registrazione - Punto Incontro

annuncio pubblicitario
Diocesi di Piacenza-Bobbio in collaborazione con l’Università Cattolica
7a Settimana Sociale dei cattolici piacentini
“Quale vita in un mondo compatibile”
Sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza
Carlo Casalone S.J., di Aggiornamenti Sociali (Milano)
“Recenti progressi della ingegneria genetica: scoperte,
speranze e ricadute sociali ed etiche”
13 febbraio 2001
[grazie alla registrazione del sig. Vittorio Ciani]
Grazie per l’invito, è un’occasione per riflettere insieme sui temi che riempiono sempre di più le pagine dei
nostri giornali e in cui si fa sempre più fatica ad orientarsi; quindi sostare un momento per mettere in
prospettiva le problematiche e riflettere sul loro significato, dal punto di vista soprattutto antropologico ed
etico, è senz’altro una grande occasione che ci viene messa a disposizione.
Come avete visto dal titolo la tematica di questa sera è molto ampia, quindi piuttosto che parlare di tutto
preferisco fare un piccolo panorama in cui collocare la tematica specifica della clonazione.
1. La genetica
Quindi introduco un piccolo panorama, che riguarda i progressi dell’ingegneria genetica, per capire cosa
comporta il progresso della genetica ai nostri giorni. Per genetica, intendiamo dei geni. Non tutti forse hanno
gli elementi per avere un’idea di quali sono le strutture che sono in causa; questo è uno dei problemi delle
tematiche teoretiche che trattano delle entità strutturali che sono estremamente difficili da cogliere. Non è una
casa né una montagna ma spesso parliamo di realtà microscopiche, che però hanno una valenza molto
importante per la persona. Allora vi presento i protagonisti di questa scena su cui poi discuteremo.
Il nostro organismo è fatto di una grande quantità di cellule. La cellula è fatta di due componenti: una esterna
chiamata citoplasma e una interna chiamata nucleo. Dentro al nucleo ci sono i cromosomi, che sono delle
strutture che i primi genetiti, i biologi, hanno visto essere particolarmente capaci di assorbire colore durante le
loro pratiche di preparazione. I cromosomi erano facili a colorarsi, allora li hanno chiamati cromo (colore) soma (corpuscoli), quindi “corpuscoli che prendono colore”.
I cromosomi sono costituiti da un lungo filamento di una macro molecola, che nel 1953 due ricercatori
americani (Francis Crick e James Watson) hanno studiato individuandone la struttura. Quella fu una grossa
scoperta che ha dato il via a tutta la genetica contemporanea. Hanno visto che questa molecola è fatta come
una scala a chiocciola, costituita da due filamenti che si incrociano, e ci sono dei filocchi che uniscono questi
due filamenti. Se questi due filamenti sono srotolati (ridotti ad un piano) si vede che i pioli di questa scala
sono costituiti da alcune molecole chiamate brani nucleotidi che sono fondamentalmente quattro [l'adenina
(A), la guanina (G), la citosina (C) e la timina (T)]. È importante capire che dal modo con cui queste parti di
nucleotidi si susseguono sulla molecola del DNA dipende la sequenza dei geni sulla molecola del DNA.
Che cos’è un gene? Il gene è un segmento di DNA che codifica l’esatta sequenza della proteina. Questa è
un’affermazione che, già nei giornali di oggi potete vedere, non è del tutta vera, quindi non è più valida (la
velocità della ricerca con cui ci muoviamo è estrema; vedrete da questi lucidi che compariranno delle
indicazioni che parevano valide fino a ieri ma già oggi non valgono più, anche se pur con piccole rettifiche).
Perché si è scoperto che i geni non codificano una proteina ma codificano molte proteine. Questo è lo stato
grande del problema che voi avete sentito enunciare dai giornali e dalla televisione: “Ma come, l’uomo ha solo
30 mila geni? Se l’uomo ha tanti geni quanto un topo, questo “Progetto Genoma” non è una cosa seria. Non è
possibile che l’uomo abbia lo stesso numero di geni degli animali così primordiali e neanche tanto simpatici
come sono i topi”. Il problema in realtà è questo:
• La complessità dell’organismo non risiede nel numero di geni, ma risiede nella relazione che c’è tra
questi geni, nella regolazione complessa attraverso cui questi geni sono in collegamento e che consente la
molteplicità dei tipi di espressione.
1
• Per cui le proteine che i nostri genitori producono sono molte e un gene codifica (produce) un proteine.
Questo è un antico dogma, che è aperto in scienze biologiche, pur essendo giovane però lo abbiamo studiato
sui banchi di scuola: un gene, una proteina. Dogma che si è affermato con questi punti forti.
• I geni sono segmenti di DNA che codificano alcune proteine e controllano espressioni di altri geni. Quindi
sono geni controllori (una specie di vigili che regolano il traffico).
• C’è un terzo tipo di geni che controllano la struttura. Ci sono dei geni che sono degli architetti che
governano, pilotano, il modo con cui l’organismo si struttura durante lo sviluppo. Sono gli elementi del
patrimonio genico che passano in eredità da una generazione all’altra.
Ecco i protagonisti del nostro discorso: cellula, nucleo, cromosomi, filamenti, DNA. Poi ci sono i cromosomi e i
geni che si delineano sulla molecola del DNA.
2. La terapia medica
Studiando questa struttura la medicina biologica ha fatto grandi progressi, innanzitutto con il grande discorso
del “Progetto Genoma” di cui si parla molto in questi giorni. La prima ricerca si è conclusa proprio oggi con il
fare la sequenza dei geni sulle molecole del DNA presenti nei cromosomi, che noi abbiamo nelle nostre cellule.
Questa prima fase equivale a costruire una carta geografica: la mappatura dei geni. Cioè sappiamo dove sono
i geni, però non sappiamo ancora come funzionano i geni. Noi abbiamo sequenziato il genoma, ma non
sappiamo ancora tutti i volti dei geni, qual è la loro funzione e quindi com’è regolata l’attività. Questa sarà la
seconda fase di traduzione del Progetto Genoma che si apre adesso.
Ora, questa conoscenza dei geni permette dei nuovi tipi di terapia dei medicinali.
• La terapia di tipo sostitutivo. Posso utilizzare dei geni per costruire delle proteine che poi utilizzo come
farmaci. È il caso dell’insulina: io metto in un battere, in un segmento di questo gene, dell’insulina umana; il
batterio si replica molto velocemente e tiro fuori dal batterio questa proteina da lui prodotta e la utilizzo come
farmaco (è una possibilità).
• Oppure posso fare una terapia di sostituzione genetica. Per esempio, si ottiene nella sperimentazione
di certi tipi di tumore, con il riparare o sostituire il gene. I tumori in molti casi sono dovuti a delle disfunzioni
nel genoma, a delle mutazioni genetiche. Nel genoma è possibile riparare quei tratti, di reintrodurre
nell’organismo le cellule, il cui genoma è stato riparato, sperando che si riproducano, in modo che rimpiazzino
quelle cellule tumorali che sono state precedentemente bombardate, ad esempio con la radioterapia, e in
questo modo la popolazione sana di cellule soppianta la popolazione malata di cellule.
• Poi c’è tutto il grande campo delle diagnosi pre-natali. È possibile fare delle mappe cromosomiche dei
feti dei bambini quando sono ancora nell’utero materno.
• Poi ci sono nuovi tipi di medicina che vengono detti medicina preventiva, per cui nell’adulto posso
studiare il suo genoma, per esempio prendendo delle cellule del sangue e studiare che probabilità ha questo
individuo di contrarre una certa malattia. Cosicché uno non è più ammalato di una malattia che ha già
contratto, ma di una malattia potenziale. Si dice “ammalati di rischio”: sono ammalato di un rischio di
prendere una malattia; però attualmente non c’è ancora. Questo tipo di situazione è in grado di rendere i
pazienti “impazienti”, perché uno è continuamente in ansia nel tentativo di sapere se questa malattia
effettivamente viene fuori oppure no. In questo caso il consumo dei servizi sanitari aumenta rapidamente,
perché un uomo si sottopone continuamente a degli esami per capire che cosa sta succedendo. Alcune
persone diventano estremamente ansiogene e questo comporta tutta una serie di problemi.
• Inoltre è possibile personalizzare i farmaci, di farli al tipo di genoma che una persona ha. Perché
ciascuno di noi più o meno è sensibile a determinati farmaci. Se nel genoma di una persona posso ritagliare il
farmaco, al quale è più sensibile, la tagliamo su misura (è un po’ come il fare un vestito su misura). In
prospettiva si potrà fare dei farmaci su misura.
• Poi la medicina libera attiva. Questa agisce sulle cellule germinali (i gameti ovocita e spermatozoo,
rispettivamente per la femmina e per il maschio). Lavorando su queste cellule si possono modificare i caratteri
che poi vengono trasmessi (caratteri ereditari) ai figli.
2
• Quindi si comincia dire: perché non modifichiamo quel gene che ti rende più resistente alla fatica? Perché
non modifichiamo quel gene che ti rende capace di dormire di meno, così puoi al vorare di più e avere più
tempo libero? Per cui si apre questo scenario inquietante in cui si rende possibile migliorare lo stato della
propria esistenza. Perché il problema è: cosa vuole dire migliorare? Quali sono i criteri attraverso cui
comunicare? Questa è la teoria eugenetica positiva. L’eugenetica non è solo negativa, cioè l’eliminazione
degli individui che non corrispondevano a dei criteri desiderati. Adesso invece diventa possibile modificare
positivamente i figli che nasceranno, vogliamo o ricerchiamo delle persone con delle determinate
caratteristiche.
Questo apre tutto il grande problema della medicina del desiderio, in cui è possibile soddisfare i desideri di
salute, ma anche di vita beata, perché dipendente da una modalità di vita corporea che in ciascuno di noi
(basta vedere i miti) rappresentano il nostro inconscio collettivo.
3. La clonazione
Ora affrontiamo la questione della clonazione. Qui occorre aprire un ampio discorso, salvo poi nel dibattito
riprenderlo nella misura più possibile delle competenze di cui disponiamo per affrontare altri temi.
La clonazione è però una parola già di per sé un po’ equivoca, perché ha come centro del suo significato
questo: due organismi hanno un’identità genetica uguale; “tu sei clone di un’altra persona”. Infatti, certe volte
si è parlato di “tipo fotocopia”; cioè l’idea di clonazione è centrata sul concetto di identità genetica. Però in
pratica la clonazione si dice di diverse cose:
• Innanzitutto del tipo di organismo che è coinvolto, quale tipo di identità biologica è coinvolta.
Può essere coinvolto un singolo gene: preparato di clonazione nel caso dell’insulina. Per esempio è già
stato fatto nella terapia sostitutiva dell’insulina nel caso del batterio.
• Oppure la clonazione può essere un processo che coinvolge una linea cellulare del tessuto, per
esempio la pelle; così per sanare la pelle farla crescere in laboratorio e poi utilizzarla per esempio in casi
di ustione. Quindi la pelle clonata può essere trapiantata sulla persona che ha ricevuto questo danno
molto esteso della superficie cutanea.
• Oppure può riguardare un organismo intero, per esempio il caso della pecora Dolly. In questo
caso, avvenuto nel febbraio del 1997 al Roslin Institute di Edimburgo (che i giornali hanno parlato
molto), si trattava di una clonazione di un organismo intero.
Che cos’è la clonazione? E qual è la tecnica usata per Dolly? Fondamentalmente ci sono due tecniche di
clonazione.
• La prima, più semplice e vastissima (è già stata fatta nel 1993 da alcuni ricercatori della Washington
University), è gemellare. Praticamente si fa in laboratorio quello che succede quando nascono due
gemelli mona-biologici. Cioè la cellula originaria, che è lo zigote, dopo la fecondazione si divide per avere
due cellule geneticamente identiche e ciascuna di esse da origine a un embrione che poi sui sviluppa e
dà un bambino, e nascono due gemelli geneticamente identici.
• Poi c’è una seconda tecnica di modalità di clonazione, quella del trasferimento del nucleo
cellulare. In questa tecnica si prende un ovocita (chiaramente genetica) e si toglie il nucleo, che
contiene 23 cromosomi. (Di solito le cellule umane sono atomi che contengono 46 cromosomi. Le cellule
germinali ne contengono la metà attraverso un processo molto complesso, che non stiamo a descrivere.
In questo processo avviene che i cromosomi sedimentano in modo che – quando l’ovocita incontra il
pianeta maschile, lo spermatozoo, ricco di fluido – il patrimonio cromosomico della specie umana è di 46
cromosomi). Quindi si toglie questo nucleo di 23 cromosomi, si prende un altro nucleo di una cellula
somatica (nel caso di Dolly era la cellula del tessuto della ghiandola mammaria ), si introduce nella
citoplasma e, stranamente perché nessuno se l’aspettava, questo nucleo diventa capace di regredire ad
uno stadio in cui è possibile produrre (realizzare) un intero organismo, in un certo qual senso un
embrione.
Questo è un fatto che un’altra volta ha infranto un secondo dogma della biologia. Per cui si diceva che la
cellula somatica, una volta che ha preso una via di sviluppo (che è presente nella cellula muscolare, nella
3
cellula della pelle, nella cellula del cervello…), è aumentata e specializzata; non è più possibile farla
tornare indietro ad uno stadio in cui diventa nuovamente capace di produrre un intero organismo: cioè
la riprogammazione cellulare. Teniamo presente che ci sono voluti 278 tentativi degli scienziati di
Edimburgo per fare nascere la pecora Dolly, per cui qualcuno ha detto: “Un cavallo non è riproducibile,
quindi è stata una cosa assolutamente casuale, cioè avete fatto un errore”. Ma ora pian piano sono
riusciti a far vedere che si poteva riprodurre.
Quindi la clonazione può avvenire di entità biologiche diverse e con tecniche diverse: la fissione gemellare e il
trasferimento di nucleo. Quindi in senso stretto, il trasferimento di nucleo viene chiamato clonazione.
3.1. La finalità della clonazione
Ma c’è un altro punto interessante: la clonazione differisce anche per gli intenti e le finalità per la quale viene
operata. Ci sono due grandi finalità:
1) Riproduttiva.
2) Sperimentale o (e oggi si è aggiunta)
terapeutica.
Quindi, la parola “clonazione” è precisa di significato quando è fatta di due organismi geneticamente identici.
Ma poi, quando si parla di clonazione, si parla: di tecniche diverse (di seme gemellare e di trasferimento di
nucleo); di identità biologiche composte diverse (un gene, un tessuto, un organismo); e infine di obiettivi, di
scopi, di fini diversi.
3.1.1. Clonazione a fini riproduttivi
• I “fini riproduttivi” sono stati subito banditi dalla Comunità scientifica. Per vari motivi si è fatta
negli Stati Uniti una moratoria. Negli altri Paesi europei, in Comitati nazionali, si è aperta una dialettica: si sono
espressi con motivazioni varie per dire che non si deve fare. Alcuni hanno sostenuto che c’è una grossa
insicurezza sanitaria, cioè con molti rischi (forse l’1%; in alcuni animali c’è un rendimento dell’1/2%), quindi è
immorale esporre un cammino esistenziale equilibrato. Però qui vedete l’incertezza di questa motivazione,
perché appena ci sarà più sicurezza sanitaria si dirà invece di accettare.
In Europa c’è stata una reazione di tipo diverso, perché noi siamo segnati da una specie di mentalità segnata
dalla morale kantiana, per cui si è detto: la clonazione in realtà non rispetta la persona come un fine
ma la strumentalizza, perché io non la voglio per sé ma per un altro. Cioè faccio una persona che non è
specificamente diversa e originale come avviene durante la procreazione, ma costruisco una persona che è
identica ad un’altra. Quindi detengo quella specificità, quella originalità, per cui si può dire che la persona è un
unicum, è anche un fine in sé. Quando invece è tutt’altro che fare una copia, che non rispetta questa finalità
che è enunciata nell’imperativo kantiano in termini di: “Tratta sempre la persona anche come fine e mai
solo come mezzo”. La nostra Commissione europea ha aderito e su questo si detto: “Non la si può fare”.
Tuttavia questo punto rimane discusso, anche oggi alla Commissione europea si sta discutendo su questo
problema.
• Ma c’è qualcun altro che ha fatto notare che la clonazione ha un’altra caratteristica, eticamente
molto creativa, di eliminare la sessualità. In fondo, nella clonazione in particolare risulta inutile la figura
maschile. Nel senso che Dolly è nata da una pecora femmina, che aveva a disposizione tutto il materiale
biologico necessario per produrre un’altra pecora; ma non è la stessa cosa per il maschio. Il maschio risulta
inutile, perché è indispensabile l’ovocita; è il solo ambiente cellulare in cui il nucleo della cellula può regredire
e diventare capace di produrre e differenziarsi per costruire un altro clone.
A questo punto è interessante la riflessione di alcuni filosofi che dicono: “Guardiamo bene cosa sta facendo la
scienza su questa faccenda della procreazione, della clonazione a fini riproduttivi. Quello che sta succedendo è
che noi eliminiamo la sessualità, che è una conquista dell’evoluzione della biosfera”. Dicono questi pensatori:
“Guardate com’è avvenuta l’evoluzione:
4
•
Nel minerale non c’è né riproduzione né morte, in quanto un sasso inizia nell’epoca geologica in
cui si è trovato e continua così , uguale a se stesso, fino a logorarsi e consumarsi per effetto del tempo. Ma
non muore in se stesso e neanche si riproduce; è identico a se stesso nel tempo.
•
Ma ci sono degli organismi che si riproducono in un altro modo che viene chiamata aganica,
asessuata. Queste sono gli organismi di alcune piante, per esempio alcuni protozoi o anche alcuni
vermi. In questo caso succede che l’organismo dà origine ad una parte fissa più giovane, che si stacca
dall’organismo precedente ed è geneticamente uguale a colui che gli ha dato il gene. Per cui questo tipo di
organismo biologico propriamente non muore, ma si continua in un altro organismo geneticamente identico
che è la clonazione di se stesso. È la riproduzione dell’identico; cioè un organismo identico si continua
nel tempo uguale a quello di prima”.
•
Abbiamo poi il terzo tipo di riproduzione che è la riproduzione sessuata o ganica. In questo caso
succede che due cellule, di due organismi diversi, s’incontrano e danno libero a un terzo organismo diverso
da entrambi, che avranno vita autonoma e i genitori moriranno. Quindi morte e sessualità, la trasmissione
della vita attraverso la sessualità, sono strettamente connessi.
Per cui questi pensatori dicono: “Attraverso la “clonazione a fini riproduttivi” noi stiamo invertendo la
direzione del processo evoluivo della biosfera a cui apparteniamo. Stiamo rischiando di eliminare le
caratteristiche simboliche della specie umana, che è il vivere nella finitezza e nella diversità”. Attraverso
quell’uovo fecondato diverso da me (cromosoma) noi trasmettiamo la vita, attraverso un processo che è
relativamente all’altro, che è dono di sé. Per cui dicono: “Attenzione perché in questi processi di clonazione
riproduttiva rischiano di invertire il senso dell’evoluzione della biosfera, che in tanto tempo hanno permesso
alla specie umana di essere quello che è. Quindi rischiamo di mettere a repentaglio le caratteristiche
simboliche della nostra specie”.
(Queste sono alcune considerazioni sulla “clonazione a fini riproduttivi”. Si potrebbero svilupparne altre ma
eventualmente lo faremo nel dibattito).
3.1.2. Clonazione a fini sperimentali o terapeutici
La clonazione a fini sperimentali e terapeutici, quella presso cui si è pronunciato il Comitato messo in piedi dal
ministro Veronesi a fine dicembre u.s.
• Tutta la faccenda era nata in Inghilterra nell’agosto del 2000 dal “Rapporto Donaldson”. Questo
rapporto era stato creato dal gruppo che il primo ministro Tony Blair aveva incaricato di rispondere ad alcune
domande. Una domanda era: si può far nascere un embrione a scopo terapeutico per adulti lavorando sulle
cellule staminali?
La domanda va spiegata: cosa sono le cellule staminali? Sono delle cellule che hanno la caratteristica di
riprodursi a lungo e in grande quantità, con le quali è possibile sconfiggere altre cellule, differenziandosi nei
diversi tipi di tessuto. Cioè nel trapianto posso sostituirle e farle diventare cellule della pelle, del muscolo e del
cervello. Questo permette alle cellule staminali di essere usate (per ora in teoria) come terapeutiche
per reggere organi che non funzionano più, specie a quello che capita analogamente nei trapianti. Per
esempio, posso usare le cellule staminali nel morbo di Parkinson o in prospettiva nel diabete (farli maturare
nel pancreas in modo di coltivare tessuti dell’insulina) o in certi tipi di infarti, ecc.
Allora succede che le cellule staminali hanno un grosso valore potenziale. Da dove vengono le cellule
staminali? Da diversi luoghi, e uno di questi è dall’embrione, anzi pare che quelle embrionali abbiano
caratteristiche particolarmente interessanti. Allora si è detto: possiamo usare degli embrioni adulti per
ricavarne cellule staminali e studiare questo tipo di ipotesi terapeutica?
Il “Rapporto Donaldson” risponde: si, con la clonazione possiamo produrre dagli embrioni delle cellule
staminali; quindi possiamo usare degli embrioni che sono già conservati in frigorifero, perché sono rimasti
dopo delle procedure di fecondazione in vitreo a cui non si è dato corso per vari motivi. Quindi vale la pena di
usare questi embrioni per fare una terapia possibile; per cui si ha la possibilità di fare delle terapie a persone
bisognose che nella nostra società sono molte numerose. Si pensa che su 30 milioni di persone malate in
Italia, circa 10 milioni potrebbero trarre giovamento dall’utilizzazione di cellule staminali; quindi una
rivoluzione.
• Qual è il problema di fronte a questa situazione? Il problema innanzitutto riguarda l’utilizzazione degli
embrioni. Gli embrioni sono entità zigote che se lasciate sviluppare in un ambiente a loro favorevole danno
5
origine ad un bambino. Allora si è detto: possiamo usare questi embrioni – produrli qualora ci interessi
costruirli o usarli qualora ne avessimo già conservati in frigorifero – per studiare le cellule staminali? Il
“Rapporto Donaldson” ha riposto di sì , perché ha detto: in fondo i benefici che ne abbiamo sono maggiori dei
costi. Sulla base di un calcolo costi-benefici delle prime necessità hanno detto: “Il fine giustifica i mezzi”.
A mio modo di vedere su questa questione c’è un po’ di confusione, nel senso che effettivamente quando
ragioniamo in termini tecnici “il fine giustifica i mezzi”. Questo è quello che fa la tecnica, che non si ferma sui
fini, ma si domanda solo: per raggiungere quel fine, che noi non vogliamo discutere, qual è il modo più
efficiente e più efficace? La tecnica ragiona così , perché mette tra fine e mezzi un rapporto di esperienza; sono
considerate due entità diverse.
4. La coscienza etica
Invece, per la coscienza etica, “fine e mezzi” sono intrinsecamente come il rapporto che c’è tra il
seme e l’albero. Il fine è l’albero e si pratica utilizzando quel seme. In altre parole per l’etica la
comprensione del rapporto tra fine e mezzi è tale per cui nei mezzi c’è già il fine di capire. Quindi, il fine verso
cui tendiamo in etica è la promozione e la costruzione della persona. Il principio del fine dell’etica è sempre la
persona, perché chi agisce è la persona. Ciò che la persona cerca di mettere in atto – attraverso le sue cellule,
le sue decisioni e i valori a cui tende – è di nuovo la promozione della persona. Quindi sembra impossibile, dal
punto di vista etico, usare delle modalità di azione che compromettono in radice la persona (che la
impediscono di vivere) per ottenere un fine che è la promozione della persona; non sta in piedi in un’ottica che
considera l’etica dal punto di vista personalista, e che personalmente mi ritrovo di più.
È un po’ come quando si vuole ottenere la pace con la violenza; quelli che ci hanno provato non ci sono
riusciti, se non per brevissimi periodi, ma non era vera pace. È come volere ottenere la giustizia con la
menzogna; c’è qualche cosa di intrinsecamente contraddittorio: non c’è coerenza tra la moralità di svolgimento
dell’azione e l’obiettivo che nell’azione ci vuole.
• Quindi, dal punto di vista utilitaristico si fa un calcolo costi-benefici: si concepisce il rapporto tra
mezzi e fini in modo estrinseco è la cosa viene legittimata. Ma se li prendiamo com’è veramente l’etica – che è
riferita ad una certa visione della persona, che però a mio modo di vedere può valere per tutti perché è molto
ragionevole – non è sostenibile, non è compatibile; è uno dei luoghi della ricerca scientifica non in
compatibilità con un autentico bene della persona, che è poi quella che cerchiamo.
Il discorso è delicato, perché questa questione dell’embrione è anche in Italia e in Francia. Che l’embrione sia
persona oppure no è difficile affermarlo, le discussioni sono molte e anche interessanti. Però una cosa è certa:
se io non fossi stato rispettato e tutelato nel momento in cui ero embrione non sarei ora qui a parlarvi. Quindi,
in fondo, se io impedisco all’embrione di passare per i due stadi di sviluppo – stadi estremamente fragili e
anche incerti –, non ci sarà nessuna persona che si sviluppa. In un modo o nell’altro a me è stata data questa
possibilità, di cui sono fondamentalmente grato, quindi è un compito di giustizia dare agli altri le stesse
possibilità di vita che sono state date a me. È una semplice questione di giustizia, non c’è nessun’altra
ragione astrusa. È quello che chiamiamo spesso “le pari opportunità”: le opportunità che ci sono state date per
vivere è giusto che io le garantisca ad altri.
È un discorso analogo a quello che facciamo per il pianeta da consegnare ai nostri posteri, sperando di fare
uno sviluppo compatibile con la vita sostenibile nel futuro. In fondo anche questo è un ragionamento
problematico: perché dobbiamo consegnare a più posteri un pianeta in cui la vita sia possibile per loro? È un
grosso problema che si pone anche Budy Hallen, quando dice: “Ma io che dovere ho verso i miei posteri? in
fondo loro cosa hanno fatto per me?”. Il problema è della generazione futura, per chi non c’è ancora; però a
me mi sono state date queste possibilità di vita sulla terra, quindi è giusto che chi verrà domani possa averle
anche lui, così anch’io devo essere per lui.
5. L’origine della persona
• Quindi siamo responsabili verso chi è in cammino nella sua crescita di uomo. Tutto questo ragionamento si
basa anche sui miei rapporti personali con la mia origine. In fondo devo ammettere la stabilità e
l’incertezza della mia origine. Ci sono vari modi per scappare da quello. A mio parere uno dei problemi è di
proiettare l’embrione già alla persona già fatta. L’embrione è persona, ma è difficile dirlo. Eppure, devo
ammettere che ci sono dei momenti nella mia crescita che sono stati stadi oscuri e incerti, difficili da definire;
una delle caratteristiche della persona è indefinibile, sempre aperta agli enigmi.
6
Come anche dall’altra parte si può sfuggire da questa incertezza della mia origine (con cui fare la pace)
dicendo: la persona non è tale fin che è grande (ci sono varie teorie che sostengono questo). Ora in questo
modo è come il voler rifiutare tutto quel processo, di certo oscuro, per cui: io non posso rispettarti come
persona fin che tu non sei davanti a me grande, già ben fatta, capace di negoziare, di avere una relazione da
adulto con me. Anche questo è un modo per sfuggire l’incertezza dell’origine. Eppure, un compito importante
è di ammettere e di riconoscere la nostra fragilità, per poter accedere ad un ragionamento che sia di tipo
etico, cioè basato sulla relazione e sulla reciprocità, che tende a tutelare la vita dell’altro.
Conclusione
• La questione della clonazione a fini terapeutici risulta molto problematica. Questo non vuole dire che non
si ha un bene da parte delle cellule staminali, perché possono essere ricavate da altre fonti, dai tessuti
dell’adulto. Ognuno di noi ha delle cellule staminali dentro di sé, nei muscoli, nel cervello, ma forse anche in
altri luoghi; possono essere prese e fatte moltiplicare e poi orientate in una direzione o nell’altra. È possibile
tirarle fuori da feti abortiti, quindi da tessuti che già non sono più in grado di vivere. È possibile tirarle fuori dal
sangue dei prodotti ombelicali, al momento delle nascite.
E possibile tirarle fuori forse, e questo è uno dei titoli di studio, dalle cellule adulte di forma umana che sono
state messe in un citoplasma di ovocita e il cui nucleo viene fatto regredire; un procedimento analogo a quello
della pecora Dolly, ma che non passa attraverso la formazione dell’embrione. Questa è la terza via, quella
italiana, che appunto il Comitato di esperti pilotato da Renato Dulbecco ha proposto e che sembra essere
interessante anche se non del tutto chiaro.
* Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore.
7
Scarica