Studio della discriminazione gamma/adroni negli EAS con l

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Università degli Studi di Torino
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali
Tesi di Laurea Magistrale in Fisica delle Interazioni Fondamentali
Studio della discriminazione
gamma/adroni negli EAS con
l’esperimento ARGO-YBJ
Relatore:
Prof. Piero Galeotti
Correlatore:
Dott. Carlo Francesco Vigorito
Anno Accademico 2010/2011
Candidato:
Federico Dalmasso
2
Grande cosa è certamente alla immensa moltitudine
delle stelle fisse che fino a oggi si potevano scorgere con la
facoltà naturale,
aggiungerne e far manifeste all’occhio umano altre
innumeri, prima non mai vedute
e che il numero delle antiche e note
superano più di dieci volte
Galileo Galilei
Indice
Introduzione
5
1 Raggi cosmici e astronomia gamma
1.1 Storia delle osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Astronomia gamma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Origine dei raggi cosmici e dei raggi γ . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Meccanismi di produzione e accelerazione di particelle
cariche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.2 Processi di produzione di radiazione elettromagnetica
1.3.3 Sorgenti interstellari e intergalattiche . . . . . . . . . .
1.4 La mappa delle sorgenti γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 Rivelazione di raggi γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Rivelatori su satellite . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.2 Rivelatori al suolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
7
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2 Extensive Air Shower
2.1 Meccanismi di formazione e di assorbimento . . . . . .
2.1.1 Processi a carico della componente fotonica (γ)
2.1.2 Processi tipici per la componente carica (h) . .
2.2 EAS indotto da fotone . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 EAS indotto da adrone (h) . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Tecniche di simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4.1 Montecarlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4.2 CORSIKA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3 ARGO-YBJ
3.1 Il rivelatore . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 Resistive Plate Counter - RPC
3.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . .
3.2.1 Shower mode . . . . . . . . . .
3.2.2 Scaler mode . . . . . . . . . . .
3.3 Ricostruzione di eventi . . . . . . . . .
3.3.1 Posizione del core . . . . . . .
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4
INDICE
3.4
3.3.2 Direzione di arrivo . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.3 L’ombra della luna e la risoluzione angolare . .
Il problema della discriminazione gamma adroni (γ/h)
EAS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.1 La molteplicità di µ . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.2 La misura di χmax . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.3 Lo studio della regione del core . . . . . . . . .
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negli
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Granchio
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4 Le proprietà degli EAS alla quota di ARGO-YBJ
4.1 La simulazione Montecarlo . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Le proprietà della distribuzione laterale . . .
4.1.2 Lo spettro integrale . . . . . . . . . . . . . .
4.2 L’osservazione del punchthrough in ARGO-YBJ . . .
4.3 L’effetto di transizione . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.3.1 GEANT4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5 Il fattore di qualità Qf e la reiezione γ/h
5.1 La sensitività . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 La discriminazione γ/h . . . . . . . . . . . .
5.3 Il calcolo del Qf . . . . . . . . . . . . . . .
5.4 Sensitività di ARGO-YBJ alla Nebulosa del
5.5 Le opzioni alternative . . . . . . . . . . . .
5.5.1 L’opzione cemento . . . . . . . . . .
5.5.2 Il confronto su tre zone . . . . . . .
Conclusioni
60
63
99
Appendice - Incertezze
101
Bibliografia
105
Introduzione
Il lavoro svolto durante questa tesi rientra nell’ambito dell’astronomia Gamma con apparati di superficie con particolare riferimento ai metodi di discriminazione e reiezione del fondo dovuto alla componente adronica dei raggi cosmici. Nello specifico, il mio lavoro ha tratto origine da alcune idee
riguardanti il possibile upgrade sperimentale dell’esperimento ARGO-YBJ
proprio in funzione del raggiungimento di una maggior sensitività al segnale
proveniente dalle sorgenti γ visibili nel campo di vista sperimentale.
L’esperimento ARGO-YBJ, situato a 4300m s.l.m. in Tibet-Cina a circa
90 km da Lhasa capitale della regione autonoma, è un array per sciami atmosferici estesi a copertura totale in grado di osservare le particelle cariche
che la radiazione cosmica genera nell’interazione con la nostra atmosfera.
Come distinguere gli sciami di particelle creati da radiazione primaria
neutra da quelli prodotti dal più intenso fondo di raggi cosmici carichi?
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è stata quindi la valutazione di
alcune proposte di modifica del rivelatore.
Nel primo capitolo verranno discusse la storia, i risultati e le prospettive
future nell’ambito dell’astronomia γ e più in generale dell’astronomia dei raggi cosmici, entrambe naturali estensioni dell’astronomia ottica tradizionale.
Sono quindi stati elencati i meccanismi noti di produzione e accelerazione,
le “fornaci” in cui queste forme di radiazione vengono create ed emesse nello spazio circostante. In ultimo è stato introdotto un breve excursus delle
principali tecniche di rivelazione.
Il secondo capitolo è invece dedicato agli sciami atmosferici estesi (EAS ),
ossia ai prodotti dell’interazione di raggi cosmici e raggi γ con l’atmosfera
terrestre. Ne vengono sviscerate le caratteristiche e le differenze; vengono
illustrati il loro modo di propagarsi in atmosfera e le tecniche che si utilizzano
per osservarli. É stato altresı̀ spiegato il motivo per cui oltre certe energie
l’osservazione diretta delle particelle primarie diventa impossibile e come
diversi esperimenti al suolo ovviano a questo problema.
Gran parte degli studi (in astrofisica nel caso specifico ma non solo) viene
compiuta mediante confronto con la simulazione dei fenomeni che si vogliono
studiare. Questo poiché trattandosi di studi indiretti occorre definire a priori quali possano essere le migliori osservabili fisiche. Nel caso degli sciami
5
6
INDICE
atmosferici estesi (EAS ) occorre definire che cosa “guardare” e come in funzione dello scopo (ad esempio la misura dello spettro, lo studio della composizione, i modelli di fisica adronica delle interazioni, la misura di sezioni
d’urto ad altissima energia, etc...).
Nel particolare sono stati descritti il setup sperimentale di ARGO-YBJ,
esperimento nell’ambito del quale il presente studio ha avuto luogo, e i metodi che esso utilizza per la discriminazione γ/adroni (capitolo 3). ARGO-YBJ
possiede due punti di forza: è situato ad alta quota, quindi è sensibile a sciami di piccole dimensioni (ovvero bassa energia primaria), e ha una superficie
di rivelazione continua, peculiarità che gli permettono di osservare energie
primarie nel range delle VHE - Very High Energy (0.1 ÷ 30T eV ).
Siccome l’astronomia γ viene studiata separatamente rispetto all’astronomia dei raggi cosmici, il problema principale che si presenta è costituito
dall’identificazione corretta delle due tipologie di radiazione, motivo per cui
è stato esposto un breve elenco dei principali metodi che vengono utilizzati.
Il capitolo 4 riporta le varie fasi del lavoro, a partire dalla simulazione
degli sciami allo studio delle loro proprietà al livello osservativo di ARGOYBJ, fino alla valutazione di alcune soluzioni alternative per migliorare la
discriminazione del fondo carico. L’idea principale da me indagata riguarda la prevista (ma non ancora realizzata) copertura parziale del rivelatore
con lastre sottili di piombo (1/2 lunghezze di radiazione) al fine di migliorarne la risoluzione angolare. É stato quindi quantitativamente stimato se
la sua applicazione con opportune modifiche potesse migliorare la reiezione
del segnale adronico.
Infine, nel quinto e ultimo capitolo, è stato calcolato l’impatto in termini
di sensitività sulla misura del flusso di sorgenti γ del metodo di discriminazione. Sono stati studiati diversi modi per cercare di migliorarlo e sono
state tratte le conclusioni.
Capitolo 1
Raggi cosmici e astronomia
gamma
L’universo è costantemente attraversato da radiazioni ionizzanti, costituite
da particelle massive e da fotoni di tutte le lunghezze d’onda. Usualmente
ci si riferisce alle particelle cariche con il termine di raggi cosmici (CR)
per differenziarle dalla radiazione puramente elettromagnetica, sebbene i
loro effetti nell’atmosfera terrestre siano molto simili. Le origini dei raggi
cosmici possono essere molto diverse, a partire dalla nostra stessa galassia
fino ai quasar più remoti. Le sorgenti, i meccanismi di produzione e di
accelerazione di queste particelle, che raggiungono energie estremamente
elevate (∼ 1020 eV ) sono oggetto di studio da vari decenni e i risultati ottenuti
hanno apportato un grande contributo ai modelli cosmologici e alla fisica
delle particelle.
1.1
Storia delle osservazioni
Già agli inizi del XX Secolo si osservava una radioattività naturale in grado di ionizzare l’aria. Le conoscenze dell’epoca su questo tipo di fenomeno
proponevano l’esistenza di tre tipi di radiazione ionizzante: i raggi α (nuclei
di elio), i raggi β (elettroni) e i raggi γ (fotoni). L’interrogativo più pressante riguardava l’origine di questa radioattività: proveniva dalla Terra o da
altrove?
Si conoscevano le proprietà del polonio, del radio, del torio e dell’uranio, elementi contenuti nel terreno che contribuiscono alla radioattività
ambientale, ma questa da sola non bastava a spiegare i fenomeni osservati.
Nel 1912, Victor Hess in Austria e Kohlhörster in Germania, per dirimere la
questione, effettuarono misure in quota portando degli elettroscopi a diverse
migliaia di metri di quota su palloni aerostatici. La ionizzazione osservata
aumentava con la quota di osservazione, e la spiegazione che Hess fornı̀ a
partire dalle misure fu la presenza di una radiazione altamente penetrante
7
8
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
dall’alto. Dimostrò, cosı̀, l’origine extraterrestre di quelli che vennero in
seguito chiamati da Millikan raggi cosmici e, per questa scoperta, vinse il
premio Nobel nel 1936. Dopo la Prima Guerra Mondiale si approfondı̀ lo
studio della ionizzazione in funzione della quota con esperimenti in diverse
locazioni. Millikan, nel tentativo di confutare l’ipotesi di Hess e Kohlhörster,
contribuı̀ in maniera importante allo sviluppo di nuove tecnologie per la rivelazione. Egli immerse i rivelatori in laghi montani a profondità diverse:
siccome lo spessore totale dell’atmosfera terrestre corrisponde a una decina
di metri d’acqua, Millikan sperava di osservare un assorbimento maggiore
della radiazione ionizzante, in quanto credeva fosse costituita essenzialmente
da raggi γ prodotti nella nucleosintesi di elementi comuni come elio e ossigeno. In realtà, cosı̀ facendo, Millikan misurò la ionizzazione indotta dalla
componente più penetrante dei raggi cosmici: la componente muonica.
Nei decenni successivi l’attenzione si spostò verso la fisica delle alte energie che i raggi cosmici, quale unica possibile sorgente, rendevano disponibile. Fino agli anni ’50 del XX Secolo non esistevano, infatti, acceleratori
di particelle in grado di arrivare ad energie cosı̀ elevate e a tutt’oggi nessun
acceleratore raggiunge prestazioni paragonabili ai raggi cosmici più energetici. Ad esempio, il rivelatore del Pierre Auger Observatory rivela ogni anno
una trentina di raggi cosmici con energie ≥ 1020 eV [36]; il Large Hadron
Collider del CERN, la più potente macchina acceleratrice mai costruita, è
stata progettata per accelerare protoni a un’energia massima nel centro di
massa di 14T eV [34], sette ordini di grandezza inferiore rispetto ai raggi cosmici più energetici. Nel 1929 Skobelzyn capı̀ che le particelle ionizzanti non
si manifestano indipendemente ma fanno parte di cascate originate dall’interazione di particelle primarie con l’atmosfera. Venne formulata la teoria
delle cascate elettromagnetiche e mosse i primi passi l’elettrodinamica quantistica. Nel 1940 la teoria degli sciami elettromagnetici era completamente
sviluppata. Il numero di nuove scoperte aumentò di colpo con l’invenzione
di rivelatori come la camera a nebbia, in grado di visualizzare le tracce
delle particelle cariche che l’attraversano, o i contatori di Geiger-Müller, che
sostituirono gli elettroscopi. La presenza di particelle altamente penetranti diverse dai raggi γ venne evidenziata grazie a contatori che, nonostante
massicce schermature, segnalavano il passaggio al loro interno di particelle
ionizzanti. Esperimenti in altissima quota, in cui i rivelatori erano esposti
alla radiazione primaria, mostrarono tracce di protoni e nuclei più pesanti; di
conseguenza fu naturale esaminare l’interazione dei raggi cosmici carichi con
il campo magnetico terrestre. Il primo passo da verificare era la dipendenza
del flusso di particelle cariche in funzione del campo magnetico relativo alla
località dell’esperimento, e fu fatto con esperimenti posti a diverse latitudini geomagnetiche. Uno dei risultati più importanti di queste misure fu
la scoperta dell’effetto east-west che consiste in un maggior flusso di raggi
cosmici provenienti da ovest piuttosto che da est. Le particelle con carica
positiva provenienti da ovest vengono curvate verso il suolo, mentre quelle
1.1. STORIA DELLE OSSERVAZIONI
9
provenienti da est vengono tendenzialmente deviate lontano dalla superficie
terrestre. L’effetto si manifesta in maniera più consistente ed è quindi più
facilmente misurabile alle elevate latitudini geomagnetiche.
Nonostante il fiorire delle scoperte, quella che sembrava la frontiera della
fisica sperimentale era destinata a perdere di interesse. A partire dagli anni
’50 e ’60, i miglioramenti nel campo della fisica degli acceleratori spostarono
l’attenzione dei fisici verso questo nuovo modo di studiare le particelle fondamentali. Con gli acceleratori non si è più soggetti all’aleatorietà degli eventi,
potendo selezionare il primario, l’intensità dei fasci di particelle, l’energia,
la posizione del vertice d’interazione e soprattutto non dovendo attendere il
raggio cosmico sul rivelatore. Ciò permise di migliorare notevolmente i modelli delle interazioni fondamentali. Nonostante l’esodo di scienziati verso gli
acceleratori, gli studi nel campo dei raggi cosmici non si fermarono: venne
studiato a fondo il campo magnetico dell’eliosfera, misurato il flusso di raggi cosmici a diverse latitudini, venne comparato con i flussi di primari ora
misurati anche da satellite e correlati al ciclo solare. I rivelatori su satellite
permisero una buona conoscenza della composizione chimica e isotopica dei
raggi cosmici. Inoltre dalle misure di sezioni d’urto effettuate in laboratorio
e dall’osservazione di raggi cosmici costituiti da isotopi instabili conosciuti fu possibile stimare il loro tempo di permanenza all’interno della nostra
galassia. Allo stesso tempo ci fu un rapido sviluppo di teorie per spiegare
l’accelerazione e, sul finire degli anni ’70, la combinazione dei vari modelli
portò alla formulazione del modello standard dei raggi cosmici, ancora oggi
in continuo aggiornamento. Sempre in quegli anni cominciò la ricerca dei
neutrini solari e del decadimento del protone (per il quale si stima una vita
media limite > 1030 anni), campi di ricerca che portarono all’interramento
degli apparati di rivelazione per schermare anche la componente penetrante
delle cascate. Gli esperimenti underground fino ad oggi hanno fornito soltanto dei limiti per la vita media del protone ma hanno messo in luce vari effetti
che confermano le ipotesi sulle oscillazioni dei neutrini, fenomeni in grado di
richiamare l’attenzione dei fisici degli acceleratori. A partire dagli anni ’80
i fisici astroparticellari, probabilmente ispirati dai progressi nell’astronomia
gamma (a questo periodo risalgono le prime osservazioni di raggi gamma
con energie dell’ordine del TeV ), cominciarono a puntare gli strumenti direttamente nelle direzioni da cui sembravano provenire le particelle di alta
energia e ciò diede vita a una vera e propria astronomia dei raggi cosmici. Negli ultimi vent’anni gli interrogativi che più hanno incuriosito i fisici
riguardano le particelle di altissima energia e i meccanismi che sono stati
in grado di accelerarle, in particolare i neutrini. Particelle cariche di alta
energia interagisco nel mezzo galattico e intergalattico deviando dalla loro
traiettoria originale, mentre i neutrini che non risentono dell’interazione elettromagnetica puntano direttamente la sorgente che li ha emessi. Sebbene la
loro rivelazione sia un evento raro, la commistione di questi risultati e quelli relativi ai raggi cosmici carichi e all’astronomia gamma potrà, forse, nei
10
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
prossimi anni svelare con certezza l’origine delle particelle più energetiche
dell’universo conosciuto.
In figura 1.1 sono mostrati gli spettri integrali di raggi cosmici (carichi
e fotoni) come oggi li conosciamo.
(a) Raggi cosmici
(b) Fotoni
Figura 1.1: Spettri integrali per raggi cosmici e per fotoni.
1.2. ASTRONOMIA GAMMA
1.2
11
Astronomia gamma
Con il termine raggi γ si intende la parte più energetica dello spettro elettromagnetico con energie che partono da qualche decina di KeV . Tuttavia il
grande range energetico coperto dai raggi γ e le diverse tecniche di rivelazione
impongono un’ulteriore suddivisione:
Low/Medium energy (LE/ME)
High energy (HE)
Very high energy (VHE)
Utra high energy (UHE)
Extremely high energy (EHE)
0.5 ÷ 30M eV
0.03 ÷ 100GeV
0.1 ÷ 30T eV
30T eV ÷ 30P eV
> 30P eV
Radiazioni con energie > 0.5M eV sono caratterizzate da tecniche di rivelazione molto differenti tra loro. Anche gli estremi stessi di questi intervalli
sono tutt’altro che ben definiti a causa del rapido sviluppo della tecnologia
di rivelazione; sono infatti definiti in base al tipo di interazione del fotone e
alla tecnica di rivelazione e non ai processi di produzione.
Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, parlando di Astronomia
si intendeva l’osservazione del cielo nell’intervallo visibile dello spettro elettromagnetico (1.5 ÷ 3.5 eV ). L’atmosfera terrestre è opaca a quasi tutte
le lunghezze d’onda e, spostandosi lungo lo spettro, cambiano i processi
che dominano l’assorbimento della radiazione elettromagnetica; ad esempio, nella banda dell’infrarosso l’assorbimento è causato principalmente da
molecole in sospensione quali vapore acqueo, biossido di carbonio e ozono,
mentre alle alte energie i fotoni interagiscono via effetto fotoelettrico, effetto
Compton e produzione di coppie. L’atmosfera risulta, quindi, trasparente
solo a lunghezze d’onda appartenenti a due intervalli: il visibile e la banda
delle onde radio1 . Nel 1932, Jansky per primo captò il segnale elettromagnetico al di fuori del visibile, dando vita alla Radioastronomia che costituı̀ la
naturale estensione dell’astronomia ottica tradizionale. Con l’evoluzione tecnologica e la costruzione di satelliti fu possibile osservare direttamente altre
lunghezze d’onda al di fuori dell’atmosfera2 , ma per osservare dei risultati
statisticamente significativi e poter parlare di astronomia γ occorre attendere i primi anni ’70, quando il satellite SAS-2 rivelò un discreto numero di
fotoni con energie comprese tra 30M eV e 5GeV . A cavallo tra gli anni ’70
e ’80, fu il turno del satellite COS-B che identificò all’interno della nostra
galassia 25 sorgenti di raggi γ con energie dell’ordine del GeV , sorgenti il cui
1
In realtà sussistono dei limiti anche in questo intervallo: le onde radio di energia più
alta (λ dell’ordine di qualche mm) vengono anche’esse assorbite da molecole e vapori in
sospensione, mentre le frequenze minori vengono riflesse dalla ionosfera.
2
i primi fotoni γ fuori dall’atmosfera vennero rivelati dal satellite Explorer XI nel 1961.
12
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
numero è stato notevolmente incrementato a partire dal 1991 con la messa
in orbita di CGRO (Compton Gamma Ray Observatory).
A partire dal centinaio di GeV , l’osservazione diretta della radiazione
γ primaria si fa decisamente problematica, per cui si studiano dal suolo
gli Extensive Air Shower (EAS 3 ) di particelle prodotti dall’interazione dei
fotoni altamente energetici con l’atmosfera terrestre. Nel 1972, ad esempio,
un telescopio Čerenkov4 del Crimean Astrophysical Observatory mostrò un
significativo eccesso di sciami con energie primarie dell’ordine del T eV nella
direzione della stella Cygnus X-3. Verso la fine degli anni ’80 il telescopio
Čerenkov WHIPPLE osservò un eccesso di fotoni con energie ≥ 500GeV
provenienti dalla Crab Nebula5 . Essa si è poi rivelata una sorgente continua
e stazionaria nell’intervallo 0.5T eV ÷10T eV , e da allora viene utilizzata dagli
esperimenti come standard candle per la calibrazione [11]. In figura 1.2 sono
mostrate alcune misure sperimentali dello spettro emesso dalla Nebulosa
del Granchio ottenute con apparati che usano tecniche diverse (Čerenkov
- H.E.S.S., MAGIC, apparati sciame a campionamento - Tibet AS-γ - e a
copertura totale - ARGO-YBJ ).
Figura 1.2: Spettro differenziale della Crab Nebula misurato da diversi
esperimenti.
3
Extensive Air Shower. Per una descrizione approfondita degli EAS e delle loro
proprietà si veda il capitolo 2.
4
I telescopi Čerenkov sono in grado di rivelare la luce Čerenkov emessa dalle particelle
cariche di uno sciame che viaggiano di moto superluminale nell’atmosfera.
5
Nebulosa del Granchio (NGC 1952) situata nella costellazione del Toro. Ascensione
retta: 05h 34m 31.97s , Declinazione: +22◦ 000 52.100 .
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
13
Con l’ulteriore evoluzione degli apparati di rivelazione è stato successivamente possibile osservare sorgenti γ extragalattiche come, ad esempio, i
nuclei galattici attivi. L’importanza di questi oggetti celesti è evidente dal
momento che in linea di principio essi sarebbero in grado di accelerare i raggi
cosmici alle massime energie.
1.3
1.3.1
Origine dei raggi cosmici e dei raggi γ
Meccanismi di produzione e accelerazione di particelle
cariche
L’origine dei raggi cosmici è legata ai principali meccanismi di formazione
delle stelle, alla loro evoluzione e ai processi più estremi che coinvolgono la
materia nella galassia e oltre essa.
La produzione nelle stelle
Le stelle sono oggetti molto massivi e, se l’attrazione gravitazionale non fosse
bilanciata dalla pressione interna, collasserebbero in breve tempo. Approssimando una stella ad una sfera statica di raggio r, l’equazione per l’equilibrio
idrostatico è:
dP (r)
GM (r)ρ(r)
=−
dr
r2
dove M (r) è la massa racchiusa entro una distanza r dal centro, P (r) e ρ(r)
sono la pressione e la densità alla distanza r. I principali contributi alla
pressione interna sono dovuti al moto di ioni ed elettroni e alla pressione di
radiazione. Una grande quantità di luce (di tutte le frequenze) viene prodotta all’interno della stella e ne fuoriesce. In generale si può pensare alla stella
come costituita da diversi gusci sferici, ognuno dei quali fornisce il proprio
apporto energetico alla luminosità totale. Il processo che domina in stelle
che si trovano nella sequenza principale della loro evoluzione6 è la fusione
nucleare; in questa fase evolutiva la stella fonde l’idrogeno in elio (la fusione
dell’idrogeno è possibile per T ≥ 5·106 K). L’energia viene liberata in quanto
la massa di un nucleo di He è minore della massa di quattro nucleoni presi
separatamente (di ∼ 24.7M eV ). La successione delle reazioni che portano
alla produzione dell’elio prende il nome di catena protone-protone e consiste
nelle reazioni mostrate in tabella 1.1. Tutti i rami della catena terminano
con la produzione di 4 He. Ogni reazione richiede una temperatura e una
pressione minima e quindi può avvenire solo entro una certa distanza dal
6
L’evoluzione stellare passa attraverso diverse fasi: formazione, sequenza principale,
fase post-sequenza principale, fase finale. La fase finale può essere molto diversa a seconda
della massa iniziale della stella; stelle con masse < 10M sono destinate a “soffiare” via
gli strati più esterni e a formare una nana bianca, mentre stelle più massicce possono
esplodere in supernove e dare origine a stelle di neutroni o, nei casi in cui la massa iniziale
sia estremamente grande, a buchi neri.
14
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
1a
1b
2
3a
3b
3c
4a
4b
5a
5b
6b
p+p
p + p + e−
2H + p
3 He +3 He
3 He +4 He
3 He + p
7 Be + p
7 Be + p
7 Li + p
8B
8B∗
→ 2 H + e+ + νe
→ 2 H + νe
→ 3 He + γ
→ 4 He + 2p
→ 7 Be + γ
→ 4 He + e+ + νe
→ 7 Li + νe
→ 8B + γ
→ 2 · 4 He
→ 8 B ∗ + e+ νe
→ 2 · 4 He
Tabella 1.1: La catena protone-protone: le lettere affiancate ad alcuni passi
indicano reazioni in competizione tra loro che portano a rami differenti della
catena. Ad esempio, la reazione 3a sarà seguita dalla 4a e dalla 5a.
centro della stella. La catena protone-protone è il processo dominante per
la produzione di energia in stelle nella sequenza principale. Alcune tra le
reazioni della catena causano l’emissione di neutrini, grazie all’osservazione
dei quali è stato possibile confermare l’ipotesi nucleare per il sostentamento
energetico del nostro Sole (e delle altre stelle).
Un meccanismo che porta alla formazione di 4 He, più efficiente della
catena p-p per temperature ≥ 107 K, è il ciclo CNO (carbonio azoto ossigeno)
riassunto in tabella 1.2 che avviene negli strati più interni della stella.
12 C
+1 H
13 N
13 C
14 N
+1 H
+1 H
15 O
15 N
+1 H
→
→
→
→
→
→
13 N
+γ
+ e+ + νe
14 N + γ
15 O + γ
15 N + e+ + ν
e
12 C +4 He
13 C
Tabella 1.2: Il carbonio, l’azoto e l’ossigeno, da cui il ciclo CNO prende il
nome, fungono da catalizzatori per le reazioni che producono i nuclei di elio.
I prodotti di fusione, più pesanti, tendono ad accumularsi verso il nucleo
della stella accrescendone la temperatura. Se la temperatura sale oltre i
108 K si innesca la fusione dell’elio, secondo la catena 3α (342 He →12
6 C + γ)
8
oppure con elementi più pesanti; oltre i 7 · 10 K si innesca la fusione del
carbonio e oltre i 9 · 108 K quella dell’ossigeno (vedi tabelle 1.3 a 1.5).
Le stelle sono, dunque, fornaci che producono nuclei atomici, leptoni,
neutrini e radiazione elettromagnetica, particelle che, una volta liberate da
fasi esplosive, possono percorrere distanze astronomiche e giungere sulla
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
15
Terra. Ovviamente, per un nucleo la probabilità di fuoriuscire dal campo
gravitazionale della stella diminuisce drasticamente con il crescere della sua
massa; infatti la quasi totalità di raggi cosmici carichi è costituita da nuclei
di idrogeno (∼ 90%) e da nuclei di elio, sebbene siano stati osservati anche
dei nuclei di ferro.
12 C +4 He
6
2
16 O +4 He
8
2
20 N e +4 He
10
2
→
→
→
16 O + γ
8
20 N e + γ
10
24 M g + γ
12
Tabella 1.3: Esempi di fusione dell’elio con elementi più pesanti, processi
che competono con la catena 3α.
2 · 12
6 C
→
→
→
20 N e +4 He + γ
10
2
23 N a +1 H + γ
11
1
23 M g + n
12
Tabella 1.4: Fusione del carbonio
2 · 16
8 O
→
→
28 Si +4 He + γ
14
2
31 P +1 H + γ
15
1
Tabella 1.5: Fusione dell’ossigeno.
16
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Meccanismo di Fermi
L’idea dell’accelerazione stocastica delle particelle cariche fu sviluppata da
Enrico Fermi negli anni ’30.
Una particella con energia iniziale E0 incontra una nube massiva dotata
di campi magnetici turbolenti. In prima approssimazione la particella può
essere considerata quasi relativistica e di massa trascurabile e la nube di
massa infinita e velocità vcl . Si supponga che la particella entri nella nube,
subisca scattering multiplo all’interno della turbolenza magnetica e fuoriesca
in direzione opposta e collineare a quella iniziale. Nel sistema di riferimento
della nube:
E0∗ = γcl (E0 + βcl p0 )
2 )−1/2 . L’interazione con il campo magnetico
con βcl = vccl e γcl = (1 − βcl
all’interno della nube sarà completamente elastica, e la direzione della velocità invertita. L’energia della particella in uscita rispetto a un osservatore
esterno sarà:
2
E1 = γcl (E0∗ + βcl p20 ) = E0 · γcl
(1 + βcl )2
il che implica un guadagno relativo
∆E
E1 − E0
2
=
= γcl
(1 + βcl )2 − 1
E
E0
proporzionale alla velocità della nube. Il guadagno dipende fortemente dall’angolo tra la direzione d’entrata e la direzione d’uscita e la velocità della
nube: una particella che attraversasse completamente la nube, ad esempio, non subirebbe la minima accelerazione, anzi, in alcuni casi potrebbe
verificarsi una decelerazione. La direzione assunta all’interno della nube è
completamente isotropa (< cosθ2 >= 0), la direzione di ingresso dipende
dalla direzione di spostamento della nube e < cosθ1 >= −β/3, quindi il
2 . Dopo n interazioni
guadagno medio per interazione con nube è ξ ' 34 βcl
(per semplicità con nubi aventi la stessa β) l’energia della particella sarà:
En = E0 (1 + ξ)n
Durante ogni interazione, la particella può uscire dalla regione occupata
dalla nube magnetica e la probabilità che ciò avvenga viene indicata con
Pesc . La probabilità che la particella abbia raggiunto al momento dell’uscita
un’energia pari a En è (1−Pesc )n . Il numero di particelle accelerate a energie
≥ En è proporzionale al numero di particelle che restano nella regione di
accelerazione per più di n interazioni con le nubi:
N (> En ) = N0
∞
X
(1 − Pesc )
n
m
En
∝A
E0
−γ
con γ ' Pesc
ξ . L’accelerazione stocastica genera spettri energetici secondo
2.
una legge di potenza con indice proporzionale a βcl
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
17
Il guadagno medio per unità di tempo è:
dE
c
ξE
= νenc ∆E =
dt
λenc
solitamente λenc non è più breve di 1pc.
Accelerazione per onda d’urto
Durante l’esplosione di una supernova, il gas si sposta a velocità vR maggiore
rispetto a quella del suono nel mezzo interstellare. L’onda d’urto attraversa
il gas in espansione con velocità vS che dipende da vR e dal rapporto tra
l’energia termica del mezzo perturbato dall’onda e il mezzo imperturbato.
In caso di mezzo interstellare ionizzato, la velocità con cui si propaga l’onda
d’urto è vS ' 4/3vR . Se il raggio dell’onda d’urto è molto maggiore rispetto al raggio di girazione7 delle particelle cariche presenti, l’onda può esser
considerata piana per gli scopi riguardanti l’accelerazione di particelle.
Nel sistema di riferimento dell’onda, il mezzo interstellare ancora imperturbato fluisce dentro di essa con velocità v1 = vS e la materia attraversata
dall’onda ne fuoriesce con velocità v2 < v1 . Il gas di particelle cariche
contenuto nel mezzo interstellare attraversa l’onda d’urto; una frazione di
particelle l’attraversa completamente e finisce nel residuo perturbato, ma
una parte scattera all’indietro e esce dall’onda in direzione del mezzo interstellare dove, nuovamente possono interagire con il fronte d’onda e subire
cosı̀ una serie di accelerazioni successive. L’accelerazione per onda d’urto è
molto più rapida del meccanismo originale proposto da Fermi. Il guadagno
energetico è proporzionale a β, non più a β 2 (accelerazione al second’ordine).
Inoltre, la velocità dell’onda d’urto prodotta da una supernova è molto maggiore della velocità media delle nubi di gas presenti nel mezzo interstellare.
Questo meccanismo è diversi ordini di grandezza più efficiente di quello di
Fermi.
L’energia massima che una particella relativistica (E = pc) può raggiungere
è:
v1
Emax = ZeBrS
c
1.3.2
Processi di produzione di radiazione elettromagnetica
La radiazione elettromagnetica può essere di tipo termico o non termico. Gli
oggetti più caldi dell’universo (ad esempio i dischi di accrescimento intorno
a stelle compatte) sono in grado di generare radiazione con energia fino
alla decina di KeV, di vari ordini di grandezza inferiore al dominio VHE: è
evidente che i processi di produzione coinvolti sono di tipo non termico. I
principali processi di produzione di γ ad alta energia sono:
7
Raggio di girazione: rg =
pc
ZeB
, dove Z è la carica elettrica della particella accelerata.
18
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
1. Bremsstrahlung
2. Radiazione di sincrotrone
3. Effetto Compton inverso (ICE)
4. Decadimento di pioni neutri
Bremmsstrahlung
La bremsstrahlung (radiazione di frenamento) consiste nell’emissione di un
fotone da parte di una particella carica decelerata da un campo elettrostatico, come può essere quello di un nucleo atomico. La perdita di energia segue
la legge di Bethe-Heither:
(
dE
E
)=−
dx
X0
2
dove X0 è la lunghezza di radiazione (X0 ∝ ZA · ρ cm−1 ). L’energia Eγ
del fotone emesso è uguale alla perdita di energia della particella carica.
Se lo spettro energetico degli elettroni primari (particelle più pesanti come
protoni subiscono decelerazioni molto meno consistenti) segue una legge di
potenza (ad esempio con indice α) anche lo spettro dei fotoni emessi seguirà
una legge di potenza:
Nγ (Eγ ) ∝ Eγ−β con β ≡ α
.
Figura 1.3: Rappresentazione schematica dell’emissione di radiazione di
frenamento.
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
19
Figura 1.4: Rappresentazione schematica dell’emissione di radiazione di
sincrotrone.
Radiazione di sincrotrone
Un elettrone in moto in un campo magnetico risente della forza di Lorentz, e
la sua traiettoria acquista un andamento elicoidale con frequenza di girazione
data da:
νg =
eB
γmc
che non dipende dall’angolo θ formato dal vettore velocità dell’elettrone
~ L’accelerazione cui è sottoposta la particella care il campo magnetico B.
ica causa l’emissione di fotoni lo spettro dei quali presenta un picco alla
frequenza:
ν=
3eBγ 2
4πmc · sinθ
dove γ, in questo caso, è il fattore di Lorentz.
I fotoni di sincrotrone prodotti nel campo magnetico interstellare (qualche
µG) appartengono perloppiù all’intervallo delle onde radio. Condizioni estreme di campo magnetico (ad esempio in prossimità di stelle di neutroni che
sviluppano campi magnetici fino a 1015 G) ed energia degli elettroni possono
generare fotoni fino alle frequenze γ. La nebulosa e la pulsar del Granchio
sono due delle sorgenti meglio studiate negli ultimi anni e la radiazione di
sincrotrone spiega bene lo spettro di emissione fino a qualche centinaio di
MeV.
Di nuovo, se lo spettro energetico degli elettroni primari segue una legge
di potenza, anche lo spettro dei fotoni emessi seguirà una legge di potenza,
in questo caso con indice diverso:
Nγ (Eγ ) ∝ Eγ−β con β = (α + 1)/2
.
20
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Effetto Compton Inverso
L’effetto Compton inverso (ICE) consiste nell’interazione tra un elettrone
altamente energetico con un fotone di bassa energia e ha come risultato
l’emissione di un fotone di alta energia. Se l’energia del fotone primario è
Eγ ≤ me c2 , la perdita di energia per l’elettrone è:
dE
4
= σT · c · Urad · β 2 γ 2
dt
3
dove σT è la sezione d’urto di Thomson, Urad è la densità di energia del
v
campo di radiazione, β = ec− , e γ è il fattore di Lorentz. Lo spettro emesso è continuo e l’energia massima, che corrisponde alla situazione di urto
“frontale”, è Emax ∼ 4γ 2 Ee− . In regime Thomson, l’energia caratteristica
del fotone emesso è grande, tuttavia corrisponde a una piccola frazione dell’energia dell’elettrone incidente. In regime Klein-Nishina, cioè nel caso di
elettroni e fotoni ultrarelativistici (Eγ Ee (me c2 )2 ) il fotone emesso porta
con sé gran parte dell’energia dell’elettrone e la sezione d’urto diminuisce
rapidamente. Per quanto riguarda gli indici spettrali, se l’indice degli elettroni è α, l’indice dei fotoni sarà β = (α+1)/2 in regime Thomson e β = α+1
al limite di Klein-Nishina.
L’ICE è rilevante quando è presente un’elevata densità di radiazione ambientale.
Una conseguenza dell’ICE può essere il processo Synchrotron Self Compton
(SSC), che si verifica quando un fotone emesso per radiazione di sincrotrone
fa ICE con l’elettrone che l’ha generato. La natura SSC dell’emissione VHE
della nebulosa del Granchio è stata dimostrata (vedi figura 1.6) comparando
il campo magnetico medio < BCrab > ricavato da osservazioni nel range dei
TeV con quello calcolato dalla separazione spettrale tra la componente radio
e quella ottica [4].
Figura 1.5: Rappresentazione schematica dell’effetto Compton inverso.
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
21
Figura 1.6: La nebulosa del Granchio è uno degli oggetti celesti meglio
studiati in tutte le lunghezze d’onda accessibili. La componente di bassa
energia (10−12 ÷102 M eV )è attribuibile alla radiazione di sincrotrone mentre
quella più energetica (102 ÷ 108 M eV ) all’effetto Compton inverso.
22
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Decadimento di pioni neutri
Le interazioni tra adroni e nuclei della materia producono stati eccitati che
portano all’emissione di pioni (π + , π − , π 0 ):
pp → N N π + π − π 0
dove N può essere un protone o un neutrone. I pioni carichi decadono
debolmente in leptoni, mentre il π 0 decade in un tempo estremamente breve
(τ = 8.4 · 10−17 s) in una coppia di fotoni (π 0 → γγ). Dato l’indice spettrale
α per i protoni, quello della radiazione risultante è β = 43 (α − 21 ).
1.3.3
Sorgenti interstellari e intergalattiche
Visti i diversi meccanismi di produzione, vediamo ora una breve carrellata
degli ambienti astrofisici (sorgenti) in cui i sopracitati meccanismi trovano
applicazione e producono raggi cosmici.
Supernove
Le supernove sono la fase esplosiva terminale di stelle molto massive ( >
2M ) al termine del loro ciclo vitale. Sono caratterizzate da un inviluppo
di gas in rapida espansione (10000 ÷ 20000 ms−1 ) e in pochi giorni sono in
grado di aumentare la propria luminosità di 20 magnitudini (che in termini
di potenza emessa significa un fattore dell’ordine del centinaio di milioni).
Dopo aver raggiunto un picco di luminosità la stella diventa invisibile nel
giro di qualche giorno. Durante le fasi di crescita della curva di luce sono
state osservate emissioni nei raggi X e γ.
Esistono due classi di supernove: supernove di tipo I (SN I) e supernove
di tipo II (SN II), caratterizzate da curve di luce e magnitudini massime
differenti.
Le SN I sono caratterizzate dall’assenza delle righe spettrali dell’idrogeno e
raggiungono una magnitudine più elevata. La curva di luminosità in fase
calante è regolare, quasi esponenziale.
Le SN II presentano, invece, una caduta di luminosità più irregolare e hanno
un massimo più debole. Il loro spettro presenta righe di idrogeno e metalli.
Esistono distinzioni più raffinate: le supernove della sottoclasse SN Ia, ad
esempio, presentano una riga del Si molto piccata, mentre SN Ib e SN Ic si
distinguono rispettivamente per la presenza o l’assenza delle righe dell’elio.
Le sottoclassi delle SN II si distinguono in base allo spettro: le SN II-L
(lineari) hanno una caduta di luminosità lineare mentre le SN II-P (plateau)
mostrano un plateau compreso tra il trentesimo e l’ottantesimo giorno dopo
il massimo.
I diversi tipi di supernova sono dovuti a diversi meccanismi che modulano
la luminosità. Le figure 1.7 e 1.8 riportano le tipiche curve di luminosità
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
23
relative ai tipi di supernova. L’associazione con l’oggetto originario prima
dell’esplosione mostra che le SN I corrispondono a stelle vecchie di massa
< 4M e le SN II a stelle giovani di grande massa. Le SN II risultano
dal collasso interno e dalla conseguente esplosione di stelle con M > 9M ;
anche per le SN Ib e SN Ic si pensa a collasso di stelle massicce. Per quanto
riguarda le SN Ia, il modello più accreditato prevede una nana bianca la cui
massa sia vicina al limite di Chandrasekhar 8 in un sistema binario che sottrae
materiale alla stella compagna. In questo modo la sua massa aumenta e la
temperatura cresce fino a innescare la fusione del carbonio. Entro pochi
secondi dall’inizio della fusione, la reazione rilascia un’energia (∼ 1044 J)
sufficiente a disgregare la stella in maniera esplosiva.
Figura 1.7: Curve di luce tipiche di supernove SN I e SN II.
Residui di supernova
Quando una stella molto massiccia giunge al termine della propria vita, può
esplodere in una supernova. Quando ciò avviene il nucleo collassa gravitazionalmente in una stella di neutroni o, se la stella era estremamente
massiccia, in un buco nero e gli strati esterni vengono proiettati a grande
velocità nello spazio circostante. Il materiale espulso spazza e scalda il gas
già presente nei dintorni della stella e insieme a tutto ciò che raccoglie attraverso il mezzo interstellare (ρ ∼ 1 atomo · cm−3 ) forma il residuo di
8
MCh ' 1.44M , rappresenta la massa massima che può essere supportata dalla
pressione degli elettroni degeneri. Una volta superata questo limite la stella collassa.
Durante la sequenza principale la pressione interna della stella contrasta la contrazione
gravitazionale; una volta terminato il combustibile se la massa è minore della massa di
Chandrasekhar, la stella diventa una nana bianca stabile, altrimenti collassa.
24
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Figura 1.8: Curve di luce di supernove SN II-L e SN II-P.
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
25
Figura 1.9: La supernova 1987a è una supernova di classe SN II esplosa circa
68000 anni fa ed è stata vista dalla Terra a partire dal 23 febbraio 1987. E’
situata nella Grande Nube di Magellano, galassia satellite della Via Lattea.
E’ la supernova più vicina studiata dalla scienza moderna, e ha permesso di
confermare le teorie sulla fase finale delle stelle massicce mediante le misure
di emissione neutrinica.
supernova 9 (SNR) che si presenta come una superficie piuttosto sottile (su
scala astronomica) in espansione al cui interno è racchiusa una regione a
bassa densità di materia (vedi figura 1.9, la supernova SN1987a). Si pensa
che i residui di supernova siano l’acceleratore di raggi cosmici fino al cosiddetto ginocchio dello spettro (energie dell’ordine di 1015 eV ); l’onda d’urto,
infatti, può accelerare particelle mediante un meccanismo noto come Diffusive Shock Acceleration (DSA), uno sviluppo al prim’ordine del meccanismo
di Fermi10 .
Il DSA genera uno spettro esponenziale con indice −2 che è consistente con
quello osservato sulla Terra (∼ 2.7), tenendo conto del percorso attraverso
la galassia. Tuttavia lo spettro VHE finora osservato da SNR shell-type 11
può essere spiegato mediante modelli puramente leptonici, senza evidenti
coinvolgimenti di adroni accelerati.
Nella Via Lattea sono stati rivelati oltre 150 residui di supernova, soprattutto nella banda delle onde radio, che risentono meno dell’estinzione (si
veda ad esempio la Nebulosa del Granchio nelle figure 1.10 e 1.11). Si crede
9
Questo processo si svolge su scale temporali molto lunghe: è stato calcolato che 10M
di materiale con una velocità media di 5000km/s impiegherebbero 103 anni per spazzare
una pari massa di materiale interstellare [5].
10
Cfr. §1.3.1.
11
Gli SNR sono classificati come Plerioni se la stella genitrice diventa una pulsar, oppure
shell-type se gli strati esterni formano un alone approssimativamente sferico.
26
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
che i residui di supernova siano degli ottimi acceleratori di raggi cosmici in
quanto una parte dell’energia cinetica del gas in espansione potrebbe essere
spesa per accelerare particelle atomiche e subatomiche, dal momento che
possiedono campi magnetici più intensi del mezzo interstellare circostante.
Figura 1.10: La nebulosa del Granchio, ripresa dall’Hubble Space Telescope,
dista 6500 anni luce. Le sue emissioni fino ai raggi X (polarizzate e non
termiche) sono causate dalla radiazione di sincrotrone.
Pulsar
Una pulsar è una stella di neutroni in rapida rotazione con periodi che vanno
da pochi millisecondi fino a qualche decina di secondi e dotate di un forte
campo magnetico il cui asse non coincide con l’asse di rotazione (altrimenti
non si osserverebbe l’emissione pulsata di onde radio e raggi X da cui prende
il nome questo tipo di stella). Il campo elettrico in prossimità della superficie
V
può raggiungere i 1012 cm
e variando cosı̀ rapidamente è in grado di accelerare
a energie ultrarelativistiche le particelle cariche portando alla creazione di
cascate e+ e− e di un fascio di radiazione molto esteso. Sebbene a energie
del TeV non si sia ancora osservata emissione pulsata, radiazione VHE non
pulsata è stata osservata da tre plerioni (Nebulosa del Granchio, Vela, PSR
1706-44) ed è spiegabile mediante il processo SSC.
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
27
Figura 1.11: Il resto di supernova Nebulosa del Granchio osservato a diverse
frequenze. La mappa nei raggi X si riferisce alla zona centrale ed è legata
all’attività della pulsar.
Nuclei galattici attivi
Come nucleo galattico attivo (AGN) si intende una regione molto compatta
e luminosa su tutto lo spettro elettromagnetico situata al centro di una
galassia (vedi schema in figura 1.12). Gli AGN sono anche caratterizzati da
ampie variazioni di luminosità su scale temporali che vanno dalle poche ore
a diversi anni. Oggetti celesti come quasar, blazar, radiogalassie e galassie
di Seyfert sono stati scoperti come oggetti differenti ma successivamente è
stato ipotizzato un modello unificato che li classifica tutti come AGN. Nel
centro si trova un buco nero supermassivo (106 ÷ 109 M ) circondato da
un sottile strato di plasma (il disco di accrescimento) che emette radiazione
termica piccata nei raggi X e da una nube in rapido movimento che produce
radiazione ottica e UV. Un toroide di gas e polvere può oscurare lungo
alcune linee di vista l’emissione delle nubi in modo che solamente le linee di
emissione più strette, prodotte dalle nubi più lente esterne al toroide siano
visibili. Alcuni nuclei galattici presentano un getto di materia collimato
ortogonale al disco di accrescimento. A seconda dell’angolo tra il getto e
l’osservatore gli AGN manifestano caratteristiche molto differenti, da cui
l’originale interpretazione come oggetti diversi di AGN semplicemente visti
da angolazioni diverse.
28
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Figura 1.12: Rappresentazione schematica di un nucleo galattico attivo.
Figura 1.13: Oggetti apparentemente molto diversi sono riconducibili al
modello unificato dei nuclei galattici attivi.
1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ
29
Figura 1.14: La galassia M87 nella costellazione della Vergine, ripresa dall’Hubble Space Telescope, dista ∼ 52 · 106 anni luce e contiene uno dei nuclei
galattici attivi più vicini alla Terra, classificato come radiogalassia. Il getto
è molto ben visibile e si estende per più di 5000 anni luce.
30
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Gamma Ray Burst
I Gamma Ray Bursts o GBR (lampi gamma) sono fenomeni non infrequenti e tuttavia alquanto misteriosi. Si manifestano come lampi di fotoni γ
molto intensi con energie comprese tra 100KeV e 1M eV (in taluni casi anche 1GeV ) e di breve durata. La prima osservazione risale al 1967 quando
un satellite militare americano registrò un’emissione non proveniente dalla Terra. L’esperimento BATSE [25] permise di escluderne la provenienza
galattica e da ciclo stellare, avendo osservato per i GBR una distribuzione
isotropa. La conferma dell’origine cosmica dei GBR fu data dal satellite
italo-olandese BeppoSAX [26], che captò in corrispondenza dei lampi un afterglow. L’afterglow è un’emissione in frequenze diverse da quelle tipiche,
ad esempio nei raggi X, nel visibile o nelle onde radio. Proprio da misure
di redshift 12 nell’afterglow con frequenze nel visibile si è capita l’origine cosmica dei GBR. Sempre l’afterglow ha permesso di migliorare la risoluzione
angolare e quindi le misure sulla direzione di provenienza.
E’ chiaro quindi che sono coinvolti fenomeni in grado di liberare grandi
quantità di energia in piccoli volumi e in brevi intervalli di tempo. Il modello finora più accreditato è quello della fireball, che prevede un espansione
di particelle relativistiche nel mezzo circostante. Alcuni modelli di fireball
prevedono emissioni γ a energie comprese tra i T eV e i GeV e osservazioni
in questo range aiuterebbero a capire meglio i meccanismi di produzione dei
lampi γ.
1.4
La mappa delle sorgenti γ
Le prime informazioni sui raggi γ vennero fornite dal Second Small Astronomy Satellite (SAS-II). Le sue osservazioni mostrarono una forte correlazione
tra gli eccessi di eventi rivelati alle basse latitudini galattiche e la struttura
della Galassia stessa; inoltre rivelò emissione γ da tre pulsar (Pulsar del
Granchio, Vela e Geminga). Successivamente il satellite COS-B, operativo
dal 1975 al 1982, produsse la prima mappa delle sorgenti alla scala dei GeV
che includeva anche la prima sorgente extragalattica (AGN 3C273) [6].
Il catalogo di sorgenti al GeV più completo venne stilato grazie al rivelatore
EGRET montato sul Compton Gamma Ray Observatory, che ha terminato
la propria missione nel 2000. Esso contiene 80 sorgenti nel piano galattico,
di cui 5 pulsar, un brillamento solare e 74 sorgenti non identificate; le sorgenti al di fuori del piano galattico includono una radio galassia (Cen A),
una galassia ordinaria (la Grande Nube di Magellano), 27 possibili nuclei
galattici attivi, 66 possibili blazar e 96 sorgenti non identificate. A causa
dei flussi molto ridotti, per molto tempo non si è riusciti a indicare con
precisione le sorgenti dei fotoni VHE; soltanto nel 1989, la collaborazione di
12
E’ stato misurato il redshift di 20 GBR, per 18 dei quali è z ≥ 0.5.
1.5. RIVELAZIONE DI RAGGI γ
31
Whipple comunicò la scoperta della prima sorgente nota di radiazione VHE:
la Nebulosa del Granchio.
L’apparato dell’HESS 13 (High Energy Stereoscopic System) permise, negli
anni successivi, di scrutare a fondo la zona centrale della nostra galassia (a latitudini galattiche comprese tra −2◦ , 2◦ e longitudini comprese tra
−30◦ , 30◦ ) e di scoprire altre 14 sorgenti VHE, alcune delle quali sono state
associate a residui di supernova o pulsar già identificati nel range dei raggi
X o delle onde radio. Tre di queste sorgenti sono compatibili con oggetti
non identificati del catalogo EGRET.
Figura 1.15: Le sorgenti VHE ad oggi conosciute.
1.5
Rivelazione di raggi γ
Questo lavoro di tesi ha riguardato l’astronomia γ sperimentale: un maggior
peso viene dato alla rivelazione della radiazione elettromagnetica piuttosto
che della componente carica.
Durante il viaggio dalla sorgente all’osservatore, i raggi γ possono interagire
con la radiazione cosmica di fondo14 . Per una corretta stima dello spettro
alla sorgente è necessario tener conto anche dell’assorbimento medio dei
fotoni nel mezzo interstellare. La sezione d’urto per questo assorbimento
13
L’HESS è situato in Namibia, nei pressi del Monte Gamsberg.
L’interazione con il mezzo interstellare (ρ ∼ 1 atomo cm−3 ) e con il mezzo intergalattico (ρ ∼ 10−5 atomi cm−3 ) è trascurabile. Considerando una distanza interstellare tipica
di 104 anni luce o una distanza intergalattica di 108 anni luce, la quantità di materia
incontrata corrisponde a meno di una lunghezza di radiazione.
14
32
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
presenta un massimo quando
Eγ hν(1 − cosθ) ∼ 2(me c2 )2
dove Eγ è l’energia del fotone γ, hν è l’energia del fotone di fondo e θ è
l’angolo tra i due. L’assorbimento comincia a farsi importante per γ con
energie dell’ordine del P eV .
I fotoni che sopravvivono, possono essere rivelati con tecniche diverse a
seconda della loro energia.
1.5.1
Rivelatori su satellite
Nella regione del GeV le osservazioni necessitano di apparecchiature collocate al di fuori dell’atmosfera, a causa dell’opacità che essa presenta nei
confronti delle energie in gioco15 . Inoltre non è possibile utilizzare espedienti simili all’ottica dei normali telescopi per migliorare l’area di raccolta
dei fotoni, poiché i raggi γ non possono subire riflessione (la loro lunghezza
d’onda è circa tre ordini di grandezza inferiore alle tipiche distanze cui gli
atomi si dispongono in un solido). Le tecniche di rivelazione dovranno quindi
basarsi sui principali processi d’interazione dei fotoni γ con la materia nella
regione energetica di interesse, cioè l’effetto fotoelettrico (E ≤ 0.3M eV ),
l’effetto Compton (0.3M eV < E < 30M eV ) e la produzione di coppie e+ e−
(E ≥ 30M eV )16 .
Se si considera il range HE il processo dominante sarà dunque la produzione
di coppie.
Un telescopio convertitore su satellite è costituito tipicamente da tre componenti fondamentali: un tracciatore, un calorimetro e un’anticoincidenza.
Il fotone in ingresso interagisce con uno degli strati di conversione ad alto Z
e dalle tracce dell’elettrone e del positrone è possibile ricostruire la direzione
di arrivo (con risoluzioni ≤ 1◦ ). Nel calorimetro si sviluppa una cascata elettromagnetica che permette di risalire all’energia del fotone primario, mentre
l’anticoincidenza permette di identificare e rigettare il fondo generato da
raggi cosmici carichi. L’area efficace del rivelatore dipende dall’efficienza di
rivelazione ed è funzione dell’energia:
Aef f (E) =
N
Φ(E)T
dove N è il numero di eventi registrati e Φ(E) è il flusso di fotoni di energia
E in un tempo T .
1.5.2
Rivelatori al suolo
Oltre il centinaio di GeV , la sensitività (capacità di distinguere tra eventi
generati da diverse specie) degli apparati su satellite cala drasticamente a
15
16
A livello del mare, lo spessore dell’atmosfera equivale a 28 lunghezze di radiazione.
Per una descrizione approfondita di questi processi si rimanda al §2.1.
1.5. RIVELAZIONE DI RAGGI γ
33
causa della rapida diminuzione del flusso γ con l’energia e dall’incapacità
di effettuare corrette misure calorimetriche; osservazioni dirette diventano,
quindi, impossibili.
La sola via possibile è quella delle osservazioni indirette, caratterizzate dall’osservazione dei prodotti dell’interazione γ primario-atmosfera. Le tipologie più diffuse sono: gli array di rivelatori a copertura totale (es. ARGOYBJ 17 , MILAGRO [38]) o a campionamento (AUGER [36]) che rilevano la
componente carica delle cascate in atmosfera, i telescopi Čerenkov (WHIPPLE [39], HESS [40])che osservano la luce Čerenkov che le particelle cariche
in moto superluminale emettono nell’atmosfera, e i rivelatori a fluorescenza
che rivelano la luce di fluorescenza emessa isotropicamente dalla cascata.
A conclusione di questo capitolo, viene proposta una rapida carrellata
dei diversi tipi di rivelatori utilizzati al suolo.
Imaging Atmospheric Čerenkov Telescopes (IACT)
Un telescopio Čerenkov è costituito da uno o più specchi sferici o parabolici
che focalizzano la luce Čerenkov su una camera di fotomoltiplicatori situata sul piano focale (vedi figure 1.16 e 1.17). Siccome il segnale è molto
tenue, gli IACT possono lavorare solo nelle notti buie e senza luna con un
duty cycle 18 basso (< 20%); in aggiunta il campo di vista è molto piccolo
(2◦ ÷ 4◦ ). Nonostante ciò, a partire dagli anni ’80, questi strumenti vengono utilizzati regolarmente nell’astronomia γ dal suolo, poiché M. Hillas
sviluppò un metodo molto efficace per discriminare gli sciami atmosferici
originati da adroni, metodo che permise alla collaborazione di Whipple 19 di
identificare la Nebulosa del Granchio come sorgente di radiazione nel range
del T eV e misurarne lo spettro. Altre caratteristiche che giustificano l’utilizzo degli IACT sono la bassa energia di soglia (≤ 60GeV ) e la risoluzione
energetica che, dal 30 ÷ 40% del singolo telescopio, scende fino al 10% per
telescopi usati in coincidenza. Inoltre gli array di IACT sono in grado di
individuare la fonte con maggior precisione mediante misure stereoscopiche:
di un’immagine raccolta da un singolo telescopio si può dedurre che il punto
di origine dello sciame giace lungo una retta passante per un punto qualsiasi dell’immagine fornita dai fotomoltiplicatori, mentre se si utilizzano più
telescopi, essi mostreranno l’immagine ripresa da angolazioni differenti e la
sorgente potrà essere localizzata dall’intersezione delle diverse rette.
17
Una descrizione dettagliata dell’esperimento ARGO-YBJ verrà presentata nel
capitolo 3.
18
Il duty cycle è il rapporto tra il tempo in cui lo strumento raccoglie dati e il tempo
totale che la sorgente trascorre nel campo di vista dello strumento stesso.
19
Fred Lawrence Whipple Observatory, Tucson, Arizona, U.S.A.
34
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Figura 1.16: Telescopio del Fred Lawrence Whipple Observatory. Sono ben
visibili lo specchio composito e la camera di fotomoltiplicatori.
Figura 1.17: Schema di un array di telescopi Čerenkov.
1.5. RIVELAZIONE DI RAGGI γ
35
EAS arrays
Come EAS array si intende un insieme di unità di rivelazione (in genere
scintillatori) dislocati su superfici molto estese.
L’estensione della superficie, la quota, e le caratteristiche del rivelatore determinano il range di energia coperto dall’esperimento. Le energie di soglia
vanno dalle decine di T eV per array a campionamento situati a livello del
mare fino a qualche T eV per gli array in alta quota o anche meno per gli
esperimenti a copertura totale. Gli array di rivelatori sono essenzialmente di
due tipi: a campionamento e a copertura totale. Le tecniche di rivelazione
oggi utilizzate negli array a copertura totale sono diverse: RPC 20 (Resistive
Plate Counters) oppure array di fototubi immersi in acqua per rivelare le
particelle dell’EAS mediante la luce Čerenkov (MILAGRO [38]). La copertura totale comporta superfici attive molto più grandi e continue, quindi
soglie in energia più basse. La direzione di provenienza viene determinata
dai tempi di volo delle singole particelle cariche. La risoluzione angolare
è meno precisa rispetto a quella tipica degli IACT, ma con tre vantaggi
notevoli: un campo di vista estremamente ampio, misure continue anche
di giorno con qualsiasi condizione meteo e un duty cycle che, in linea di
principio, può arrivare al 100% (tipicamente ≥ 90%). Ciò implica che un
array può scrutare il cielo continuamente e può studiare sorgenti estese o
transitorie e identificarne di nuove.
Nel sito di Yang Ba Jing (Tibet, Cina) sono presenti le due tipologie di
esperimento: ARGO-YBJ e Tibet AS-γ. Una coppia di immagini del sito
in questione e dei laboratori è mostrata nelle figure 1.18 e 1.19.
20
Per una descrizione accurata delle RPC si veda il capitolo 3.
36
CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA
Figura 1.18: Una vista dall’alto dell’esperimento Tibet AS-γ, che mostra le
unità di rivelazione dislocate su una superficie, tutto sommato, limitata. In
secondo piano si può notare il capannone che ospita l’esperimento a copertura totale ARGO-YBJ, che occupa un’area decisamente inferiore ma presenta
un’area attiva pari al ∼ 93%.
Figura 1.19: Il tappeto di resistive plate counters di ARGO-YBJ.
Capitolo 2
Extensive Air Shower
Come già detto, i raggi cosmici sono particelle di origine extraterrestre, in
genere fotoni, protoni, particelle alfa, o nuclei più pesanti. Questo tipo di radiazione interagisce con i nuclei dei gas che compongono la nostra atmosfera
generando (in base all’energia e al tipo di primario) una cascata di particelle
secondarie che possono giungere fino al suolo propagandosi in atmosfera o
creare particelle a loro volta, attraverso diversi meccanismi. Ciascuna di
esse porta con sè una frazione di energia della particella genitrice. Quando
l’energia scende al di sotto della soglia per la produzione, si ferma la generazione e la cascata verrà riassorbita. Con il termine Extensive Air Shower
(EAS ) è comunemente indicato il processo di cascata. Lo sviluppo dell’EAS
presenterà, dunque, un massimo situato ad una quota che dipende dalla
posizione della prima interazione, dall’energia e dal tipo di primario.
In questo capitolo verranno descritti brevemente i processi che portano
alla formazione della cascata. L’osservazione e la misura delle particelle ad
una definita quota di osservazione costituiscono una misura indiretta della
radiazione primaria.
2.1
Meccanismi di formazione e di assorbimento
La perdita di energia nell’attraversamento dell’atmosfera e parallelamente la
generazione di particelle secondarie sono la base del processo di formazione
dello sciame. Il tipo di fenomeno che si verifica dipende dal tipo di particella,
dalla sua energia e dal materiale in cui interagisce.
I fotoni di alta energia perdono energia nella materia essenzialmente in
tre modi: per effetto fotoelettrico, per effetto Compton e per produzione
di coppie elettrone-positrone. Le particelle cariche, invece, perdono energia
per ionizzazione e bremsstrahlung (radiazione di frenamento); inoltre adroni
altamente energetici, interagendo con i nuclei (costituiti anch’essi da adroni),
possono dar luogo all’adronizzazione, ossia alla produzione di adroni leggeri
quali pioni e kaoni.
37
38
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
Figura 2.1: Rappresentazione schematica di un EAS.
La figura 2.1 mostra schematicamente la formazione di un EAS in atmosfera, cioè la generazione di una cascata di particelle in grado di arrivare
al suolo.
Di seguito viene esposto un breve elenco dei processi fisici relativi alla
componente carica e fotonica dello sciame.
2.1.1
Processi a carico della componente fotonica (γ)
La radiazione puramente elettromagnetica interagisce con la materia essenzialmente in tre modi (a seconda del range di energia): l’effetto fotoelettrico,
l’effetto Compton e la produzione di coppie elettrone positrone.
L’effetto fotoelettrico
L’effetto fotoelettrico è un fenomeno di assorbimento di un fotone da parte
di un elettrone. Per la conservazione dell’impulso, si può verficare solamente
in presenza di un terzo interagente (il nucleo atomico, nel caso di elettroni
legati). Se l’energia del fotone è maggiore dell’energia di legame dell’elettrone, questo viene estratto con energia cinetica pari alla differenza tra le
due:
Te− = hν − W
La sezione d’urto per assorbimento di un fotone di energia Eγ = hν da parte
di un elettrone è data dall’approssimazione non relativistica di Born:
σph =
me c2
hν
!7
2
α4 Z 5 σTe h
2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO
39
dove σT h è la sezione d’urto di Thomson per scattering elastico di fotoni su
elettroni. Nel caso in cui l’effetto fotoelettrico avvenga per un elettrone di
un orbitale interno, possono verficarsi effetti secondari: un elettrone delle
shell superiori scende a colmare la lacuna emettendo sotto forma di raggi
X la differenza di energia tra i due orbitali; questo fotone, a sua volta, può
dar luogo all’effetto fotoelettrico. Il processo in questione prende il nome di
effetto Auger. I fotoelettroni si distinguono dagli elettroni Auger in quanto
gli ultimi si manifestano con energie molto minori.
Figura 2.2: Rappresentazione schematica dell’effetto fotoelettrico.
L’effetto Compton
L’effetto Compton, al contrario dell’effetto fotoelettrico, consiste nello scattering tra fotoni ed elettroni liberi. Se l’energia del γ è molto più grande
dell’energia di legame di un elettrone atomico, questo può essere considerato
libero e subire effetto Compton.
La sezione d’urto per effetto Compton è data dalla formula di KleinNishina:
σC = 2πre
1+γ
γ2
3+γ
1 + 2γ
ln(1 + 2γ) ln(1 + 2γ)
1 + 3γ
−
+
−
γ
2γ
(1 + 2γ)2
con γ = hν/me c2 e re raggio classico dell’elettrone.
Imponendo la conservazione del quadrimpulso, si ricava l’energia del fotone
diffuso:
Eγ
Eγ0 =
1 + γ(1 − cosθ)
La produzione di coppie
Se l’energia di un fotone supera di almeno due volte la massa a riposo dell’elettrone (me = 0.51M eV ), il fotone può creare una coppia elettronepositrone:
Eγ ≥ 2me c2
Il processo deve verificarsi in prossimità di un nucleo che fornisca un fotone
virtuale per rispettare la conservazione dell’impulso.
A basse energie, i fotoni per produrre coppie devono avvicinarsi al nucleo e
40
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
Figura 2.3: Rappresentazione schematica dell’effetto Compton.
Figura 2.4: Andamento della sezione d’urto per assorbimento di fotoni nella
materia. Alle basse energie si distingue la struttura a picchi tipica dell’effetto
fotoelettrico dovuta all’entrata in gioco di orbitali successivi. Alle medie
energie si osserva una piccola zona in cui domina l’effetto Compton; questa
zona è tanto più piccola quanto maggiore è il numero atomico del materiale
in cui avviene l’assorbimento dei fotoni. Infine, alle alte energie, l’unico
processo che si verifica è la produzione di coppie.
2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO
41
quindi ne vedono la carica “nuda”, invece i fotoni più energetici che interagiscono a distanze maggiori vedono la carica elettrica del nucleo parzialmente
schermata da quella degli elettroni. Alle alte energie la produzione di coppie
diventa il processo dominante per l’assorbimento dei fotoni da parte di un
materiale e l’andamento della sezione d’urto tende a diventare indipendente
dall’energia del fotone:
7 A
1
·
9 NA X0
dove si vede che permane la dipendenza dal materiale, contenuta nel
numero di massa e nella lunghezza di radiazione X0 .
La partizione dell’energia tra elettrone e positrone è simmetrica alle
basse e medie energie, mentre col crescere dell’energia diventa fortemente
asimmetrica.
σpair ∼
Figura 2.5: Rappresentazione schematica della produzione di coppie e+ e− .
2.1.2
Processi tipici per la componente carica (h)
Le particelle cariche e massive cedono energia al materiale che attraversano
in diversi modi, a seconda dell’energia e del materiale stesso.
Eccitazione e ionizzazione
Una particella carica che si muove in un mezzo cede parte della propria
energia agli elettroni legati degli atomi, portandoli ad uno stato eccitato.
L’atomo torna, successivamente, al suo stato fondamentale emettendo un
fotone di bassa energia:
q ± + atomo → atomo∗ + q ± → atomo + γ + q ±
Se la cessione di energia supera l’energia di legame dell’elettrone ha luogo
la ionizzazione. L’energia massima che una particella può cedere dipende
dalla sua massa e dal suo impulso; una particella relativistica di massa a
riposo m0 può cedere ad un elettrone atomico sotto forma di energia cinetica:
Emax =
2
Etot
Etot + m20 c2 /2me
42
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
La perdita di energia nello spessore di materiale segue la legge di BetheBloch:
"
2me c2 γ 2 β 2
dE
Z 1
δ
ln
−
= 4πNA re2 me c2 z 2
− β2 −
2
dx
Aβ
I
2
#
dove I è la costante di ionizzazione che dipende dal materiale (I ∼ 16·Z 0.9 ) e
δ è un parametro indice di quanto il campo elettrico della particella incidente
sia schermato dalla densità di carica dovuta agli elettroni atomici.
Figura 2.6: Le curve di Bethe-Bloch relative a materiali diversi. Il minimo
prende il nome di minimo di ionizzazione e rappresenta l’energia alla quale
la perdita di energia è minima.
La radiazione di frenamento
Particelle cariche veloci, perdono energia oltre che per ionizzazione anche
per bremsstrahlung o radiazione di frenamento. La particella, passando in
prossimità di un nucleo può deviare la propria traiettoria subendo una decelerazione. L’energia cinetica persa viene emessa sotto forma di fotone.
La perdita di energia per un elettrone è:
−
dE
Z2
183
= 4αNA re2 · E · ln 1
dx
A
Z3
dove E e re sono rispettivamente l’energia e il raggio classico dell’elettrone.
Questo processo è molto importante per particelle di piccola massa (come gli
elettroni) ed è quasi trascurabile per particelle più massive (come i protoni).
2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO
43
Raggruppando tutte le costanti e i parametri dipendenti dal materiale,
può essere semplificata:
dE
E
−
=
dx
X0
dove X0 è la lunghezza di radiazione ed è una grandezza che caratterizza il
materiale 1 .
Figura 2.7: Rappresentazione schematica della bremsstrahlung.
La produzione diretta di coppie
Un ulteriore meccanismo di perdita energetica cui sono soggette particelle
cariche di alta energia è la produzione diretta di coppie e+ /e− e µ+ /µ− .
Le coppie vengono prodotte dai fotoni virtuali scambiati tra il nucleo e la
particella interagente. La perdita energetica dipende da un parametro che
è funzione del materiale e dell’energia della particella:
−
dE
= bpair (Z, A, E) · E
dx
Lo spettro energetico dei leptoni da produzione diretta è più ripido di quello dei leptoni da produzione di coppie tradizionale che, dunque, domina i
processi con grandi trasferimenti di energia.
L’emissione di luce nello sciame - Čerenkov e Fluorescenza
Una particella che si muove in un dielettrico con indice di rifrazione n con
velocità v maggiore della velocità della luce in quel mezzo produce una
luminescenza detta luce Čerenkov. La particella sposta i baricentri delle
1
Cfr. §1.3.2.
44
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
cariche positive e negative degli atomi prossimi, creando dei dipoli elettrici
i quali, terminata la perturbazione, si rilassano emettendo un fotone.
Se la velocità della particella non supera quella della luce nel mezzo,
l’orientazione dei dipoli in prossimità della particella è simmetrica, cosicché
non viene rivelata nessuna radiazione a grande distanza. Al contrario, se la
particella è superluminale, il dielettrico si polarizza lungo la sua traiettoria;
se la particella si muove più velocemente delle onde elettromagnetiche che
genera al suo passaggio, si crea un fronte d’onda di angolo:
cosθ =
1
nβ
con β = v/c. La soglia per l’emissione di luce Čerenkov è:
β ≥ βthr =
1
n
La maggior parte delle particelle generate in uno sciame sono relativistiche quindi è possibile osservare la luce Čerenkov che emettono2 .
É da notare che la soglia energetica per emissione Čerenkov degli elettroni
è minore dell’energia critica, il che implica che anche in fase di riassorbimento
di uno sciame (s > 1) si continua a osservare luce Čerenkov.
Un’altra fonte di luce osservabile durante la propagazione di EAS particolarmente energetici è la luce di fluorescenza. Essa è emessa isotropicamente dalle molecole atmosferiche (perloppiù di azoto) eccitate al passaggio
delle particelle cariche. I fotoni di fluorescenza sono tipicamente emessi
dopo 10 ÷ 50 ns dall’eccitazione. L’energia totale ceduta in luce di fluorescenza consiste in meno dell’1% della perdita energetica totale quindi
è ben osservabile per sciami originati da primari con energie a partire da
1017 eV .
Figura 2.8: Rappresentazione schematica dell’effetto Čerenkov.
2
Cfr. §1.5.2.
2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO
45
Ricapitolando, un EAS è l’insieme delle diverse componenti (carica e
neutra) che si generano dall’interazione in atmosfera e dalla loro stessa
propagazione fino al suolo.
Dal punto di vista osservativo, uno sciame è caratterizzato da:
• un size Ne , cioè il numero di e± che lo compongono ad un dato istante;
• un asse, identificato dal prolungamento della direzione del primario
dopo la prima interazione;
• un core, coincidente con la regione in prossimità dell’asse dove la
densità di particelle è più elevata;
• una distribuzione laterale, ossia la densità di particelle in funzione
della distanza dal core misurata su un piano perpendicolare all’asse;
• un profilo longitudinale, costituito dal size Ne (h) in funzione della
quota;
• un’età s che indica lo stadio di sviluppo dell’EAS. In corrispondenza
del size massimo s = 1; prima del massimo s < 1; dopo s > 1.
Figura 2.9: Profilo longitudinale per EAS da fotone a diverse energie. Sono
indicate le quote di alcuni esperimenti. La locazione degli esperimenti in alta
quota ha lo scopo di portare i rivelatori in prossimità del massimo sviluppo
degli sciami e la copertura totale consente di abbassare l’energia minima
degli shower rivelabili.
I processi sopra esposti sono responsabili dell’aumento del numero di
particelle secondarie con il procedere della cascata fino ad una profondità
46
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
massima, superata la quale il size diminuisce nuovamente. Il numero di particelle presenti in funzione della quota (il profilo longitudinale dello sciame)
presenta un massimo che dipende da energia e tipo di primario. La figura 2.9 da un’idea di come cambia il profilo con la profondità atmosferica e
individua la quota del massimo (s = 1).
Nelle sezioni successive verranno descritte le differenze sistematiche tra
gli EAS generati da primari diversi.
2.2
EAS indotto da fotone
Un fotone interagisce con la materia essenzialmente per effetto fotoelettrico,
effetto Compton e produzione di coppie. Quest’ultimo meccanismo domina in aria a partire da qualche decina di MeV di energia. L’elettrone e il
positrone generati perdono parte delle loro energie per radiazione di frenamento (bremsstrahlung) creando fotoni in grado, a loro volta, di creare altre
coppie. Quando l’energia media per particella scende al di sotto di un’energia critica (che in aria vale circa Ec ' 80M eV ), la bremsstrahlung cede
posto alla ionizzazione e la produzione di coppie perde il proprio dominio a
favore dell’assorbimento dei fotoni via effetto Compton ed effetto fotoelettrico. Lo shower viene riassorbito dopo aver raggiunto un’estensione massima
in corrispondenza di < E >= Ec , ossia quando l’energia media di ciascuna
particella tocca il valore critico.
Le caratteristiche fondamentali di uno sciame elettromagnetico possono
essere descritte da un modello molto semplice (vedi figura 2.10). Alle alte
energie la lunghezza di radiazione X0 per bremsstrahlung e per produzione
di coppie sono pressoché uguali, inoltre si può assumere in prima approssimazione che l’energia ad ogni passo sia equipartita tra le particelle della
generazione successiva. Alla profondità t (in termini di X0 ) dalla prima
interazione, il numero di particelle sarà:
N (t) = 2t
ciascuna di energia
E(t) =
E0
2t
Il processo moltiplicativo continua finché non viene raggiunta l’energia critica, che può essere scritta
E0
Ec = tmax
2
dopo la quale incomincia il riassorbimento dello sciame. Il parametro che
misura lo stadio evolutivo dell’EAS è l’età (s); l’età vale s = 0 all’istante
della prima interazione, vale s = 1 in corrispondenza del massimo e oltre si
ha s > 1.
2.2. EAS INDOTTO DA FOTONE
47
Il numero di particelle in funzione della profondità varia approssimativamente come
1
∂lnNe
' (s − 1 − 3lns)
∂t
2
e il size dello sciame, cioè il numero di particelle ad una data profondità,
può essere calcolato dalla formula di Greisen:
Ne (E0 , t) =
0.31
1
2
3
· et(1− 2 lns)
β0
3t
0
con β0 = ln E
Ec e s = t+2β0 . Le quantità sopra citate descrivono lo sviluppo
longitudinale dello sciame ma le particelle secondarie subiscono una diffusione laterale poiché acquisiscono momento trasverso a causa dello scattering
multiplo nell’aria. La distribuzione è simmetrica rispetto all’asse dell’EAS e
può essere parametrizzata dalla formula NKG (Nishimura-Kamata-Greisen)
che esprime la densità di particelle in funzione della distanza dall’asse misurata su un piano perpendicolare all’asse stesso:
N2
Γ(4.5 − s)
ρ(Ne , r) = e ·
·
RM 2πΓ(s)Γ(4.5 − 2s)
r
RM
s−2 r
+1
RM
s−4.5
dove RM è il raggio di Molière3 e Γ è la funzione Γ di Euler.
Si evince che un EAS originato da un fotone sarà composto essenzialmente da e± e γ. Bisogna però considerare le produzioni dirette di coppie
µ+ /µ− e le interazioni fotonucleari, tutti processi a bassissima sezione d’urto
che creano una piccola componente muonica anche negli EAS da fotone.
3
Il raggio di Molière è il raggio del cilindro ideale che contiene il 90% dell’energia dello
s
sciame: RM = XE0 E
, Es energia caratteristica per scattering multiplo.
0
48
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
Figura 2.10: Rappresentazione schematica di uno sciame iniziato da un
fotone.
2.3
EAS indotto da adrone (h)
Una particella carica entrante in atmosfera interagisce con i nuclei dell’aria
in base ad un libero cammino medio, il quale dipende dalla particella, dalla
sua energia e dal mezzo. Il punto dove avviene la prima interazione dipende
dalla sezione d’urto del primario con l’aria. Misure precise di sezione d’urto
protone-aria sono state condotte con diversi tipi di apparati sciame e sono
riassunte in figura 2.11. Si osservi che gli esperimenti sui raggi cosmici sono
il solo mezzo per eseguire misure di sezione d’urto a energie più elevate di
quelle raggiungibili negli acceleratori. In particolare, la regione energetica
che si vorrebbe esplorare con maggior dettaglio è quella in cui i vari modelli
di interazione adronica iniziano a fornire previsioni diverse fra loro, e solo
da misure via via più precise a tali energie si possono discriminare i vari
modelli.
Dall’interazione di protoni su nuclei vengono prodotti principalmente
pioni e, se l’energia iniziale è sufficiente, anche kaoni o barioni. I prodotti
acquisiscono un momento trasverso pt e la loro direzione si discosta da quella
del primario incidente e possono interagire a loro volta oppure decadere. Il
processo dominante è il decadimento se il libero cammino medio ad esso
associato (considerando anche gli effetti relativistici) è più lungo rispetto a
quello per interazione. I principale canali di decadimento che si presentano
sono:
π ± → µ± + νµ
(BR = 99.99%)
2.3. EAS INDOTTO DA ADRONE (H)
49
Figura 2.11: Sezione d’urto protone-aria misurata da ARGO-YBJ [2] e da
altri esperimenti. Per protoni con energie dell’ordine ' 1013 eV si ha un
valore di sezione d’urto σ ' 280mb. Le curve colorate si riferiscono alle
previsioni dei diversi modelli di interazione adronica.
K ± → µ± + νµ
(BR = 63.54%)
K ± → π± + π0
(BR = 20.68%)
K ± → π 0 + e± + νe
(BR = 5.08%)
In questo modo si genera la compenente muonica dello shower che è
altamente penetrante e arriva quasi del tutto intonsa all’observation level
sia perché interagisce poco, sia perché la dilatazione temporale (di solito i
muoni creati sono relativistici) rende improbabile il decadimento in tempi
più brevi di quelli che servono per giungere al suolo. Il numero di µ in uno
sciame è legato alla probabilità che un mesone ha di interagire piuttosto che
di decadere e, quindi, dipende dall’energia dei mesoni e dalla densità locale
dell’aria in cui viaggiano. Per energie inferiori ai 100GeV , la probabilità di
decadimento è elevata e inoltre in alta quota l’aria è rarefatta, motivi per cui
la quasi totalità dei mesoni decade. L’evoluzione della componente elettromagnetica parte dal decadimento degli adroni sopravvissuti (principalmente
pioni). In particolare il pione neutro possiede una vita media estremamente
breve (τ = 8.4 · 10−17 s) e decade:
π0 → γ + γ
π 0 → e+ + e− + γ
(BR = 98.8%)
(BR = 1.2%)
50
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
Tali elettroni e fotoni danno inizio a diverse cascate puramente elettromagnetiche. Anche gli shower iniziati da adrone sono soggetti a diffusione laterale dovuta allo scattering multiplo e al momento trasverso acquistato dai
muoni nella loro produzione. Solitamente i muoni si allontanano dall’asse
dello sciame molto più delle particelle elettromagnetiche o degli adroni, in
quanto non essendo soggetti a decadimento o interazioni percorrono distanze
decisamente maggiori.
Inoltre le deviazioni dovute al campo geomagnetico fanno sı̀ che la distribuzione azimutale sia asimmetrica.
Figura 2.12: Rappresentazione schematica di uno sciame iniziato da un
raggio cosmico.
2.4
Tecniche di simulazione
Gli extensive air shower sono fenomeni del tutto aleatori e imprevedibili e la
raccolta di statistica sufficiente per studi approfonditi è problematica. Soprattutto non è possibile studiare lo sciame a diverse quote di osservazione
in tutte le sue componenti contemporaneamente. Per poter derivare dalla
misura indiretta dell’EAS informazioni sulla componente primaria, occorre
in qualche modo analizzare la cascata e definire quali sono le migliori osservabili sperimentali. Il problema venne in parte arginato con l’invenzione
degli acceleratori di particelle grazie ai quali si può decidere quando, dove e
cosa far collidere. Gli acceleratori, però, sono in grado di raggiungere solo
energie limitate (il Large Hadron Collider del CERN è stato costruito per
raggiungere 14T eV nel centro di massa) e non danno luogo a sciami estesi.
2.4. TECNICHE DI SIMULAZIONE
2.4.1
51
Montecarlo
La soluzione migliore è la simulazione numerica degli sciami mediante l’estrazione pseudo-casuale dei loro parametri. Il metodo Montecarlo 4 è una
tecnica che viene impiegata per calcolare probabilità e quantità correlate a
partire da sequenze di numeri casuali. É importante sottolineare che non ha
senso parlare di singoli numeri casuali, ma di sequenze.
Simulazioni di questo tipo trovano applicazioni in vari campi, dall’astrofisica alla fisica biomedica alla fisica degli acceleratori; insomma, ovunque
ci sia necessità di caratterizzare un fenomeno complesso.
La procedura parte dall’estrazione di m numeri casuali da una distribuzione uniforme tra [0, 1], si definisce poi una seconda sequenza
→
−
−
x = (x1 , ..., xn ) distribuita secondo una funzione f (→
x ).
Caratteristica fondamentale della sequenza di numeri casuali è la mancanza di correlazione tra elementi successivi. Ciò non è ottenibile nella realtà
perché gli algoritmi di estrazione sono deterministici; quello che si può ottenere è una sequenza di periodo finito ma molto lungo (esistono sequenze
che contengono diversi milioni di numeri) in modo che la sequenza “sembri”
casuale.
Un esempio
Un semplice esempio di algoritmo di generazione è dato dal generatore che
Von Neumann ideò nel 1946, detto metodo middle square.
Si parte da un numero iniziale I0 di m cifre e l’algoritmo di generazione è:
In+1 = [ m cifre centrali di In2 ]
Ad esempio:
2
I0 = |5772156649
{z
} ⇒ I0 = 33317 7923805949
{z
} 09291, con m = 10
|
I0
I1
Il metodo di Von Neumann presenta dei problemi, primo fra tutti, la
brevità della sequenza per piccoli m. Negli ultimi sessant’anni sono stati
sviluppati molti algoritmi in grado di generare sequenze sempre più lunghe;
a titolo di esempio, si citano i metodi lineari congruenti, l’algoritmo RANDU,
il Minimal Standard Generator, RANMAR, RANLUX e il Marsenne-Twister
utilizzato nelle classi TRandom del framework ROOT 5 [24].
2.4.2
CORSIKA
Nell’ambito della fisica dei raggi cosmici e in particolare nello studio degli
EAS un codice molto diffuso è CORSIKA [35]. Il software CORSIKA (Cos4
Con riferimento al celebre casinò.
ROOT è un framework sviluppato e utilizzato al CERN per l’analisi e la simulazione
di fenomeni legati alla fisica delle particelle [33].
5
52
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
mic Ray Simulation for Kascade) è stato sviluppato dalla collaborazione
dell’esperimento Kaskade esclusivamente per la simulazione di extensive air
shower. Corsika è un programma scritto in Fortran che permette di eseguire
simulazioni Monte Carlo di EAS ad alta energia. Nel corrente lavoro sono
stati utilizzati i pacchetti:
• QGSJET (Quark Gluon String model with JETs) che simula l’adronizzazione secondo il modello “Quark Gluon String”. In figura 2.11 si possono osservare le sezioni d’urto previste da questo modello in funzione
dell’energia del primario.
• GHEISHA (Gamma Hadron Electron Interaction code) valido per simulare collisioni adroniche con energie dell’ordine di qualche centinaio
di GeV.
Tutti i parametri della particella primaria e dell’ambiente sono impostabili
dall’utente:
• particella, energia iniziale, zenith, azimuth, ...
• livello d’osservazione, quota della prima interazione, campo magnetico
locale, ...
CORSIKA fornisce diversi output che permettono di seguire tutto lo
sviluppo della cascata. Un’opzione permette di ottenere anche un file di
ROOT [33] contenente diversi istogrammi riportanti le distribuzioni dei
parametri caratteristici dello sciame. Questi file sono stati analizzati, durante il presente lavoro, mediante programmi scritti appositamente in C++.
In figura 2.13 si possono osservare due esempi di simulazione con CORSIKA di sciami generati in atmosfera eseguite per primari differenti (γ e p)
a 300GeV . L’elevato numero di tracce è un indicatore della complessità del
processo.
2.4. TECNICHE DI SIMULAZIONE
(a) EAS γ-in
53
(b) EAS p-in
Figura 2.13: Simulazione di EAS da fotone e da protone entrambi a 300GeV
e verticali eseguite mediante CORSIKA. Sono rappresentate in rosso la componente elettromagnetica, in blu la componente adronica e i verde la componente muonica; si noti come nello sciame γ-in la componente dominante
sia quella elettromagnetica.
54
CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER
Capitolo 3
ARGO-YBJ
L’esperimento ARGO-YBJ (Astrophysical Radiation with a Ground based
Observatory at Yang Ba Jing) è un rivelatore di EAS a copertura totale,
per studiare i raggi cosmici e la radiazione γ.
L’apparato di rivelazione ha una soglia di qualche centinaio di GeV e il range
per cui è ottimizzato si estende dai T eV fino al P eV .
L’esperimento è il primo che ha montato in alta quota (4300m s.l.m.)
un rivelatore a copertura totale. E’ situato nei pressi del villaggio di Yang
Ba Jing, in Tibet. La sua locazione (lat. 30◦ 060 3800 N, long. 90◦ 310 5000
E) consente di monitorare l’emisfero boreale nella banda di declinazione
δ ∈ [−10◦ , +70◦ ]. La combinazione di queste due peculiarità consente di
studiare gli sciami nel dettaglio1 in prossimità della regione in cui si verifica il massimo sviluppo longitudinale, consentendo di abbassare la soglia di
rivelazione. Gli obiettivi principali di ARGO-YBJ vanno dall’astronomia γ
(monitoraggio e ricerca di sorgenti extragalattiche, osservazione della radiazione diffusa dal piano galattico, studio di fenomeni transitori quali lampi
gamma [16] e brillamenti solari) allo studio dei raggi cosmici (spettro nella regione del ginocchio [10], misura del rapporto p/p nel range di energia
[0.3, 1]T eV , misure della sezione d’urto protone-aria [2]).
3.1
Il rivelatore
Il rivelatore di ARGO-YBJ (la parte attiva) consiste in uno strato di RPC
(Resistive Plate Counter) disposte secondo uno schema modulare, la cui
unità di base è il cluster che è costituito da 12 camere RPC. La carica liberata dentro un’RPC viene letta da ottanta strip di rame; gruppi di otto
strip costituiscono una pad e ogni RPC contiene dieci pad lette in maniera
indipendente (la pad rappresenta, dunque, la risoluzione spazio-temporale
dell’apparato). Il rivelatore completo è costituito da 153 cluster (vedi figu1
Un rivelatore a copertura totale riesce a raccogliere quasi il 90% delle particelle di uno
sciame, mentre un array tradizionale supera di poco l’1%.
55
56
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
ra 3.1) corrispondenti a una superficie attiva di ∼ 6700m2 , dei quali 130
sono disposti in una matrice 10 x 13 a formare un tappeto centrale mentre i restanti sono posizionati all’esterno del tappeto come anello di guardia
(guard ring) per migliorare l’individuazione degli eventi interni (quegli eventi
il cui core cade all’interno del tappeto di RPC ). Un DCS (Detector Control
System) controlla i parametri ambientali (pressione atmosferica, temperatura interna ed esterna, umidità) e i parametri di funzionamento del rivelatore
(tensione di lavoro, corrente parassita).
Figura 3.1: Le RPC sono organizzate in cluster; 153 cluster formano il
rivelatore di ARGO-YBJ per un totale di 1560 RPC. Ciascuna RPC è letta
da 10 gruppi di 8 strip di rame.
3.1.1
Resistive Plate Counter - RPC
Le RPC (vedi figura 3.2) sono rivelatori a gas sensibili alla componente
carica dello sciame. Una particella carica che l’attraversa perde energia per
ionizzazione lungo il percorso nel gas2 estraendo elettroni dagli atomi. Gli
elettroni vengono fatti derivare verso piatti resistivi (bachelite3 ) posti a una
tensione di lavoro di 7200V ; la carica raccolta viene letta per induzione dalle
strip di rame. L’efficienza di rivelazione che si ottiene è del 95% con una
risoluzione temporale di ∼ 1.5ns.
Il segnale, proporzionale alla carica totale liberata nel gas, mostra un
andamento lineare fino a circa 104 particelle/m2 che corrispondono a un’energia del primario ∼ 10P eV .
2
La miscela utilizzata nelle RPC di ARGO-YBJ è composta in proporzioni 15/10/75
da argon, isobutano e tetrafluoretano.
3
Resina fenolica ad alta resistività: ρ = 0.5 ÷ 1.0 · 1012 Ω · cm.
3.1. IL RIVELATORE
57
Figura 3.2: Il contatore contiene un volume sensibile di 125x180 cm2 spesso
2mm riempito di gas e racchiuso tra due piatti di bachelite spessi 2mm. Il
tutto è inserito tra due fogli di alluminio rivestiti a loro volta da uno strato
di schiuma e da altri fogli di alluminio. Uno strato di schiuma racchiuso
tra pareti di ferro è posizionato al di sopra dell’RPC e funge da superficie
calpestabile.
58
3.2
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
Acquisizione dati
Per aumentare la versatilità del rivelatore, le RPC di ARGO-YBJ sono collegate a due sistemi di acquisizione dati che lavorano in maniera indipentente
e corrispondono a due modalità di funzionamento.
3.2.1
Shower mode
In questa modalità vengono registrati la posizione e il tempo di arrivo di
ogni particella rivelata, per consentire la ricostruzione dei parametri dello
sciame. In shower mode la soglia per sciami γ è di 100 ÷ 200GeV .
L’informazione spazio-temporale viene gestita dalla LS (local station) a
livello di cluster dove viene contato il numero di pad colpiti (molteplicità)
in una finestra temporale di 150ns che corrisponde circa alla differenza massima tra i tempi di arrivo su superfici comparabili con quella dei cluster per
particelle appartenenti al medesimo sciame.
Ogni evento registrato viene inviato alla CS (central station) per la ricostruzione. Vengono utilizzate due logiche di trigger basate entrambe sulla
molteplicità [18] a livello LS : LMT (Low Multiplicity Trigger) e HMT (High
Multiplicity Trigger).
I segnali provenienti da pad adiacenti vengono correlati da uno schema di
coincidenze a quattro livelli con lo scopo di abbattere il rumore di fondo
dovuto a segnali spuri.
L’algoritmo di selezione degli sciami è molto semplice: vengono sommate le
molteplicità di ciascun cluster in ∼ 400ns; il trigger scatta quando il numero totale di conteggi supera la soglia programmata. La soglia è fissata a
Npad = 20 particelle localizzate nell’area centrale del tappeto, corrispondenti
a un rate di acquisizione di ∼ 4kHz e a una soglia efficace di 30 particelle.
Un’immagine di uno sciame con il core sul carpet centrale è mostrata in
figura 3.4.
3.2.2
Scaler mode
Quando il rivelatore lavora in scaler mode, la frequenza di conteggio di ciascun cluster viene misurata ogni 0.5s perdendo però tutte le informazioni
su energia e direzione d’arrivo del primario. Ogni cluster possiede quattro
canali che registrano le frequenze per Npad ≥ 1, ≥ 2, ≥ 3, ≥ 4 in una breve
finestra temporale (150ns).
Le particelle vengono conteggiate indipendentemente che appartengano a
grossi sciami o che siano solitari sopravvissuti di piccoli sciami. Se si osserva
lo spettro dei CR si capisce che la maggior parte dei conteggi proviene da
sciami generati da primari con energie dell’ordine 1 ÷ 100GeV .
L’energia di soglia in scaler mode scende a qualche GeV . Questa modalità
di lavoro viene utilizzata per studiare fenomeni transitori (gamma ray burst)
3.3. RICOSTRUZIONE DI EVENTI
59
[12] [13], la cui emissione viene osservata come un eccesso statistico di conteggi rispetto al fondo dovuto alla presenza di raggi cosmici. Un esempio
della modulazione del counting rate di un cluster è mostrata in figura 3.3.
Figura 3.3: Counting rate in funzione del tempo per tre cluster con
molteplicità Npad ≥ 1, ≥ 2, ≥ 3, ≥ 4. Si osservano le modulazioni dovute
alle variazioni di temperatura e pressione.
3.3
Ricostruzione di eventi
Il primo livello di ricostruzione consiste nell’associare a ciascun pad gli eventi
registrati, rigettando i segnali provenienti da quelli inattivi. Il secondo livello consiste nell’eliminazione del fondo, nell’individuazione del core e nella
ricostruzione della direzione d’arrivo.
La soglia al di sopra della quale un evento viene registrato come sciame è
di 20 particelle rivelate in una finestra di 2µs nell’area centrale del tappeto.
Sui segnali sopravvissuti viene eseguito un fit piano per confermare la loro
effettiva appartenenza a un EAS. A questo punto vengono ricostruiti la
posizione del core e la direzione d’arrivo.
60
3.3.1
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
Posizione del core
Il criterio statistico utilizzato per ricostruire la posizione del core è il metodo
della massima verosimiglianza.
−
−
Sia X = (→
xi , ni )i=1...N un esempio di evento, con ni e →
ri il numero di particelle e la posizione dell’i−esimo pixel, la funzione di massima verosimiglianza F (X|η, −
r→
C ) dipenderà dal size η dello sciame (il numero di particelle al
livello della rivelazione) e dalla posizione del core −
r→
C = (xC , yC ).
−
La probabilità di osservare m particelle a una distanza R = |→
r −−
r→
C | dal
core è:
µm −µ
p(m) =
e
m!
dove µ = ρ(R) è la densità locale di particelle. La relativa funzione logaritmica è tale che, richiedendo l’annullarsi del suo gradiente nella variabile η,
permette di esprimere il size in funzione delle sole variabili (xC , yC ). Dove
il size è massimo, lı̀ viene individuato il core.
Figura 3.4: Lo sciame viene registrato in base al numero di particelle cariche
che colpiscono il tappeto. La soglia è di 20 conteggi localizzati.
3.3.2
Direzione di arrivo
In prima approssimazione il fronte dello sciame può essere considerato un
disco piatto, ortogonale alla direzione di arrivo del primario (vedi figura 3.5).
Per ricostruire la direzione d’arrivo viene eseguito un fit sui tempi di
arrivo ti minimizzando la variabile χ2 :
χ2 =
X
i
ni (f − ti )2
3.3. RICOSTRUZIONE DI EVENTI
61
Figura 3.5: Fronte di uno sciame osservato a ARGO-YBJ.
somma che viene eseguita su tutti i pad colpiti, dove ni è il numero di
strip colpite sull’i−esimo pad e f è una funzione che descrive un piano. I
parametri del fit sono un offset temporale t0 e tre coseni direttori (l, m, n) e
la forma esplicita della variabile χ2 da minimizzare diventa:
2
χ =
X
i
ni
xi
yi
zi
(ti − t0 ) − l − m − n
c
c
c
2
dove t0 rappresenta l’istante di arrivo del fronte, c è la velocità della luce e
(xi , yi , zi ) sono le coordinate del pad.
La bontà della ricostruzione è determinata dall’angolo ψ tra la direzione
vera (l, m, n) e quella ricostruita (l∗ , m∗ , n∗ ):
ψ = ll∗ + mm∗ + nn∗
La procedura del fit viene iterata più volte escludendo ad ogni passo quei segnali il cui residuo4 non si accorda con la coda di una distribuzione gaussiana;
già dopo il secondo fit piano, la distribuzione di ψ si restringe.
In realtà l’approsimazione piana non è precisa, a causa dello scattering
multiplo che le particelle subiscono in aria. Ad ogni distanza dall’asse dello
sciame, la distribuzione temporale è caratterizzata da un valore medio che
rappresenta la deviazione media da un fronte piano. Questo si quantifica in
un ritardo di circa 30ns/100m.
4
Come residuo si intende il ritardo della particella rispetto al tempo di arrivo risultante
dal fit.
62
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
Figura 3.6: Il ritardo delle particelle in funzione della distanza dal core per
un tipico sciame γ-in.
Come risultato si ha un fronte non più piano ma parabolico che, per
distanze inferiori ai 50m, si può approssimare a un cono. Al fit planare
vengono quindi apportate correzioni coniche.
La funzione da minimizzare diventa:
χ2 =
X
i
ni (ti − t0 ) −
xi
yi
Ri
l− m−
α
c
c
c
2
essendo α la correzione conica (la discrepanza rispetto al piano ortogonale
alla direzione di arrivo), che può essere considerata parametro libero oppure
valutata mediante simulazioni Monte Carlo (un valore tipico è α = 0.03).
Siccome la distanza Ri dall’asse dello sciame dipende dalla direzione di arrivo, quindi dalla posizione del vertice del cono, la minimizzazione va fatta su
un sistema di equazioni non lineari; Per ottenere una soluzione analitica del
problema, ad ogni passo, Ri viene calcolata usando come direzione quella
ricavata nel passo precedente (partendo dal fit planare).
3.3. RICOSTRUZIONE DI EVENTI
63
Figura 3.7: Approssimazioni piane del profilo conico del fronte dello sciame.
3.3.3
L’ombra della luna e la risoluzione angolare
Per valutare la risoluzione angolare, si utilizza l’effetto dell’ombra lunare
sui raggi cosmici carichi. Contrariamente ad altri studi, si cercano non degli
eccessi ma dei deficit di eventi rispetto al fondo. Questo sistema è applicabile
solo a particelle cariche perché si basa sulla deflessione indotta dal campo
geomagnetico (vedi schema in figura 3.8).
il numero di eventi di fondo attesi entro un’area circolare di un 1◦ di
raggio è:
Nbkg (1◦ ) = Φp (> E) · Af id · TM · (d.c.) · ∆Ω(1◦ )
dove Φp (> E) è il flusso di protoni con energia superiore a un certo valore; Af id è l’area fiduciale dell’esperimento; TM è il tempo di osservazione
della luna; (d.c.) il duty cycle; ∆Ω(1◦ ) è la superficie angolare del cerchio
considerato (∆Ω(1◦ ) = 9.57 · 10−4 sr).
La deflessione geomagnetica si valuta partendo da un raggio cosmico
(CR) di carica Ze e massa m situato alle coordinate di ARGO-YBJ e proiettandolo verso la posizione della luna. Il campo geomagnetico piega la
traiettoria in modo tale che il CR non termina la sua corsa a ritroso alla
posizione moon ma alla posizione moon0 . Il percorso tracciato in questo
modo è lo stesso che se il CR provenisse dalla posizione moon0 verso terra.
→
− →
−0
Si definiscono due vettori X e X che puntano rispettivamente a moon e
0
→
−
moon0 . Il vettore X è la linea di vista del rivelatore verso la vera posizione
→
−
della luna (la traiettoria che seguirebbero i fotoni) e X è la linea di vista
verso una posizione apparente. L’impulso di un CR viaggiante dalla vera
→
−
luna verso terra è parallelo al vettore X quando arriva sul carpet.
64
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
Figura 3.8: I raggi cosmici vengono proiettati fuori dall’atmosfera e tracciati
tenendo conto della deflessione geomagnetica.
Figura 3.9: Significanza di ARGO-YBJ sull’ombra della luna, riguardante
eventi con angolo di zenith θ < 50◦ e Npad > 60.
3.4. IL PROBLEMA DELLA DISCRIMINAZIONE GAMMA ADRONI (γ/H) NEGLI EAS65
Figura 3.10: Risoluzione angolare in funzione della molteplicità di pad per
eventi simulati (in rosso) a confronto con dati reali (in nero).
Proiettando, quindi, la direzione del momento finale di un raggio cosmico
osservato in direzione opposta alla Terra, sembra che questo provenga dalla
posizione moon che viene identificata come posizione di provenienza.
La risoluzione angolare che caratterizza questo procedimento è data da:
∆Ω =
1.6◦ · Z
E(T eV )
La figura 3.9 mostra l’ombra della luna ottenuta cumulativamente in 3 anni
di presa dati; in figura 3.10 la risoluzione angolare sperimentale ottenuta
con i dati dell’ombra lunare in funzione dell’energia.
3.4
Il problema della discriminazione gamma adroni
(γ/h) negli EAS
Il problema principale nell’astronomia γ al suolo è la distinzione tra gli EAS
originati da fotoni primari e quelli iniziati da adroni, cioè la discriminazione
tra le due componenti dei raggi cosmici. Nel corso di oltre 60 anni di ricerca
sperimentale sono stati sviluppati diversi metodi per riconoscere gli eventi γ,
basati sulle differenze morfologiche che i diversi tipi di sciame manifestano
66
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
e su come tali differenze possano essere studiate da rivelatori che utilizzano
tecniche diverse. Ecco i principali metodi.
3.4.1
La molteplicità di µ
Come visto nel secondo capitolo i processi fisici che caratterizzano lo sviluppo
di un EAS da fotone o da adrone primario sono differenti. Il decadimento
debole dei pioni e dei kaoni prodotti dalle interazioni adroniche nell’aria
genera una popolazione di muoni assente o quasi nelle cascate puramente
elettromagnetiche. Mediamente il contenuto in µ in sciami adronici risulta
circa due ordini di grandezza superiore a quello in sciami γ di pari energia
primaria. Ne deriva che saper contare con precisione il numero di muoni in
un EAS è un potenziale mezzo per discriminare tra primari diversi almeno in
quei rivelatori, tipicamente array a campionamento e calorimetri traccianti,
che ne sono capaci.
3.4.2
La misura di χmax
Come visto l’osservazione della luce Čerenkov o di quella di fluorescenza,
permettendo la ricostruzione del profilo longitudinale della cascata, consente
una misura diretta della profondità del massimo. Questa, come dimostrato,
è un buon indicatore della carica/massa del primario. Telescopi Čerenkov
o a fluorescenza che sfruttano l’imaging, singoli o in array, sono dunque gli
apparati che meglio realizzano questo tipo di discriminazione.
3.4.3
Lo studio della regione del core
Laddove non sono possibili né il conteggio dei µ né la determinazione della profondità del massimo χmax la discriminazione può essere fatta analizzando la morfologia della distribuzione laterale nel core dello sciame. Nel
secondo capitolo ho fatto vedere come questa zona sia particolarmente sensibile proprio perché sciami da primari diversi mostrano distribuzioni laterali
differenti. ARGO-YBJ per le sue carratistiche di rivelatore in alta quota
montana a copertura continua è particolarmente adatto allo scopo. Consente infatti di osservare nel dettaglio la componente carica dello sciame e
come essa modula intorno al core. Diverse procedure sono state sviluppate
a questo fine e tra queste la Fisher Linear Discriminant Analysis - FLDA
ha dato buoni risultati. Essa ha come base la differenza tra le distribuzioni
laterali di sciami adronici e fotonici [19]. Vengono definiti cinque parametri
caratterizzanti la distribuzione laterale in prossimità dell’asse:
1. la distanza media < R > dal core ricostruito delle pad colpite;
3.4. IL PROBLEMA DELLA DISCRIMINAZIONE GAMMA ADRONI (γ/H) NEGLI EAS67
2. un parametro indice della crescita del size in aree che contengono determinate percentuali dei conteggi totali;
3. un parametro che indica come varia la concentrazione di strip colpite
nelle superfici appena definite;
4. il rapporto tra il numero di strip colpite nei 10 moduli a maggior conteggio e quelle nei 20 moduli successivi5 ;
5. il rapporto tra la distanza media < R > e la distanza media dal core
valutata sulla regione che contiene il 20% dei conteggi totali.
I parametri vengono combinati linearmente per ottenere il massimo potere
discriminante (vedi figura 3.11).
I risultati ottenuti per questo metodo sono riportati schematicamente in
tabella 3.1:
Mpad
100 ÷ 300
300 ÷ 1000
1000 ÷ 3000
3000 ÷ 6000
Qf
1.45 ± 0.03
1.68 ± 0.07
1.97 ± 0.18
1.98 ± 0.19
εγ
0.63
0.53
0.58
0.78
εp
0.81
0.90
0.91
0.84
Tabella 3.1: Fattore di qualitá Qf in funzione della molteplicitá di particelle
cariche registrate dalle pad del tappeto centrale. Sono riportate anche le
efficienze di rivelazione d egli sciami γ-in e p-in.
Oltre alla FLDA l’analisi delle caratteristiche degli sciami nel core e il
confronto con le zone adiacenti è un potenziale mezzo di discriminazione.
Questa tesi ha, dunque, indagato questa possibilità, analizzando l’attuale
configurazione sperimentale di ARGO-YBJ e una sua eventuale implementazione futura. Sono per questo state analizzate nel dettaglio le proprietà degli EAS alla quota sperimentale dell’esperimento e studiate alcune
possibili modiche del setup sperimentale.
5
Come modulo si intende un raggruppamento di tre RPC.
68
CAPITOLO 3. ARGO-YBJ
Figura 3.11: In alto, la distribuzione lineare di uno spettro simulato di sciami
γ-in (linea rossa) e di sciami p-in (linea blu). In basso, le corrispondenti
funzioni discriminanti.
Capitolo 4
Le proprietà degli EAS alla
quota di ARGO-YBJ
Il problema principale dell’astronomia VHE (dell’astronomia γ in generale)
è il riconoscimento degli EAS da fotone primario rispetto al fondo adronico.
Nel precedente capitolo sono state esposte diverse metodologie di discriminazione; in questo verrà analizzata un’idea proposta dalla collaborazione
di ARGO-YBJ basata sulla morfologia degli sciami, ovvero lo studio di
alcune caratteristiche peculiari della distribuzione laterale delle particelle
cariche1 . A questo scopo, ho quindi porovveduto a implementare una catena di simulazione atta a definire quali osservabili sperimentali, alla quota di
osservazione di ARGO-YBJ, meglio caratterizzano lo sciame esteso.
4.1
La simulazione Montecarlo
La simulazione di diverse migliaia di sciami a diverse energie ha permesso
uno studio sistematico delle proprietà degli EAS che tenesse conto anche
delle fluttuazioni statistiche. Per cominciare sono stati simulati dei campioni
da 1000 sciami da protone e 1000 da fotone con il software CORSIKA vs.
6970 alle energie:
100 GeV , 300 GeV , 1 T eV , 3 T eV , 10 T eV
.
Gli sciami sono stati simulati verticali e isotropi in azimuth in un range
di energie che coprisse la soglia stimata dell’esperimento. Il rivelatore, a
questo livello, non è stato simulato, il che equivale a considerare un’efficienza
di raccolta del 100% su tutta la superficie. Di fatto a queste energie, la
“pixellizzazione” del detector non comporta ancora effetti di saturazione e
l’efficienza di copertura (∼ 93%) è vicina alla superficie realmente occupata.
1
Si ricordi che il rivelatore di ARGO-YBJ è sensibile alle sole particelle cariche.
69
70CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
Sono state considerate diverse aree di raccolta centrate sul core degli sciami,
localizzate a 4300m s.l.m. alle coordinate sperimentali del detector. Sono
cosı̀ definite:
• ARGO Carpet (AC): ovvero l’attuale area di copertura totale corrispondente a un rettangolo di 78x74m2 (5600m2 );
• ARGO Extended (AE): ovvero l’area attualmente disponibile all’interno del capannone di ARGO-YBJ, ora parzialmente ricoperta dai 23
cluster del guard ring (area totale 5200m2 );
• ARGO Outside (AO): un’area estesa attorno al capannone di 15m per
lato, pari a 7200m2 .
Questa schematizzazione è riportata in figura 4.1 in scala rispetto alle
dimensioni attuali del rivelatore. A queste tre zone farò riferimento nel
prosieguo della discussione, intendendo che ad esse possa essere associata
una corrispondente copertura di rivelatori RPC, eventualmente schermati
da un qualche tipo di assorbitore.
Figura 4.1: Schema riassuntivo delle tre zone considerate in questa tesi: in
verde ARGO carpet, in rosso ARGO extended e in azzurro ARGO outside.
L’analisi dei dati simulati ha permesso di evidenziare differenze e analogie
tra sciami generati da primari diversi (γ, p), che sono state usate come base
per lo sviluppo di questo studio. Dunque la simulazione riproduce i processi
di generazione della cascata alla quota di osservazione sperimentale. A tale
livello osservativo, il contenuto in particelle degli sciami viene salvato per
analisi specifiche. Vediamone le proprietà.
4.1. LA SIMULAZIONE MONTECARLO
4.1.1
71
Le proprietà della distribuzione laterale
La figura 4.2 mostra le l.d.f. (lateral distribution function), cioè l’andamento
della densità di particelle in funzione della distanza dall’asse alla quota osservativa richiesta. Esse sono ottenute come media su 1000 sciami simulati
a 3T eV per primari γ e protone. A pari energia (3T eV nel caso specifico) il size Ne , ovvero il contenuto in particelle cariche e± , è circa 10 volte
più grande nella cascata puramente elettromagnetica (γ primario) di quanto
osservato nel caso adronico (protone primario).
Figura 4.2: Esempio di l.d.f. (lateral distribution function) per sciami da
fotone e da protone (E = 3T eV ) a 4300m s.l.m.. In rosso è rappresentata
la componente neutra (γ) degli sciami e in blu la componente carica. Si
nota che le densità delle componenti secondarie dello sciame scalano nella
stessa maniera con la distanza dall’asse e che la densità di particelle in uno
sciame da fotone diminuisce più rapidamente, il che significa che esso è più
collimato.
A primario definito, la componente secondaria neutra (γ) è circa 6 ÷ 8
volte più grande di quella carica (e± ); essa è però rivelabile soltanto se si
adottano rivelatori sensibili ai γ ovvero se in qualche modo i fotoni secondari
vengono convertiti in particelle cariche.
Osservando come le distribuzioni laterali modulano con la distanza, si
osserva una maggiore dispersione dei carichi e dei γ secondari a grande
distanza nel caso di adrone primario. Al contrario gli sciami puramente
elettromagnetici risultano più collimati in tutte le componenti (e± , γ) secondarie: ovvero come mostrato in figura 4.2, la l.d.f. decresce a distanze più
piccole dall’asse. La maggior collimazione è altresı̀ chiara in figura 4.3 per
un singolo evento.
Nel caso p-in, è evidente la maggior dispersione delle particelle dovuta
ai momenti trasversi ceduti agli adroni dello sciame e, parimenti, il minor
72CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
(a) γ-initiated
(b) p-initiated
Figura 4.3: Esempio di scatter plot della componente carica (e± , µ± ) di
EAS da fotone e da protone entrambi a 3T eV con livello di osservazione a
4300m s.l.m.. Si noti che lo sciame γ-in presenta una componente carica
più consistente e più concentrata rispetto allo sciame protonico.
numero di particelle cariche osservabili. Ciò, come descritto nel paragrafo
§2.3, è a causa dell’energia “mancante” associata alla componente adronica
penetrante (µ± ) e non (adroni).
Le proprietà descritte sono riassunte nelle tabelle 4.1 e 4.2. Per i due
tipi di primario, il numero di particelle secondarie osservate sul carpet (AC,
divise per tipo e mediate su 1000 sciami) è riportato in funzione dell’energia
primaria. La terza colonna rappresenta il size osservabile, ovvero il numero
di carichi raccolti dal rivelatore. Tenuto conto di un’efficienza del 93% del
tappeto AC e che la soglia di trigger del rivelatore in shower mode (vedi
capitolo 3) è 20 hit localizzati al centro, la soglia efficace in protoni primari
è ∼ 300GeV e circa la metà per γ primari.
Eγ
100GeV
300GeV
1T eV
3T eV
10T eV
< Nelm >
80.6
388.7
1898.0
7559.6
44801.1
< Ne± >
10.4
53.4
277.3
1165.5
6314.7
< Nγ >
70.2
335.3
1620.7
6394.1
38486.3
< Nµ± >
0.003
0.05
0.4
1.3
5.9
Tabella 4.1: La tabella riporta i sizes medi delle varie componenti per sciami
γ-initiated a diverse energie.
Inoltre dall’ultima colonna si evince che, all’energia di 300GeV , il numero
di µ± osservabili è circa un fattore 100 maggiore nel caso p-in rispetto al
caso γ-in. Questo fatto, come descritto nel capitolo 3, può essere utile
nella discriminazione della componente primaria a patto che la componente
4.1. LA SIMULAZIONE MONTECARLO
Ep
100GeV
300GeV
1T eV
3T eV
10T eV
< Nelm >
44.8
193.9
911.8
3709.0
21281.3
< Ne± >
6.6
30.1
146.2
609.3
2998.5
73
< Nγ >
38.2
163.8
765.6
3099.7
18282.8
< Nµ± >
0.7
5.5
28.7
67.9
185.6
Tabella 4.2: La tabella riporta i sizes medi delle varie componenti per sciami
p-initiated a diverse energie. Il numero medio di µ negli sciami da protone
supera di 2 ordini di grandezza quello misurato in sciami da fotone.
(a) γ-initiated
(b) p-initiated
Figura 4.4: Spettri differenziali di sciami γ-in (a sinistra) e p-in (a destra). Le componenti elettromagnetica e neutra scalano allo stesso modo
indipendentemente dal tipo e dall’energia del primario.
penetrante possa essere discriminata da quella elettromagnetica di bassa
energia. Nelle tabelle si vede altresı̀ che il numero di particelle osservabili
scala linearmente con l’energia. Cioè, le distribuzioni laterali mantengono
analogo andamento come mostrato per due energie campione in figura 4.4
per diversi primari.
4.1.2
Lo spettro integrale
Se invece della densità delle particelle si studiano gli spettri energetici dei
secondari, si nota un’altra proprietà interessante. A questo scopo ho costruito gli spettri integrali in due differenti regioni definite in funzione della
distanza dall’asse dello sciame. Una regione ingloba un’area fino a distanza
R < 20m, sostanzialmente equivalente alla zona occupata dal tappeto centrale AC. Una seconda è invece ottenuta integrando su un’area compresa
tra 20m e 50m compatibile con l’eventuale area di estensione AE. Per sem-
74CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
plicità gli integrali sono stati poi rinormalizzati in termini di percentuale di
particelle raccolte e sono riportati in figura 4.5.
Gli spettri integrali delle particelle secondarie (e± , γ) cadute entro 20m
dal core, non mostrano differenze significative; ovvero hanno analogo andamento in funzione dell’energia fino a 1GeV prescindendo dal tipo di primario
(p-in in blu, γ-in in rosso). Ciò significa che il solo numero di carichi misurati sul carpet centrale non è, di per sé, utile nella discriminazione dei
primari, mentre lo è in certa misura la sua distribuzione (morfologia) come
dimostrato dall’analisi lineare esposta nel paragrafo §3.4.
Ora, se ci si sposta in una regione più lontana dal core dello sciame,
nel caso specifico una regione compresa tra 20m e 50m, allora una maggiore
separazione diventa più evidente. Questo effetto era già osservabile in figura
4.2 ma diventa più chiaro nel confronto incrociato degli spettri integrali della
componente elettromagnetica totale (e± , γ). Questo significa che, in regioni
distanti dal core e negli sciami p-in, c’è un contenuto di particelle energetiche
(E ≥ 200M eV ) proporzionalmente maggiore di quello di uno sciame γin. Tenendo conto di quanto visto nelle distribuzioni laterali (vedi figura
4.2) il contributo dominante a questo enhancement deriva principalmente
dalla componente secondaria neutra. La capacità di contare queste particelle
potrebbe essere quindi un metodo alternativo per migliorare la reiezione γ/h
di un rivelatore, ARGO-YBJ nel caso specifico. Tuttavia occorre rendere
disponibile quest’informazione convertendo la componente più energetica e
selezionandola opportunamente. Questo implica l’applicazione di un taglio
(cut) energetico studiato e calibrato per l’osservazione di questo effetto,
comunemente noto come punchthrough. Il punchthrough non è altro che
l’eccesso di particelle energetiche osservabile al di fuori del core dello sciame,
distinto dalla componente penetrante muonica. Si veda a questo proposito
la figura 4.6.
Essa mostra gli spettri integrali (sommati su 1000 sciami) a due energie
campione (1T eV e 3T eV ) ottenuti integrando la componente elettromagnetica nella zona di estensione AE. Per entrambi i primari sono indicati
il numero totale delle particelle della componente elettromagnetica e± , γ e
della componente muonica µ± . Ad una soglia di ∼ 200 ÷ 300M eV , i secondari del protone primario risultano dominanti su quelli del γ primario di
pari energia, e a energie di ∼ 1GeV eguagliano il conteggio dei muoni. Il
punchthrough [14] è quindi l’eccesso di carichi energetici “muon-like” nella
coda dello spettro osservati lontano dal core. Poiché il contenuto di muoni
Nγ
1
nel caso di γ primario è trascurabile (essendo Nµp ' 100
) la discriminazione
µ
γ/h nella zona AE è potenzialmente interessante.
Quanto e come, è oggetto della discussione seguente.
4.1. LA SIMULAZIONE MONTECARLO
75
(a) R < 20m
(b) 20m < R < 50m
Figura 4.5: Spettri integrali delle componenti elettromagnetiche (e± , γ) di
EAS originati da fotone (linee rossa) a confronto con quelli originati da
protone (linee blu) in due zone di raccolta diverse. Le differenze cominciano
a manifestarsi a una certa distanza dal core selezionando cioè le particelle
di più alta energia.
76CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
(a) Epr = 1T eV
(b) Epr = 3T eV
Figura 4.6: Spettri integrali per 1000 sciami delle componenti elettromagnetiche (e± , γ) di EAS originati da fotone (linee rossa) a confronto con quelli
originati da protone (linee blu) per primari da 1T eV (figura in alto) e da
3T eV (figura in basso). In questo caso gli spettri non sono stati normalizzati, cosicché si possa vedere dove avviene l’incrocio delle due distribuzioni.
Le linee tratteggiate rappresentano la componente muonica.
4.2. L’OSSERVAZIONE DEL PUNCHTHROUGH IN ARGO-YBJ
4.2
77
L’osservazione del punchthrough in ARGOYBJ
Per quanto descritto nel capitolo 3, l’esperimento ARGO-YBJ è un rivelatore capace di contare le particelle ma non di misurarne l’energia. Inoltre,
le RPC sono sensibili alla sola componente carica mentre il punchthrough
è legato alla capacità di misurare una componente neutra energetica. Parimenti occorre avere una superficie sensibile nella zona estesa, attualmente
coperta solo per il 20% (996m2 ), pari alla superficie di 23 moduli.
Come ovviare a questi difetti?
In primo luogo è sottintesa l’estensione della superficie attiva a tutta
l’area disponibile nel capannone e quindi alla sovrapposizione di uno strato di assorbitore opportunamente scelto per un duplice scopo: da un lato
permettere la conversione in carichi osservabili della componente secondaria
neutra, e dall’altro schermare la componente secondaria carica di bassa energia. Ciò si traduce in un taglio “hardware” sullo spettro integrale delle
particelle dello sciame. In sostanza, un nuovo rivelatore è stato considerato
nelle simulazioni come composto dal carpet centrale interamente coperto di
RPC e da una zona ARGO extended continua anch’essa, al di sopra della
quale sono stati simulati diversi spessori di materiale assorbitore per selezionare la regione energetica in cui avviene la separazione degli spettri e
qui definire un criterio di discriminazione. La zona attuale del carpet AC
mantiene, dunque, funzionamento analogo a quello presente, quindi stessa
soglia e area efficace ma coadiuvata dalla zona estesa AE per migliorare la
selezione della componente primaria neutra. A parità di area di trigger,
cioè il carpet, la sensitività del nuovo rivelatore all’osservazione delle sorgenti scalerà linearmente con l’efficienza di reiezione, il cosiddetto fattore di
qualità Qf che meglio descriverò nel prossimo capitolo.
Altra possibilità sarebbe quella di misurare con maggiore efficienza il
numero dei muoni (come fatto in [15]) ma questo comporterebbe la realizzazione di rivelatori dedicati a distanze dal core maggiori di 50m. A questo
punto, rimanendo all’ipotesi di estensione del tappeto nella zona AE, si
osservi la figura 4.7
Si nota che l’energia minima di taglio risulta circa Ecut ∼ 200M eV :
maggiore l’energia migliore risulta la separazione degli spettri e quindi la
capacità di discriminazione.
In figura 4.8 è mostrato l’istogramma di molteplicità per sciami γ-in e
p-in, ovvero il numero totale di particelle cariche e± , µ± per 1000 sciami
campione a due diverse energie primarie: in alto, senza tagli di alcun tipo,
in basso con un taglio ideale ad 1GeV . Si nota chiaramente che il numero
medio di carichi in uno sciame γ-in è superiore rispetto a quello dei p-in nel
primo caso, mentre nel secondo la situazione si ribalta e la separazione tra
i primari ne risulta migliorata.
78CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
Figura 4.7: Spettri energetici integrali delle particelle secondarie cadute in
una zona corrispondente ad ARGO extended. In questa zona, gli sciami p-in
presentano un numero maggiore di secondari con energie > 200M eV . In
rosso, lo spettro degli EAS γ-in; in blu quello degli EAS p-in. Gli EAS sono
stati simulati per primari con energia E = 3T eV .
A questo punto bisogna capire come realizzare il taglio in questione agendo a livello hardware. La strada più ovvia da seguire consiste nel posizionare
uno schermo di materiale assorbitore al di sopra del rivelatore. Il primo materiale preso in considerazione per realizzare un eventuale schermo è stato
il piombo. Il posizionamento di una lastra sottile di piombo sulla superficie
estesa AE risulterebbe, infatti, relativamente facile da mettersi in opera.
Uno stanziamento economico per un’operazione simile era già stato previsto nel proposal dell’esperimento dedicato alla copertura della zona AC al
fine di migliorare la risoluzione angolare del rivelatore alle basse energie
(300GeV ÷ 1T eV ). L’azione dell’assorbitore si manifesta in quello che è
comunemente noto come effetto di transizione.
4.3
L’effetto di transizione
Nel paragrafo §2.1 sono stati descritti i meccanismi con cui la radiazione
carica e neutra interagisce all’interno di un materiale. Allora il materiale
considerato era l’atmosfera terrestre, una miscela di azoto (78%), ossigeno
(21%) e altri gas (' 1%) ma i meccanismi sono gli stessi che si tratti di aria,
piombo o qualsiasi altro mezzo (la cui dipendenza compare infatti nelle formule che descrivono la perdita di energia, in particolare nella densità ρ e
4.3. L’EFFETTO DI TRANSIZIONE
79
(a) Epr = 1T eV
(b) Epr = 3T eV
Figura 4.8: Molteplicità di sciami γ-in (in rosso) e p-in (in blu) a due diverse energie. Gli istogrammi in alto si riferiscono allo sciame osservato
integralmente, quelli in basso ai soli carichi di energia E ≥ Ecut = 1GeV .
80CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
nella lunghezza di radiazione X0 ). In questo caso, cioè il caso di particelle
con energie medie intorno agli 80M eV 2 , i meccanismi dominanti sono la produzione di coppie per quanto riguarda i fotoni, la radiazione di frenamento
e la ionizzazione per quanto riguarda i carichi.
Il risultato è che anche nel piombo si generano sciami di particelle caratterizzati da un massimo superato il quale vengono gradualmente riassorbiti.
Se si sceglie uno spessore di materiale che non si discosti troppo dalla profondità alla quale si verifica il massimo, è possibile osservare in uscita dalla
lastra un numero di particelle cariche superiore a quelle che erano entrate,
proprio per effetto della conversione della componente neutra. Si ricordi
che un EAS è costituito principalmente da componente elettromagnetica elettroni, positroni e fotoni - e componente penetrante - muoni. A parità
di sciame atmosferico, cioè energia primaria, incrementando lo spessore del
materiale assorbitore, si osserverà un numero di particelle in uscita che aumenta (crescendo la probabilità che un fotone si converta in coppia e+ e− )
fino a un certo spessore, poi comincerà a decrescere fino ad azzerarsi del
tutto. Aumentando infatti lo spessore aumenta l’energia totale che ciascuna
particella carica perde per ionizzazione.
Questo fenomeno prende il nome di effetto di transizione e fu studiato da
Bruno Rossi nella prima metà del XX Secolo, consentendogli di teorizzare
un modello per le cascate elettromagnetiche: il modello di Rossi.
Per capire la portata dell’effetto di transizione nel nostro caso specifico,
poiché come detto esso dipende dallo spettro dei carichi nell’EAS alla caratteristica quota di osservazione, ho costruito una simulazione Montecarlo. Gli
effetti di moltiplicazione sui γ secondari e il taglio in energia sui carichi non
possono essere modellizzati con il metodo di Rossi ma sono piuttosto l’effetto
combinato di generazione e assorbimento nel mezzo attraversato. Pertanto
ho utilizzato il kit GEANT4 [32] per riprodurre la risposta dell’assorbitore.
4.3.1
GEANT4
GEANT4 è un toolkit per la simulazione Montecarlo3 del passaggio di particelle nella materia, sviluppato dalle collaborazioni del CERN [32]. Viene
applicato in diversi ambiti, dalla fisica degli acceleratori alla fisica astroparticellare e anche in campo biomedico. Evoluzione del precedente GEANT3
scritto in FORTRAN, GEANT4 consiste in un set di classi scritte in C++
che consentono di creare rivelatori con tutte le caratteristiche richieste e far
interagire in essi le particelle. L’utente imposta un mainfile che implementa
tutte le classi necessarie per la simulazione. Alcune classi costituiscono il
nucleo essenziale:
2
La quota di ARGO-YBJ è posta in prossimità del massimo degli shower, ossia in
prossimità dell’energia critica Ec ' 80M eV . Cfr. §2.2.
3
Cfr. §2.4.1.
4.3. L’EFFETTO DI TRANSIZIONE
81
• Una classe DetectorConstruction, che contiene tutte le informazioni
sulla geometria del materiale. In questo lavoro è stata simulata una
semplicissima lastra di piombo ma è possibile riprodurre rivelatori
molto complessi.
• Una classe PhysicsList, ossia una lista di tutti i processi fisici che
si vogliono considerare. Sta dunque all’utente inserire la corretta
definizione dei processi fisici considerati.
• Una classe PrimaryGeneratorAction, dove vengono impostate le informazioni sulle particelle che si vogliono lanciare sui materiali, quali il
tipo di particella, le coordinate spaziali e l’impulso.
• Una classe SteppingAction che gestisce la storia della particella ad ogni
passo. Un passo termina quando la particella compie un’azione, che
sia il verificarsi di un processo fisico o il passaggio da un volume ad un
altro.
• Una classe EventAction che gestisce le informazioni di tutte le particelle generate dalla primaria.
• Una classe RunAction che gestisce tutte le particelle primarie lanciate.
Informazioni più approfondite sull’utilizzo e la programmazione in GEANT4
si possono trovare alle referenze [27] e [28].
Per il caso in questione, la simulazione GEANT4 (G4) ha reso necessaria
la simulazione di una generica lastra di piombo a spessore variabile. Sulla
lastra vengono fatti incidere, evento per evento, e particella per particella,
gli output di CORSIKA ovvero le particelle che costituiscono lo sciame. La
lastra è creata grande abbastanza, in grado cioè di raccogliere i secondari
dello sciame comunque siano distribuiti e non introdurre gli errori dovuti
al sottodimensionamento. G4 provvede quindi a simulare la risposta del
materiale assorbitore e permette dunque di correlare fra loro il numero totale
di carichi uscenti (Nout , le sole osservabili fisiche cui gli RPC sono sensibili)
rispetto ai carichi incidenti (Nin ).
Il risultato di questa simulazione è illustrato nella figura 4.9, per protoni e
γ primari a 5 diverse energie. Esse rappresentano la modulazione dell’effetto
di transizione, cioè il rapporto R = NNout
, con lo spessore di assorbitore in
in
piombo. Si dimostrano cosı̀ alcune interessanti proprietà.
• Il massimo della moltiplicazione è compreso tra 5 e 15mm di spessore,
ovvero ∼ 1 ÷ 3 lunghezze di radiazione ed è indipendente, o quasi, dal
primario.
82CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
• R non scala con l’energia ma conserva la posizione del massimo. Ciò
è comprensibile, dal momento che il size Ne e la componente neutra
Nγ scalano linearmente con l’energia del primario, cioè gli spettri degli
EAS mantegono la stessa forma qualunque sia l’energia primaria.
• Al massimo il rapporto R vale circa 2 alla soglia di 300GeV , indicando
dunque una moltiplicazione efficace del numero di carichi mediante
conversione della componente γ secondaria di alta energia.
A questo punto, si può valutare se e quanto l’utilizzo di un assorbitore
(piombo o altro materiale) permette di migliorare la reiezione γ/h nella zona
estesa e valutarne l’efficienza. Avendo dimostrato che il massimo della moltiplicazione è compreso tra 5 e 15mm si può ridurre il tempo di simulazione
studiando solo questi casi limite. L’efficienza sarà quindi definita in termini di sensibilità a sorgenti γ del nuovo rivelatore, ovvero il tempo richiesto
per osservare un determinato flusso, il flusso minimo osservabile, e infine il
tempo scala per vedere un segnale ad una data significatività. Nell’ultimo
capitolo svilupperò quindi il problema della reiezione e la sua valutazione
attraverso il fattore di qualità Qf .
4.3. L’EFFETTO DI TRANSIZIONE
83
(a) γ-in
(b) p-in
Figura 4.9: Nelle figure si osserva come varia il rapporto eout /ein . I marcatori rappresentano in dimensione crescente le energie crescenti dei primari:
100 GeV , 300 GeV , 1 T eV , 3 T eV , 10 T eV . Non si notano grandi differenze col variare dell’energia, ma ciò è comprensibile, dal momento che il size
e la componente neutra scalano linearmente con l’energia del primario.
84CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ
Capitolo 5
Il fattore di qualità Qf e la
reiezione γ/h
Nel primo capitolo ho chiarito come uno dei maggiori problemi in γ astronomia sia legato alla necessità di estrarre segnali deboli provenienti dalle
sorgenti rispetto ad un fondo dominante dovuto alla componente adronica. Mentre un esperimento su satellite può facilmente discriminare i raggi
cosmici carichi utilizzando scintillatori plastici in anticoincidenza, per gli
esperimenti al suolo la situazione è più problematica. Essi, infatti, osservano gli EAS (e non direttamente i primari) costituiti da un grande numero
di particelle cariche e neutre e cercano di ricostruire natura ed energia del
raggio cosmico primario in modo indiretto.
Una sorgente γ viene normalmente identificata come un significativo eccesso statistico di eventi (si veda la figura 5.1) al di sopra del fondo di raggi
cosmici carichi provenienti dalla stessa direzione entro un angolo pari alla
risoluzione angolare dell’esperimento considerato.
La capacità di distinguere tra il segnale cercato e il fondo carico dipende
dalle caratteristiche dell’esperimento, le quali assumono un ruolo cruciale.
5.1
La sensitività
La sensitività di un esperimento al suolo è solitamente espressa in unità di
deviazioni standard del fondo adronico:
Nγ
S=p
Nbkg
dove Nγ è l’eccesso di eventi provenienti da una certa direzione e Nbkg è il
numero di CR osservati entro un angolo solido ∆Ω.
I conteggi Nγ e Nbkg dipendono dai flussi attesi (Jγ (E) per la sorgente e
Jbkg (E) per il fondo cosmico) e dalle caratteristiche dell’esperimento, ovvero
85
86CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
Figura 5.1: Una sorgente γ si manifesta come una distribuzione di eventi centrati sulla sorgente. Una buona risoluzione angolare porta alla produzione
di distribuzioni più sottili (caso A) che possono essere visibili al di sopra del
fondo adronico; nel caso B il livello delle fluttuazioni copre il segnale.
la soglia di energia Ethr , l’area efficace Aef f , l’efficienza angolare (∆Ω), il
tempo di misura:
Z
Nγ =
Ethr
Z
Nbkg =
0
Ethr
f
Jγ (E) · Aef
· T · (∆Ω) · dE
γ
f
Jbkg (E) · Aef
bkg · T · (∆Ω) · dE
Vediamoli brevemente:
• L’area efficace Aef f
L’area geometrica non corrisponde, in genere, con l’area effettiva di
campionamento, avendo tipicamente l’EAS direzione diversa da quella ortogonale al rivelatore.
L’efficienza del rivelatore è convenzionalmente rappresentata mediante
un’area efficace definita come la superficie di un rivelatore ideale (efficienza pari a 1 se il core vi cade all’interno, 0 se cade fuori) normale alla
direzione di arrivo del primario. L’area efficace dipende dalla natura
del primario, dalla sua energia e dalla sua direzione di arrivo. Natura, energia e direzione influiscono infatti sullo sviluppo della cascata e
quindi sul numero di carichi osservabili nel rivelatore.
• L’energia di soglia Ethr
Un apparato di rivelazione registra l’evento (trigger ) se rivela un numero minimo di carichi. Nel caso di ARGO-YBJ la soglia è di 20
5.1. LA SENSITIVITÀ
87
particelle localizzate che corrispondono a una trentina di particelle
cadute in totale sul carpet. Il numero di particelle cariche al livello di
osservazione (size) dipende sia dal tipo di primario, sia dalla sua energia. Per primari diversi, quindi, un esperimento avrà soglie energetiche
diverse, come dimostrato nel capitolo 4.
• Il tempo di osservazione T
Occorre definire un tempo di osservazione efficace Tef f che dipende
dal duty cycle (il tempo in cui il rivelatore è realmente in funzione)
dell’esperimento e dal tempo che la sorgente trascorre all’interno del
campo di vista: Tef f = f · T · (d.c.), dove f è la frazione di tempo utile
per l’osservazione e T è l’intervallo di tempo considerato.
• La risoluzione angolare σθ
Rappresenta l’accuratezza con cui si ricostruisce la direzione d’arrivo del primario; essa è costituita da due componenti, una statistica
(fluttuazioni nello sviluppo dello sciame, rumore del rivelatore) e una
sistematica (ad esempio l’errore di puntamento). La risoluzione angolare è legata all’angolo solido di osservazione ∆Ω. Se la dispersione
di σθ è gaussiana, l’apertura angolare che massimizza il segnale al di
sopra del fondo uniforme è data da ∆θ = 1.58σθ ; quest’angolo è chiamato Ψ72 in quanto la frazione di eventi in arrivo dalla direzione della
sorgente entro ∆Ω è = 0.72. Siccome l’angolo di osservazione intorno
alla sorgente è solitamente piccolo, si può scrivere:
∆Ω = 2π(1 − cos∆θ) ' π(∆θ)2
(∆Ω)
0.26
√
=
σθ
∆Ω
L’espressione completa per la sensitività diventa, quindi:
R
S=r
Eth
R
0
Eth
Jγ (E) · Aγef f · dE
Jbkg (E) · Abkg
ef f · dE
·
q
Tef f ·
0.26
· Qf
σθ
Nella formula di cui sopra, compare un nuovo fattore, il Qf (quality
factor ), definito come:
εγ
Qf = q
(1 − εbkg )
dove εγ rappresenta la frazione di EAS γ-in correttamente identificati come
tali in base a un criterio di selezione (comunque sia stato definito) e (1−εbkg )
è la contaminazione del fondo adronico che sopravvive ai tagli. Sia la
risoluzione angolare che il Qf migliorano la sensitività sperimentale facilitando la reiezione del background.
88CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
Tuttavia, poiché nel nostro caso non c’è una variazione sostanziale del
setup del tappeto centrale di ARGO-YBJ gli effetti sulla sensitività sperimentale possono derivare unicamente dal miglioramento del Qf .
In assenza di reiezione avremo εγ = 1 e εbkg = 0, ovvero Qf = 1;
per Qf > 1 si avrà sempre un miglioramento della sensitività che dovrà
però essere correlato con l’efficienza del segnale alla sorgente (εγ ). Quando
Qf > 1 questo si traduce direttamente
in un guadagno lineare in S (S ∝ Qf )
√
e quadratico in tempo (S ∝ T ) a definita significatività di osservazione.
5.2
La discriminazione γ/h
Alla fine del capitolo 3, sono stati esposti alcuni metodi di discriminazione
γ/h. ARGO-YBJ non è in grado di utilizzare né il conteggio dei µ né le
immagini Čerenkov, dal momento che il segnale generato nelle RPC dai
µ è identico a quello generato da e± e non vi sono rivelatori IACT. Tuttavia ARGO-YBJ possiede una peculiarità che lo distingue dagli EAS arrays tradizionali: grazie alla copertura totale, è in grado di raccogliere tutte
le particelle cariche in un’area piuttosto ampia attorno all’asse dello sciame.
Consente quindi di effettuare delle analisi che riguardano la morfologia dello
sciame in termini di particelle cariche.
Negli anni passati sono state pensate diverse tecniche di discriminazione
γ/h o GHD (Gamma Hadron Discrimination):
• Un metodo GHD basato sullo studio della distribuzione degli hit e
sulle loro fluttuazioni sul detector con l’ausilio di reti neurali [17];
• Un metodo GHD basato sulla natura multifrattale dell’immagine dell’EAS sul rivelatore [20];
• Un metodo GHD basato sullo studio della compattezza e uniformità
della distribuzione laterale dello sciame [19]; in proposito si veda anche
il paragrafo §3.4;
• Un metodo GHD basato sullo studio della trasformata di Radon [22]
applicata all’immagine dello sciame sul rivelatore.
Nonostante ciascuno di essi prometta sulla carta dei Qf ∼ 2 (per studi eseguiti mediante simulazioni di sciami con il core centrato sul rivelatore), per sciami con il core in posizione casuale sul carpet, la capacità di
discriminazione decresce sensibilmente.
Nel capitolo 4, abbiamo evidenziato la possibilità di utilizzare l’effetto di
punchthrough per migliorare la selezione dei primari γ. Di seguito discuterò
questa possibilità in termini di incremento del Qf .
5.3. IL CALCOLO DEL QF
5.3
89
Il calcolo del Qf
Avendo individuato il massimo dell’effetto di transizione, si è deciso di simulare, sempre mediante GEANT4, l’apparato di ARGO extended coperto da
lastre di piombo di spessore 5mm, 10mm, 15mm.
Per ottenere un criterio di discriminazione tra le due tipologie di sciame è
stato confrontato il numero di particelle cariche in uscita dal piombo (visibili
dall’RPC ) nei due casi, p-in e γ-in a parità di energia. In media, gli sciami
da fotone presentano molteplicità maggiori ed occorre stabilire un taglio
(cut) in particelle oltre il quale lo sciame viene identificato come γ-in.
Come si vede dalla figura 5.2, ottenuta su un campione di mille sciami simulati a 1T eV , le fluttuazioni statistiche fan sı̀ che alcuni sciami γ
manifestino una molteplicità inferiore a quella media (ciò significa che essi
verranno erroneamente scartati dalla selezione in molteplicità) mentre alcuni sciami p ne contegono un numero maggiore (e verranno erroneamente
identificati come γ).
Il fattore che definisce la bontà della discriminazione è il quality factor
o Qf , definito:
εγ
Qf = p
1 − εp
dove εγ è l’efficienza di rivelazione dei γ cioè la frazione di sciami che, correttamente, sopravvivono al taglio; εp è invece il fondo costituito dalla frazione
di sciami p erroneamente identificati come γ.
Considerando un’efficienza di rivelazione dei γ pari a εγ = 1 (ovvero se
uno sciame è effettivamente di tipo fotone viene identificato), un Qf = 1
significa che il rapporto tra sciami identificati correttamente e quelli di tipo
p identificati come γ è 1/1. Ciò indica che gli sciami γ vengono tutti inclusi
ma, del totale di quelli selezionati, la metà sono in realtà p-in. Un Qf = 2
riduce il rapporto a 1/4 e un Qf = 3 lo riduce a 1/9. Da qui, l’esigenza
di massimizzare il Qf , cercando un sistema per separare il più possibile le
distribuzioni di molteplicità per gli sciami di tipo diverso.
La figura 5.3 mostra le molteplicità degli sciami nella zona ARGO extended coperta da 10mm di piombo. L’effetto moltiplicativo del materiale ha
fatto sı̀ che le distribuzioni siano più allargate verso alti valori di molteplicità. Il punto migliore dove scegliere il taglio è quello dove le distribuzioni si
intersecano anche se, come si vede dalla figura, può non essere univoco. La
tabella successiva (5.6) riporta il valori di Qf e di efficienza sui γ per diversi
tagli e per diversi spessori di piombo. L’energia degli sciami in questione è
1T eV , scelta perché prossima alla soglia dell’esperimento.
Dai valori ricavati, si capisce che la presenza del piombo non aiuta in
modo efficace nella discriminazione tra gli sciami. Sicuramente questi spessori non consentono cioè di sfruttare il punchthrough: le molteplicità degli
EAS da fotone rimangono in media più elevate di quelle da protone. Ciò non
stupisce dal momento che con 15mm di piombo (che corrispondono a circa
90CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
Figura 5.2: Molteplicità di particelle nella zona AE per sciami da 1T eV γ-in
(rosso) e p-in (blu) a confronto per un campione di mille EAS simulati. In
questo caso non è ancora stato considerato lo schermo di piombo. In termini
di molteplicità è possibile stabilire un taglio oltre il quale lo sciame viene
identificato come γ-in.
Figura 5.3: Molteplicità di particelle cariche in sciami da 1T eV γ-in (rosso)
e p-in (blu) dopo una lastra di piombo di 10mm di spessore. Le distribuzioni
si sono entrambe allargate rispetto al caso senza piombo, a causa della
moltiplicazione dei carichi.
5.3. IL CALCOLO DEL QF
Ncut
12
13
14
15
16
17
18
0mm
εγ
0.90
0.88
0.86
0.84
0.80
0.76
0.73
Q
1.45
1.47
1.45
1.44
1.41
1.40
1.36
Ncut
18
19
20
21
22
23
24
91
5mm
εγ
0.93
0.92
0.90
0.89
0.88
0.87
0.85
Q
1.42
1.42
1.42
1.42
1.42
1.43
1.41
Ncut
15
16
17
18
19
20
21
10mm
εγ
0.96
0.95
0.93
0.92
0.91
0.90
0.88
Q
1.38
1.38
1.38
1.39
1.39
1.39
1.38
Ncut
10
11
12
13
14
15
16
15mm
εγ
0.98
0.97
0.96
0.95
0.94
0.91
0.90
Q
1.35
1.36
1.37
1.38
1.37
1.35
1.36
Tabella 5.1: Valori del Q factor per sciami da 1T eV a diversi tagli in particelle e a diversi spessori di piombo. Si nota che la presenza del piombo,
nonostante moltiplichi il numero di particelle cariche, di fatto non opera
miglioramenti significativi al Qf .
2.7X0 , lo spessore di piombo più elevato considerato) la soglia energetica che
si ottiene è piuttosto bassa. La scelta dello spessore, da un lato, era stata
dettata dalla necessità di massimizzare l’effetto di transizione e dall’altro dai
presumibili costi di copertura (2000 euro per tonnellata di piombo) e dalle
possibilità tecniche di sovrapposizione delle lastre sui moduli di RPC.
Facciamo un conto semplificato. Nota la densità del materiale (ρP b =
11.35 g · cm−3 ) e la perdita media di energia nel piombo per particelle al
minimo di ionizzazione [3] avremo:
dE
dx
= 1.122 M eV ·g −1 cm2
e
ρP b ·
min
dE
dx
= 12.74 M eV ·cm−1
min
. Quindi a 2.7X0 , avremo un soglia in energia pari a:
Ethr ' 20 M eV
ben inferiore rispetto ai circa 200 M eV 1 che servono per rendere efficace il
punchthrough e l’inversione degli spettri (come visto in figura 4.6). Per
arrivare a ottenere un taglio minimo ragionevole sulla componente carica
occorre un Ecut ∼ 500 M eV . Questo permetterebbe di osservare bene la
separazione ma al “prezzo” di 40cm di spessore di piombo. Ciò corrisponde
altresı̀ ad una profondità di 71X0 2 e quindi al quasi totale assorbimento
dello sciame.
1
L’energia dove si verifica l’inversione degli spettri cresce leggermente con l’aumentare
dell’energia dei primari, ma per sciami da 1T eV e da 3T eV il valore si aggira comunque
intorno ai 200 M eV (fig. 4.6).
2
In realtà lo spessore è leggermente sovrastimato perché è stato calcolato al minimo
di ionizzazione; quando la sua energia scende al di sotto del minimo di ionizzazione, la
particella perde energia molto rapidamente. Cfr. fig. 2.6.
92CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
In sostanza l’utilizzo del piombo non sembra migliorare la discriminazione γ/h: in piccoli spessori (1 ÷ 2X0 ), aumenta il numero di carichi
che arrivano sul rivelatore3 ma non incrementa sostanzialmente il Qf .
Vediamo come, in queste condizioni, cambia la sensitività di ARGO-YBJ
ad una sorgente γ.
5.4
Sensitività di ARGO-YBJ alla Nebulosa del
Granchio
Il flusso di raggi γ atteso utilizzando lo spettro della Nebulosa del Granchio
è stato misurato con precisione dalla collaborazione HESS [29]:
dN
= 3.45 · 10−7 E −2.63 f otoni m−2 s−1 T eV −1 ;
dE
E ∈ [0.41; 40]T eV
Nel calcolare il flusso atteso dalla Nebulosa, bisogna tenere conto del percorso giornaliero della sorgente all’interno del campo di vista di ARGO-YBJ
(mostrato in figura 5.4). La sorgente, che culmina a θc = 8.1◦ , è seguita nel
suo percorso apparente per angoli di zenith θ ≤ 40◦ , angolo limite per la sky
survey dell’esperimento. Il tempo che la Nebulosa trascorre all’interno del
campo di vista di ARGO-YBJ è di circa 5.9 ore/giorno.
Figura 5.4: Moto apparente della Nebulosa del Granchio nell’arco del giorno.
Per eventi con molteplicità sul carpet Nhit > 500 (Ethr ∼ 2T eV , si veda
la tabella 4.1) il flusso atteso è di 9.77 γ/giorno. L’angolo che massimizza
il rapporto segnale/rumore in questo range di molteplicità è 0.4◦ (figura
3
Questo aiuta a migliorare la risoluzione angolare.
5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE
93
3.10) e la frazione di eventi che cadono nell corrispondente finestra è 0.42;
ne segue che il flusso atteso all’interno di questa finestra è 4.1 γ/giorno.
Per quanto riguarda il flusso atteso di CR [30] [31], si stima un valore
di ∼ 630 eventi/giorno all’interno di un bin angolare di 1◦ centrato sulla
sorgente.
La sensitività attesa vale quindi:
4.1
segnale
=√
= 0.16σ/giorno
S=√
f ondo
630
Tutto ciò significa che la Nebulosa del Granchio può essere rivelata con
una significatività di 4σ in 600 giorni oppure di ∼ 3.1σ in un anno senza
utilizzare alcuna GHD. Se invece si utilizza la migliore reiezione γ/h studiata
in questo capitolo (Qf = 1.47, ottenuto nella zona AE senza assorbitore), la
sensitività diventa:
S −→ SGHD = S · Qf = 0.24σ/giorno
Il che vuol dire che per ottenere una significatività alla Nebulosa del
Granchio di 4σ occorrerebbero 278 giorni, e che in un anno di presa dati si
potrebbe arrivare a una significatività di 4.6σ.
5.5
Le opzioni alternative
Avendo dimostrato che uno strato sottile di piombo non è efficace al punchthrough,
e quindi alla GHD nella zona AE, sono state seguite due opzioni alternative.
La prima è quella dell’utilizzo di un diverso tipo di assorbitore; la seconda
quella di un’estensione dell’area di raccolta alla zona esterna del capannone
(ARGO outside AO, come definita in figura 4.1).
5.5.1
L’opzione cemento
L’utilizzo del cemento come moderatore è ragionevole per due distinte ragioni:
• da un lato ottimizza il numero di lunghezze di radiazione a parità di
soglia energetica (ovvero il taglio Ecut sulla componente carica di bassa
energia);
• dall’altro ha un costo di messa in opera ridotto. Basterebbe infatti
interrare i rivelatori.
L’idea copia alcuni studi (vedi riferimenti [14] e [15]) fatti per un rivelatore di muoni a grande distanza dal core dello sciame (R > 50m).
94CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
Cominciamo con il valutare l’efficienza di taglio in funzione dello spessore. Dal Particle Data Book [3] ricaviamo che la perdita di energia al minimo di ionizzazione nel cemento, la densità media e la lunghezza di radiazione
X0 sono:
dE
dx
concrete
= 1.711 M eV · g −1 cm2 , ρconcrete = 2.5 g · cm−3 ,
min
X0 =concrete = 26.57 g · cm−2
Si avrà quindi:
concrete
ρ
.
·
dE
dx
concrete
∼ 4 M eV cm−1
min
Quindi per due spessori tipo di 50cm e 100cm (5 ovvero 10X0 ) abbiamo
una soglia di taglio di circa 200M eV e 400M eV rispettivamente.
Nuovamente con l’aiuto del Montecarlo GEANT4 abbiamo analizzato la
risposta del rivelatore in termini di molteplicità di particelle per mille sciami
campione. Il risultato è mostrato nelle figure 5.5 e 5.6 rispettivamente per
due rivelatori ideali a copertura continua nella zona di estensione AE o in
quella ampliata AO. Appare ora più evidente l’effetto del punchthrough, in
particolare nel caso con 100cm di cemento (figura 5.6). L’effetto si accoppia
ad una notevole riduzione del numero di carichi osservati nelle due zone considerate (come effetto della soppressione della componente di bassa energia)
anche se i Qf (vedi tabelle 5.7 e 5.8) ottenuti sembrano escluderne una reale
efficacia in termini di discriminazione. I valori infatti sono prossimi all’unità
e non sono competitivi rispetto a quanto osservato senza l’assorbitore.
ARGO extended
ARGO outside
Qf
1.07
1.03
εγ
0.98
1
Ncut
6
10
Tabella 5.2: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo
schermo simulato è costutito da 100cm di cemento.
ARGO extended
ARGO outside
Qf
1.01
1.05
εγ
0.91
1
Ncut
16
24
Tabella 5.3: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo
schermo simulato è costutito da 50cm di cemento.
Quanto ottenuto dimostra che la sola schermatura non migliora la discriminazione γ/h se non è accoppiata ad un’efficiente discriminazione della
componente penetrante come dimostrato in [15].
5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE
95
(a) ARGO extended
(b) outside ARGO
Figura 5.5: Molteplicità dopo uno schermo di cemento spesso 50cm. In rosso
gli sciami γ-in, in blu quelli p-in: si nota come il numero medio di carichi
sopravvissuti sia in media maggiore per la distribuzione blu.
96CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
(a) ARGO extended
(b) outside ARGO
Figura 5.6: Molteplicità dopo uno schermo di cemento spesso 100cm. In
rosso gli sciami γ-in, in blu quelli p-in. In questo caso il punchthrough si è
verificato in maniera più sensibile rispetto alla figura 5.5.
5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE
5.5.2
97
Il confronto su tre zone
Un’ultima valutazione è stata fatta comparando ad energia fissa i Qf nelle
tre zone di studio AC, AE, AO (rispettivamente di 5800m2 , 5200m2 , 7200m2 )
in assenza di uno schermo assorbitore. Il risultato è mostrato in figura 5.7
e in tabella 5.9 per tre energie (1T eV, 3T eV, 10T eV ).
Eprimari = 1 TeV
ARGO carpet
ARGO extended
ARGO outside
< Nch > p-in
37.2
14.7
12.7
< Nch > γ-in
125.9
29.1
23.1
Qf
1.68
1.47
1.34
εγ
0.91
0.88
0.92
Ncut
34
12
8
< Nch > p-in
224.1
64.3
52.5
< Nch > γ-in
592.3
122.4
92.3
Qf
1.59
1.46
1.40
εγ
0.91
0.84
0.87
Ncut
248
77
57
< Nch > p-in
1245.5
288.6
224.2
< Nch > γ-in
3061.5
583.8
430.8
Qf
1.86
2.0
2.0
εγ
0.88
0.87
0.88
Ncut
1770
417
313
Eprimari = 3 TeV
ARGO carpet
ARGO extended
ARGO outside
Eprimari = 10 TeV
ARGO carpet
ARGO extended
ARGO outside
Tabella 5.4: Valori di Qf e εγ nelle tre zone per sciami originati da primari
con energie diverse.
A energie dell’ordine del T eV , la soglia cui facciamo riferimento, non ci
si riesce a discostare di molto da valori dell’ordine di 1.5 per il Qf . Migliora
con l’energia (intrinsecamente per il maggior numero di muoni) e non si
osservano grosse differenze tra le zone ARGO extended e ARGO outside,
un ampliamento quest’ultimo che resta comunque di difficile realizzazione
pratica.
In tabella si osserva che il Qf nella regione centrale AC è sempre il
migliore a parità di energia, tuttavia non può essere utilizzato essendo la
zona centrale quella deputata alla selezione degli eventi. La selezione avviene
infatti in base alla posizione del core e alla discriminazione in energia in
funzione del numero di hit. Essa rappresenta qui, dunque, una valutazione
puramente accademica e non utile nell’analisi dati sperimentale. Per questa,
invece, assumono una certa rilevanza le analisi di tipo morfologico delle
diverse distribuzioni laterali (vedi §5.2).
98CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
(a) ARGO carpet
(b) ARGO extended
(c) outside ARGO
Figura 5.7: Molteplicità delle particelle cadute nelle tre zone. In rosso gli
sciami γ-in, in blu gli sciami p-in, tutti originati da primari con E = 1T eV .
Conclusioni
Durante questa tesi sono state esaminate alcune possibilità volte ad ottenere
dei buoni fattori di reiezione Qf (Quality Factor ) per la discriminazione
γ/h nell’ambito dell’esperimento ARGO-YBJ. Elemento comune alle opzioni
esaminate è la copertura della zona dell’attuale anello di guardia (zona estesa AE attorno al tappeto centrale) con rivelatori RPC per valutare se e
quanto fosse utile nella discriminazione del fondo adronico oltre che per la
migliore identificazione di eventi interni.
E’ stata quindi valutata l’ipotesi di porre uno schermo fisico (assorbitore) al
di sopra dei rivelatori in questa zona, con lo scopo di “tagliare” le particelle
cariche di bassa energia e convertire i fotoni secondari più energetici dello
spettro in e± quindi rivelabili dalle RPC. É stata cioè indagata la possibilità
di osservare sperimentalmente l’effetto di punchthrough della coda più energetica dello spettro dei secondari presenti a distanze dal core maggiori di
30m.
Infatti sciami p-in a medie distanze dal core (30−50m) presentano un numero maggiore di particelle energetiche (prevalentemente fotoni) rispetto a
sciami γ-in di pari energia. A tal fine è stato studiato l’effetto di transizione
per spessori variabili di piombo da 0 a 30mm per valutare l’incidenza della
conversione. I risultati mostrano che il piombo in piccoli spessori pur permettendo un’efficiente conversione (un fattore circa 2) non consente, a causa
della piccola lunghezza di radiazione, un adeguato taglio sulla più numerosa
componente secondaria di bassa energia. Ne segue che si può escludere
dunque che l’utilizzo di un assorbitore in piombo nella zona di estensione
AE sia efficace allo scopo. D’altra parte è stato osservato che un aumento del
fattore di qualità Qf si ottiene anche dalla sola copertura a tappeto continuo di RPC dello spazio disponibile all’interno del capannone. I Qf stimati
con le simulazioni per sciami originati da particelle primarie al T eV sono
rispettivamente Qf = 1.43 e Qf = 1.47 con e senza piombo. La differenza
tra i due valori non giustificherebbe quindi la spesa relativa alla copertura
con il piombo della zona AE ricordando però che, in ogni caso, un’eventuale copertura del tappeto centrale (originariamente inserita nel proposal
del rivelatore) migliorerebbe la risoluzione angolare dell’esperimento.
In alternativa abbiamo simulato l’impatto di uno schermo in cemento
con spessori fino a 1m. In tal caso, grazie anche alla maggior lunghezza di
99
100CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
radiazione del materiale a più basso Z medio, l’osservazione del punchthrough
è efficace ma dal momento che i valori di Qf ottenuti dalle simulazioni non
vanno oltre Qf = 1.07 per 1m di spessore la messa in opera di questa
ipotesi non è proponibile. Si tenga presente che una copertura di cemento
di spessore sufficiente risulterebbe estremamente problematica sia dal punto
di vista della realizzazione, sia per la successiva difficoltà di manutenzione
sui rivelatori medesimi.
In ultimo è stata valutata la possibilità di posizionare dei rivelatori anche
al di fuori del capannone che ospita ARGO-YBJ su area complessiva di circa 7200m2 . I risultati ottenuti nella configurazione ideale (superficie attiva
continua e con efficienza di rivelazione 100%) non si discostano molto dalle
previsioni ricavate per la sola zona di estensione AE: sempre per primari di
energia 1T eV , QAE
= 1.47 e QAO
= 1.34.
f
f
In conclusione il solo upgrade che ha dato un esito soddisfacente sui metodi di discriminazione γ/h, e per certi aspetti inatteso, è la copertura totale
del guard ring. Anche in vista di un futuro sito sperimentale che includa
l’attuale esperimento ARGO-YBJ in un più complesso array di rivelatori
multi-componente (progetto LHAASO) tale opprtunità verrà sicuramente
presa in considerazione.
Appendice - Incertezze
Le incertezze in questione sono quelle tipiche di esperimenti di conteggio:
dato un numero Nc di conteggi, la sua incertezza corrisponde alla radice
quadrata
p
σNc = Nc
Ricordando la definizione
Qf = p
εγ
1 − εp
ne segue che la sua incertezza si ottiene propagando le incertezze sulle
efficienze εγ e εp :
v
!
u
u ∂Q 2
f
σε2γ +
σQf = t
∂εγ
∂Qf
∂εp
!2
v
u
u σε2
2
σεp =⇒ σQf = t p γ
1 − εp
+
σε2p
ε2γ
·
4 1 − εp
L’efficienza εγ è il rapporto tra gli sciami contati come γ-in e il numero
complessivo degli sciami γ, discorso analogo per quanto riguarda εp :
εγ =
Nγ
Nγtot
e
!
√
N
N tot
+
·ε
N
N tot
√
=⇒ σε =
εp =
101
Np
Nptot
102CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
Di seguito sono ripetute le tabelle dei Qf nella zona AE a diversi spessori
in piombo con l’aggiunta delle incertezze σQf :
Ncut
12
13
14
15
16
17
18
0mm
εγ
Q
0.90 1.45
0.88 1.47
0.86 1.45
0.84 1.44
0.80 1.41
0.76 1.40
0.73 1.36
σQf
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
Ncut
18
19
20
21
22
23
24
5mm
εγ
Q
0.93 1.42
0.92 1.42
0.90 1.42
0.89 1.42
0.88 1.42
0.87 1.43
0.85 1.41
σQf
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
Tabella 5.5: Valori del Q factor per sciami da 1T eV a diversi tagli in particelle e a diversi spessori di piombo. Si nota che la presenza del piombo,
nonostante moltiplichi il numero di particelle cariche, di fatto non opera
miglioramenti significativi al Qf .
Ncut
15
16
17
18
19
20
21
10mm
εγ
Q
0.96 1.38
0.95 1.38
0.93 1.38
0.92 1.39
0.91 1.39
0.90 1.39
0.88 1.38
σQf
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
Ncut
10
11
12
13
14
15
16
15mm
εγ
Q
0.98 1.35
0.97 1.36
0.96 1.37
0.95 1.38
0.94 1.37
0.91 1.35
0.90 1.36
σQf
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
0.08
Tabella 5.6: Valori del Q factor per sciami da 1T eV a diversi tagli in particelle e a diversi spessori di piombo. Si nota che la presenza del piombo,
nonostante moltiplichi il numero di particelle cariche, di fatto non opera
miglioramenti significativi al Qf .
5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE
103
Tabelle per le zone AE e AO con 100cm e 50cm di cemento:
ARGO extended
ARGO outside
Qf
1.07
1.03
σ Qf
0.07
0.06
εγ
0.98
1
Ncut
6
10
Tabella 5.7: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo
schermo simulato è costutito da 100cm di cemento.
ARGO extended
ARGO outside
Qf
1.01
1.05
σ Qf
0.06
0.07
εγ
0.91
1
Ncut
16
24
Tabella 5.8: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo
schermo simulato è costutito da 50cm di cemento.
104CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H
Tabelle per le tre zone senza assorbitore:
Eprimari = 1 TeV
ARGO carpet
ARGO extended
ARGO outside
< Nch > p-in
37.2
14.7
12.7
< Nch > γ-in
125.9
29.1
23.1
Qf
1.68
1.47
1.34
σ Qf
0.09
0.08
0.08
εγ
0.91
0.88
0.92
Ncut
34
12
8
< Nch > p-in
224.1
64.3
52.5
< Nch > γ-in
592.3
122.4
92.3
Qf
1.59
1.46
1.40
σ Qf
0.09
0.08
0.08
εγ
0.91
0.84
0.87
Ncut
248
77
57
< Nch > p-in
1245.5
288.6
224.2
< Nch > γ-in
3061.5
583.8
430.8
Qf
1.86
2.0
2.0
σ Qf
0.09
0.10
0.10
εγ
0.88
0.87
0.88
Ncut
1770
417
313
Eprimari = 3 TeV
ARGO carpet
ARGO extended
ARGO outside
Eprimari = 10 TeV
ARGO carpet
ARGO extended
ARGO outside
Tabella 5.9: Valori di Qf e εγ nelle tre zone per sciami originati da primari
con energie diverse.
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BIBLIOGRAFIA
Ringraziamenti
Man mano che la scienza e la tecnologia progrediscono sviluppando mezzi
sempre più potenti e sempre più complicati, il singolo ha sempre più bisogno di lavorare insieme ad altri singoli, ognuno dei quali ricco delle proprie
esperienze e capacità. Questa tesi è stata, non solo un lavoro conclusivo ma,
soprattutto, un periodo durante il quale sento di aver imparato molto. Per
questo ringrazio il mio relatore, prof. Piero Galeotti, e ringrazio il mio correlatore, dott. Carlo Vigorito, per gli insegnamenti, la pazienza e il tempo che
mi ha dedicato. Sempre dal punto di vista professionale, ringrazio il dott.
Piero Vallania che ha puntato il suo occhio vigile durante lo svolgimento
del lavoro e ringrazio i dottori Molinario, Di Pierro e Berzano per il loro
supporto informatico; li ringrazio anche dal punto di vista personale come
Andrea, Federico e Dario.
Ringrazio i miei amici di Fisica, che in questi anni hanno trasformato
l’università in una seconda casa e si sono comportati come una seconda
famiglia, supportandomi e sopportandomi nei momenti più duri.
Ringrazio, ovviamente, la mia famiglia che mi ha permesso di studiare e
mi ha incitato a farlo durante tutta la vita.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato in montagna a sfogare
le tensioni accumulate sui libri e al computer.
Ringrazio Frà che mi ha messo la pulce nell’orecchio e ringrazio Cri che
nonostante i mille e oltre chilometri di distanza ha ricambiato il supporto
morale durante la scrittura.
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