Tematica 1 – Neuroscienze in tribunale

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Tematica 1 – Neuroscienze in tribunale
Esiste un gene che predispone l’essere umano a comportamenti quali l’alcolismo, la
tossicodipendenza o in generale a dei comportamenti asociali? Questi ipotetici
scenari, che legano un gene ad un comportamento non sono oggi più considerati
come plausibili, almeno in questa loro interpretazione semplicistica. I comportamenti
umani non risiedono infatti in un unico gene, ma emergono dall’interazione di
numerosi fattori, come l’ambiente, le relazioni, la storia dell’individuo e anche la sua
biologia. Nell’attuale dibattito è tuttavia riemerso un possibile legame tra
aggressività, ambiente e genetica. Alcune ricerche hanno infatti evidenziato delle
varianti genetiche che potrebbero spiegare come mai in uno stesso ambiente
sfavorevole solo alcuni individui sviluppano comportamenti aggressivi.
Questi geni sono stati denominati i geni dell’aggressività. In base a diversi studi
internazionali, si è osservato un significativo aumento del rischio di comportamento
aggressivo in presenza di una specifica variante genetica. In particolare l’essere
portatore dell’allele a bassa attività per il gene MAO-A potrebbe rendere il soggetto
maggiormente incline a manifestare aggressività. Altri geni come il DAT1 o il DRD2
sembrerebbero determinare un aumento all’aggressività, ma sempre in seguito a
situazione di stress sociale vissute in età giovanile. Il gene MAO-A produce un
enzima in grado di attivare nel cervello dei neurotrasmettitori fondamentali per il
comportamento, ossia la dopamina, la noradrenalina e la serotonina. Sembrerebbe
quindi che anche se non esiste un gene che porti in seno l’aggressività delle
persone, i portatori della forma MAO-A (e DAT1 o DRD2), se hanno vissuto in
ambienti socialmente sfavorevoli o sotto stress, potrebbero diventare aggressivi o
violenti da adulti.
Alcuni ricercatori sostengono che al di là delle implicazioni morali sull’etichettare le
persone, si potrebbero almeno comprendere certi crimini, o assegnare minori
responsabilità agli imputati portatori di queste varianti genetiche. Anche delle analisi
basate sulla visualizzazione dell’attività cerebrale potrebbero essere utilizzate per
capire le capacità di intendere e volere degli imputati.
Brain2Brain, Parlamento dei Giovani – Liceo Lugano 2
Il caso 1: Un uomo residente in Italia accoltella a morte una persona nei pressi della stazione ferroviaria di
Udine. Nel corso del giudizio di primo grado, attraverso una perizia psichiatrica tradizionale, viene riscontrata
un’importante patologia psichiatrica con disturbo della personalità e tratti impulsivi. L’imputato viene dunque
ritenuto una persona con seminfermità mentale con conseguente cospicua riduzione della pena. La sentenza
viene però appellata dalla difesa dell’imputato. Per il nuovo accertamento entrano in gioco le neuroscienze e la
genetica con una perizia condotta da un neuropsicologo e un esperto di genetica molecolare. La nuova perizia
presenta i dati di un test genetico da cui è emerso che nel DNA dell’imputato si riscontra la variante del gene
MAO-A a bassa attività. La Corte d’Assise d’Appello di Trieste, per “l’importanza del deficit riscontrato con le
nuovissime risultanze frutto dell’indagine genetica” stabilisce di applicare la massima riduzione di pena prevista.
La sentenza (n.5/2009) del 18 settembre 2009, è la prima in Europa in cui una chiara predisposizione genetica
tendente alla manifestazione di un comportamento aggressivo viene riconosciuta come parte delle attenuanti.
E.
Feresin,
Lighter
sentence
for
murderer
with
http://www.nature.com/news/2009/091030/full/news.2009.1050.html
'bad
genes',
Nature
30
November
2009
Il caso 2: Anche per questo caso le neuroscienze cognitive e la genetica molecolare fanno ingresso in un'aula di
tribunale a Como (2011), portando a una riduzione di pena in un caso di omicidio sulla base della parziale
incapacità di intendere e di volere dell’imputata. Nella sentenza si legge che l'imputata, una giovane donna che
ha ucciso la sorella, ne ha bruciato il corpo e successivamente è stata colta in flagrante nel tentativo di uccidere
anche la madre, possiederebbe “tre alleli sfavorevoli, ovvero alleli che conferiscono un significativo aumento del
rischio di sviluppo di comportamento aggressivo impulsivo” e “alterazioni nella densità della sostanza grigia, in
alcune zone chiave del cervello, in particolare nel cingolo anteriore, un'area del cervello che ha la funzione di
inibire il comportamento automatico e sostituirlo con un altro comportamento e che è coinvolto anche nei
processi che regolano la menzogna, oltre che nei processi di suggestionabilità ed autosuggestionabilità e nella
regolazione delle azioni aggressive”.
E. Feresin, Italian court reduces murder sentence based on neuroimaging data
http://blogs.nature.com/news/2011/09/italian_court_reduces_murder_s.html
Le questioni
L’agire criminale è da ritenersi normalmente libero frutto di un’intenzione
consapevole del soggetto? Ha senso punire chi è “determinato all’aggressività” dal
punto di vista biologico? Si moltiplicheranno le assoluzioni grazie agli esami cerebrali
dell’imputato? Gli psicopatici dovranno essere “scusati” a motivo del loro (presunto)
deficit di empatia?
La vostra presa di posizione
-
Quali conseguenze avrebbe per i tribunali, la scoperta che un particolare
criminale esprime una variante genetica che lo predispone a compiere atti
violenti? Bisognerebbe immaginare una riduzione di pena?
-
Bisogna sottoporre tutti gli imputati che hanno commesso atti violenti a dei
test genetici per definire la gravità di una pena?
Referenze: Craig IW and Halton KE. Genetics of human aggressive behaviour Hum. Genet. 2009
Jul;126(1):101-13. Epub 2009 Jun 9 http://www.springerlink.com/content/h580428n60667643/fulltext.pdf
Brain2Brain, Parlamento dei Giovani – Liceo Lugano 2
Tematica 2 – Aumentare le capacità cerebrali
Vuoi migliorare le prestazioni del tuo cervello? Aumentando per esempio memoria e
attenzione prima di un esame? Che cosa faremmo se fosse disponibile una piccola
pillola da tenere in tasca e da prendere con un sorso d’acqua prima di una prova
scritta? Se un giorno potessimo disporre di sostanze capaci di “potenziare” memoria
e funzioni cognitive, sarebbe giusto renderle disponibili a tutti?
In realtà, tutto questo sembra per ora essere solo fantascienza (si veda il film
“Limitless”: http://it.wikipedia.org/wiki/Limitless) eppure, dal punto di vista culturale la
nostra società già assume farmaci o droghe per riuscire a superare i propri limiti: un
calmante per ridurre l’ansia da esame, un energy drink per resistere più a lungo agli
sforzi, un antidepressivo per superare la tristezza di un lutto.
Anche se la “pillola miracolosa” ad oggi non esiste, c’è chi già oggi abusa di farmaci
normalmente utilizzati per ridurre i sintomi della malattia di Alzheimer o sostanze
utilizzate per aumentare l'attenzione nei bambini nei casi di disturbo dello sviluppo.
Lo scopo è di ridurre l’affaticamento nello studio e nello stesso tempo di potenziare
le proprie capacità cerebrali (brain enhancement).
Nei college statunitensi è in preoccupante crescita l’abuso delle "smart drugs", che si
basano sui farmaci utilizzati per il trattamento di patologie psichiatriche e
neurologiche. Un numero cospicuo di studenti "abusa" e traffica illegalmente farmaci
a base di metilfenidato per l'ADHD (deficit dell’attenzione e iperattività) o farmaci per
la narcolessia. Il metilfenidato aumenta la memoria di lavoro consentendo in tal
modo di immagazzinare una maggior quantità di informazioni e di favorirne la
trasformazione in memorie durature. Attraverso tecniche di visualizzazione
dell’attività cerebrale si è osservato che il metilfenidato induce una maggior attività di
strutture quali l’ippocampo e il lobo temporale, entrambi coinvolti nelle memoria di
lavoro e in quella spaziale. Più recentemente è stato appurato che il modafinil, un
farmaco usato nella narcolessia, aumenta le prestazioni di persone normali. Sono
aperte anche nuove linee di ricerca, come quelle sulle ampakine, che promuovono il
consolidamento della memoria. I risultati di queste sostanze sono ancora
contradditori e non privi di conseguenze sulla salute. I numeri però parlano già
chiaro: in un sondaggio svolto su circa 700 studenti dello Skidmore College (Stato di
New York) è emerso che durante l'anno scolastico
Brain2Brain, Parlamento dei Giovani – Liceo Lugano 2
2010-11 il 24% degli studenti aveva assunto farmaci utilizzati per il trattamento
dell'ADHD senza prescrizione medica I neurostimolatori attualmente in circolazione
hanno, comunque, tutti un’efficacia molto limitata, mentre pongono non pochi
problemi riguardo alla loro sicurezza. I numeri parlano anche chiaro per quanto
concerne gli effetti indesiderati: le visite al pronto soccorso negli USA legate all'uso
di questi stimolanti, solo nelle fascia di età 18-25, sono quasi quadruplicate dal 2005
al 2010 Senza dimenticare che gli effetti a lungo termine di queste sostanze sono,
peraltro, ancora quasi sconosciuti. Ed è così che i controlli antidoping si stanno piano
piano spostando dai campi sportivi alle aule universitarie. Il buon vecchio caffè è
sostituito con nuovi farmaci. E in alcuni dipartimenti dell’università di Cambridge in
Inghilterra si sta valutando l'ipotesi di introdurre dei test di controllo prima degli
esami.
Le questioni
Il potenziamento delle capacità del cervello apre interrogativi più vasti sul significato
e sui valori della persona: modificare il cervello significa modificare la persona; cosa
significa, quindi, essere una persona? Apre anche questioni complesse sul
significato dell’apprendimento e di intelligenza: intelligente è chi sa o chi ricorda a
memoria qualcosa? Plasmare le nostre sinapsi e alterare i circuiti cerebrali con una
sostanza permette di assimilare le informazioni e di disporre del sapere allo stesso
modo? Sapere non è sinonimo di creatività, concentrarsi su un solo aspetto significa
anche riuscire ad affrontare in maniera adeguata la complessità degli stimoli che
riceviamo? Per intanto la pillola miracolosa non c’è. Oggi assumere i farmaci descritti
significa inondare tutto il cervello (e non solo i centri della memoria e dell’attenzione)
di sostante che modificano i neuroni con numerosi effetti secondari. Ma se un giorno
fosse disponibile?
La vostra presa di posizione
-
-
È necessario regolamentare l’uso di possibili futuri potenziatori della capacità
cerebrali?
Se fosse disponibile la “pillola perfetta” che potenzia le nostre capacità
cognitive senza evidenti effetti secondari, sarebbe giusto metterla a
disposizione in distributori automatici all’interno delle scuole?
Che cosa vuole dire essere intelligenti? È giusto ridurre il sapere ad una
somma di singole prestazioni?
Vi è una differenza fra il potenziamento cognitivo somministrato con un
trattamento farmacologico ad un anziano con perdita di memoria e ad un
giovane in buona salute?
Referenze
Gary Stix, Ritalin and Other Cognitive-Enhancing Drugs Probably Won’t Make You Smarter. Scientific American, December 7,
2011 http://blogs.scientificamerican.com/observations/2011/12/07/are-we-as-smart-or-dumb-as-we-can-get/
Henry Greely, Barbara Sahakian, John Harris, Ronald C. Kessler, Michael Gazzaniga, Philip Campbell & Martha J. Farah.
Towards responsible use of cognitive-enhancing drugs by the healthy, Nature, Dec. 2008
M.J. Farah, J. Illes, R. Cook-Deegan, H. Gardner, E. Kandel, P. King, E. Parens, B.E. Sahakian, P.R. Wolpe, Neurocognitive
Enhancement: what can we do and what should we do?, in «Nature Reviews Neuroscience», 5, 2004, pp. 421-425.
Brain2Brain, Parlamento dei Giovani – Liceo Lugano 2
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