochi problemi, ma che era veramente difficile da attuare anche solo 100
anni fa!
Senza andare nel dettaglio, appare evidente che invece di osservare allo stesso istante le posizioni
del disco di venere sul Sole, il discorso può essere invertito: possiamo annotare l’istante in cui il
disco di venere entra esattamente nel disco solare, e dalla differenza dei tempi, conoscendo la
velocità orbitale della terra e di venere, e tenendo conto della curvatura del bordo solare, si può
facilmente ricavare la differenza di angolo del pianeta. In effetti, fu proprio annotando gli istanti di
ingresso del disco di venere che nei secoli passati si cercò di determinare la parallasse solare; i
risultati non furono entusiasmanti a causa della scarsa qualità ottica degli strumenti dell’epoca e
della turbolenza atmosferica, che rende difficile annotare gli istanti di contatto del pianeta con il
disco solare a causa del fenomeno chiamato goccia nera.
Nell’epoca moderna, questo non è più un problema, e anche semplici astrofili equipaggiati con
piccoli telescopi amatoriali, sono in grado di produrre misure molto precise della parallasse solare.
D’altra parte, nel mondo dei professionisti, questa tecnica è ormai stata superata dalle più moderne
e precise misurazioni radar, anche perché oltre all’oggettiva difficoltà del metodo dei transiti, c’è
anche un altro fattore da non trascurare: i transiti di venere si verificano, solamente 2 volte in 120
anni!
Il valore preciso della parallasse solare è di 8.794148 secondi d’arco, che corrispondono ad una
distanza dell’unità astronomica (AU) di 149 597 970 km.
E’ bene infine ricordare, che il valore di ogni parallasse equatoriale è un valore che prende come
base l’intero raggio equatoriale terrestre; esso descrive cioè l’angolo che si avrebbe se due
osservatori fossero posti a distanza pari ad un diametro terrestre tra di loro (ricorda la definizione di
parallasse).
Nella realtà questo non succede, e si misurano parallassi su basi più piccole, come centinaia di km
(nel caso della luna). E’ bene però che questi valori, affinché abbiano significato e siano utilizzabili
anche da altri osservatori, siano
Di seguito è riportata un tabella riassuntiva di come il valore misurato della parallasse solare sia
variato nel corso dei secoli
Parallassi Planetarie
Altri metodi per la misura della parallasse solare e quindi della distanza media Terra-Sole, si sono
potuti sviluppare solo dopo che Keplero formulò le sue famose leggi, in particolare la terza, quando
fu possibile capire e prevedere finalmente, con buona precisione, le caratteristiche delle orbite
planetarie. Per il nostro scopo, useremo la prima e soprattutto la terza legge; infatti, essa permette,
come abbiamo già visto, di avere un modello in scala del sistema solare, misurando tutte le distanze
rispetto all’unità astronomica. E’ facile capire che una misura diretta di una delle tante distanze tra i
pianeti, ci fa ricavare tutte le altre, compresa quella Terra-Sole.
Il metodo comunque non è così semplice da applicare, perché le orbite dei pianeti sono ellittiche e
non circolari, e di questo si deve tenere conto se si vuole effettuare una misura abbastanza precisa.
In prima approssimazione possiamo considerare le orbite circolari, e quindi il semiasse maggiore
delle orbite planetarie coincide con il raggio (costante) e con il Sole al centro.
La tecnica da seguire è la seguente: con il metodo della parallasse si ricava la distanza Terra-Pianeta
e successivamente, questo permette di ricavare tutte le altre distanze, in particolar modo l’unità
astronomica.
Anche se la parallasse può misurarsi con tutti i pianeti, questo è vero solo in linea teorica; in pratica,
una misura abbastanza precisa si può effettuare solamente sul pianeta Marte, come fu proprio fatto
in passato da Cassini e lo stesso Keplero.
Consideriamo il sistema Terra-Marte-Sole. Per il pianeta rosso, possiamo scrivere facilmente la
legge di Keplero, che mi dice direttamente quanto esso dista in unità astronomiche dal Sole:
P 2 a3
P = P
P 2 a3
E
E
Tuttavia, abbiamo facilmente un’altra relazione che mi lega la distanza Terra-Marte; infatti, quando
i due pianeti sono allineati, o meglio, quando Marte è in opposizione alla Terra, in prima
approssimazione, possiamo scrivere: a = a + d . Mettendo il tutto a sistema, troviamo:
P
E
P
 P 2 a3
 P = P
 2
che è un semplice sistema di due equazioni in due incognite, facilmente risolvibile.
P
a3
E
E

a = a + d
E
P
 P
Nel nostro caso le incognite sono a e a cioè il semiasse maggiore dell’orbita Marte-Sole e il
P
E
semiasse maggiore della distanza Terra-Sole, cioè l’unità astronomica.
d
P
=AU , dove d è la
Manipolando le equazioni si trova la semplice formula: a =
E
P
2
/
3
P
−1
P
distanza Terra-Pianeta (nel nostro caso Marte) al momento dell’opposizione, mentre P 2/ 3 è il
P
periodo di rivoluzione del pianeta espresso in anni. Questa formula ci da un valore abbastanza
attendibile per la misura dell’unità astronomica; l’unico dato sensibile da inserire è la distanza
Terra-Pianeta, che deve essere misurata sostanzialmente con il metodo della parallasse, e che quindi
richiede un’ottima precisione.
Questo metodo è molto semplice, ma purtroppo non abbiamo considerato l’eccentricità delle orbite.
non è sempre costante e dipende sostanzialmente
E’ facile notare che la distanza d
P
dall’eccentricità dell’orbita terrestre e del Pianeta considerato, e la relazione appena scritta
a = a + d è giusta solo in particolari configurazioni, e cioè quando i due pianeti si trovano
P
E
P
all’opposizione e con i semiassi maggiori allineati, e questo non è un fatto troppo frequente
(ammesso che sia possibile che si verifichi; dipende anche dall’orientazione delle orbite!).
In alternativa si possono scegliere dei corpi celesti con orbite meno eccentriche, il che facilità il
compito e rende le misurazioni più precise, eccetto per la parallasse!
Esiste una via molto più precisa, che però richiede la conoscenza delle orbite dei pianeti considerati,
come eccentricità e un angolo, chiamato anomalia eccentrica, che altro non è che un angolo che ci
aiuta ad identificare il pianeta lungo il suo tragitto attorno al Sole.
Questi due dati sono abbastanza facili da misurare e prescindono da qualunque misura di distanza.
Per i nostri scopi, serve solo applicare la prima legge di
Keplero, in forma matematica; essa afferma che le orbite
planetarie sono delle ellissi, e il Sole è posto su uno dei
fuochi. Questo, tradotto in termini matematici, utilizzando le
proprietà delle ellissi, si traduce in una formula molto
potente, che permette di conoscere la distanza del pianeta dal
Sole in qualunque istante, dalla conoscenza del suo semiasse
maggiore (che è una costante, a differenza della distanza),
dell’eccentricità, e dell’anomalia eccentrica.
La formula ci dice che: rP = a P (1 − e P cos E P ) dove rP è la
distanza pianeta Sole, e P l’eccentricità, ed E P l’anomalia
eccentrica.
Con l’aiuto di questa formula, possiamo calcolare facilmente la distanza istantanea della Terra dal
Sole e poi il semiasse maggiore, che altro non è che la media della distanza rP .
rP = rE + d P

2/3
Il sistema diventa così  PP   1 − e P cos E P  rP nelle incognite rP ed rE che sono
 =
  
 PE   1 − e E cos E E  rE
rispettivamente le distanze dei pianeti dal Sole (da non confondere con i semiassi delle loro orbite),
mentre d P è la distanza che misuro grazie alla parallasse, del pianeta in opposizione.
Risolvendo trovo facilmente rP ed rE . Ora, per trovare il semiasse maggiore dell’orbita terrestre (e
anche quello di Marte) basta ricordare la relazione: rP = a P (1 − e P cos E P ) ; ricavando il semiasse, si
rP
ed il gioco è fatto!
ha: a P =
1 − e P cos E P
Con questo metodo, Schiapparelli per primo ricavò una (rozza) misura dell’unità astronomica, in
base alla parallasse di Marte (che misurò in 15”). Ottenne circa 140 000 000 di Km; un valore non
troppo sbagliato rispetto all’attuale di 149 597 970 km .
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