LA RELIGIONE UNIVERSALE
Come ho avuto occasione di dire nell’intervista di “Sabbatico”, che mi ha ripreso
mentre cercavo alla libreria San Paolo, altro grande convertito, il libro di Papa
Francesco intitolato “La Verità è un incontro”, la prima spinta verso la mia presunta
conversione, che ho preferito chiamare “convergenza” o “riorientamento”, mi è
stata data dal racconto che Somerset Maugham fa nel suo libro “Il filo del rasoio”.
Si tratta di un occidentale che abbandona il proprio paese per andare fino in India
in ricerca di quella che René Guénon, del quale ho assunto, a 25 anni, il primo
nome islamico il giorno della sua morte, nel 1951, chiamerebbe la “realizzazione
metafisica”, possibile solo dall’interno di una forma tradizionale che rappresenta
la “Tradizione Primordiale”.
Con questo termine egli intendeva l’origine della successione temporale di tutte le
Rivelazioni dell’Unico Dio, chiamate “religioni” (da re-ligo), in quanto permettono
all’uomo di ricollegarsi a Lui, e delle quali l’Induismo costituisce storicamente il
primo anello, che sfocerà finalmente anche nelle tre rivelazioni del Monoteismo
Abramico, che con un gioco di parole potremmo intendere appunto come “nonbrahmaniche”, costituite da Ebraismo, Cristianesimo e Islam, parola quest’ultima
che indica la “sottomissione al Dio Unico”.
All’inizio dell’anno, in occasione del ventottesimo anniversario dell’incontro di
Assisi del 1986, al quale ero stato invitato da Giovanni Paolo II, a conclusione
dell’“Invocazione alla Pace” ho voluto ricordare che “Le Persone della Santissima
Trinità traggono tutta la loro Realtà dall’Ineffabile al quale si rivolgono”. “Verso di
Lui” è, infatti, anche la traduzione letterale del termine arabo “ila Hu”, desinenza
racchiusa nel Nome “Allah”. Dissi questo pur nel timore che da parte “cattolica”,
termine che in origine custodiva consapevolmente il significato etimologico di
“universale”, e cioè volto “Versus Unum”, l’Unico Dio del Monoteismo Abramico,
mi si sarebbe potuto obiettare che sono le stesse Persone della Trinità cristiana a
costituire questo “Uno”.
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Lungi da me l’idea di voler criticare la teologia del Cristianesimo, dato che le
teologie sono provvidenzialmente diverse per ogni religione, pur mantenendone
la validità salvifica nelle rispettive ortoprassi, ma il nostro timore è quello che
l’accento messo sulla figura umana possa portare il Cristianesimo, al quale fu
già fatta da parte dell’“Ortodossia” un’obiezione circa il “Filioque”, a un’eccessiva
umanizzazione della dottrina originaria, con il rischio di perdere di vista quella
“Universalità” che non è certo prerogativa esclusiva dell’Islam, ma che è presente
anche nell’Ebraismo, nell’Induismo e nel Buddismo.
Per ovviare a questa obiezione, forse qualcuno potrebbe essere tentato di dire che
anche l’Induismo possiede una concezione “trinitaria”, che si esprimerebbe nelle
tre persone di Brahma, Shiva e Vishnu, ma in realtà ogni indù ha ben presente che
l’Assoluto, e cioè il Brahman supremo (nirguna), così come Allah nell’Islam, che
pur si manifesta anche per mezzo dei suoi novantanove altri nomi, corrisponde
all’Unico Dio Metafisico al quale solo si rivolgono tutte le religioni ortodosse e
pertanto almeno intrinsecamente “universali”.
Il timore è che un’errata interpretazione della teologia possa condurre il
Cristianesimo a una chiusura esclusivistica su se stesso e a ritenersi superiore
alle altre rivelazioni, persino a quelle del ceppo abramitico, che si rifanno
esplicitamente alla comune attesa escatologica e messianica della seconda venuta
del Cristo.
Del resto è l’Induismo stesso, con la figura finale del Kalki Avatar, a preparare
proprio l’attesa messianica della seconda venuta di Gesù, e a ricordare a noi tutti,
indù, shinto, buddisti, ebrei, cristiani e musulmani il momento escatologico che
dovremmo saper attendere in un mondo che, oggi più che mai, manifesta quelli
che, ancora una volta René Guénon, ci ha insegnato a riconoscere come i “segni
dei tempi”.
Shaykh ‘Abd al-Wahid Pallavicini
Presidente
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