Kant e Godel - Filosofia e Scienze umane

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Filosofia
Kant e Godel
Sulle possibilità conoscitive della ragione
di Gianluca Caputo
Kant e la teoria dell’incompletezza nella Critica della Ragion Pura: se la conoscenza
pretende di essere completa si sottopone al rischio di incoerenza (ossia di essere
contraddittoria); se vuole assicurarsi la coerenza, di contro, deve accettare di essere
incompleta. Kant ha così anticipato il Teorema dell’incompletezza matematica di Godel?
Proviamo a capire.
Possiamo iniziare notando che questo principio fondamentale, che sarà il fulcro del futuro Teorema
di Gödel, era stato già enunciato chiaramente da Kant, sia nella Critica della ragion pura che nei
Prolegomeni ad ogni metafisica futura.
Partiamo da un testo classico che si trova in quasi tutti i manuali scolastici di filosofia.
La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze, ha il destino particolare di
essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le sono posti dalla
natura della stessa ragione, ma dei quali non può trovare soluzione, perché
oltrepassano ogni potere della ragione umana. In tale imbarazzo cade senza sua
colpa. Comincia con i princìpi, l’uso dei quali nel corso dell’esperienza è inevitabile,
ed è insieme sufficientemente verificato da essa. Con essi la ragione sale sempre più
in alto, a condizioni sempre più remote. Ma, accorgendosi che in tal modo il suo
lavoro deve restare sempre incompiuto, perché i problemi non cessano mai di
incalzarla, si vede costretta a ricorrere a princìpi che oltrepassano ogni possibile uso
empirico e, ciò malgrado, paiono tanto poco sospetti che il senso comune sta in
pieno accordo con essi. Se non che, per tal modo, incorre in oscurità e
contraddizioni, dalle quali può bensì inferire che in fondo devono esservi da qualche
parte errori nascosti, che però non riesce a scoprire… (Kant, Critica della ragion
pure, trad. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza, Roma-Bari 1995)
Ad una prima lettura si nota una sostanziale differenza tra la “preoccupazione” kantiana e il
teorema di Godel: il primo parla di esperienza (e quindi princìpi che non possono essere verificati) e
quindi sostanzialmente di leggi fisiche, il secondo di matematica. Sulla completezza della seconda,
Kant, non avrebbe avuto dubbi, ma al di là del “contenuto” della questione, formalmente e da un
punto di vista strettamente gnoseologico i due filosofi offrono una prospettiva molto simile.
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Cosa dice invece il Teorema di Godel, senza riportare qua la sua formulazione logica (che lo
renderebbe incomprensibile ai più) ma tentando una sorta di parafrasi?
Ogni sistema assiomatico (ad esempio la matematica), ovvero un sistema che sia fondato da dei
principi e da delle regole deduttive tramite le quali possa dedurre delle proposizioni il cui valore di
verità dipenda da quei principi (che si chiamano teoremi), presenta degli enunciati veri il cui valore
di verità non è però dimostrabile all’interno del sistema. Ovvero: ogni sistema assiomatico è
incompleto. Proviamo a schematizzare:
Dati dei principi, o assiomi:
T1…Tn sono teoremi. Ora, la completezza di un sistema assiomatico prevede che data una
proposizione vera, all’interno di quel sistema, la verità di quella proposizione deve essere
dimostrabile a partire dagli assiomi, ovvero deve essere dimostrabile.
Se T è vera allora T è dimostrabile
Godel dimostra che nel sistema assiomatico matematico si possono dare proposizioni vere che non
siano dimostrabili, proposizioni, ad esempio del tipo:
“Io non sono dimostrabile”
Un “trucco” per ovviare al problema è quello di assumere la proposizione vera e non dimostrabile
come assioma. Non si tratta di un vero e proprio trucco, in realtà, in quanto è proprio la definizione
di assioma: proposizione vera ma non dimostrabile. Il problema è che non importa di quanti assiomi sia
composto il mio sistema, c’è sempre, all’interno di esso, una proposizione del tipo “Io non sono
dimostrabile”, vera e, come lei stessa dice, non dimostrabile. Ovvero: il mio sistema è destinato ad
essere incompleto anche assumendo un numero infinito di assiomi.
Rileggendo il passo di Kant di sopra sembra di leggere un processo di questo tipo, in generale, per la
mente umana: “…(la ragione) comincia con i princìpi […] accorgendosi che in tal modo il suo
lavoro deve restare sempre incompiuto…”.
Kant però nel suo passo parla anche di contraddizione: “Se non che, per tal modo, incorre in oscurità e
contraddizioni, dalle quali può bensì inferire che in fondo devono esservi da qualche parte errori nascosti, che
però non riesce a scoprire…”.
Kant infatti non si limitò a notare il fallimento dei tentativi di 'dimostrazione' di quelle che nella
Critica della Ragion Pura chiama Idee Trascendentali, ma andò ben oltre. Egli mostrò, mediante
quattro antinomie, che le idee trascendentali sono contraddittorie, e ne dedusse la seguente
conclusione: se si richiede completezza dalla ragione, permettendo la considerazione di idee 'al
limite', si cade nell'inconsistenza. In particolare, le idee trascendentali sono le colonne d'Ercole
dell'intelletto, e chi pretenda di oltrepassarle è destinato ad annegare nella contraddizione.
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La conclusione di Kant si può riformulare dicendo che se la ragione vuole essere consistente, non
può essere completa (nel senso di poter decidere ogni problema che essa si ponga). Se si
sostituisce 'ragione' con 'sistema matematico', si ottiene precisamente una formulazione del
Teorema di Gödel. E anche la dimostrazione di Gödel procede, in essenza, come quella di Kant: dato
un sistema matematico, Gödel considera un'idea trascendentale ottenuta come limite della non
dimostrabilità nel sistema (una formula che dica di se stessa che non è dimostrabile nel sistema), e
mostra che se il sistema è completo (cioè decide ogni formula, dimostrando o essa stessa o la sua
negazione) allora si cade nell'inconsistenza.
Traduciamo in termini ancora più semplici. Il teorema della consistenza dice:
“Se T è dimostrabile allora T è vera”
Le Idee trascendentali di Kant sono dimostrabili in entrambi le formulazioni antitetiche: “Il mondo è
finito” e “il mondo è infinito” e questo rende ovviamente il sistema incoerente, quindi
contraddittorio.
Il risultato viene spesso chiamato 'primo' Teorema di Gödel per distinguerlo da una sua
conseguenza, che è detta 'secondo' Teorema di Gödel:
“Nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza”.
Questa proposizione in termini quotidiani può essere intesa come l’affermazione di un uomo che, in
camicia di forza, ci dica: “Io non sono matto!”. Se è vera l’affermazione degli scolastici che ex falso
quodlibet, ovvero dal falso posso dedurre qualsiasi espressione, da un matto ci si può ben aspettare
qualunque affermazione, dunque anche quella di non esserlo. Da un punto di vista logico, Gödel
scoprì che la stessa situazione si presenta per i sistemi matematici. Un sistema è inconsistente
(matematicamente 'matto'), se da esso ci si può aspettare qualunque affermazione (cioè, se esso
prova qualunque formula). Ed i soli sistemi che provino la propria consistenza (cioè che affermino di
non essere 'matti') sono appunto quelli che sono inconsistenti.
Riassumendo possiamo dunque dedurre che: o la ragione ammette di avere dei limiti nella propria
conoscenza e che cioè che essa è destinata ad essere incompleta, oppure è destinata a cadere in
contraddizione, come l’assunzione dei princìpi “assoluti” delle Idee Trascendentali dimostrano.
Il secondo teorema è ancor più sconcertante se si traduce in un altro modo:
Se un sistema assiomatico può dimostrare la sua stessa coerenza, allora esso deve essere incoerente.
Proprio l’imbarazzo nel quale la ragione è destinata a cadere, senza sua colpa.
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