CARBOSSITERAPIA di Vincenzo Varlaro Docente nel Master Internazionale Biennale di II livello di Medicina Estetica e Terapia Estetica dell'Università Degli Studi di Camerino [email protected] Per carbossiterapia si intende l'utilizzo dell’anidride carbonica allo stato gassoso a scopo terapeutico. L’anidride carbonica è costituita da un atomo di carbonio legato a due atomi di ossigeno (CO2) (Fig. 1). Figura 1 Per la sua formula di struttura l’anidride carbonica può essere denominata anche biossido di carbonio. Il termine carbossiterapia è stato introdotto da Luigi Parassoni nel 1995, in occasione del XVI Congresso Nazionale di Medicina Estetica di Roma della Società Italiana di Medicina Estetica. ELEMENTI DI EMODINAMICA La funzione della circolazione sanguigna è quella di provvedere alle esigenze dei tessuti fornendo le sostanze nutritive, rimuovendo i prodotti di rifiuto, trasportando gli ormoni da una parte all’altra del corpo e, consentendo, in generale, il mantenimento di un ambiente interno ottimale alla sopravvivenza e al funzionamento cellulare in tutti i liquidi dei tessuti. La circolazione sanguigna è distinta in sistemica e polmonare. Poiché la circolazione sanguigna sistemica provvede all’irrorazione di tutti i tessuti del corpo ad eccezione dei polmoni, essa è chiamata anche grande circolazione o circolazione periferica. Le componenti funzionali della circolazione sanguigna sono le arterie, le arteriole, le metarteriole, i capillari, le venule, le vene (Fig. 2). Figura 2 Microcircolazione La funzione delle arterie è di trasportare ad alti regimi pressori il sangue ai tessuti, quelle delle arteriole e delle metarteriole di esplicare le funzioni di valvole di controllo attraverso cui il sangue viene immesso nei capillari e, quella di fornire, con la loro sfigmicità, la vis a tergo che favorisce il flusso a livello di microcircolazione, quella dei capillari di favorire lo scambio di acqua, nutrienti, elettroliti, ormoni e altre sostanze tra il sangue e il liquido interstiziale, quella delle venule di raccogliere il sangue dai capillari, quella delle vene di fungere da condotti per il trasporto del sangue al cuore e quella di serbatoio di grosse quantità di sangue: le loro pareti sono molto sottili ma possiedono ugualmente una tunica muscolare che consente, con il suo rilassarsi e contrarsi, di accogliere e di immettere nella circolazione sanguigna, a seconda del fabbisogno, quantità più o meno grandi di sangue. Una caratteristica comune a tutti i vasi è la distensibilità. Il fatto che le arterie siano distensibili permette loro di accogliere la gittata pulsatoria del cuore e di smorzare le pulsazioni pressorie trasformando il flusso ematico da pulsatile a continuo nei vasi molto piccoli. Il sistema più distensibile è, comunque, quello venoso. Per la sua distensibilità il sistema venoso esplica le funzioni di riserva temporanea di grandi quantità di sangue da poter utilizzare nel momento del bisogno da altri settori del sistema circolatorio. Il sangue circola nei vasi arteriosi spinto dalla contrazione del cuore. Il cuore riceve il sangue a bassa pressione dal sistema capacitativo venoso e lo immette ritmicamente (a ogni sistole), a pressione elevata, nelle grandi arterie, che fungono da camere di compressione. Da qui, spinto dalla “retrazione elastica” delle pareti delle arterie, il sangue defluisce nella microcircolazione e, quindi, nel sistema venoso. Il cuore si comporta come una sorta di <<servitore>> dei tessuti che deve soddisfare con il suo lavoro. La regolazione nervosa della circolazione sanguigna interessa principalmente le funzioni generali come la ridistribuzione del flusso ematico nelle diverse aree del corpo, il potenziamento dell’attività della pompa del cuore e in particolare la regolazione rapida della pressione arteriosa. La sezione più importante del sistema nervoso autonomo che controlla la circolazione sanguigna è quella del sistema nervoso simpatico. La sezione parasimpatica del sistema nervoso autonomo ha significati importanti soprattutto nella regolazione della funzione cardiaca. Le fibre nervose vasomotrici del sistema nervoso simpatico partono dal midollo spinale con tutti i nervi del tratto toracico e con i primi uno - due nervi del tratto lombare, passano nei gangli della catena simpatica e, da qui, raggiungono i vasi sanguigni attraverso due strade: i nervi simpatici specifici che innervano il sistema vascolare degli organi interni e il cuore e i nervi spinali che innervano principalmente i territori periferici. L’innervazione simpatica vale per tutto il sistema arterioso e venoso con l’esclusione degli sfinteri precapillari, dei capillari, della maggior parte delle metarteriole che subiscono la regolazione da parte di fattori locali (Fig. 3) Figura 3 Il centro vasomotore (un’area situata nella sostanza reticolare del bulbo e nel terzo inferiore del ponte) trasmette di continuo segnali alle fibre nervose vasocostrittrici del simpatico in tutto l’organismo mantenendo un’attività di scarica a bassa frequenza di circa 0.5-2 impulsi al secondo. Questa attività continua è chiamata tono vasocostrittore del simpatico che mantiene in uno stato di parziale contrazione le pareti dei vasi sanguigni (tono vasomotore). Il sistema nervoso autonomo simpatico, poiché innerva quasi la totalità dei vasi, se stimolato, può fare incrementare la resistenza vascolare sistemica con riduzione del volume dell’intero sistema vascolare sistemico. Con tale meccanismo il sistema nervoso autonomo simpatico è in grado di variare il ritorno del sangue al cuore svolgendo, così, un ruolo importante nella regolazione della funzione cardiovascolare. La regolazione nervosa della circolazione del sistema nervoso autonomo simpatico è poco implicata nella regolazione del flusso ematico tessutale locale. La regolazione del flusso ematico tessutale locale, nei singoli distretti tessutali, è effettuata principalmente da fattori locali. Uno dei principi fondamentali della funzione circolatoria è la capacità di ciascun distretto tessutale di regolare il proprio flusso ematico tessutale locale in relazione alle esigenze metaboliche tessutali stesse. Così, come i bisogni tessutali mutano, anche il flusso ematico tessutale locale si modifica. Le necessità specifiche dei tessuti alle quali il flusso ematico tessutale locale si deve adeguare sono molteplici: • l’apporto di ossigeno; • l’apporto di nutrienti (glucosio, aminoacidi, acidi grassi,…); • la rimozione di CO2 dai tessuti; • il mantenimento di un’appropriata concentrazione di svariati ioni nei tessuti; • il trasporto di diversi ormoni e di altre specifiche sostanze ai tessuti. Inoltre, alcuni organi hanno esigenze specifiche. A livello cutaneo, il flusso ematico tessutale locale, determina dispersione di calore per cui contribuisce alla regolazione della temperatura corporea. A livello renale il flusso ematico tessutale locale permette di allontanare i prodotti di scarto del metabolismo contribuendo alla funzione dell’emuntorio renale. In generale quanto più è elevato il metabolismo di un organo tanto maggiore è il suo flusso ematico tessutale locale. A riposo l’attività metabolica dei muscoli è molto bassa per cui anche il flusso ematico tessutale locale è molto basso (4 ml/minuto/100 grammi). Al contrario, in condizioni di attività fisica intensa, l’attività metabolica muscolare può aumentare più di sessanta volte e il flusso ematico tessutale locale può aumentare più di venti volte, salendo fino a valori di 80 ml/minuto/100 grammi. Il flusso ematico tessutale locale è regolato principalmente da fattori locali: anidride carbonica, adenosina, acido lattico, composti di adenosina, fosfati, istamina, ioni potassio, ioni idrogeno, fattori di crescita delle cellule endoteliali, fattori di crescita dei fibroblasti, angiogenina (Fig. 4). ANIDRIDE CARBONICA ADENOSINA COMPOSTI ADENOSINA ACIDO LATTICO FOSFATI ISTAMINA IONI IDROGENO IONI POTASSIO Figura 4 Tali fattori locali regolano il flusso ematico tessutale locale a breve termine e a lungo termine. I fattori locali che regolano il flusso ematico tessutale locale a breve termine sono l’anidride carbonica, l’adenosina, l’acido lattico, i composti di adenosina, i fosfati, l’istamina, gli ioni potassio, gli ioni idrogeno. I fattori locali che regolano il flusso ematico tessutale locale a lungo termine sono i fattori di crescita delle cellule endoteliali, i fattori di crescita dei fibroblasti, l’angiogenina. La regolazione a breve termine del flusso ematico tessutale locale operata dall’anidride carbonica, dall’adenosina, si realizza con una vasodilatazione arteriolare e metarteriolare ed una conseguente retrazione delle pareti arteriose stesse con, quindi, un aumento della sfigmicità arteriolare e metarteriolare. Queste variazioni del flusso ematico tessutale locale avvengono nel giro di pochi secondi o minuti al fine di garantire e mantenere un flusso ematico tessutale locale appropriato alle esigenze tessutali locali: si tratta di variazioni repentine del flusso ematico tessutale locale conseguenti a cambiamenti del grado di costrizione locale delle arteriole, delle metarteriole, degli sfinteri precapillari. La regolazione a lungo termine del flusso ematico tessutale locale operata dai fattori di crescita delle cellule endoteliali, dai fattori di crescita dei fibroblasti, dall’angiogenina si realizza con un aumento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale (angiogenesi vera e angiogenesi falsa). L’incremento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale si può verificare nel giro di alcuni giorni, di alcune settimane, di alcuni mesi. Una unità tessutale è costituita da una metarteriola, un singolo capillare e dal tessuto circostante. All’origine del capillare c’è lo sfintere precapillare e intorno alla metarteriola parecchie fibre muscolari lisce. Se si osserva al microscopio un tessuto sottile come quello dell’ala di un pipistrello si nota che gli sfinteri precapillari sono o completamente aperti o completamente chiusi e che il grado di costrizione della metarteriola varia con il tempo. Il numero degli sfinteri precapillari che sono aperti in un dato periodo è all’incirca proporzionale alla richiesta di ossigeno (e di altri nutrienti) dei tessuti. Inoltre gli sfinteri precapillari e le metarteriole si aprono spesso in modo ciclico per parecchie volte al minuto e la fase di apertura è anch’essa proporzionale alle necessità metaboliche dei tessuti. Questo aprirsi e chiudersi ciclico delle metarteriole e degli sfinteri precapillari è detto vasomotion. Poiché i muscoli lisci richiedono ossigeno per rimanere in contrazione si può ritenere che la forza di contrazione degli sfinteri aumenta con l’incremento della concentrazione dell’ossigeno. Di conseguenza quando la concentrazione dell’ossigeno sale nel tessuto oltre un certo livello, gli sfinteri precapillari e le metarteriole si chiudono e si riduce la velocità del flusso ematico tessutale locale fino a che le cellule tessutali non hanno consumato l’ossigeno in eccesso mentre quando la concentrazione dell’ossigeno scende a livelli sufficientemente bassi, gli sfinteri precapillari e le metarteriole si aprono e aumenta la velocità del flusso ematico tessutale locale. La regolazione a breve termine del flusso ematico tessutale locale viene realizzata principalmente da fattori locali: l’anidride carbonica, l’adenosina, l’acido lattico, i composti di adenosina, i fosfati, l’istamina, gli ioni potassio, gli ioni idrogeno. La regolazione a breve termine del flusso ematico tessutale locale operata dall’anidride carbonica, dall’adenosina, si realizza con una vasodilatazione arteriolare e metarteriolare ed una conseguente retrazione delle pareti arteriolari e metarteriolari con, quindi, un aumento della sfigmicità arteriolare e metarteriolare. Queste variazioni del flusso ematico tessutale locale avvengono nel giro di pochi secondi o minuti al fine di garantire e mantenere un flusso ematico tessutale locale appropriato alle esigenze tessutali locali: si tratta di variazioni repentine del flusso ematico tessutale locale conseguenti a cambiamenti del grado di costrizione locale delle arteriole, delle metarteriole, degli sfinteri precapillari. La regolazione a breve termine del flusso ematico tessutale locale prevede l’entrata in gioco di diversi elementi come il metabolismo tessutale, la disponibilità di ossigeno, la disponibilità di alcuni nutrienti. In genere un aumento del metabolismo tessutale di otto volte determina un incremento del flusso ematico tessutale locale di quattro volte. Tutte le volte che la disponibilità dell’ossigeno nei tessuti diminuisce come avviene alle alte quote, nella polmonite, nell’avvelenamento da monossido di carbonio (che annulla la capacità dell’emoglobina di trasportare ossigeno), nell’avvelenamento da cianuro (viene meno la capacità dei tessuti di utilizzare ossigeno) il flusso ematico tessutale locale aumenta marcatamente. Esistono due teorie fondamentali sulla regolazione del flusso ematico tessutale locale in risposta alle variazioni del metabolismo del tessuto o alla disponibilità dell’ossigeno: • la teoria della vasodilatazione; • la teoria della richiesta di ossigeno. Teoria della vasodilatazione Secondo la teoria della vasodilatazione maggiore è il grado del metabolismo o minore è la disponibilità di ossigeno per il tessuto più grande è la liberazione di una sostanza vasodilatatrice che agisce a livello degli sfinteri precapillari, delle metarteriole causandone la vasodilatazione. Insomma verrebbe liberata una sostanza che esplicherebbe una vasodilatazione arteriolare e metarteriolare. Tra le svariate sostanze coinvolte in tale regolazione quelle ritenute capaci di determinare una vasodilatazione arteriolare e metarteriolare sono l’adenosina, l’anidride carbonica, l’acido lattico, i composti di adenosina, i fosfati, l’istamina, gli ioni potassio, gli ioni idrogeno. Alcuni fisiologi hanno ipotizzato che l’adenosina sia, tra i vasodilatatori arteriolari e metarteriolari che regolano il flusso ematico tessutale locale, una delle sostanze più importanti. È stato osservato che l’adenosina viene rilasciata in piccole quantità dalle cellule del muscolo cardiaco tutte le volte che il flusso coronarico si riduce troppo. Si ritiene che la liberazione dell’adenosina provochi la vasodilatazione dell’arteria coronaria riportando il flusso ematico tessutale locale ai valori normali. Inoltre, quando il cuore diventa iperattivo e aumenta il suo metabolismo, si verifica una eccessiva utilizzazione dell’ossigeno per cui cala la sua concentrazione nei tessuti e tutto ciò porta alla degradazione dell’ATP con aumento della formazione di adenosina. Si ritiene che l’adenosina fuoriesca, in parte, dalle cellule muscolari e provochi una vasodilatazione dell’arteria coronaria, aumentando, così, il flusso coronarico per soddisfare le maggiori richieste di ossigeno da parte del cuore in attività. La generalità dei fisiologi ritengono che la CO2 esplichi la sua azione di vasodilatazione arteriolare e metarteriolare con un meccanismo analogo a quello dell’adenosina. L’anidride carbonica prodotta dal tessuto miocardico provocherebbe una vasodilatazione delle arterie coronarie per fare aumentare il flusso ematico coronarico e potere, quindi, soddisfare le maggiori richieste di ossigeno del cuore in attività. Insomma quello dell’adenosina e della CO2 sarebbero due meccanismi fisiologici con cui l’organismo autoregola il flusso ematico locale per soddisfare le esigenze dei propri tessuti, dei propri organi. Teoria della richiesta di ossigeno La teoria della vasodilatazione è accettata dalla gran parte dei fisiologi. Tuttavia altri sostengono un’altra teoria: quella della richiesta di ossigeno, oppure, quella definita più specificatamente: la teoria della richiesta dei nutrienti (perché probabilmente, oltre all’ossigeno, molti altri fattori nutrizionali sono coinvolti nella regolazione del flusso ematico tessutale locale). L’ossigeno (così come altre sostanze nutrizionali) è richiesto per mantenere la muscolatura liscia dei vasi arteriosi in stato di contrattura. Pertanto, in assenza di un adeguato apporto di ossigeno (e di altre sostanze nutrizionali) è ragionevole pensare che i vasi arteriosi tendano spontaneamente a dilatarsi. Inoltre, un aumento della utilizzazione dell’ossigeno nei tessuti, come si verifica nei casi di un aumento del metabolismo, potrebbe, teoricamente, fare diminuire la disponibilità di ossigeno per le fibrocellule muscolari lisce dei vasi sanguigni arteriosi locali causando una vasodilatazione arteriosa locale. La regolazione a lungo termine del flusso ematico tessutale locale prevede un aumento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale. Nell’aumento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale sembrerebbero coinvolti contemporaneamente una angiogenesi vera e una angiogenesi falsa. Angiogenesi vera Il termine angiogenesi significa sviluppo di nuovi vasi sanguigni. L’angiogenesi si verifica principalmente in risposta alla presenza di fattori angiogenetici rilasciati da: • tessuti ischemici; • tessuti in crescita rapida; • tessuti con livelli metabolici eccessivamente alti. Sono stati scoperti una dozzina e più di fattori angiogenetici. In generale questi fattori angiogenetici sono dei piccoli peptidi. Tre di questi piccoli peptidi sono stati meglio caratterizzati: • i fattori di crescita delle cellule endoteliali; • i fattori di crescita dei fibroblasti; • l’angiogenina. Questi fattori di crescita sono stati isolati da tessuti tumorali o da tessuti ischemici. Presumibilmente è proprio la mancanza di ossigeno nei tessuti che porta alla formazione dei fattori angiogenetici. Questi tre diversi fattori di crescita promuovono la crescita di nuovi vasi allo stesso modo: per gemmazione dalle piccole venule e, occasionalmente, dai capillari. Con questo meccanismo si possono neoformare piccole arteriole e, forse, anche arterie più grandi. La biodisponibilità dell’ossigeno assume significati importanti nella regolazione a lungo termine del flusso ematico tessutale locale e, quindi, nel processo angiogenetico. Un esempio pratico che avvalora questa affermazione è dato dal fatto che si ha un incremento del letto vascolare della microcircolazione dei tessuti in molti animali che vivono a grandi altezze, dove la concentrazione dell’ossigeno atmosferico è bassa. Un altro effetto è quello che si può osservare negli embrioni di pollo: se vengono incubati in un’atmosfera povera di ossigeno sviluppano una rete vascolare doppia del normale. L’effetto dell’angiogenesi è dimostrato in modo drammatico in quei casi in cui i neonati prematuri vengono posti sotto la tenda ad ossigeno per scopi terapeutici. L’eccesso di ossigeno causa quasi immediatamente un arresto della neoformazione dei vasi della retina e induce, addirittura, la degenerazione di alcuni capillari già formati. Poi, quando il neonato è portato fuori dalla tenda ad ossigeno, si verifica una crescita esplosiva di nuovi vasi per compensare la rapida riduzione dell’ossigeno disponibile. In tali casi si può avere una crescita così tumultuosa dei vasi sanguigni che gli stessi possono invadere l’umor vitreo e causare cecità: condizione nota come fibroplasia retrolenticolare. Il processo angiogenetico viene, quindi, stimolato da una ridotta biodisponibilità dell’ossigeno e, di conseguenza, da un eccesso di CO2. La CO2 favorirebbe la liberazione di fattori di crescita che stimolerebbero, appunto, il processo angiogenetico. Il grado di vascolarizzazione di un tessuto può aumentare o diminuire in virtù delle necessità metaboliche del tessuto stesso. Se il metabolismo tessutale aumenta (e aumenta la produzione di CO2) si verifica un incremento della vascolarizzazione tessutale mentre se il metabolismo tessutale diminuisce (e diminuisce la produzione di CO2) si verifica una riduzione della vascolarizzazione tessutale. Insomma, si verifica una ristrutturazione della vascolarizzazione microcircolatoria tessutale secondo le necessità metaboliche del tessuto. Si parla di angiogenesi vera per distinguerla dalla angiogenesi falsa. Angiogenesi falsa Quella della angiogenesi falsa è una teoria di Curri. Secondo tale studioso della microcircolazione la CO2 favorirebbe l’aumento del letto vascolare della microcircolazione tessutale promovendo la ricanalizzazione di capillari virtuali. La angiogenesi falsa non verrebbe indotta direttamente dalla CO2 ma sarebbe la conseguenza dell’aumento del flusso ematico tessutale locale. Si parla di angiogenesi falsa perché aumenterebbe l’entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale non per una angiogenesi vera indotta dai fattori di crescita delle cellule endoteliali, dai fattori di crescita dei fibroblasti, dall’angiogenina, bensì, per una canalizzazione di capillari virtuali. L’angiogenesi vera e la angiogenesi falsa potrebbero essere coinvolte entrambe nel determinare un aumento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale. L’aumento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale potrebbe essere la conseguenza: • sia di una angiogenesi vera indotta dai fattori di crescita delle cellule endoteliali, dai fattori di crescita dei fibroblasti, dall’angiogenina; • sia di una angiogenesi falsa indotta dall’aumento della velocità del flusso ematico tessutale locale e, di conseguenza, dall’aumento della entità del flusso ematico tessutale locale che determinerebbe una canalizzazione di capillari virtuali. Le arterie hanno pareti robuste. L’organizzazione di base della parete di tutte le arterie è simile: una tonaca intima di natura endoteliale, una tonaca media composta soprattutto da fibrocellule muscolari lisce orientate trasversalmente, una tonaca avventizia che costituisce il rivestimento esterno e che è costituita da fibroblasti e fibre collagene orientate per la maggior parte in senso longitudinale. Il confine fra la tonaca intima e la tonaca media è segnato dalla lamina elastica interna, mentre il confine fra la tonaca media e la tonaca avventizia è segnato dalla lamina elastica esterna. Le arterie vengono classificate in elastiche (di conduzione) e muscolari (di distribuzione). Le arterie elastiche sono caratterizzate, a livello di tonaca media, da numerose lamine fenestrate di elastina. Sono arterie elastiche le grandi arterie come l’aorta, la polmonare, la brachiocefalica, la succlavia, la carotide comune, l’iliaca comune. Le arterie muscolari sono caratterizzate, a livello di tonaca media, da un numero variabile di strati di fibrocellule muscolari lisce: si va dai tre-quattro strati delle piccole arterie fino ai trenta-quaranta strati delle grandi arterie. Sono arterie muscolari la brachiale, la femorale, la radiale, la poplitea e le loro diverse diramazioni. Le arterie muscolari costituiscono la maggioranza dei vasi del sistema arterioso. La funzione delle arterie è di trasportare il sangue ad alti regimi pressori e al tempo stesso, in virtù della loro elasticità, di fare viaggiare il sangue verso gli ultimi <<prati vascolari>>: la microcircolazione. Le arterie fungono da camera di compressione. La retrazione elastica delle arterie è essenziale affinché il sangue possa essere sospinto nella microcircolazione. Se non ci fosse l’effetto della retrazione elastica delle arterie il sangue potrebbe pervenire nella microcircolazione soltanto nelle fasi di sistole cardiaca. Le arteriole e le metarteriole, a livello di microcircolazione, esplicano delle funzioni importanti perché rappresentano quella che è la vis a tergo della microcircolazione. La vasodilatazione e la retrazione elastica della parete delle arteriole e delle metarteriole, costituiscono la sfigmicità delle arteriole e delle metarteriole, la vis a tergo della microcircolazione che spinge il flusso ematico a viaggiare nel letto vascolare della microcircolazione. La carbossiterapia serve a riequilibrare la microcircolazione quando la stessa è alterata. Con la carbossiterapia si effettua un trattamento riabilitativo della microcircolazione. La carbossiterapia esplica i suoi effetti interferendo principalmente con i fattori che regolano a breve termine il flusso ematico tessutale locale determinando, così, un aumento della velocità del flusso ematico tessutale locale: • agendo sulla vis a tergo della microcircolazione, cioè a livello arteriolare e metarteriolare dove determina un incremento della sfigmicità arteriolare e metarteriolare; • agendo sugli sfinteri precapillari della microcircolazione dove determina un rilassamento delle fibrocellule muscolari lisce che caratterizzano strutturalmente gli sfinteri precapillari; • determinando un aumento della deformabilità eritrocitaria. La CO2 somministrata determina un aumento della velocità del flusso ematico tessutale locale e, di conseguenza, un aumento della entità del flusso ematico tessutale locale. L’aumento della sfigmicità arteriolare e metarteriolare è un aspetto che gioca un ruolo importante nell’aumento della entità e della velocità del flusso ematico tessutale locale. La sfigmicità arteriolare rappresenta la vis a tergo della microcircolazione che favorisce il viaggio del flusso ematico nel letto capillare che non è da relazionare solo all’apertura e alla chiusura delle metarteriole, degli sfinteri precapillari, ma anche alla sfigmicità arteriolare e metarteriolare che realizza, così, un’azione propulsiva importante. L’aumento della velocità, della entità del flusso ematico tessutale locale, della sfigmicità arteriolare e metarteriolare è stato osservato mediante videocapillaroscopia a sonda ottica (VCSO) da Parassoni e altri autori e rilevato mediante Laser Doppler Flow da Curri, Albergati, Lattarulo, Parassoni, Varlaro. Nel 2006 Manzo, Villeggia, Varlaro hanno dimostrato mediante linfoscintigrafia radioisotopica gli effetti della carbossiterapia sul flusso linfatico degli arti inferiori in situazioni cliniche di grave linfostasi (Figg. 5, 6, 7, 8). Figura 5 Linfoscintigrafia gambe viste anteriormente pretrattamento Figura 6 Linfoscintigrafia gambe viste anteriormente posttrattamento Figura 7 Linfoscintigrafia cosce viste posteriormente pretrattamento Figura 8 Linfoscintigrafia cosce viste posteriormente posttrattamento Con la carbossiterapia effettuata in situazioni di grave linfostasi si è osservato, in tutti i casi trattati, un miglioramento delle situazioni di stasi linfatica con una ottima ripresa del flusso linfatico nel sistema linfatico degli arti inferiori. Oltre che con gli effetti sulla tonaca media delle arteriole e delle metarteriole che determinano un aumento della sfigmicità arteriolare e metarteriolare e che con gli effetti sugli eritrociti che determinano un aumento della deformabilità eritrocitaria, la carbossiterapia, probabilmente, agisce anche mediante altri meccanismi molecolari: l’attivazione recettoriale e l’amplificazione dell’effetto Bohr e dell’effetto Haldane. Attivazione recettoriale L’attivazione recettoriale è legata all’iperdistensione dei tessuti sottocutanei operata dall’anidride carbonica iniettata. Tale effetto non è, chiaramente, CO2-dipendente; infatti vale per qualsiasi altro gas che viene iniettato nel sottocutaneo e che ha la capacità di distendere i tessuti. Nel sottocutaneo si trovano degli esterocettori specifici: • i piccoli corpuscoli di Golgi (a forma rotondeggiante) che raccolgono le pressioni leggere; • i grossi corpuscoli di Pacini (a forma di pallone di rugby) che sono rivestiti da lamelle concentriche (nelle sezioni traverse hanno un aspetto simile a quello di una cipolla) e che raccolgono le pressioni elevate. L’iperdistensione dei tessuti sottocutanei causata dalla CO2 determina l’attivazione di esterocettori specifici che favoriscono la liberazione di sostanze algogene come le catecolamine, la bradichinina, la serotonina. Sembra che la bradichinina esplichi anche un effetto vasodilatatorio sulle arteriole e le metarteriole e che, quindi, possa contribuire, agendo sul cuore della microcircolazione, a fare aumentare il flusso ematico tessutale locale. Tali sostanze algogene, agendo su recettori specifici β-adrenergici, attivano l'adenilciclasi, quindi, determinano un aumento del cAMP. Il cAMP attiva la preteinchinasi inattiva che, a sua volta, stimola la lipasi intradipocitaria che idrolizza i trigliceridi intradipocitari dando luogo alla formazione di acidi grassi e glicerolo. Amplificazione dell’effetto Bohr e dell’effetto Haldane L’emoglobina oltre a trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti, trasporta anche due prodotti terminali della respirazione tessutale: l’H+ e la CO2 dai tessuti ai polmoni e ai reni: i due organi deputati all’escrezione di questi prodotti. Nelle cellule dei tessuti periferici gli alimenti organici vengono ossidati dai mitocondri (utilizzando l’ossigeno portato dall’emoglobina dai polmoni) con la formazione di anidride carbonica, acqua e altri prodotti. La formazione di CO2 provoca un aumento nella concentrazione di H+ (e quindi, una diminuzione del pH) nei tessuti poiché l’idratazione della CO2 forma H2CO3 (acido carbonico), un acido debole che si dissocia formando H+ e bicarbonato: H2CO3 H++HCO3-. Oltre a trasportare dai polmoni ai tessuti praticamente tutto l’ossigeno richiesto, l’emoglobina trasporta una discreta quantità (circa il 20%) della CO2 e dell’H+ formati nei tessuti, ai polmoni e ai reni. Il legame dell’emoglobina con l’O2 viene influenzato dal pH e dalla concentrazione di CO2 ed il legame dell’emoglobina con la CO2 è inversamente correlato al legame con l’O2. A pH basso e ad alta concentrazione di CO2 nei tessuti periferici l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce mentre vengono legati H+ e CO2. Viceversa nei capillari polmonari, come la CO2 è escreta e aumenta il pH del sangue, aumenta l’affinità dell’emoglobina per l’O2. Questo effetto del pH e della concentrazione di CO2 sul legame e sul rilascio dell’O2 dall’emoglobina è detto effetto Bohr, da Christian Bohr, un fisiologo danese, che lo scoprì. L’effetto Bohr è il risultato di un equilibrio che coinvolge non solo l’ossigeno ligante ma anche altri due liganti che possono essere legati dall’emoglobina: l’H+ e la CO2. La reazione è: Hb+O2 HbO2. Questa reazione è, però, incompleta. Considerando l’effetto delle concentrazioni di H+ sul legame dell’ossigeno da parte dell’emoglobina possiamo, così, riscrivere la reazione: HHb++O2 HbO2+H+ dove HHb+ denota una forma protonata di emoglobina. Questa reazione ci dice che la curva di saturazione in ossigeno dell’emoglobina è influenzata dalla concentrazione degli idrogenioni H+. Sia l’O2 che l’H+ sono legati dall’emoglobina ma in modo inverso. Quando la concentrazione di ossigeno è alta, come nei polmoni, esso sarà legato dall’emoglobina e gli idrogenioni H+ saranno rilasciati. Quando la concentrazione di ossigeno è bassa, come nei tessuti, l'emoglobina legherà l’idrogenione H+. L’O2 e l’H+ non sono legati nell’emoglobina agli stessi siti. L’ossigeno è legato agli atomi di ferro dell’eme mentre l’H+ è legato ai gruppi R dei residui di istidina 146 nelle catene beta e ad altri due residui nelle catene alfa. La CO2 si lega all’estremità aminoterminale di ciascuna delle quattro catene polipeptidiche dell’emoglobina formando carbaminoemoglobina. Ad alte concentrazioni di CO2, come avviene nei tessuti, alcune molecole di CO2 sono legate all’emoglobina e l’affinità per l’O2 diminuisce per cui si verifica il suo rilascio. Viceversa, quando l’O2 viene legato nei polmoni l’affinità dell’emoglobina per la CO2 diminuisce, per cui si verifica la sua eliminazione. L’effetto Bohr è un effetto essenziale per la vita. Maggiore è la pressione parziale dell'ossigeno maggiore è la percentuale di saturazione dell'emoglobina in ossigeno. Maggiore è la pressione parziale dell'anidride carbonica maggiore è la percentuale di saturazione dell'emoglobina in anidride carbonica. Maggiore è la pressione parziale dell'ossigeno maggiore è l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. Maggiore è la pressione parziale dell'anidride carbonica maggiore è l’affinità dell’emoglobina per l’anidride carbonica. Nei tessuti, il pH basso e la concentrazione alta di CO2 tendono a provocare il rilascio di O2 dall’emoglobina e nei polmoni, la concentrazione alta di O2 tende a promuovere il rilascio di H+ e CO2. Somministrando CO2 nei tessuti vengono amplificati, a livello distrettuale, l’effetto Bohr e l’effetto Haldane. La somministrazione di CO2 nel sottocutaneo determina un abbassamento del pH ed un innalzamento della concentrazione della CO2 con, quindi, aumentato rilascio di O2 da parte dell’emoglobina. Aumentato rilascio di O2 da parte dell’emoglobina che significa aumentata biodisponibilità di O2 per i tessuti e, quindi, aumentata biodisponibilità di O2 per i processi catabolici ossidativi degli acidi grassi. Il legame dell’ossigeno con l’emoglobina tende ad eliminare la CO2 dal sangue. Questo è noto come effetto Haldane. L’effetto Haldane è dovuto al fatto che il legame dell’ossigeno con l’emoglobina nei polmoni rende l’emoglobina più acida, e ciò, fa spostare l’anidride carbonica dal sangue e ne facilita l’eliminazione alveolare con due meccanismi: • l’emoglobina più acida ha una minore tendenza a combinarsi con l’anidride carbonica per formare carbaminoemoglobina, liberando, così, molta dell’anidride carbonica presente sotto tale forma; • l’aumentata acidità dell’emoglobina provoca il rilascio da parte dell’emoglobina stessa di un maggiore numero di ioni idrogeno (H+) che si combinano con gli ioni bicarbonato (HCO3-) presenti nel plasma a formare acido carbonico; in seguito, l’acido carbonico si dissocia in acqua e anidride carbonica, liberando quest’ultima dal sangue. Nei capillari dei tessuti l’effetto Haldane causa una maggiore assunzione di anidride carbonica da parte dell’emoglobina in seguito allo spiazzamento dell’ossigeno dall’emoglobina. Nei capillari dei polmoni l’effetto Haldane determina una maggiore liberazione di anidride carbonica dall’emoglobina per il legame dell’ossigeno con l’emoglobina. VIE DI ELIMINAZIONE DELL’ANIDRIDE CARBONICA L’anidride carbonica (CO2) prodotta dal metabolismo cellulare, per essere eliminata, diffonde dall’interno all’esterno delle cellule in forma gassosa e sempre in forma gassosa, passa dallo spazio interstiziale nei capillari (Fig.9). CO2 CELLULA G A S CO2 INTERSTIZIO G A S CO2 Figura 9 Solo una piccola parte di CO2 può diffondere come bicarbonato in quanto la membrana cellulare è quasi del tutto impermeabile allo ione bicarbonato. Al suo ingresso nel capillare la CO2 va incontro a tutta una serie di reazioni chimiche e fisiche che sono essenziali per il trasporto dell’anidride carbonica (Fig. 10). SANGUE 7% FORMA GASSOSA 73% IONE BICARBONATO 20% LEGATA A PROTEINE Figura 10 Trasporto dell’anidride carbonica nel sangue Una piccola frazione di CO2 presente nel plasma (il 7% di tutta l’anidride carbonica trasportata) è trasportata ai polmoni sotto forma di gas disciolto in soluzione. Una parte della CO2 disciolta nel sangue reagisce con l’acqua per formare acido carbonico: CO2+H2O H2CO3 (Fig. 11). PLASMA CO2 + H2O H2CO3 REAZIONE LENTA Figura 11 Questa reazione sarebbe molto lenta, quindi sarebbe trascurabile se non ci fosse una particolare specializzazione enzimatica all’interno dei globuli rossi dove si è presente un enzima denominato anidrasi carbonica che catalizza la reazione tra l’anidride carbonica e l’acqua aumentando la velocità di tale reazione di 5000 volte (Fig. 12). ERITROCITA ANIDRASI CARBONICA CO2 + H2O H2CO3 REAZIONE VELOCE Figura 12 Invece di richiedere molti secondi o addirittura alcuni minuti, come accade nel plasma, nei globuli rossi la reazione avviene così rapidamente da raggiungere lo stato di equilibrio in una frazione di secondo. Ciò permette a grandi quantità di anidride carbonica di reagire con l’acqua contenuta nei globuli rossi ancor prima che il sangue abbia lasciato il capillare. In un’altra frazione di secondo, l’acido carbonico formatosi nei globuli rossi, si dissocia in ioni idrogeno e ioni bicarbonato: H2CO3 H++HCO3- (Fig. 13). ERITROCITA ANIDRASI CARBONICA CO2 + H2O H2CO3 H+ HCO3PRINCIPALE BASE TAMPONE DEL PLASMA Figura 13 HCO3- CL- Molti degli ioni idrogeno (H+), poi, si combinano con l’emoglobina nei globuli rossi poiché l’emoglobina stessa si combina con un potente tampone acido-base. Molti ioni bicarbonato (HCO3-) diffondono dai globuli rossi nel plasma, mentre ioni cloro (Cl-) vi si sostituiscono spostandosi nei globuli rossi. Ciò è reso possibile dalla presenza, nella membrana cellulare dell’eritrocita, di una speciale proteina di trasporto degli ioni cloro e bicarbonato che promuove il rapido scambio tra i due ioni che si muovono in direzioni opposte. Pertanto il contenuto di ioni cloro negli eritrociti del sangue venoso è maggiore di quello presente nei globuli rossi del sangue arterioso: questo fenomeno prende il nome di scambio dei cloruri. Il legame reversibile dell’anidride carbonica con l’acqua negli eritrociti, in seguito all’intervento dell’anidrasi carbonica, è responsabile di circa il 70% del trasporto dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni. E’ questo il meccanismo di trasporto della CO2 più importante tra quelli utilizzati dall’organismo. Se si somministra ad un animale da esperimento un inibitore dell’anidrasi carbonica, quale per esempio l’acetazolamide, allo scopo di bloccare negli eritrociti l’azione dell’anidrasi carbonica, il trasporto dell’anidride carbonica dai tessuti si riduce tanto che la PCO2 tessutale può aumentare fino a raggiungere il valore di 80 mmHg, invece dei normali 45 mmHg. Oltre che combinarsi con l’acqua, l’anidride carbonica reagisce con i radicali amminici delle molecole dell’emoglobina formando carbaminoemoglobina (CO2Hgb). Si tratta di un legame reversibile e di debole intensità che permette all’anidride carbonica di essere facilmente rilasciata negli alveoli polmonari, dove la PCO2 è più bassa che nei capillari tessutali. Una piccola quantità di anidride carbonica reagisce con le proteine plasmatiche con le stesse modalità con cui reagisce con l’emoglobina. La quantità teorica di anidride carbonica che può essere trasportata dai tessuti ai polmoni in combinazione con l’emoglobina e con le proteine plasmatiche è pari a circa il 30%. Tuttavia il legame dell’anidride carbonica con le proteine plasmatiche si verifica più lentamente della reazione tra l’anidride carbonica e l’acqua catalizzata dall’anidrasi carbonica negli eritrociti per cui è dubbio che questo meccanismo possa concorrere al trasporto dell’anidride carbonica per più del 20% del totale. L’acido carbonico che si forma quando l’anidride carbonica entra nei capillari dei tessuti fa diminuire il pH del sangue. La reazione di questo acido con i sistemi tampone impedisce che la concentrazione degli idrogenioni aumenti in modo eccessivo facendo diminuire troppo il pH del sangue. INDICAZIONI CLINICHE Le indicazioni cliniche della carbossiterapia interessano diverse branche della patologia medica: la cellulite, l'invecchiamento cutaneo, la psoriasi. La cellulite può essere di tipo puro (adiposità localizzata) o misto (adiposità localizzata e pannicolopatia edemato-fibro-sclerotica). Il trattamento terapeutico della cellulite, pertanto, per essere adeguato deve essere sia di tipo riabilitativo della microcircolazione, sia di tipo lipolitico. La carbossiterapia realizza: • un’azione riabilitativa della microcircolazione; • un’azione lipolitica. L’azione riabilitativa della microcircolazione torna vantaggiosa nel trattamento della cellulite perché agisce sulla componente vascolare alterata che caratterizza la fisiopatologia microcircolatoria della PEFS. Intervenendo sulla vis a tergo della microcircolazione, correggendo, cioè, l’iposfigmia delle metarteriole e delle arteriole si risolve quella situazione di stasi veno-linfatica che caratterizza, appunto, la PEFS. Se immaginiamo la cellulite come una spugna imbevuta di acqua, l’eseguire la carbossiterapia è come realizzare una strizzata energica della spugna stessa. Con la carbossiterapia risolviamo le problematiche di stasi venolinfatica che determinano l’edema del tessuto adiposo che innesca quei processi abiotrofico-regressivi-riparativi del tessuto adiposo identificati da Curri come PEFS. L’azione lipolitica della carbossiterapia torna vantaggiosa nel trattamento della cellulite perché agisce sulla componente adiposa, cioè sulla adiposità localizzata ipertrofica-iperplasica in eccesso determinando la lipolisi dei trigliceridi intradipocitari ipertrofici in acidi grassi e glicerolo. L’azione lipolitica della carbossiterapia è legata principalmente a tre meccanismi: • aumento del flusso ematico tessutale locale; • attivazione recettoriale; • amplificazione dell’effetto Bohr e dell’effetto Haldane. L’aumento del flusso ematico tessutale locale favorisce la lipolisi perché aumenta la quantità di ossigeno che è trasportato dal sangue dagli alveoli polmonari ai tessuti e che è rilasciato dall’emoglobina a livello dei tessuti trattati. Con un maggiore apporto e rilascio di ossigeno vengono favoriti i processi ossidativi degli acidi grassi. Inoltre, un aumento del flusso ematico tessutale locale si traduce in un aumento del metabolismo tessutale locale con, quindi, una maggiore richiesta energetica da parte del tessuto adiposo coinvolto e, quindi, con una maggiore stimolazione della lipolisi. L’attivazione recettoriale stimola la liberazione di sostanze algogene che stimolano la lipolisi distrettuale. L’amplificazione dell’effetto Bohr e dell’effetto Haldane significa un più facile rilascio da parte dell’emoglobina dell’ossigeno che si rende biodisponibile per i processi ossidativi degli acidi grassi. Le controindicazioni alla carbossiterapia sono diverse: alcune assolute, altre relative (Fig. 14). Insufficienza respiratoria cronica Insufficienza renale cronica Insufficienza cardiaca cronica Insufficienza epatica cronica Terapia con acetazolamide, diclofenamide o altri inibitori dell'anidrasi carbonica Terapia con metformina o altre biguanidi Diabete mellito Anemia grave Gangrena gassosa Gravidanza Figura14 Controindicazioni alla carbossiterapia Per ipercapnia si intende un eccesso di anidride carbonica nei liquidi corporei (acidosi). Gli organi che provvedono alla eliminazione della CO2 e degli idrogenioni (H+) dall’organismo sono i polmoni e i reni. Una compromissione grave di tali organi (una insufficienza respiratoria cronica grave, una insufficienza renale cronica grave) può determinare la comparsa di una situazione di ipercapnia. Nella insufficienza cardiaca cronica si ha un rallentamento importante del flusso ematico che determina una diminuzione della quantità di anidride carbonica che può essere rimossa dai tessuti. L’insufficienza cardiaca cronica rappresenta una condizione fisiopatologica che può indurre una possibile situazione di ipercapnia. Si comprende facilmente perché è bene non eseguire la carbossiterapia a soggetti interessati da una situazione di insufficienza respiratoria cronica grave, di insufficienza renale cronica grave, di insufficienza cardiaca cronica grave. Una terapia con acetazolamide, diclofenamide o con altri inibitori dell’anidrasi carbonica potrebbe indurre, nei trattamenti prolungati, la comparsa di una situazione di ipercapnia (acidosi) perché verrebbe meno, a livello eritrocitario, la coniugazione rapida dell’anidride carbonica con l’acqua per formare acido carbonico, coniugazione catalizzata dall’enzima anidrasi carbonica. Con una inibizione dell’anidrasi carbonica si interferisce con uno dei meccanismi principali attraverso cui la CO2 è trasportata nel sangue per potere, poi, essere eliminata a livello degli alveoli polmonari e a livello renale. Si comprende facilmente perché è bene non associare la carbossiterapia ad una terapia con acetazolamide, diclofenamide o con altri inibitori dell’anidrasi carbonica. Altra controindicazione è la terapia con metformina. La metformina, specie negli anziani e nei soggetti affetti da insufficienza renale cronica, può causare un’acidosi lattica sistemica. Somministrare CO2 in tali casi potrebbe aggravare una eventuale situazione di acidosi sistemica; quindi, è bene evitare di somministrare CO2 a pazienti diabetici che assumono metformina o altre biguanidi. Il diabete mellito è una controindicazione per le possibili situazioni di chetoacidosi che si possono verificare nel corso di tale patologia. Somministrare CO2 a pazienti diabetici di cui non si conosce lo stato metabolico potrebbe aggravare una eventuale situazione di acidosi sistemica e fare abbassare ulteriormente il pH del sangue; è bene evitare di somministrare CO2 a pazienti diabetici di cui non si conosce l’equilibrio metabolico. Altra controindicazione è l’anemia grave. Nel caso di un’anemia grave si avrebbero due situazioni deficitarie nel meccanismo di eliminazione della CO2: quella relativa alla coniugazione della CO2 con l’acqua a formare acido carbonico operata dall’anidrasi carbonica eritrocitaria e quella relativa all’emoglobina. Una situazione di anemia grave significa un deficit eritrocitario grave e, di conseguenza, un deficit importante del meccanismo principale attraverso cui la CO2 è trasportata nel sangue per potere, poi, essere eliminata a livello degli alveoli polmonari e a livello renale. Una situazione di anemia grave significa, inoltre, un deficit importante in emoglobina. Un deficit grave in emoglobina comporta quote ridotte di proteincarbaminati per cui viene meno anche l’altro meccanismo eritrocitario che permette il legame e, quindi, il trasporto della CO2 nel sangue e la sua conseguente eliminazione polmonare e renale. Se alla difficoltà di eliminare la CO2 tessutale intrinseca in una situazione di anemia grave sommiamo un intervento terapeutico mediante carbossiterapia diventa facile prevedere che si possa verificare una situazione di ipercapnia (acidosi). L’insufficienza epatica cronica rappresenta un’altra controindicazione. Nella insufficienza epatica cronica grave si verifica una deficitaria produzione delle proteine plasmatiche con possibili deficit dei proteincarbaminati. Altra controindicazione è la gangrena gassosa. La gangrena gassosa è una malattia causata da germi anaerobi del suolo introdottisi nell’organismo attraverso ferite. Si tratta di un processo infettivo acuto caratterizzato da necrosi dei tessuti, edema, enfisema, grave compromissione delle condizioni generali. Trattandosi di una situazione infettiva acuta sostenuta da germi anaerobi (Welchia perfringens, Clostridium septicum, Clostridium novyi, Clostridium sporogenes, Clostridium hystoliticum) si comprende facilmente quanto la somministrazione di CO2 potrebbe favorire una situazione patologica di tale tipo. Se una situazione di ipercapnia lieve iniziasse a instaurarsi in seguito ad un intervento terapeutico di carbossiterapia la stessa sarebbe immediatamente risolta dall’organismo con un aumento della ventilazione polmonare. L’ipercapnia grave è una situazione clinica che non può essere indotta da una somministrazione, anche eccessiva, di CO2. In condizioni di normalità, eseguendo la carbossiterapia, non esiste alcuna possibilità che possa verificarsi una situazione di ipercapnia grave. Una situazione di ipercapnia grave si può instaurare solo per valori elevati di PCO2 a livello degli alveoli polmonari. Quando la PCO2 raggiunge, a livello degli alveoli polmonari, valori di 60-75 mm Hg il soggetto ventila con la massima frequenza e profondità di cui è capace e la fame d’aria o dispnea diventa molto intensa. Quando la CO2 raggiunge, a livello degli alveoli polmonari, valori di 80-100 mm Hg il soggetto va incontro ad uno stato letargico o semicomatoso (coma ipercapnico). Quando la CO2 raggiunge, a livello degli alveoli polmonari, valori di 120-150 mm Hg, l’eccesso di anidride carbonica deprime il centro del respiro (piccole quantità di CO2 stimolano il centro del respiro) determinando la morte. Già negli anni venti fu dimostrato che la somministrazione sottocutanea di CO2 era priva di tossicità. In medicina, in particolare nella chirurgia ginecologica per via laparoscopica, la CO2, è utilizzata per distendere il cavo endoaddominale. In tali casi si introducono nel cavo endoaddominale 2-4 litri di anidride carbonica senza alcun problema di tossicità. In condizioni di riposo (6 litri ventilazione polmonare/minuto) circa 250 ml di ossigeno vengono trasportati dai polmoni ai tessuti e 200 ml di anidride carbonica vengono rimossi dai tessuti e trasportati ai polmoni. In situazioni di iperventilazione la quantità massima di O2 consumato è pari a 4000-5000 ml/minuto e la quantità massima di CO2 prodotta è pari a 4000-4500 ml/minuto. Il nostro organismo in condizioni di riposo elimina 200 ml/minuto di CO2 mentre in condizioni di iperventilazione elimina 4500 ml/minuto di CO2. Quando si esegue una seduta di carbossiterapia si somministrano, per via sottocutanea, in media, 30-50 ml/minuto. È facilmente comprensibile come una lieve iperventilazione durante il trattamento di carbossiterapia possa eliminare del tutto il rischio di una qualsiasi situazione di lieve ipercapnia (acidosi). Le tecniche di somministrazione della CO2 sono principalmente due: percutanea, iniettiva. La somministrazione percutanea I bagni I bagni possono essere di due tipi: di gas secco, di acqua carbonica. I bagni di gas secco possono essere generali o parziali. I bagni di gas secco generali prevedono che il paziente stia seduto o disteso su un lettino e che venga inserito in un sacco di plastica stretto al torace o alla vita con una chiusura ermetica. In tale sacco viene immessa CO2. Insomma gli arti inferiori e la parte inferiore del corpo si trovano immersi in una atmosfera satura in CO2. Un bagno di gas secco generale ha la durata, in media, di 20-30 minuti. Si eseguono trattamenti quotidiani per 20-30 giorni. I bagni di gas secco parziali prevedono che sia solo l’estremo di un arto o un arto intero ad essere inseriti in una sacca di plastica che viene, poi, chiusa in modo ermetico a livello della regione prossimale dell’arto o del segmento dell’arto interessato da problemi arteriosi organici o funzionali. Quindi, si immette la CO2 nel sacco. Una metodica ambulatoriale di bagni di gas secco è quella della idrocarbossiterapia. I bagni di acqua carbonica si eseguono facendo immergere il paziente in vasche contenenti acqua alla temperatura di 34° in cui viene fatta gorgogliare CO2. I bagni di acqua carbonica hanno la durata, in media, di 20-30 minuti. Si eseguono cicli curativi di 20-30 giorni. Le docce di gas secco Le docce di gas secco possono essere di due tipi: • docce di gas secco puntiforme: si utilizza un tubicino con un foro piccolissimo attraverso il quale passa la CO2. Tale metodica si adotta per le piccole ulcere isolate. • docce di gas secco loco-regionale: si utilizza una sorta di rampa multiforata in cui si mette l'arto da trattare che viene, poi, coperto con un telo e da un sacco di plastica. Le docce di gas secco si utilizzano per il trattamento delle ulcere distrofiche degli arti inferiori. La durata di tale trattamento è, in media, di 20-30 minuti. Si eseguono cicli curativi di 20-30 giorni. La somministrazione iniettiva Mentre i bagni di gas secco, i bagni in acqua carbonica, le docce di gas secco, le docce di acqua carbonica sono metodiche curative termali, quella iniettiva è una metodica curativa che può essere eseguita in un ambulatorio medico. Inizialmente, per le somministrazioni sottocutanee, veniva utilizzato uno strumentario spartano: una bombola di CO2 e una siringa. Oggi si possono utilizzare apparecchiature sofisticate, degli erogatori con una tecnologia assolutamente avanzata (Fig. 15). Tali apparecchiature sofisticate permettono non solo di poter dosare l’anidride carbonica, ma anche di poter assicurare al gas un certo grado di purezza: una serie di filtri purificano la CO2 da possibili contaminanti come, ad esempio, dalle spore di Clostridium sporogenes. Il gas dosato da un apparecchio centrale e purificato da una serie di filtri, arriva in un deflussore che termina con un ago 30 G da 13 mm. Una volta iniziata l’erogazione dell’anidride carbonica si lascia che il gas fuoriesca per pochi secondi dall’ago in modo da avere la certezza che il condotto del deflussore sia saturo in CO2 e, poi, si infigge l’ago stesso nel sottocutaneo provocando un graduale enfisema sottocutaneo. Una volta che la CO2 inizia a diffondere nel sottocutaneo si fissa l’ago sulla pelle con un cerotto e si lascia che la diffusione sottocutanea, attraverso percorsi virtuali, si realizzi fino alle quantità stabilite. La facilità di diffusione dell’anidride carbonica nel sottocutaneo dipende dal grado di lassità del tessuto sottocutaneo stesso per cui è variabile da soggetto a soggetto. Figura 15 C.D.T. Evolution (Carbossiterapia Italiana) DOSAGGIO Si somministrano 600 ml per emilato di CO2 per seduta. Si eroga la CO2 adottando un flusso medio pari a 30 ml/minuto. Nei primi 1-2 minuti, quando il gas cerca di farsi strada attraverso percorsi sottocutanei virtuali, si avverte un certo fastidio o dolore vero e proprio che risulta, comunque, ben tollerato nel 98% dei casi. Superata la prima fase, la somministrazione avviene senza grossi disagi per il paziente. SEDI DELLE INIEZIONI Nella cellulite le iniezioni vengono eseguite a livello sottotrocanterico o a livello peritrocanterico o a livello dei fianchi (Fig. 16). Figura 16 Solitamente si esegue una sola infissione per emilato. Si fissa l’ago nel sottocutaneo con un cerotto e si lascia che il gas diffonda fino a 600 ml per emilato con un flusso medio di 30 ml/ minuto. In tal modo il gas si distribuisce in tutto l’arto inferiore e fino ai fianchi e al torace. Nei casi di insufficienza venosa cronica si può adottare la stessa strategia terapeutica utilizzata per il trattamento della cellulite: stessa tecnica di somministrazione e stesso dosaggio del gas. BIBLIOGRAFIA ALBERGATI F., PARASSONI L., LATTARULO P., VARLARO V., CURRI S.B.: Carbossiterapia e vasomotion: comparazione tra immagini videocapillaroscopiche e referti laser doppler flow dopo somministrazione di anidride carbonica. Riv. "La Medicina Estetica", anno 21, n.1, gennaio-marzo 1997. Editrice Salus Internazionale, Roma. GUYTON & HALL: Fisiologia Medica, 2003, EdiSES, Napoli. MANZO G., VILLEGGIA P., VARLARO V.: La carbossiterapia utilizzata in situazioni cliniche di linfostasi a carico degli arti inferiori: valutazione degli effetti mendiante linfoscintigrafia – Abstract Book- XXVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Estetica – Riv. "La Medicina Estetica", anno 30, n.1, gennaio-marzo 2006. Editrice Salus Internazionale, Roma. PARASSONI L., ALBERGATI F., VARLARO V., CURRI S.B.: la carbossiterapia in tema di meccanismi d’azione. Riv. "La Medicina Estetica", anni 21, n.1, gennaio-marzo 1997. Editrice Salus Internazionale, Roma. 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