Giovanni Santangelo Ecologia: potenzialità e limiti. Abbiamo a disposizione una tecnologia avanzatissima, seguiamo religioni medioevali, conserviamo un’aggressività preistorica; come sarà possibile conciliare tutto questo e gestire saggiamente la nostra biosfera ? E.O. Wilson, Meeting UNESCO su “Biodiversity: science and governance”, Parigi, Febbraio 2005. La parola Ecologia Ecologia ed ambiente sono parole diventate di grande attualità a causa della crisi ambientale che stiamo vivendo. Questi termini sono diventati di moda; ricordiamo le affermazioni del “grande comunicatore” su manifesti stradali di 6 metri x 3, che ostentano “una particolare attenzione nei confronti dell’ambiente” (cui poi sono seguiti: condoni edilizi, immissioni di CO2 nell’atmosfera ben oltre i limiti stabiliti dagli accordi di Kyoto, politica dissennata delle discariche....). Seguiremo un atteggiamento più serio nell’affrontare i problemi dell’attuale crisi ambientale, partendo dalla scienza naturale che chiamiamo ecologia. Lo studio delle scienze naturali risponde alla nostra profonda esigenza di conoscere gli organismi viventi. Forse il fascino che queste discipline esercitano su di noi è stato stimolato dalle immagini dei documentari (Walt Disney, Cousteau, National Geographic....) o forse si tratta di una naturale curiosità infantile che può, da adulti, portare allo studio scientifico degli organismi viventi. L’ ecologia risponde proprio a questo interesse e, affrontando lo studio dei sistemi viventi interagenti, richiede un approccio interdisciplinare, di ampio respiro (e questo la rende particolarmente affascinante). L’ecologia è una scienza recente, che comincia a definirsi negli anni Cinquanta (dello scorso secolo), anche se alcune pubblicazioni importanti risalgono agli anni Venti. L’ecologia, “scienza di base” L’ecologia è una scienza di base che produce principi, teorie, modelli, ipotesi. Tutto questo può essere utile per gestire correttamente i problemi ambientali che la società deve affrontare e per informare correttamente l’opinione pubblica. La ricerca di base dovrebbe essere caratterizzata da originalità; dal desiderio di conoscere meglio i sistemi e le connessioni tra fenomeni e componenti. Nella storia della scienza ci sono innumerevoli esempi di come la ricerca di base abbia risolto problemi pratici e, al contrario, casi in cui la ricerca applicata ha dato origine ad ottima ricerca di base. Il monitoraggio ambientale, invece, che prevede l’applicazione di metodi standardizzati, non può essere considerato ricerca. 1 L’ecologia studia i sistemi viventi che costituiscono la biosfera. I sistemi viventi sono costituiti da componenti che, interagendo tra loro e con l’ambiente abiotico (non vivente), danno un prodotto (popolazione, comunità, ecosistema) con caratteristiche proprie, che non è la semplice somma delle sue componenti. Sistemi così “complessi” hanno comportamenti che non possono essere previsti studiandone solo le singole componenti. Tutto questo fa sì che spesso, intervenendo su una parte di un sistema naturale, si ottengano effetti assolutamente imprevisti. La letteratura ecologica è ricca di esempi di questo tipo in cui perturbazioni di comunità (popolazioni di differenti specie che vivono nello stesso ambiente e possono interagire) ed ecosistemi (la comunità più l’ambiente in cui vive) hanno prodotto risposte molto diverse da quelle attese. Ad esempio l’estinzione o l’introduzione di una specie possono provocare danni assolutamente non previsti; ad esempio, l’estinzione, nell’isola di Mauritius, del Dodo, uccello incapace di volare, ha rischiato di provocare l’estinzione di una specie arborea che dal Dodo dipendeva per la dispersione e la germinazione dei semi. L’estinzione di un predatore può provocare il crollo di una intera catena alimentare perchè le popolazioni delle prede, incontrollate, possono aumentare fino ad entrare in forte competizione tra loro escludendosi a vicenda. Anche l’introduzione di specie estranee provoca spesso conseguenze imprevedibili sulle comunità originarie, come vedremo più avanti In definitiva, poichè i sistemi ecologici sono complessi, risulta molto difficile formulare previsioni circa le loro dinamiche; è un po’ quello che succede con la metereologia nel caso di previsioni a lungo termine. Ricerche sull’inquinamento o ricerca di fondi? L’ecologia dovrebbe anche rispondere alle richieste, a volte drammatiche, che vengono dalla società: global warming, perdita di foreste, habitat, biodiversità, epidemie sono eventi drammatici che richiedono risposte basate su solide conoscenze scientifiche. Favorire lo sfruttamento razionale delle risorse biologiche e la loro conservazione dovrebbe essere attualmente il compito principale degli ecologi ma l’esigenza di trovare fondi per le proprie ricerche (che spesso hanno una ricaduta sociale ed ambientale nulla...) diventa spesso dominante. A quest’esigenza può venire incontro un’azienda inquinante per la quale è molto più economico finanziare “un po’di ricerca ambientale” che abbattere i livelli di immissioni inquinanti. Una grande azienda petrolifera, ad esempio, finanzia progetti per lo studio della biodiversità in paesi in via di sviluppo ma si guarda bene dall’affrontare il problema della riduzione dell’immissione di CO2 attraverso la sostituzione dei combustibili fossili con altre fonti energetiche. In questi casi la ricerca serve solo a “ripulire” l’immagine di un’azienda che vuole apparire, agli occhi dell’opinione pubblica, “sensibile” ai problemi ambientali. 2 Nuove frontiere dell’ecologia: organismi ed ecosistemi da esplorare. La ricerca in ecologia comporta anche la scoperta di nuovi organismi, nuovi ambienti e nuovi ecosistemi. Qualche esempio. Attorno alla metà degli anni ’70 è stata scoperto il pikoplankton, una componente importantissima del plankton marino (il plankton è costituito da tutti gli organismi che vivono sospesi passivamente nella colonna d’acqua). Il pikoplankton, costituito da microorganismi di 0,2-2 millesimi di millimetro, realizza il 40% della fotosintesi (e della produzione di ossigeno) mondiale. A causa delle loro dimensioni questi organismi erano stati precedentemente ignorati. Altri organismi, sconosciuti fino a pochi anni fa, sono i thraustochytridi, microscopici funghi unicellulari marini, capaci di scindere le molecole di cellulosa componenti le pareti cellulari degli organismi vegetali morti; questi microorganismi hanno un ruolo importantissimo nel riciclo della sostanza organica di provenienza vegetale nell’ambiente marino. E’ relativamente recente la scoperta lungo le “dorsali oceaniche” (aree del fondo marino nelle quali il mantello terrestre, particolarmente sottile, permette la fuoriuscita di lava e di gas sulfurei) di comunità che, a differenza della maggior parte delle altre, non producono sostanza organica attraverso la fotosintesi ma per via chimica. Queste comunità, scoperte nel 1974 dal batiscafo da ricerca Alvin a 2000 - 3000 metri di profondità, sono adattate a vivere in prossimità di sorgenti di acqua calda e sulfurea localizzate lungo le dorsali (“Deep sea thermal vents”) dove, in assenza di luce, sfruttano l’energia prodotta da solfobatteri per produrre sostanza organica. Recentemente è stato scoperto un enorme lago (Vostock) che, completamente coperto dalla calotta antartica, non congela a causa della pressione esercitata dai 3800 metri di ghiaccio che lo ricoprono. Gli organismi che, isolati da 500.000 anni, vivono in quest’ambiente sono ancora sconosciuti. Le tappe dell’ecologia e del pensiero ecologista Alla fine dell’ Ottocento: istituzione dei primi parchi negli Stati Uniti; primi tentativi di tutela delle popolazioni naturali e degli habitat presenti nei parchi. Viene introdotto il concetto di conservazione. In Italia, negli anni Venti, si istituiscono i primi parchi (Parco d’Abruzzo, Gran Paradiso); tenute di caccia reali lungamente protette per la presenza di “specie pregiate” (il camoscio d’Abruzzo, l’orso bruno marsicano e lo stambecco). L’eminente zoologo e conservazionista Ghigi influisce su queste scelte. Anni Trenta: formalizzazione dei concetti di competizione-coesistenza e della sincronia dei cicli preda-predatore - (Lotka e Volterra). Prime idee sulla competizione e sul concetto di nicchia ecologica (Gause). Negli anni Cinquanta, Evelin Hutchinson pubblica l’articolo Homage to Santa Rosalia, or why are there so many animals? (Am. Nat. 93: 145. 1959) e The paradox of the plankton, (Am. Nat. 95: 137. 1961), affrontando il problema di 3 come tante specie possano coesistere in ambienti ristretti, senza escludersi a vicenda per competizione. Nel 1967 MacArthur e Wilson pubblicano The Island biogeography (Princeton Univ. Press), un libro che affronta il problema del popolamento delle isole e della sopravvivenza delle popolazioni isolate. Vengono evidenziati i pericoli connessi alle piccole dimensioni delle aree protette ed alla frammentazione degli habitat. Questo libro rimane, per molti anni, il più citato. In quegli anni escono 2 libri fondamentali per il pensiero ecologista: Primavera silenziosa, di Carson, nel 1962, che denuncia la scomparsa degli uccelli dalle nostre campagne a causa dei pesticidi e, di Barry Commoner, Il cerchio da chiudere (1971), sulla crisi ambientale provocata dall’accumulo di sottoprodotti industriali inutilizzati e dannosi. Questo libro è stato ripubblicato in Italia nel 1977 (Garzanti), un anno dopo che fuoriuscita di diossina a Seveso (Lombardia) provocò una gravissima contaminazione, e rese drammaticamente attuale il tema toccato da Commoner. Il concetto di “diversità biologica” viene formalizzato (Shannon-Weaver, 1949; Margalef, 1974). Lo sviluppo della teoria informatica permette di applicare all’ecologia il concetto di diversità; vengono messi a punto degli indici che rappresentano sia il numero di specie che degli individui delle diverse specie presenti in un determinato ambiente. Questo approccio permette di caratterizzare e confrontare comuntà ed ambienti. Successivamente viene sviluppato il concetto di “biodiversità” (Wilson, 1988), integrando il concetto di diversità biologica con quelli di diversità tassonomica e genetica. Dalla fine degli anni ‘70 agli anni ’80: grande sviluppo della teoria della dinamica delle popolazioni (May, 1975; Hutchinson 1978; Scudo, Ziegler, 1979). In The ghost of competition (Simberloff 1984) viene ridimensionato il ruolo della competizione nel determinare la distribuzione delle specie. Si sviluppa (1979-91), ad opera di Lovelock, la “teoria di Gaia”, secondo la quale la terra viene concepita come un sistema omeostatico, capace cioè di autoregolarsi, quasi un enorme “superorganismo” autoregolato, entro certi limiti, dalla Biosfera. Attenzione sulla dimensione frattale dei sistemi biologici: la maggior parte dei sistemi biologici presenta delle “leggi di scala” a cui corrispono importanti caratteristiche ecologiche, ad esempio nell’occupazione dello spazio (Mendelbrot, 1982). Negli anni Ottanta e Novanta del secolo passato si sviluppa la: “supply-side ecology”. Viene affrontato il problema del reclutamento (apporto di nuovi individui ad una popolazione) come fattore fondamentale nel determinare la struttura e la dinamica delle popolazioni naturali, soprattutto in ambiente marino (Levin, 1986). Ecologia sperimentale (dagli anni ‘90): studi di Paine sulle reti alimentari e sulle interazioni nelle comunità marine costiere. Vengono sviluppati i metodi 4 statistici per la validazione sperimentale di modelli ed ipotesi (Sheiner, Gurevich, 1993; Underwood, 1997). A partire dagli anni ’50 fino ai giorni nostri, si sviluppano le ricerche sulla Dinamica di Popolazione (demografia) e Biologia della conservazione. E’ un settore dell’ecologia che, partendo da basi molto più antiche (l’economista Malthus alla fine ‘700) si sviluppa a partire dagli anni Quaranta (Leslie 1949) e raggiunge il suo massimo sviluppo a partire dagli anni ’80. Fornisce strumenti matematici che permettono la previsione della tendenza delle popolazioni nel tempo, utili quindi alla conservazione delle specie e popolazioni sovrasfruttate o a rischio di estinzione. Modelli demografici, applicati a popolazioni di specie a richio come la pecora selvatica delle montagne rocciose, la tartaruga marina Caretta caretta, la balena franca (Eubalaena glacialis), hanno contribuito a prevenire la loro estinzione (Fujwara, Caswell, 2001). L’ Ecologia in Italia Per molti anni l’ecologia in Italia è stata una disciplina marginale, trattata solamente nel capitolo finale dei libri di biologia; veniva considerata come una “mezza scienza” che non aveva la dignità delle altre discipline biologiche (la Zoologia, la Botanica...). Questo ha comportato che lo sviluppo dell’ecologia da noi fosse molto lento. Le idee, le teorie, i modelli nati nel mondo anglosassone tra il 1950 ed 1980 sono arrivati da noi molto tardi. Il sistema accademico italiano ha faticato, con alcune notevoli eccezioni, nell’ inserirsi stabilmente nel filone della ricerca ecologica internazionale. Le cause di tutto questo sono quelle ben note, legate a meccanismi concorsuali, alla cooptazione, al condizionamento che l’autorità accademica esercita sui nuovi ricercatori, sulle nuove linee di ricerca, sulle nuove idee. Le ricadute sociali dell’ecologia Nessuna disciplina affronta tematiche che generano conflitti sociali così forti come nell’ecologia: i contadini contro i conservazionisti; le industrie contro gli ambientalisti; i gestori dei rifiuti contro le popolazioni locali; i protezionisti contro i pescatori; le gerarchie militari contro i pescatori in aree militarizzate... In tanti casi l’ecologia dovrebbe avere la funzione di fornire le basi scientifiche per affrontare i problemi e proporre le soluzioni. Gli interessi che sono a monte di tali conflitti, però, non sono di facile composizione. Non è facile, ad esempio, conciliare la qualità dell’ambiente con il welfare occidentale o con i livelli di occupazione ed i problemi sociali connessi. Uno degli ultimi conflitti riguarda gli OGM: mentre il loro utilizzo nell’ambito della sanità implica sicuri vantaggi sociali, la loro diffusione a scopo di potenziamento di una agricoltura che, nei paesi sviluppati, produce più del consumabile, può comportare gravi rischi per le popolazioni selvatiche e per la diversità delle colture. La società non può chiedere previsioni quantitative esatte agli ecologi: l’ecologia non è la fisica e nemmeno la fisica può ottenere risultati esatti 5 quando gli oggetti di studio sono molto complessi. Siccome gli oggetti di studio dell’ecologia sono complessi, è molto difficile e, a volte impossibile, formulare previsioni; soprattutto a lungo termine. Nella maggior parte dei casi, inoltre, mancano esperienze precedenti e non è possibile alcuna sperimentazione. Occorre quindi un approccio precauzionale ai problemi, basato sul “principio di cautela” simile a quello adottato da molte altre scienze; dalle scienze sociali ed economiche in particolare. Negli ultimi anni la diffusione dell’informatica ha favorito l’iperproduzione di modelli, la maggior parte dei quali ha una scarsa utilità pratica. Di questo parleremo nel paragrafo successivo. Teoria e dati sperimentali (tanti modelli-pochi dati) La maggior parte dei modelli funzionano per “analogia”; questo significa che possono solamente descrivere, imitandolo, un certo andamento. Spesso invece i modelli vengono considerati come sostitutivi del fenomeno reale. In ecologia sono stati messi a punto una quantità enorme di modelli: modelli a blocchi di comunità, modelli dinamici che partono da improbabili “stati stazionari”, modelli di ecosistemi estremamente complessi o ipersemplificati che danno risposte sibilline o ovvie, poco utili alla risoluzione di problemi reali. La scarsità di finanziamenti inoltre, favorisce lo sviluppo della ricerca teorica (più economica) e di modelli che, per mancanza di dati, non possono essere validati. Bisognerebbe validare modelli ed ipotesi ed essere pronti a modificarli qualora vengano smentiti dai risultati (il che succede spesso). La ricerca ecologica richiederebbe vasti set di dati raccolti per lunghi periodi; la scarsità di lunghe serie temporali è un limite per lo studio della dinamica di popolazioni, comunità ed ecosistemi. Purtroppo, nonostante la drammaticità della crisi ambientale, non si riesce a far comprendere ai politici che investimenti sostanziosi nella raccolta di dati ambientali (secondo criteri statistici adeguati) sono indispensabili per avere una ragionevole possibilità di “prevedere” le tendenze di popolazioni e comunità nel tempo. Come abbiamo già visto, si chiede agli ecologi una capacità di previsione che questi, soprattutto in assenza di dati esaustivi, non possono avere; gli ecologi non sono profeti. Le risposte che l’ecologia può e quelle che non può dare L’ecologia è tuttavia in grado di dare risposte ed indicare soluzioni a molti problemi ambientali, da quelli legati alla qualità dell’ambiente, della conservazione delle piccole popolazioni a rischio, alla gestione delle risorse viventi. Tutto questo si scontra con una politica che spesso non è in grado o non vuole applicare le indicazioni che provengono dai ricercatori. La conservazione ha inoltre alti costi che i paesi in via di sviluppo, nei quali è concentrata la maggior parte della biodiversità mondiale, non possono affrontare da soli. La tutela della biodiversità dovrebbe essere attualmente il compito principale degli ecologi. Ciò significa non solo lavorare per la sopravvivenza delle specie e 6 delle loro popolazioni ma anche e soprattutto dei loro habitat naturali. Sono stati raccolti negli Stati Uniti decine di milioni di dollari per proteggere una graziosa scimmietta brasiliana del genere Callitrix; la specie, allevata in cattività, è stata effettivamente salvata dall’estinzione “biologica” ma il fatto che nel frattempo fossero state distrutte le ultime foreste costiere (il suo habitat), non l’ha salvata dall’estinzione “ecologica”: ora sopravvive solo negli zoo. Un’ulteriore minaccia alla sopravvivenza di molte specie indigene è costituita dall’introduzione, a scopo di caccia, pesca, diletto o per errore, di specie estranee alla fauna ed alla flora locale. Questi “alieni” possono trovare le condizioni idonee nelle aree in cui sono stati introdotti e riprodursi in modo anomalo provocando danni gravissimi alle specie locali e portandole, a volte, all’estinzione. La storia umana è costellata di episodi di questo genere: l’introduzione di serpenti alle Hawaii (erano assenti) ha provocato l’estinzione di molte specie di uccelli; l’introduzione dello scoiattolo grigio americano in Europa ha provocato gravi danni alle popolazioni dell’autoctono scoiattolo rosso; l’introduzione in Italia del siluro europeo per la pesca sportiva (un grosso pesce predatore, esclusivo delle acque dolci dell’Europa centrale) ha provocato danni gravissimi a molte specie di pesci dei piccoli corpi d’acqua italiani; l’introduzione dei conigli americani (silvilaghi) per la caccia ha provocato la diffusione della mixomatosi nelle nostre popolazioni di conigli che in alcune zone sono state estinte. Tra le piante l’ailanto ha alterato la vegetazione di diverse isole. Molti animali ed alghe marine sono state introdotte in mari in cui erano assenti, dal trasporto accidentale delle loro larve o propaguli con le acque di bilanciamento delle navi. L’alga tropicale Caulerpa taxifolia, liberata accidentalente dall’acquario di Monaco, si è diffusa in tutto il Mediterraneo, anche perché venne persa l’occasione di estirparla appena all’inizio della sua propagazione. Gli ecologi dovrebbero anche occuparsi della tutela delle comunità locali da questi alieni. Lo sforzo di pesca si ridurrebbe naturalmente con la riduzione degli stock ittici e la conseguente perdita di interesse economico del loro sfruttamento. Si instaurebbe così una sorta di feed-back tra pescatori (predatori) e stock ittici (prede) per cui la popolazione delle prede “regolerebbe” il predatore che, quando la risorsa è meno abbondante, riduce o sospende il suo prelievo, non più vantaggioso. Questo succede per le attività di pesca o di caccia locali in cui popolazioni indigene stabiliscono un rapporto di convivenza con le specie predate; è il motivo per cui le autorità internazionali permettono il prelievo “tradizionale” a queste popolazioni. Questo meccanismo di regolazione salta però quando una grande impresa sovrasfrutta per alcuni anni una risorsa vivente e, una volta maturato il massimo guadagno, si rende indipendente dal crollo delle risorsa stessa , reinvestendo gli utili in altre attività. In questo modo l’impresa non subisce alcun danno dall’impoverimento della popolazione predata che è stata talmente sfruttata da avere ormai scarse capacità di ripresa. 7 Vi è poi il meccanismo perverso dei sussidi pubblici a favore dello sfruttamento di una risorsa vivente, sfruttamente dal quale la risorsa rimane gravemente danneggiata, a volte irreparabilmente. Se la Comunità Europea non avesse continuato, fino agli anni ’80, a sostenere artificiosamente con sussidi diverse forme di pesca, pagando così 130 miliardi di dollari un prodotto che ne valeva solo 70, non si sarebbe determinato il gravissimo collasso di molte popolazioni ittiche, la cui pesca, non più economicamente conveniente, si sarebbe fermata molti anni prima. La comunità ha praticamente pagato i pescatori perché depauperassero popolazioni ittiche oltre i limiti al di là dei quali la ripresa è molto difficile. In questi casi gli ecologi della pesca (che utilizzano gli strumenti delle Demografia) possono indicare strategie di gestione efficaci che devono essere tradotte dai governi in leggi semplici, realistiche e soprattutto, realmente applicabili. Da questo punto di vista i paesi mediterranei, purtroppo, hanno offerto un quadro desolante. Nella letteratura giuridica mondiale è tristemente noto il caso del “Codice corallino” una legislazione molto accurata emessa dal regno di Spagna nel XVII secolo per controllare la pesca del corallo rosso, una specie mediterranea preziosa. Questo codice è rimasto famoso per la sua complessità e perfezione giuridica, ma anche perché non è mai stato applicato (non era possibile applicarlo realmente). Ancora oggi, quando ci si trova di fronte a progetti di conservazione irrealizzabili o mal concepiti (ad esempio Aree Marine Protette troppo vaste, il cui controllo è impossibile), sembra di trovarsi di fronte a nuove versioni del Codice corallino, altrettanto inapplicabili. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E APPROFONDIMENTI A. Dobson, Conservation and Biodiversity. Scientific American Library ISSN 1040. N.Y. 1999. T. Fenchel, Ecology, Potential and limitations. Excellence in Ecology, Kinne Editor Ecology Institute ISSN 0932-2205. Oldendorf/Luhe 1987. R. Margalef, Our biosphere. Excellence in Ecology, (D) Kinne Editor, Ecology Institute ISSN 0932-2205. Oldendorf/Luhe 1997. R. Ricklefs, Ecologia, Zanichelli, Bologna 2000. G. Santangelo et al. Abundance of Thraustochytrids. Aquat. Microb. Ecol. 23, 2000 E.O. Wilson, Biodiversity, 1988 (in italiano: La diversità della vita, Rizzoli, 1993). R. May, Stability and Complexity in model ecosysterms, Princeton Univ. Press 1975; E. 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