intervento seminario tac – composizione

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Rete nazionale “Qualità e sviluppo dei Licei Musicali e Coreutici Italiani”
Progetto “Musica e Danza InterMedia”
Laboratori di Formazione
Teoria, Analisi e Composizione
L'APPRENDIMENTO DELLA COMPOSIZIONE
NEL LICEO MUSICALE
COME CREATIVITÀ RIFLESSIVA
a cura di Antonio Giacometti
Docente di composizione e direttore dell'ISSM “Vecchi-Tonelli” di Modena
Scuola di Lettere Filosofia Lingue
Università degli Studi Roma Tre
via Ostiense 234, 00146 Roma - Metro B Marconi
(ingresso anche da via Valco S. Paolo 19)
19, 20 e 21 febbraio 2015, Aula A
26, 27 e 28 febbraio 2015, Aula A
1. Introduzione generale
Prima di addentrarmi nelle più complesse e integrate questioni metodologiche,
proponendo di conseguenza alcuni modelli operativi, vorrei fare alcune considerazioni
generali, anche, ma non solo, stimolate dalla lettura delle relazioni dei docenti di TAC di
alcuni Licei italiani, intervenuti al Forum dello scorso mese di novembre 2014. Dico non
solo perchè il mio ormai più che trentennale impegno negli ambiti della didattica musicale
a diversi livelli1 e la mia professione di compositore e di docente di composizione in
Conservatorio mi hanno portato costantemente a riflettere sulle mie stesse metodologie,
esercitando un lavoro di tipo epistemologico che in questo settore specifico è quanto di
meno praticabile si possa pensare, data (a) la complessità dell'oggetto, che si nutre tanto
di aspetti razionali quanto di emotività ed è fortemente relativizzato a contesti, (b)
l'impossibilità della trasmissione diretta, lineare e conservativa di contenuti che attingono
tanto dall'interno della disciplina quanto dal suo esterno e che si presentano comunque
sempre in forma integrata, condizionando lo stesso concetto di “competenza” - conoscitiva
o concettuale2? - e la sua valutazione, (c) la centralità del valore estetico (estesico?), che
chiama inevitabilmente in causa la differenza fra composizione “morta” e composizione
“viva”.
Ciò non intende certo avvalorare le tesi di comodo sulla non insegnabilità della
composizione, ma identificare problematicità ed aporie per evitare che alcuni, diciamo, “tic”
di certa didattica un po' compulsiva si applichino acriticamente ad una disciplina, il cui
fascino attrattivo e forza formativa si devono in misura decisiva proprio alla quota di
creatività, d'immaginazione e di pensiero divergente che si ritengono il larga parte
intrasmissibili e non valutabili.
“La scuola deve saper misurare e verificare ciò che fa, altrimenti può essere un sacco di
cose belle, ma non è scuola”, mi diceva sempre un amico pedagogista, refrattario alle mie
perplessità sui modelli docimologici oggettivi applicati alle competenze musicali. E
nonostante l'affermazione mi trovi sostanzialmente concorde, non posso fare a meno di
continuare a coltivare perplessità anche sulla declinazione dei cosiddetti “obiettivi specifici
d'apprendimento”, figli di quelle Indicazioni Nazionali, alla stesura delle quali ho il più che
fondato dubbio di essere stato indiretto complice non più di un decennio fa.
1 Negli anni '80 sono stato membro del Direttivo Nazionale della Società Italiana per l'Educazione
Musicale, di cui ho per più di venticinque anni ricoperto la carica di Presidente e Vicepresidente per la
sezione bresciana e nel 1989 sono stato fra i soci fondatori della Società Italiana di Analisi Musicale
(SIdAM)l 2000, di cui ho ricoperto la carica di Consigliere del Direttivo Nazionale fino al 2001. Per le
Riviste ufficiali di queste stesse Associazioni ho poi curato rubriche e scritto una nutrita serie di articoli,
recensioni e saggi sui temi della didattica della creatività, applicata alla composizione e alla musica
d'insieme.
2 Cfr. Gérard De Vecchi – Nicole Carmona Magnaldi, Aiutare a costruire le conoscenze, Armando, Roma,
1999
Ecco dunque alcune considerazioni molto “sparse”, ma che presentano
plurivalenze tali da potersi senza fatica tenere fra loro, formando 'poli di senso didattico'
facilmente applicabili alla nostra realtà.
- Gli studenti non sono tabula rasa, ma portatori di “qualcosa”. Quel qualcosa va tirato
fuori, valorizzato, potenziato, confrontato con la realtà e con la storia. Del resto,
etimologicamente, comporre è mettere insieme, ma che cosa dobbiamo mettere insieme,
e per creare che?
- Domandarsi a che serve (finalità oggettiva) e a chi serve (finalità soggettiva).
- Partire dalle cose vicine (nel tempo, nella sensibilità e nel gusto). Ho visto cose del tipo:
“Composizione di Minuetto o altra Danza ...”
- Nel curricolo dei corsi preaccademici di Composizione presso il Conservatorio in cui
insegno, ho pensato bene di destinare i primi tre anni (ora sono diventati due, ma ci sono
oggi triennalisti che avevano iniziato in prima media con quell'articolazione) ad una specie
di esplorazione interna dell'allievo, guidata dall'esterno dall'insegnante, delle motivazioni,
delle attitudini, delle passioni musicali, delle manipolazioni di ogni sorta di materiali, delle
finalizzazioni estetiche (estesiche?) di ogni più piccolo prodotto della creatività, del
confronto con l'alta e la bassa letteratura, con l'altro, il diverso lo “strano”, lo schifoso e il
sublime.
- Ho letto da qualche parte che lo spirito corretto dell'insegnamento della composizione in
questo contesto sarebbe quello di abbandonare ogni “pretesa di composizioni artistiche”,
intendendo il comporre a questo livello come un puro fatto di comprensione di stili, forme e
linguaggi, mediato dall'operatività, anziché lasciato alla parola e allo schema logico
astratto. Si torna all'idea del “vivo” e del “morto”. In realtà c'è anche un errore di
valutazione dei meccanismi di apprendimento di ciò che è costruzione estetica e non
solamente costruzione, perché non è tanto entrando nei materiali, nella logica e
nell'impiego dei “ferri del mestiere” del compositore che si comprende meglio l'opera,
quanto conferendo a quei materiali, a quella logica e a quei ferri del mestiere un
un'intenzione, un significato, perché, come diceva S. Beckett “non ci sono simboli dove
non c'è l'intenzione”.
- Questo bisogno patologico di “tassonomizzare” tutto, di “cronologizzare”, di “catalogare”
… Ma che “obiettivo specifico di apprendimento” è la Nona di Dominante? La disciplina
(TAC) è in fondo una sola (ma perché lasciar fuori la Musica d'Insieme?) e le parole
d'ordine dovrebbero essere manipolazione, sperimentazione e trasversalità, che
rimandano direttamente all'idea di un laboratorio di produzione e riflessione, dove si crea,
si analizza e s'interpreta, in un feedback continuo e flessibile nei suoi fondamenti.
- Emerge spesso un'idea falsata di musica contemporanea colta, come “morte” o
“superamento” dell'armonia e ciò e concettualmente sbagliato, non solo perché l'armonia
(anche quella tonale) è sopravvissuta, verrebbe da dire, malgré la recherche, anche in
ambiti “colti” e “sofisticati” della musica d'arte (a tacere della musica leggera, dalla beat
generation in avanti), ma perché esistono diverse tipologie d'armonia, quella corrotta
quella afunzionale, quella jazzistica e quella allargata. Il contemporaneo è insomma
declinabile in modi assai differenziati ed è giusto che i ragazzi lo sappiano perché sono
essi stessi “contemporanei”.
- Vogliamo fare anche una microriflessione sull'insegnamento dell'armonia tonale
cosiddetta “classica” (common pratice), cominciando dalle parole del collega Grande che
ho incontrato nella relazione dell'incontro di fine novembre:
Sembra che i Corali rappresentino il repertorio più usato nei lavori di analisi e composizione in classe e, del
resto, ciò è in linea con una decennale tradizione didattica, anche nei Conservatori. In effetti il Corale si
avvicina particolarmente alla classica impostazione didattica per lo studio dell'armonia e della condotta delle
voci. Tuttavia, già nelle discussioni con i docenti, ho espresso qualche perplessità. Ciò perchè il Corale
rappresenta un caso limite di scrittura musicale e non possiede alcune caratteristiche che mi paiono
indispensabili per cogliere la pienezza della comunicazione in musica. Penso a:
• l'omogeneità della testura. Anche in presenza di una ricca fioritura delle voci, la testura rimane ferma e
compatta per tutto il pezzo;
• omogeneità di registri e dinamiche. Ciò porta all'impossibilità di studiarne un impiego sul piano espressivo e
sintattico;
• i rapporti con il testo. Di norma il lavoro sul Corale viene fatto a ridosso delle soluzioni armoniche e
contrappuntistiche presenti, trascurando invece i testi. Le traduzioni non sempre si trovano, il tedesco usato
non è moderno. Il risultato è che si perde una buona parte del valore comunicativo della musica. Nel Corale
testo e musica si intrecciano in una complessa simbologia, che era tipica del tempo, insieme con le regole di
una teoria degli affetti, tutti argomenti di grande interesse (anche di tipo interdisciplinare), ma che rendono
meno immediato il rapporto con la musica. Insomma: seppure gli spunti interdisciplinari
sono assai fecondi, il lavoro sulla musica rischia di passare in secondo piano, posto che un
corso di Liceo musicale non può essere la sede per un approccio specialistico e filologico
allo stile bachiano;
• la mancanza di una vera “azione”. Il Corale si limita per lo più a commentare e non si configura come uno
spazio d'azione. Nelle musiche ricche di azione, invece, è più facile riconoscere il profilo di una narrazione,
con tanto di scene, di imprevisti, di soluzioni 'teatrali', ecc.
Anche se personalmente riconosco al Corale altre funzioni didattiche nell'insegnamento
della composizione, mi sento in completa sintonia con queste affermazioni e mi chiedo
soprattutto perché si debba assegnare come tema di maturità un “basso da armonizzare a
quattro parti”, come se fosse quella pratica, ormai desueta perfino nei corsi di
composizione principale, a fornire la misura di quanto gliu studenti abbiano compreso
dell'armonia. E penso che lo studio dell'armonia tonale a questo livello debba consistere
soprattutto nella capacità di riconoscerne e di utilizzarne creativamente ed esteticamente
(non importa a quale livello di complessità) strutture e forme.
- c'è poi il problema del “dentro” e del “fuori” della composizione nella scuola, perché la
cosiddetta “ispirazione” non cade dall'alto, ma levita dal basso, per cui più cose si sanno e
più esperienze pratiche si fanno meglio è. Il coinvolgimento dei territori, di cui ho letto un
bell'esempio in una relazione proveniente dalla Toscana, in questo senzo è fondamentale,
così come quello di tutte le realtò esterne che possano fornire stimoli in forma di
laboratorio, masterclass, incontro col compositore ecc...
- mi domando infine per quale motivo non si è creato un insegnamento principale di
composizione, relegandola di fatto ad ancella dell'analisi quando dovrebbe forse essere
esattamente il contrario …
2. Qualche materiale utile
Vi presento ora alcuni materiali, che potrebbero tornare utili agli intervenuti se
intendessero far propri le metodologie e i contenuti che illustrerò nelle prossime ore. Le
prime due sono relazioni tenute all'interno di altrettante conferenze organizzate dal
SagGem dell'Università di Bologna e riguardano rispettivamente una riflessione sullo stato
dell'insegnamento della composizione in Italia e strategie didattiche per l'inserimento della
composizione nell'Educazione musicale di base. Le altre due sono materiali di lavoro per
la strutturazione di un corso sull'armonia tonale.
Comporre musica con bambini e ragazzi dentro e fuori la scuola
di Antonio Giacometti
1. La composizione musicale: un gioco di regole?
“Una volta chiesi timidamente al mio insegnante di Teoria il permesso di mostrargli
alcune mie composizioni. Risposta: «Solo quando saremo pronti con lo studio
dell'Armonia». Che questi fosse uno stupido, l'avrei compreso più avanti. Inizialmente il
colloquio m'intristì, ma naturalmente continuai a comporre, anche senza aiuto. E ciò non
va bene per niente“.1
Il raccontino adolescenziale dell'illustre compositore e pubblicista tedesco Diether De La
Motte suggerisce due domande preliminari sulla didattica della composizione, sia essa
riferita ad ambiti supposti “specialistici”, come i corsi di composizione presenti nei
Conservatori, o ad attività creative “di base”, inserite più o meno sporadicamente nella
scuola dell'obbligo con finalità educative generali e nella recente scuola secondaria
inferiore ad indirizzo musicale come supporto all'apprendimento della teoria/analisi e alle
attività musicali d'insieme2:
1) È necessario essere seguiti da un insegnante per apprendere la composizione?
2) Può esistere una pratica compositiva consapevole senza la conoscenza preliminare
di teorie, regole e sistemi astratti, analiticamente ricavati nel corso dei secoli
dall'opera della koinè artistica di appartenenza?
Questioni invero alquanto complesse e tali da non ammettere il ricorso a luoghi comuni.
La risposta negativa alla seconda domanda implica quasi necessariamente una risposta
positiva alla prima (solo l'insegnante esperto può sintetizzare ed interpretare il parco di
regole la cui corretta applicazione “piega la mano” del giovane allievo-compositore),
mentre, al contrario, ammettere che si possa comporre liberamente inventando e
improvvisando o creandosi un codice privato, sia esso individuale o collettivo, rende
marginale la figura del “maestro” (anche se non la esclude). Del resto, la musica praticata
in Occidente negli ultimi cento anni, tanto per non scomodare culture 'altre', ha negli
improvvisatori del Jazz e nei raffinati costruttori di codici privati della produzione colta,
cosiddetta “contemporanea”, dei credibili rappresentanti di una concezione del comporre
svincolata da regole, tecniche e strumenti esterni (e spesso estranei) alla volontà e all'atto
creativo. Di ciò erano già consapevoli compositori-educatori d'inizio anni '80, come Nils
Hansen, di cui riportiamo un ampio e illuminante stralcio:
“L'insegnamento che usa sistemi musicali ben delimitati, porta i giovanissimi a guardare
da un unico punto di vista e, più tardi, a dimostrare scarsa apertura verso idee nuove. […]
Infatti, la creatività è pensabile unicamente muovendo fin dall'inizio in sistemi «aperti»
anziché «chiusi». I sistemi chiusi portano ad un comportamento basato su formule,
all'imitazione di soluzioni già esistenti, all'applicazione di cognizioni nozionistiche. […] Più
aperto è il sistema, più dati utili sono disponibili per l'immissione (input), più possibilità o
procedimenti diversi esistono per la utilizzazione di questi dati, e più sano è l'organismo
(che si tratti di un individuo o di un gruppo). Perciò si possono selezionare e realizzare i
processi più adeguati; diviene così più grande anche la tolleranza per una qualsiasi
risposta (output), e tutto ciò che ne consegue. […] Un sistema chiuso non imbocca che
una sola strada per risolvere i problemi e, d'altronde, non ammette che una sola soluzione
possibile.”3
1 Sono le prime righe della Prefazione al volume di Diether De La Motte, Wege zum Komponieren, Kassel,
Bärenreiter,, 1996, pag.7.
2 Cfr. a tal proposito Antonio Giacometti, Linguaggi e forme per inventare (una propedeutica alla
composizione con proposte di applicazione didattica), Milano, Rugginenti, 1997 e Antonio Giacometti-Mauro
Montalbetti, Insieme per suonare, insieme per capire, Curci, Milano, 2001.
3 Nils Hansen, Creatività ed educazione musicale, Milano, Suvini-Zerboni, 1984, pgg. 18-19.
La tendenza, pertanto, è quella di potenziare il campo attivo delle possibili risposte ai
problemi compositivi per abbassare drasticamente il tasso di normatività passiva: pensare
meno al “modello” (da qualsiasi epoca o luogo esso provenga) e più al “materiale sonoro”,
alla sua capacità di creare senso condiviso, e ai principi costruttivi che sono in grado di
organizzarlo, generando Musica a tutti gli effetti, comprensibile ed esteticamente
legittimata.4
La necessità d'individuare una metodologia d'insegnamento della composizione, capace di
porsi in una dimensione metalinguistica e di superare così la rigida distinzione fra una
didattica 'specialistica' e una didattica con finalità educative, era già stata espressa nei
primissimi anni '80 da Boris Porena con la sua «ipotesi metaculturale di base», “un'attività
analitico-produttiva avente per oggetto i suoi stessi criteri operativi, i suoi stessi sistemi di
concettualizzazione e di scambio comunicazionale. […] una ipotesi che restituisce piena
dignità culturale a ogni espressione in quanto la riferisce, non a una indimostrabile, quindi
ideologica, verità assoluta, ma a un campo di validità concretamente riconoscibile e
utilizzabile. Un relativismo critico e metodologico che si oppone all'equiparazione di ogni e
qualsiasi giudizio in quanto tende a esplicitare per ciascuno di essi il campo di pertinenza
e i criteri contingenti in base a cui viene formulato.” 5
2. Improvvisazione e scrittura.
Se dunque la composizione è un gioco di regole, queste “regole” non dovrebbero
identificarsi con una “tecnica”, a sua volta applicata a sistemi linguistici consolidati
all'interno di un periodo storico, di una cultura, di una visione estetica, ma essere il frutto di
sperimentazioni e di esplorazioni sonore6. Come ricordavano più di un trentennio fa
Paynter ed Aston, pionieri della sperimentazione compositiva nelle scuole dell'obbligo, “[...]
l'arte nel processo educativo dovrebbe partire da ciò che l'individuo ha da dire. […]. A
scuola le tecniche necessarie possono essere apprese attraverso l'esplorazione autonoma
dei materiali.” 7 Ciò chiama in causa un altro importante aspetto della questione, che
riguarda il concetto stesso del comporre come puro atto di pensiero astratto e riflessivo, la
cui realizzazione passa attraverso la scrittura, o come prodotto del pensiero associativo e
attivo, generato da esplorazione, sperimentazione concreta ed improvvisazione. Che
l'insegnamento specialistico della cosiddetta “composizione euroculta” sia prioritariamente
passato, e passi tuttora, dalla scrittura, mentre la didattica del jazz centra le proprie
attività sull'improvvisazione, è dato certo e coerente con la diversa natura delle loro finalità
estetiche e comunicative: “Il compositore ha un atteggiamento progettuale, ha una
concezione complessiva alla luce della quale pianifica la propria opera, avvalendosi di una
partitura che gli consenta […] di avere costantemente l'insieme davanti agli occhi, come
scrive Beethoven nella Lettera a Treitschke. Nel jazz, la musica non obbedisce al
dispiegamento di questa necessità interna, ma si attualizza in ciascun istante, e ciascun
istante ha valore in sé (il tempo dell'improvvisazione è sempre «adesso» ).” 8 Ma quale
4 Ancora nel 1940 Edgard Varèse dichiarò apertamente: «Dal momento che il termine “musica” sembra
essersi ridotto a significare molto meno di quello che dovrebbe, preferisco servirmi dell'espressione “suono
organizzato”, evitando così la tediosa questione “Ma è musica?”», in E. Varèse, Il suono organizzato. Scritti
sulla musica, Milano, Ricordi Unicopli, 1985.
5 Boris Porena, N. 2 per la composizione. Questioni grammaticali e sintattiche, Milano, Ricordi, 1983, pag. 5.
6 Cfr. a questo proposito il par. 1.1. (“Attribuire senso ai giochi esplorativi”) del primo cap. del volume di
Antonio Giacometti, Anche senza leggio (metodologie e materiali per la musica d'insieme), Milano,
Rugginenti, 2013 (di prossima pubblicazione).
7 John Paynter-Peter Aston, Suono e silenzio (Progetti di musica creativa nella scuola), Torino, ERI, 1980,
pag. 22. A tal proposito, è forse significativo che nei programmi di studio dei corsi preaccademici di
composizione di un Conservatorio del nord, l'intero curricolo venga attraversato da una disciplina chiamata
“esplorazioni sonore”, anche se poi non ne vengono specificati i contenuti.
8 D. Sparti, op. cit., pag. 128.
dev'essere l'atteggiamento nel più generale contesto educativo che stiamo qui
affrontando? Ancora Paynter sottolinea che “solo le idee stesse possono indicare i sentieri
da esplorare. Le tecniche di cui abbiamo bisogno all'inizio sono quelle che ci aiutano a
valutare la potenzialità delle idee. E possiamo acquisire questo genere di abilità solo con
l'esperienza diretta e lavorando con i suoni. […] La composizione, dunque, inizia con
l'improvvisazione. Tutti i suoni, individualmente e in combinazione, possiedono particolari
caratteristiche che possono indicare le loro potenzialità di sviluppo”. 9 Questo rivolgersi alla
pratica dell'improvvisazione come canale privilegiato di elaborazione dell'”idea”, in grado di
coinvolgere la collettività scolastica e di stimolarne la collaborazione e la dialettica
costruttiva, mostra l'inconsistenza di certe critiche da parte di un certo accademismo
compositivo a quella che Paynter e Aston chiamano “composizione empirica” 10, accusata
di scarso spessore estetico, quando non di dilettantismo musicale, perché punta sulla
materia e sulla sua organizzazione diretta (“facile” e “superficiale”), anziché affidarsi alla
mediazione della scrittura (“complessa” e “profonda”). In realtà, è vero l'esatto contrario:
proprio perché punta direttamente sulla materia sonora, questo tipo di composizione
stimola i ragazzi all'elaborazione di un pensiero musicale ben più complesso di quello che
può permettere una scrittura come quella euro-occidentale, contro le cui limitazioni hanno
dovuto combattere già le esigenze compositive di un Beethoven o di uno Chopin e della
quale, oltretutto, in una scuola dell'obbligo non si riescono ad insegnare che puri
rudimenti. La necessità condivisa di fissare sulla carta i propri “suoni organizzati” porterà
così gli alunni alla definizione di notazioni particolari, che oltre ad offrire loro l'opportunità
di confrontarsi con una sterminata messe di partiture grafiche di autori contemporanei, gli
potrà disvelare dall'interno come funzionano quelle analogie fra grafema e gesto (evento)
sonoro, che stanno alla base delle scritture musicali. Ne risulta che la “diffidenza [verso la
condotta improvvisata] è [solo] il risultato di un'estensione indebita del paradigma della
perfezione estetica ad ambiti non regolati da tale ideale.” 11
3. Quale metodologia e che insegnante?
Superate le aporie teoriche del rapporto fra composizione empirica e composizione
scritta all'interno di una didattica non specialistica, rimane da definire quale sia l'ambito
metodologico entro cui quella didattica dovrebbe muoversi, a partire dal dato, primario e
ineludibile, che l'insegnamento di una pratica compositiva finalizzata all'educazione
globale e alla conoscenza musicale non può e non deve appoggiarsi a metodologie chiuse
e manualistiche o a “format” preconfezionati, da impiegare come letti di Procuste. Al centro
di ogni strategia educativa devono sempre collocarsi la fantasia degli alunni e la loro
volontà di convertirla in comunicazione artistica, libera e immediata, ma pure consapevole
dei mezzi che impiega. Si tratta quindi di articolare unità e moduli didattici che, a partire
dalle capacità inventive degli allievi, siano in grado di potenziarle e di finalizzarle,
muovendosi lungo tre fondamentali direttrici metodologiche:
 approccio multimediale;
 ricerca attiva (esplorazione sonora);
 identificazione e produzione simbolica.
9 John Paynter, La musica nella media superiore (Un'esperienza inglese fra educazione e istruzione),
Milano, Unicopli, 1986, pag. 189.
10 “Ciò significa entrare in diretto contatto con i materiali della musica – i vari strumenti o idee musicali – e
sperimentarli improvvisando finché non si sia data forma a un brano di musica. E' un processo di scelta
progressiva che consente di valutare man mano che si procede e nel confermare mentalmente i particolari
(senza cioè annotarli necessariamente) finché si riesce a ricordare chiaramente quello che succede in modo
che il brano possa essere eseguito con discreta precisione. […] Non possiamo pretendere che i nostri allievi
creino musica se non diamo loro la possibilità di lavorare direttamente con i materiali della musica.” (PaynterAston, op. cit., pag. 31.
11 D. Sparti, op. cit., pag. 210.
Come evidenzia lo schema seguente, l'idea è quella di creare un “circolo espressivo” che
abbia al centro l'esplorazione sonora, eventualmente stimolata da diversi ambiti
extramusicali (parola – immagine – gesto), ai quali potrà poi riagganciarsi sotto forma di
linguaggio simbolico condiviso, in grado di rappresentare l'extramusicale attraverso tòpoi
realizzati per via analogica o metaforica12.
Linguaggio verbale
Immagine
Movimento
ESPLORAZIONE SONORA
Identificazione di simboli condivisi
Gesto sonoro
Scrittura
Produzione di simboli da condividere
Un circolo “aperto”, in quanto non limita gli allievi ad identificare le reti simboliche
riconosciute dalla cultura di appartenenza e ad impiegarle ai fini di comunicazione
espressiva, ma li invita a produrne di proprie e a condividerne i significati all'interno del
gruppo, sperimentando così attivamente la natura connotativa del linguaggio musicale,
fondata su un sistema nucleare di relazioni intercategoriali (fra ritmica, dinamica, densità
sonora, massa timbrica ecc...), aperto ai suoi confini a “strutture di pensiero, di azione, di
prassi, di comportamenti motori.”13
Da gioco di regole la composizione si trasforma così in un gioco di simboli, all'interno del
quale i rapporti fra aspettativa e mancato appagamento, fra ovvietà e originalità, fra
pensiero convergente e pensiero divergente, possono dar vita e corpo sonoro a quelli che
Piatti e Strobino hanno felicemente battezzato col termine spaesamenti, “a descrivere
quella che è forse la funzione primaria di tutte le arti: suscitare stupore e meraviglia.” 14
Per riassumere e per meglio chiarire, il percorso metodologico proposto parte dalla
sollecitazione delle motivazioni degli allievi all'esercizio della creatività musicale, in base
alla convinzione che, come diceva Samuel Beckett, non ci sono simboli dove non c'è
l'intenzione. Da questo punto di partenza, che può anche collocarsi nei territori dell'
extramusicale, il lavoro didattico s'irradia da una parte verso l'acquisizione dei materiali e
delle strutture sonore necessari alla produzione di senso (esplorazione-improvvisazione),
dall'altra verso il consolidamento delle reti concettuali che permetteranno ai ragazzi
d'impiegare quelle strutture e quei materiali in contesti diversi da quelli in cui li hanno
scoperti e di riconoscerne portata simbolica e funzioni architettoniche in opere d'autore
proposte all'ascolto (riflessione e concettualizzazione) 15. Non s'insegnano “regole” per
12 Su questa metodologia si è sostanzialmente basato il progetto Insegnare la musica giocando al teatro,
una sperimentazione multidisciplinare ideata e condotta dallo scrivente in una scuola elementare bresciana
nel 2007 ed insignita del Premio Abbiati per la Scuola nel 2008 (cfr. l'ampio articolo esplicativo, apparso in
“Musica Domani”, Trimestrale di cultura e pedagogia musicale , n. 151 del giugno 2009, EDT, Torino, pagg.
6-10.
13 Marco De Natale, Strutture e forme della musica come processi simbolici, Bari, Morano Editore, pag. 25.
14 Mario Piatti – Enrico Strobino, Grammatica della fantasia musicale (Introduzione all'arte di inventare
musiche), Milano, Franco Angeli, 2011.
15 Sui principi pedagogici generali della didattica per concetti cfr. Gérard de Vecchi – Nicole
comporre, contingenti e mutevoli, ma si promuove l'acquisizione di strutture di pensiero
compositivo adattabili a contesti diversi, anche a quelli in cui quelle stesse “regole” si sono
prodotte, sforzandosi “di distinguere ciò che nella musica è frutto di convenzioni,
suscettibili di essere insegnate, e ciò che nel musicista accresce le attitudini, suscettibili di
essere educate.”16
Appare però evidente che una simile impostazione metodologica mal si coniugherà con
una figura docente generica e di stampo normativo o anche semplicemente trasmissivo. É
invece necessario un docente competente nel settore specifico della composizione,
creativo, divergente e, soprattutto, incline a “mettere le mani” nella materia sonora insieme
ai propri bambini e ragazzi, guidandoli, senza invaderne lo spazio di ricerca e di rielaborazione, ed aiutandoli a valutare di volta in volta ciò che stanno facendo, sulla base
non dei gusti personali, ma della coerenza costruttiva, dell'adeguatezza al progetto
espressivo. Un insegnante motivato e collaborativo, con un'idea “aperta” di ciò che
significhi oggi comporre, sia dal punto di vista poietico ed estetico, sia da quello educativo,
e che sappia intuire la portata del suo ruolo dentro e, come vedremo, anche fuori dalle
mura scolastiche.
4. Sul significato del comporre nello spazio scolastico.
Penso che l'insegnamento della composizione, nei termini metodologici fin qui
tracciati, possa ricoprire nella scuola italiana la funzione che una studiosa come Gertrud
Meyer-Denkmann aveva già tracciato all'inizio degli anni '70 17, cioè quella di gettare un
ponte fra categorie didattiche di tipo produttivo e riflessivo. Ciò equivale a dire che, mentre
nella scuola dell'infanzia l'atto compositivo globalizzato e sinestesico potrà condurre i
bambini all'appropriazione, quasi “per contatto” delle strutture timbriche, ritmiche,
armoniche e melodiche proprie della musica, nella scuola primaria la ricerca e
l'esplorazione dei materiali sonori potrà venire organizzata secondo principi costruttivi di
tipo universale e transdisciplinare, che diventeranno preziosi criteri di analisi, decodifica e
comprensione dei diversi linguaggi espressivi fra loro integrati. Più a fondo si potrà poi
andare nelle secondarie inferiori, dove le prime analisi di brani appartenenti alla più vasta
letteratura colta, popolare ed etnica potranno essere affrontate sia come verifica di quanto
precedentemente prodotto sulla base di analoghi materiali e principi, sia come momento di
ricerca di strutture e forme da mettere a disposizione di un futuro progetto espressivo.
Calando un velo pietoso sull'assenza della disciplina “musica” nelle scuole secondarie
superiori in generale, rimane da verificare se e come la disciplina “Teoria, analisi e
composizione”, attivata nei novelli Licei musicali del nostro paese, riuscirà ad integrare i
due aspetti complementari dell'attività compositiva e della riflessione analitica secondo
modalità rispettose del livello cognitivo e critico degli adolescenti.
Convinto di tutto ciò, non posso d'altronde esimermi dal ricordare che esiste in realtà una
sola ragione, oggi, per insegnare a comporre proprio in uno spazio preposto
all'educazione come la scuola e questa ragione si chiama, forse con termine abusato, ma
quantomai pertinente, “espressione estetica del sé”. Dare ai bambini e ai ragazzi i mezzi e
le conoscenze per esprimersi in prima persona o all'interno di un gruppo solidale ed
affiatato vuol dire rendergli la vita migliore, abituarli ad esternare e a condividere conflitti,
paure, affetti e visioni del mondo. Ribaltando una frase di John Paynter, si potrebbe
affermare che “quando si ha qualcosa da dire bisogna anche avere i mezzi per poterlo
Carmona Magnaldi, Aiutare a costruire le conoscenze, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1999.
16 François Delalande, Tre idee chiave per un risveglio della pedagogia musicale, sta in AA. VV. (a cura di
Rossana Dalmonte e Maria Pia Jacoboni), Proposte di musica creativa nella scuola, Bologna, Zanichelli,
1978, pag. 24.
17 Gertrud Meyer-Denkmann, Struktur und Praxis neuer Musik. Experiment und Metode, Wien, Universal
Edition,, 1972.
dire”18
5. Sul significato del comporre nello spazio sociale.
A proposito di musica d'insieme per bambini e ragazzi, ho già avuto occasione di
trattare questa tematica, che ritengo di primaria importanza nel quadro di un progetto
educativo incentrato sulla creatività e sull'espressione artistica. 19
Affidare l'ideazione e la realizzazione di esperienze compositive al mero (e troppo spesso
risicatissimo) tempo scolastico, significa sottrarle alla necessaria continuità, ma,
soprattutto, staccare la spina dell'entusiasmo e della motivazione, col rischio di dover
ripristinare l'alimentazione quando, magari, al gruppo o al singolo allievo è passata la
voglia. L'idea di prolungare l'attività dal contesto scolastico a quello socio-culturale di
appartenenza (famiglia, quartiere, comunità ecc...) non ha però nulla a che vedere con
l'utilizzo domestico del computer a scopo compositivo, come possibilità di una pratica
creativa autonoma che si colloca a metà strada fra la ricezione e la produzione,
consentendo la manipolazione diretta di unità sonore concrete 20. Questo può costituire,
diciamo, l'aspetto “divulgativo” del significato del comporre, che va tra l'altro sorvegliato
perché rischia di diventare meccanico e ripetitivo, sviluppando solo categorie di pensiero
musicale elementari. Portare la composizione fuori dalla scuola è ben altra cosa: è stimolo
al lavoro di gruppo, alla risoluzione collettiva di problemi costruttivi, è coinvolgimento dei
nuclei famigliari, presenza nelle sale da concerto dove si esegue musica nuova, per
confrontarsi e capire, è incontro coi compositori più giovani, di varie tendenze, generi e
stili, è organizzazione di piccole reti di presentazione pubblica del lavoro dei ragazzi, in
modo da misurare subito l'adeguatezza dei progetti alla comunicazione estetica.
Naturalmente, la conditio sine qua non perché tutto ciò possa aver luogo, è la presenza di
un insegnante/compositore che abbia capito fino in fondo quale può e deve essere il
proprio ruolo nella crescita degli alunni a lui affidati e che sia di conseguenza disponibile a
donare un po' del suo tempo a questa importante causa. Condizione da non dare certo per
scontata.
6. Valutazione, sì, ma come e di che cosa?
Alla luce del quadro d'insieme fin qui delineato, i criteri di valutazione delle
esperienze compositive in ambiti di apprendimento non specialistici dovrebbero
riguardare, più che il prodotto musicale in sé, l'efficacia del percorso didattico nel
promuovere atteggiamenti creativi consapevoli, innescando continui feedback fra il livello
della costruzione con i simboli (composizione) e quello della riflessione sui simboli
(analisi). Ciò equivale a riconoscere, ancora con John Paynter, che non solo “dobbiamo
tener conto del modo in cui ciascun fattore è stato messo al servizio dell'idea generale del
pezzo.”21, ma che, in quanto educatori, “dovremmo […] riconoscere che la cosa più
importante che la valutazione può fornire ad un giovane è il riflettere a se stessi le proprie
conquiste personali e mostrare come il lavoro si ponga in rapporto al lavoro di altri: altri
artisti, altri pensatori, altri compositori.” 22
Inoltre, il forte accento che si è voluto conferire alle attività di sperimentazione e di ricerca
sonora come fondamento di ogni produzione creativa in musica, richiede senz'altro
l'assunzione di criteri valutativi in cui i normali parametri di novità, esattezza, utilità,
18 “Una ragione per fare musica: bisogna avere qualcosa da dire”, in John Paynter-Peter Aston, op.cit.,
pag. 31.
19 Ad es. nel paragrafo 5. dell'Introduzione del testo cit. Anche senza leggio...
20 Cfr. M. Piatti – E. Strobino, Grammatica della fantasia musicale, pagg. 78-79.
21 John Paynter, La musica nella media superiore (Un'esperienza inglese fra educazione e istruzione), op.
cit., Appendice III, Esami e valutazione, pag. 343.
22 Ibid., pag. 345.
efficacia e qualità tendono a sfumare, facendosi quantomeno momentanei, non definitivi,
mentre si rende necessario il ricorso ad un'estetica dell'imperfezione “nel valutare
un'attività che è essenzialmente cercante, in cui la musica deve saper trovare la propria
direzione strada facendo, assumendo rischi e spingendosi verso luoghi musicalmente
ignoti.”23
7. Alcune conclusioni … in progress.
Cercando, in sede conclusiva, di sintetizzare al meglio l'iter didattico tracciato in
queste poche pagine, possiamo innanzitutto dire che l'introduzione della prassi
compositiva nell'educazione musicale di base non dovrebbe costituire un mero optional da
attivare in casi particolari, attribuendogli una sorta di “specialismo implicito” che va
affrontato con metodologie separate. Al contrario, le teorie pedagogiche e le esperienze
didattiche dell'ultimo mezzo secolo hanno dimostrato che il comporre, inteso come
esercizio di creatività controllata e consapevole, tende ad informare di sé tutto il processo
educativo musicale, ormai inteso come creativo, attivo e partecipativo, sia sul versante
pratico-esecutivo (come ri-creazione dell'evento sonoro), sia su quello più astrattamente
cognitivo (come apprendimento-elaborazione dei concetti chiave per la comprensione del
linguaggio musicale). In tal senso, l'aspetto performativo e le aperture linguistiche di tanta
musica contemporanea hanno offerto, già a partire dai primi anni '70, un fertile terreno
d'intesa con le pedagogie attive che si stavano allora sviluppando. L'idea nucleare è che la
composizione non si debba necessariamente servire della sola scrittura tradizionale e che,
ad un livello primario, abbia più a vedere con l'organizzazione di materiali sonori ricavati
da un lavoro di esplorazione e di manipolazione diretta che non con l'apprendimento di
linguaggi storicamente codificati. Un'organizzazione che si muove per categorie molto
generali e per lo più attinenti alla percezione (omogeneità/contrasto, continuità/
discontinuità, figura/sfondo ecc...), che nei bambini e nei ragazzi va sviluppata attraverso
la partecipazione diretta alla costruzione degli eventi e l'attribuzione di un senso condiviso.
Quanto poi questo stadio dell'organizzazione compositiva, insieme alla ricerca e
all'invenzione di pitch collections (“riserve sonore”) capaci di connotare più in profondità le
costruzioni sonore di un ragazzino o di un gruppo-classe, possa produrre risultati estetici
apprezzabili o trasformarsi in un valido paradigma analitico per la comprensione delle
opere d'autore, dipende molto dalle competenze e dal coinvolgimento dei docenti preposti
al buon funzionamento del processo didattico.
Non ci si stancherà mai di ripetere che questi docenti dovrebbero essere compositori, e
possibilmente compositori attivi, capaci di prefigurarsi dove l'impiego di certi materiali e di
certe combinazioni possa portare e di dare ai ragazzi la giusta valutazione ed il giusto
consiglio per migliorare, nonché la migliore strategia di applicazione di certe griglie
analitiche a certi pezzi e non ad altri. Ma pure non ci si stancherà mai di ripetere che per
raggiungere questo obiettivo è necessaria una struttura formativa dei giovani compositori
che non sia schiava di antichi pregiudizi verso la didattica musicale e che non abbia
un'idea chiusa e settoriale di ciò che significhi “composizione” oggi, coi suoi carichi
informatici, multimediali e multietnici. Una struttura formativa (si chiami Conservatorio o
Università) che si faccia delle domande e che porti i compositori del futuro a farsene
altrettante, non ultima quella relativa alle differenze sostanziali fra il mettere le proprie
competenze a disposizione solo di se stessi e il rimetterle in gioco anche per la crescita
degli altri. Imparare ad insegnare, come scelta professionale della propria vita, vale anche
per i compositori, perché se è vero che in Italia non esiste una disciplina nella scuola
primaria e secondaria denominata esplicitamente “Composizione”, è pur vero che, quando
s'insegna veramente musica, la composizione è (dapper)tutto. Siamo ancora lontani dal
solo intravvedere una figura più o meno istituzionalizzata di compositore-educatore, ma
23 Davide Sparti, op. cit., pag. 154.
qualcosa certo si sta muovendo e lo dimostra il fatto che siamo qui a parlarne e a
confrontarci.
Principi base del sistema tonale
Lezione del 02 marzo
2013
z
Tonalità come sistema meccanicorazionale: il “circolo delle quinte”.
z
Tonalità come sistema
omeostatico.
z
Il concetto di common practice.
z
Tensioni e distensioni (I): cadenze.
z
Tensioni e distensioni (II):
modulazioni.
z
Armonia coloristica vs armonia
statico-dinamica: il “circolo delle
terze”.
z
J. S. Bach, Minuetto in Sol magg.
dal libro di Anna Magdalena Bach:
un'analisi “esemplare”
Principi base del sistema tonale
z
Lezione del 02 marzo
2013
Tonalità come sistema meccanicorazionale: il “circolo delle quinte”.
D
T
S
Dp
Tp
Sp
Principi base del sistema tonale
Tonalità come sistema omeostatico.
Lezione del 02 marzo
2013
D
T
D
S
Dissonanza
Tp
D
T
Consonanza
Principi base del sistema tonale
COMMON PRACTICE
Lezione del 02 marzo
2013
J. S. Bach – R. Wagner
Armonia come scienza
Principi base del sistema tonale
TENSIONI E
Lezione del 02 marzo
2013
DISTENSIONI:
CADENZA PERFETTA
CADENZA SOSPESA
CADENZA D'INGANNO
Principi base del sistema tonale
TENSIONI E
DISTENSIONI:
Lezione del 02 marzo
TONICIZZAZIONI
2013
(si basano sul principio
della “cadenza perfetta”,
ma vanno ad interessare
le armonie secondarie
della tonalità d'impianto)
MODULAZIONI (hanno
una funzione centrifuga
rispetto alla tonalità
d'impianto)
Principi base del sistema tonale
PROGRESSIONI:
Hanno la funzione di
Lezione del 02 marzo “portare avanti”
(progredior) il discorso,
2013
la narrazione musicale
verso un punto stabilito.
Possono essere:
UNITONALI (l'obiettivo
rimane nella tonalità
d'impianto
MODULANTI (l'obiettivo
è un'altra tonalità)
Principi base del sistema tonale
IL “CIRCOLO
DELLE TERZE”
Lezione del 02 marzo
2013
Concetto di accordo parallelo
Mib magg. - Mib min.
Do magg. - Do min.
Lab magg. - Lab min.
Cerchiamo di mettere in fila alcuni concetti per … capire se abbiamo capito
1.
Su ogni grado di una scala maggiore o minore possiamo costruire una triade.
Che cos’è una triade?
2.
Le triadi che si possono costruire su queste scale possono essere maggiori, minori o
diminuite.
Che differenza c’è tra questi tre tipi di triade? (provate a costruirle una ad una sulla scala di Do
maggiore e su quella di La minore). Quali vi sembrano più ‘stabili’ e quali più ‘instabili’? Quali
più ‘chiare’ e quali più ‘scure’?
Fin qui abbiamo trattato una parte dell’armonia che, come nello studio del
linguaggio verbale, si chiama morfologia (come sono fatte le triadi).
3.
Le triadi costruite sui diversi gradi della scala si siglano con un numero romano, da I a VII
e prendono il nome di quei gradi: Tonica, Sopratonica, Mediante, Sottodominante,
Dominante, Sopradominante e Sensibile.
4.
Il sistema musicale che si serve delle scale maggiori e minori e delle triadi costruite sui
loro gradi si chiama Sistema tonale.
5.
Il Sistema tonale può essere paragonato a due altri famosi sistemi, uno che proviene dalla
fisica (il Sistema gravitazionale) e uno che proviene dall’ottica applicata all’arte figurativa
(il Sistema prospettico).
In che senso si possono fare questi due paragoni? E che cosa ne deriva per la comprensione del
Sistema tonale?
6.
Come tutti i sistemi, il Sistema tonale ha le sue regole, nel senso che ogni triade costruita
sui vari gradi della scala ha una sua funzione e si collega con le altre per creare situazioni
musicali di senso compiuto. Queste situazioni si chiamano cadenze armoniche e, al loro
livello più semplice, sono formate dal collegamento fra le triadi di I, IV e V grado:
I – V, oppure I – IV – V è detta cadenza sospesa e genera un senso di attesa/sospensione.
I – V – I, oppure I – IV – V – I è detta cadenza perfetta e genera un senso di
riposo/conclusione.
I – IV – I è detta cadenza plagale e serve a confermare il senso di riposo generato dalla
Tonica.
7.
Ascoltando alcuni minuti degli Allegri di alcune Sinfonie di (1) F. J. Haydn (n. 104 detta
London), di (2) W. A. Mozart (n. 35, detta Haffner), di (3) L. Van Beethoven (n. 5 in do minore), ci
possiamo rendere conto di quale sia l’importanza di queste semplici cadenze: esse ci permettono di
distinguere le diverse sezioni (frasi) in cui la composizione si divide e di capirne il senso di
tensione o di distensione, di apertura o di chiusura .
Con le cadenze entriamo nel campo della
collegate tra loro le triadi).
sintassi armonica (come sono
1
8.
A ciascuna triade principale (I - IV – V) corrisponde una triade secondaria, che ha due
suoni in comune con quella e che possiede la stessa funzione armonica. Per cui:
Triadi principali:
Triadi secondarie:
I
VI
IV
II
V
III (o VII)
9. Le triadi secondarie possono arricchire (= espandere) le precedenti cadenze per sostituzione o
per inserzione dopo la corrispondente triade principale, senza modificarne il senso di sospensione
o di chiusura, come nei casi seguenti:
Chiusura
I – II – V – I
I – IV – II – V – I
I – VI – IV – II – V - I
Sospensione
I – II – V
I – IV – II – V
I – VI – IV – II – V
Oppure creando un nuovo tipo di cadenza, dal carattere interlocutorio, come accade per la cadenza
d’inganno, dove la risoluzione sul I viene rimpiazzata da una risoluzione sul VI. In questo caso, il
salto di quinta discendente nel basso, responsabile del senso di chiusura tipico della cadenza
perfetta, viene sostituito da un grado congiunto ascendente, per cui il collegamento non dà una
sensazione di sospensione (nel VI è comunque presente il suono della Tonica), ma neppure di
completa soddisfazione percettiva. Ascoltare … per credere:
W. Amadeus Mozart, Il Flauto magico, “Marcia dei sacerdoti” (4)
Ecco perché, comunque, la cadenza d’inganno viene sempre seguita da una cadenza perfetta
(provate a riascoltare il passaggio precedente).
Per giocare con l’ambiguità dei modi maggiore e minore, spesso viene utilizzato il sesto grado del
modo minore all’interno di una composizione scritta nel modo maggiore:
Ad esempio, se la composizione è scritta in Do maggiore:
viene sostituito da
2
Per ottenere un colore ancora più particolare, si può sostituire l’armonia del II grado nel modo
minore con un accordo maggiore costruito sul II grado abbassato. Questo accordo ha sempre la
funzione di precedere il V per preparare la cadenza e viene chiamato accordo di sesta napoletana.
Provate a confrontare i due esempi, suonandoli e ascoltandoli più volte.
Che tipo di accordo è la “napoletana” (maggiore, minore, diminuito, eccedente)? Che relazione ha
la sua sonorità con il suo nome? Rende la cadenza più ‘chiara’ o più ‘scura’?
Cadenza perfetta col secondo grado ‘normale’
(= Si – Re – Fa)
Cadenza perfetta con secondo grado ‘abbassato’
(= Sib – Re – Fa)
Tanto il sesto grado del modo minore usato nel modo maggiore, quanto l’accordo ‘napoletano’
rendono molto evidente l’attitudine espressiva del sistema armonico tonale, che non si limita così a
definire aperture e chiusure attraverso le cadenze, ma usa anche proprietà coloristiche di singoli
accordi.
Questa caratteristica risulta molto evidente quando l’armonia ha il compito di commentare ed
evidenziare un testo verbale o, addirittura, un testo verbale unito ad un’azione drammatica (= teatro
musicale/opera in musica).
Oltre a riconoscere tutte le cadenze presenti in questo frammento di Mozart (attenzione, è
un’opera!), individuate l’importante presenza di una cadenza d’inganno sul sesto grado abbassato:
W. A. Mozart, Madamina, il catalogo è questo, dall’opera “Don Giovanni”. (5)
Bloccate la riproduzione, quando avvertite la presenza della sesta napoletana in questo breve Lied
di Robert Schumann:
R. Schumann, Dichterliebe (Amore di poeta), n. 8. (6)
Adesso che conoscete tante cadenze, sareste in grado di metterne in fila qualcuna, in modo da
creare un discorso armonico che abbia un suo particolare significato (per es.: apertura –
chiusura; aspettativa delusa – abbraccio finale; timore – attesa – conferma positiva)?
Non c’è bisogno di scrivere. Basta suonare le cadenze al pianoforte o, servendovi degli arpeggi,
su uno strumento ad arco o a fiato. L’importante è avere le idee chiare e sapere di che note si
compongono le semplici triadi che volete impiegare.
10. Gli accordi di tre suoni non si presentano solo come sovrapposizione di una terza e di una
quinta rispetto ad un basso detto “fondamentale”, ma vengono usati anche ‘rivoltati’. Ciò avviene
quando nel basso si trova uno degli altri due suoni che li compongono, come mostra questo schema:
3
L’accordo è sempre quello, ma all’ascolto qualcosa cambia. Secondo voi che cosa? Riflettendoci
bene, forse si tratta di stabilità e instabilità. Quale dei tre stati dell’accordo è quello più stabile?
Quale quello più instabile?
Provate a riconoscere stati fondamentali e rivolti tra gli accordi che vi vengono suonati.
Poi provate ad eseguire questa lunga catena di primi rivolti: non dà una sensazione di
scivolamento?
Le triadi possono essere allo stato fondamentale oppure rivoltate, cioè con un basso diverso
dalla nota che genera l’accordo. Le triadi rivoltate non cambiano la loro funzione, nel senso che
il I è sempre I, il IV sempre IV e così via; ciò che cambia è la tendenza all’instabilità, quindi al
movimento. I compositori hanno usato questa tendenza nelle sezioni intermedie, di passaggio
dei loro brani, mentre quelle iniziali e finali sono di solito più stabili.
Provate ad ascoltare questo inizio di Sonata per pianoforte e dite in che punto vi sembra trovarsi la
maggiore concentrazione di rivolti.
Franz Joseph Haydn, Sonata in Do magg. (7)
11. Come accade per certi tappeti, di cui ammiriamo il disegno geometrico multicolore determinato
da una fitta trama di fili (che non vediamo), in musica la disposizione dei suoni nel tempo e nello
spazio crea una trama (= texture), di cui il nostro orecchio percepisce solo l’effetto globale. Tra le
diverse textures che si possono creare, ne esaminiamo tre:
a) Texture omofonica, generata da un andamento ad accordi ‘verticali’.
b) Texture contrappuntistica, generata da singole linee che si sovrappongono e s’intrecciano.
c) Texture melodica accompagnata, costituita da una figura principale (la melodia) e da uno
sfondo (l’accompagnamento in accordi, arpeggi, accordi con arpeggi).
All’interno di un brano musicale, queste textures si susseguono in vario modo e con diversa
frequenza, o, in certi casi, si confondono l’una nell’altra: non è raro il caso in cui lo sfondo di una
melodia è costituito da una texture contrappuntistica!
In altri casi, è una stessa texture a caratterizzare l’intero brano. Provate a riconoscerla nei tre esempi
seguenti:
J. S. Bach, Concerto brandeburghese n. 1 in Fa magg., 1° movimento. (8)
L. Van Beethoven, Sonata per pianoforte in Do# min. (“Quasi una fantasia”), 1° movimento. (9)
M. Musorgskij, Quadri di un’esposizione, Promenade n. 1. (10)
La texture è molto importante per la definizione dei generi musicali: una marcia pomposa è
spesso caratterizzata da una texture di tipo a), mentre un Lied o una Ninnananna saranno
caratterizzati dal tipo c). Per avere la texture di tipo b) si deve andare invece nell’ambito della
musica colta, anche se sono pure contrappunti certi dialoghi tra chitarre elettriche di molta
musica cosiddetta heavy metal.
12. Dal momento che la velocità del ritmo melodico è di solito molto superiore a quella del ritmo
armonico (una sola armonia può accompagnare molte note di un canto), alcune note di una melodia
finiranno per non appartenere all’armonia che le accompagna. In questo caso si parla di note
4
estranee e la loro presenza crea spesso delle frizioni dissonanti con l’armonia (intervalli armonici di
seconda magg. e min., di quarta giusta ed eccedente, di settima magg. e min.). Queste frizioni, che
comunque attribuiscono alla composizione un suo particolare ‘colore’, possono essere più o meno
sottolineate, secondo che si trovino:
a. Su tempi (o suddivisioni) non accentati;
b. Su tempi (o suddivisioni) accentati.
Alla categoria a. appartengono le note di passaggio, le note di volta, le anticipazioni e le note di
sfuggita:
Esempi:
Alla categoria b. appartengono le note di passaggio spostate sulla suddivisione forte, le
appoggiature, i ritardi.
Esempi:
È molto importante, oltre ogni classificazione, cercare sempre il significato che queste note
‘estranee’, e le loro diverse combinazioni, assumono all’interno del contesto musicale che state
5
ascoltando. Ogni pur breve composizione si caratterizza proprio per la costante presenza di questa o
quella nota estranea, di questa o quella combinazione. E la melodie che ne risultano avranno
significati diversi, legati a diversi generi musicali:
Prevalenza di note di passaggio
Prevalenza di note di passaggio
sulla suddivisione forte
Prevalenza di note di volta
Prevalenza di anticipazioni
e ‘sfuggite’
Prevalenza di ritardi
Prevalenza di appoggiature
=
Linearità, tendenza al movimento uniforme.
=
=
Linearità tormentata, tendenza al movimento a scatti.
Ondulazione, tendenza al movimento sinusoidale.
=
=
=
Proiezione in avanti, scatto anticipato.
Appoggio lento, frenata.
Urto locale, microtensione.
Riconoscere le ‘note estranee’ ascoltandole è meno semplice che vederle scritte in partitura, ma è un
esercizio importante per l’affinamento dell’orecchio.
Potete cominciare a provarci, ascoltando questi frammenti e appuntando i nomi delle note ‘estranee’
che vi sembra di aver individuato. Alcuni riascolti potranno anche suggerirvi il tipo di carattere da
attribuire ai singoli frammenti. Solo dopo, il controllo sulla partitura.
R. Schumann, Album per la gioventù, op. 68, “Mignon” (11)
W. A. Mozart, sonata in La min. K310, I mov. (12)
A. Corelli, “Sarabanda”, dalla Sonata VIII per Violino e basso continuo. (13)
“Ninnananna”, “Studio della grande velocità”, “Marcia”, “Allelujah”. Abbinare ciascuno di
questi generi musicali alla prevalenza di una particolare nota estranea, secondo lo schema
precedente, non sarà molto difficile, a testimonianza che certi atteggiamenti compositivi sono
abbastanza radicati nella nostra cultura musicale.
12. Attraverso la combinazione di note appartenenti all’armonia e note ‘estranee’ si ottengono le
figure melodiche. Queste figure non sono però tracciate casualmente, ma hanno una loro struttura
profonda, che ne regola la direzione e il profilo.
Abbiamo individuato sei forme principali di struttura melodica:
Arpeggio.
Linea (verso l’alto o verso il basso).
Arco (concavo o convesso).
Sinusoide (movimento intorno ad un perno).
Progressione.
Gap-fill (riempimento del salto).
A partire da ognuna di queste forme archetipe (= modelli originari, profondi, lontani), si possono
generare melodie diverse inserendo suoni di espansione come le note adiacenti (a) e le note di
ritorno (r).
La presenza costante della stessa forma melodica all’interno di un brano musicale ne
condiziona il significato.
L’accostamento di forme diverse genera cambiamenti e contrasti, che permettono di
segmentare i movimenti melodici in frasi e periodi.
Come esercizio di analisi melodica, sarebbe dunque bene cominciare ad analizzare una melodia
molto semplice (come un canto popolare, una ninnananna, una filastrocca) e chiedersi quali
rapporti intercorrano tra la sua struttura profonda e il suo significato affettivo e culturale.
Solo in un secondo tempo si potrà passare a brani più complessi, che richiedono una
segmentazione.
6
13. Se ad una triade maggiore viene aggiunta una settima minore (sempre a partire dal basso), si
ottiene un accordo dal forte carattere dinamico. Questo accordo, che si chiama quadriade perché
formato da quattro suoni, si trova sempre sul V grado. La settima rende ancora più evidente la
tendenza del V grado a risolvere sulla tonica (o sulla tonica parallela).
Ecco un esempio di accordo di settima di Dominante, con relativa risoluzione sulla Tonica:
Nel modo minore, si trova un accordo ancora più dinamico, costruito sulla sensibile. Questo
accordo aggiunge una settima diminuita ad una triade diminuita e può sostituire la dominante nelle
cadenze sospese.
Naturalmente, la sensibile deve essere quella alterata della scala minore armonica e deve sempre
salire alla tonica, mentre la settima diminuita scende di grado congiunto. Ecco un esempio di
settima diminuita in re minore:
Questi accordi sono facilmente individuabili all’interno di una composizione. In particolare, la
settima diminuita si segnala per la carica di tensione drammatica, che la rende efficace in
situazioni di teatro musicale.
La settima diminuita è un accordo molto usato dai compositori romantici.
Provate allora a riconoscere settime di dominante e settime diminuite in questi esempi:
Sonata in do minore K.545, Primo tempo (14)
Primo tema della Sonata in si minore di Franz Liszt (15)
Scena dal Secondo atto dell’opera Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea (16)
Attacco dello “Scherzo” della II Sinfonia di Robert Schumann (17)
L. Van Beethoven, Sonata per pianoforte in Do# min. (“Quasi una fantasia”), 1° movimento. (18)
Il carattere di movimento delle settime di dominante e diminuite si rivelerà prezioso per
realizzare i passaggi da una tonalità all’altra (= modulazioni).
14. Una composizione tutta concepita all’interno della stessa tonalità risulterebbe, alla lunga, molto
statica.
7
Per creare interesse, invece, il percorso armonico tende a spostarsi dalla tonalità principale (quella
delle alterazioni in chiave) ad altre tonalità, per poi ritornare al punto di partenza (senso di
chiusura).
Quali tonalità?
Innanzitutto quelle definite dal cosiddetto circolo delle quinte, che poi sono quelle costruite sui vari
gradi armonici della tonalità principale. Facciamo un esempio:
In Do magg.: Re min., Mi min., Fa magg., Sol magg., La min.
In La min: Do magg., Re min., Mi min., Fa magg., Sol magg.
Queste tonalità si chiamano tonalità vicine, perché hanno un’alterazione in più o in meno rispetto
alla tonalità principale (provare per credere!).
Le tonalità vicine sono facilmente raggiungibili, introducendo l’accordo di settima di dominante (o
di settima diminuita) che appartiene alla nuova tonalità. Contenendo la sensibile della nuova
tonalità, questi accordi raggiungono immediatamente la nuova Tonica, dando una sensazione di
conclusione, di arrivo.
Questi accordi di movimento vengono chiamati Dominanti secondarie.
Se, ad esempio, si vuole raggiungere Re min., partendo da Do magg., si dovrà introdurre l’accordo
La-Do#-Mi-Sol (settima di dominante) o Do#-Mi-Sol-Sib (settima diminuita).
Se invece si vuole passare da Do magg. a Fa magg., basterà aggiungere il Sib all’accordo Do-MiSol e con questa dominante secondaria potremo risolvere direttamente sulla Tonica di Fa magg.:
Per verificare se è chiaro il concetto, proviamo a quali sono le dominanti secondarie che servono
per passare:
da Re min. a Sol min.; da Fa magg. a Do magg.; da Sol magg. a Mi min.; da La min. a Fa magg.
Naturalmente, il passaggio più semplice e naturale possibile è quello tra una tonalità principale e la
sua somigliante (o relativa), perché non ci sarà bisogno di alcuna alterazione: basterà usare la scala
minore naturale, anziché quella armonica, evitando cioè di alterare la sensibile di un semitono
ascendente:
Le tecniche di modulazione, però, sono molto varie e spesso assai complesse.
8
Per il momento, a noi interessa soprattutto capire che funzione ricopre la modulazione all’interno
del brano musicale che stiamo ascoltando (o suonando). Le funzioni sono essenzialmente due:
a. Allargare le possibilità di colore e di movimento delle cadenze. In questo caso, non è detto
che la tonica che si raggiunge diventi un nuovo centro tonale alternativo a quello principale. Può
succedere, ad esempio, che s’introduca la dominante secondaria, la si faccia risolvere sulla
nuova Tonica e poi si ritorni subito nell’ambito della tonalità principale. In questi casi si parla di
Tonicizzazione. La tonicizzazione attribuisce alla frase musicale un improvviso movimento, un
colore sfuggevole, ma non mette mai in discussione la centralità della tonica principale.
Possiamo sentire alcune Tonicizzazioni nei seguenti brani e cercare di capire (solo in un secondo
tempo con l’aiuto della partitura!) qual è l’accordo diventato momentaneamente una Tonica:
-
Robert Schumann, Album per la gioventù, op. 68 (“Mignon”)
(19)
Arcangelo Corelli, Sonata VIII per violino e basso continuo (“Sarabanda”) (20)
(Qui le tonicizzazioni sono inserite in una progressione)
Robert Schumann, Album per la gioventù, op. 68 (“Nordisches Lied”)
(21)
(Qui si parte in re min. e la tonicizzazione chiude il primo periodo dando la sensazione di
una conclusione in altra tonalità).
b. Definire la costruzione formale di una composizione. Questa importante funzione definisce i
termini della modulazione vera e propria. La composizione si sposta allora da una tonalità ad
un’altra, e in questa nuova tonalità si articola un nuovo episodio, una nuova sezione. Ciò
ovviamente non impedisce che all’interno delle diverse sezioni siano sempre presenti anche
delle tonicizzazioni.
Le forme musicali che abbiamo preso in considerazione per esaminare questo tipo di modulazione
sono tre:
-
-
-
I movimenti della Suite barocca, dove la divisione in due parti con ritornelli è scandita dal
passaggio dalla Tonica maggiore alla Dominante, oppure dalla Tonica minore alla
somigliante maggiore o alla dominante minore.
J. S. Bach, Suite in Si min., “Badinerie” (22)
J. S. Bach, Suite in Si min., “Sarabande” (23)
J. S. Bach, Suite in Do magg., “Forlane” (24)
La Fuga barocca, dove le ripresentazioni del tema principale che domina tutta la
composizione (= Soggetto) avvengono nelle tonalità vicine a quella principale e il passaggio
dall’una all’altra è scandito da progressioni modulanti, chiamate divertimenti.
J. S. Bach, Clavicembalo ben temperato, I volume, Fuga n. 2 in Do min. (25)
La Forma Sonata classica, in cui ad un Primo Tema (o Gruppo di temi) nella tonalità
principale segue un Secondo Tema alla Dominante (se la Sonata è in maggiore) o alla
Relativa maggiore (se la Sonata è in minore). Alla Dominante si arriva attraverso un Ponte
(o Transizione) e la prima sezione con ritornello (detta Esposizione) si chiude nella tonalità
raggiunta col secondo tema. La seconda parte (detta Sviluppo) mette in relazione diversi
motivi ricavati dall’Esposizione, ma, soprattutto, è instabile dal punto di vista armonico:
molte sono le progressioni che sembrano modulare ad una qualche tonalità stabile e che poi
improvvisamente deviano il loro percorso; molte le tonicizzazioni che toccano gradi diversi
per poi lasciarli. La situazione di movimento dello Sviluppo si risolve solo alla fine della
sezione, con una cadenza sospesa nella tonalità principale, che prepara alla Ripresa, terza
sezione della Forma Sonata; qui, l’Esposizione viene ripetuta con le varianti armoniche
necessarie a rimanere fino al termine nella tonalità principale.
Questa costruzione armonica sottolinea la tendenza della Forma Sonata a riprodurre con i
suoni l’architettura tipica dei drammi teatrali: presentazione dei personaggi (=
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Esposizione) – intreccio, ambiguità, equivoci (= Sviluppo) – scioglimento dell’intreccio e
lieto fine (= Ripresa).
F. J. Haydn, Sonata in Do magg., Primo tempo. (26)
W.A.Mozart, Sonata in Do min., Primo tempo. (27)
15. Le modulazioni possono avvenire a tonalità anche molto lontane nel circolo delle quinte, con
evidente cambiamento del loro significato musicale: dal percorso logico e graduale, che segna il
passaggio da una tonalità qualsiasi ad un’altra vicina, si giunge al cambiamento improvviso, un
lampo di colore che abbaglia e sorprende.
Soprattutto i compositori romantici, con il loro desiderio di esprimere situazioni di forte contrasto e
sentimenti conflittuali, hanno sperimentato nuove strade modulative. Tra le numerose possibili,
esaminiamo la più semplice ed efficace, che è quella di passare da una tonalità alla successiva,
sfruttando uno o due suoni comuni (anche interpretati in modo enarmonico) e l’affinità determinata
dal cambio di modo (da maggiore a minore), nella quale è implicito il cambiamento di colore.
Ad esempio:
L. Van Beethoven, Sinfonia n. 9, “Inno alla Gioia” (28)
Il passaggio dalla parte corale alla “Marcia” col tenore solista sfrutta il cambio di modo:
La magg. Æ Fa magg. (= dominante di Sib magg.) Æ Sib magg.
L. Van Beethoven, Sonata n. 13, Secondo Movimento (29)
In questa forma di Rondò, si passa da un refrain a un couplet modificando il modo (Lab magg. Æ
Lab min.) e all’interno dello stesso couplet si passa da Lab min. a Mi magg., sfruttando i suoni
comuni Lab (= Sol#) e Dob (=Si)
Robert Schumann, Album per la gioventù, op. 68 (“Nordisches Lied”)
(30)
Passaggio repentino da La min. a Do min. (cambio di modo): ma, in realtà, non si tratta di
modulazione.
Robert Schumann, Bunteblätter (Fogli dipinti), op. 99 (“Abendmusik”) (31)
Anche questa è una specie di forma Rondò.
Parte A (Sib magg.) – Parte B (Sib magg.) – Parte A' (Sib magg.) – Parte B’ (Solb magg.!)
passaggio alla parte A, che sfrutta il Fa, sensibile di Solb magg. come Dominante di Sib magg.
(cadenza sospesa con un suono solo, che è sempre, comunque, il segnale del corno che annuncia il
calar della sera) – Parte A (Sib magg.) – Parte C (Solb magg.!) – stessa cadenza sospesa – Parte A
(Sib magg.).
Come si vede, anche le modulazioni a tonalità “lontane” possono servire a definire l’architettura
formale di una composizione.
A questo punto, si può riflettere sul significato di questa frase del compositore e teorico tedesco
Arnold Schönberg (1874 – 1951):
Il circolo delle quinte non ci servirà tanto per determinare il grado di affinità tra le tonalità –
che sarebbe una valutazione vera e propria – ma piuttosto per misurare le distanze.
10
2. Aspetti metodologici
Il fatto che la disciplina TAC sia composta da tre diversi livelli di consapevolezza
della stessa “materia sensibile” (il suono), quello manipolativo/percettivo, quello analitico e
quello creativo, e che lo sviluppo di tale consapevolezza sia affidato ad un solo docente –
ci si chiede se, a questo punto, non fosse più produttivo affidare al docente TAC anche la
musica d'insieme – rende il già duro compito di prospettare metodologie d'insegnamento
del solo livello compositivo ancor più arduo di quanto già di per sé già non sia.
La
difficoltà
maggiore
risiede
proprio
in
quell'aspetto
integrato
dell'atto
creativo/compositivo che ha suggerito l'unificazione dei tre livelli e che si può realizzare
tanto come manipolazione estemporanea (= improvvisazione), dove più alto deve essere il
livello di consapevolezza percettiva dei materiali sonori linguisticamente organizzati,
mentre la loro composizione è affidata a schemi assimilati e mnemonicamente controllabili
(forma come processo), quanto come scrittura progettuale, che implica un maggior
controllo mentale del processo d'integrazione, magari a discapito della freschezza
dell'invenzione, ma certo col massimo sviluppo del livello analitico.
Alla luce di queste considerazioni, la prima domanda riguarda la legittimità di una
metodologia didattica fondata sulla separazione del “comporre” dal “sentire” e dal
“riflettere”. Com-porre, cioè “mettere insieme” attraverso un'organizzazione consapevole
timbri, ritmi e aggregazioni sonore, di cui eventualmente non si conoscano le
caratteristiche fisiche e gli effetti percettivi per non averli mai ascoltati, né fatto riflessioni
specifiche sul loro impiego nella letteratura musicale di diverse epoche e contesti,
trattandoli come materiale inerte, equivarrebbe alla pretesa di comporre romanzi in una
lingua di cui si conosca solo la componente segnica, ma non il significato.
Domanda, quindi, del tutto retorica, tant'è che storicamente è l'insegnamento della
composizione che ha sempre incluso l'analisi, al punto da impedirle per decenni,
soprattutto nel nostro paese, di porsi come disciplina autonoma, dotata di un suo statuto
epistemologico e di obiettivi formativi ben più ampi di quello della comprensione della
forma e dell'apparato, diremmo “tecnologico” del comporre.
La seconda domanda, anche più cruciale, afferisce scelte di natura legislativa e
concerne le motivazioni oscure per le quali l'organizzazione discire del nuovo Liceo
Musicale ha di fatto escluso la Composizione dalle materie principali del curricolo,
relegandola di fatto, con rovesciamento delle posizioni prima esposte, ad ancella
dell'analisi, con la pretesa, però (cfr. i programmi), di aprirle dei varchi di autonomia
all'interno dei quali è richiesto il raggiungimento di Obiettivi Specifici d'Apprendimento –
OSA –
di un livello talmente complesso da poter imbarazzare anche un docente di
composizione di Conservatorio, che comunque dispone di lezioni individuali e di allievi che
alla composizione possono dedicare qualche ora al giorno (non alla settimana) di
applicazione domestica.
Leggere per credere (sono stati stralciati solo gli OSA della composizione:
PRIMO BIENNIO
(…) produzione di semplici brani attraverso l’improvvisazione e la composizione. E’ opportuno che ciò
avvenga in modo integrato attraverso percorsi organizzati intorno a temi concettuali (scale, modi,metri,
timbri, forme, ecc.) e a temi multidisciplinari (musica/parola, musica/immagini), che offriranno lo spunto per
attività di lettura, ascolto, analisi, improvvisazione e composizione. (…) padroneggiare i fondamenti
dell’armonia funzionale producendo semplici arrangiamenti e brani originali, (...) improvvisare e comporre
individualmente, o in piccolo gruppo, partendo da spunti musicali o extra-musicali anche sulla base di
linguaggi contemporanei.(…) improvvisare sequenze ritmiche e frasi musicali, nonché semplici poliritmi e
canoni, con l’uso della voce, del corpo e del movimento, curandone anche il fraseggio (?).
SECONDO BIENNIO
(…) improvvisazione e composizione che impieghino tecniche contrappuntistiche e armoniche storicamente
e stilisticamente caratterizzate. Sarà approfondita la conoscenza delle caratteristiche e delle possibilità dei
diversi strumenti musicali, nonché delle più importanti tecniche informatiche; tali conoscenze saranno
messe alla prova in attività di composizione e arrangiamento, con o senza un testo dato, anche a supporto
di altri linguaggi espressivi. (…) dare prova di saper armonizzare e comporre melodie mediamente
complesse e articolate, con modulazione a toni vicini e lontani, progressioni, appoggiature e ritardi,
utilizzando anche settime e none.
QUINTO ANNO
(…) Sarà approfondita la conoscenza dell’armonia tardoottocentesca e novecentesca, in modo che lo
studente sia in grado di servirsene all’interno di improvvisazioni, arrangiamenti e composizioni. Dovranno
altresì essere consolidate le tecniche compositive funzionali alla realizzazione di prodotti multimediali e di
brani elettroacustici ed elettronici. A consolidamento del percorso nel biennio precedente lo studente dovrà
essere in grado di armonizzare e di comporre melodie mediamente complesse e articolate con modulazione
ai toni vicini e lontani, progressioni, appoggiature e ritardi e utilizzando anche settime e none.
Durante l’anno finale lo studente dovrà essere in grado di elaborare e realizzare un progetto compositivo,
con una forte vocazione multidisciplinare, atto ad essere eseguito a guisa di prova finale, presentandone
per iscritto le istanze di partenza e gli scopi perseguiti.
La conseguenza indiretta di tale organizzazione didattica è che se un ragazzo
strumentista con il quinquennio liceale alle spalle potrà aspirare, se di ottimo livello tecnico
e musicale, ad entrare direttamente al Triennio Superiore AFAM dopo la maturità, al
massimo rimanendo un annetto o due nel limbo del corso preaccademico, il suo
compagno di banco con aspirazioni compositive dovrà farsi al minimo un ulteriore
quinquennio di preaccademico, riuscendo a conseguire (se tutto va bene) un diploma di
laurea triennale solo a 27-28 anni.
La conseguenza diretta è invece sotto gli occhi di tutti ed è qui che batte alla porta:
la montagna impraticabile degli OSA compositivi ha partorito il proverbiale topolino, cioè
una proposta di seconda prova compositiva di maturità fondata sul famigerato basso da
realizzare a quattro parti con imitazioni e modulazioni ai toni lontani, cioè sull'aspetto più
inutile didatticamente e meno “compositivo” che si possa concepire, ma invero anche il più
acquisibile e … correggibile nei tempi e con le modalità attuali. Vien da dire, sì: cui
prodest?
Forse si dovrebbe cominciare a ragionare in termini di congruenza della prova
rispetto al “peso” che la disciplina ha assunto nel quinquennio in relazione al curricolo,
cioè a dire che l'assegnazione di un compito compositivo come seconda prova di maturità
senza che la materia Composizione sia mai stata neppure impartita come tale equivale
all'assegnazione di un compito specifico di biomedicina in un Istituto in cui s'impartisse per
cinque anni la disciplina CHIBA (Chimica, Biologia generale e Applicazioni biomediche).
La “seconda materia” della maturità dovrebbe essere, a mia memoria, quella
caratterizzante del percorso (matematica allo Scientifico, latino/greco al Classico,
ragioneria/geometria/... agli Istituti Tecnici, e via discorrendo, o bona tempora), quindi, nel
nostro caso, Primo strumento, però con le ben note difficoltà legate all'impossibilità di
fornire una prova esecutiva nazionale, che presupporrebbe da parte dei ragazzi il
raggiungimento delle medesime competenze tecnico-esecutive (il che non può essere,
anche per le stesse finalità formative di un Liceo (cfr. ddl 226 del 2005). Per evitare
dunque a ragazzi intellettualmente vivaci, curiosi, studiosi e creativi, ma strumentalmente
poco all'altezza il rischio di vedersi negare la maturità, o di portarsi a casa un voto al di
sotto delle loro aspettative, si è pensato bene di spostare le seconde prove su un settore
più intellettuale ed astratto, o almeno presunto tale, e con una prova il più possibile
misurabile e valutabile, cioè uno stereotipo che si pone a mezza via fra la tecnica
compositiva (una delle tante possibili) e l'analisi.
Allora mi domando: perché non l'analisi e basta, la più misurabile delle discipline facenti
parte della TAC, all'interno della quale, come cercherò di dimostrare in séguito, l'apporto
delle tecniche e dei modelli compositivi è fondamentale, per cui valutando la preparazione
analitica di un candidato si finisce per valutarne anche quelle tecnico-compositive (non
creative, certo, ma come si valutano quelle, e poi in un “basso da realizzare a 4 parti” non
si valutano comunque)? È proprio necessaria la scelta fra due materie diverse alla
maturità? E perché non la quinquennale “Storia della Musica”? Più misurabile di quella …
Su tale, notevole, aporia, che riguarda non solo la struttura stessa dell'Esame di
Maturità in un Liceo Musicale assunto ad ordinamentale e quindi bisognoso di un suo
assetto definitivo, docimologicamente corretto e utile a futuri orientamenti, ma anche il
ruolo ambiguo della disciplina Composizione, ho cercato di poggiare, in un equilibrio
perennemente precario, le seguenti “mappe concettuali”, costruite intorno all'idea generale
del comporre come produzione, mentre le proposte successive vanno nella direzione del
comporre come riflessione, dove il gioco “mini-compositivo” ha il compito di attivare la
sfera
logico-analitica
dello
studente,
permettendogli
di
applicare
aspetti
teorici
astrattamente appresi fin dal primo anno di liceo (dalla semiografia alla ritmica integrata,
dal funzionamento dei sistemi scalari alla segmentazione fraseologica e così via):
Musica da … (1)
RITMO COME
UNITÀ DISCRETA
RIPETIZIONE
TRASFORMAZIONE
TECNICHE
TECNICHE
Ripetizione puntuale
Espansione
Interpolazione
Moltiplicazione
Stratificazione
Contrazione
Dephasing
Rarefazione
Filtraggio
Minimalismo
Musica africana
Tema con variazioni
Gamelan
Costruzione del motivo
RITMO COME
UNITÀ SIGNIFICANTE
Dalla teoria ai generi (musica popolare europea, samba, bolero, tala, talea ...
1. Musica da … (2)
ARMONIA COME
GIOCO INTERVALLARE
VALORE FISIONOMICO DEGLI INTERVALLI
GRADO DI
PRESSIONE
SONORA
GRADO DI
CHIARITÀ
VOICE LEADING
MINIMO
TRASPOSIZ.
SPOSTAMENTO PROGRESS.
RITMO ARMONICO
(ACCELERAZ./RALLENTAM.)
TENSIONE/DISTENSIONE SONORA
Post-tonalità e concetto di Indifferenziazione orizzontale/verticale
ARMONIA COME
“RECUPERO”
STORICO
La “follia”, il pattern di un pop-song
ARMONIA COME
“SINTASSI”
LETTERATURA DELLA “COMMON PRACTICE”
ARMONIA
NON
FUNZIONALE
ARMONIA
FUNZIONALE
Musica da … (3)
“RISERVA SONORA”
(“PITCH COLLECTION”)
STORICA
Modale
Pentafonica
Esatonale
Ottatonica
Raga
INVENTATA
ETNICA
Pelog
Eptatonia afr.
Maqam
Combinatoria
intervallare
Modalità giappon.
GERARCHIZZAZIONE/POLARITÀ
LINEARITÀ/
MELODIA
DIAGONALITÀ/
CONTRAPPUNTO
DALLA “RISERVA”
ALLA “SERIE”
AGGREGAZIONE/
ARMONIA
Musica da … (4)
TIMBRO
TRATTI
FISICI
TRATTI
PSICOPERCETTIVI
TRATTI
RAPPRESENTATIVI/MIMETICI
EMISSIONE/ARTICOLAZIONE/MANIPOLAZIONE
IDENTITÀ INDIVIDUALE
IDENTITÀ COLLETTIVA
COMPLEMENTARITÀ VS. AZZERAMENTO DEL LINGUAGGIO
FORMA E SENSO
(= DIREZIONE E
SIGNIFICATO
2.1. La composizione come gioco complementare all'analisi musicale.
Come si ricordava poc'anzi, questo modo d'intendere la composizione ha più a che
fare con gli aspetti logici e razionali del comporre che non con quelli progettuali e creativi,
ma di fatto è proprio questo tipo di attività a poter garantire agli allievi la comprensione
attiva di modelli e schemi linguistici e/o formali, che potranno venire poi “re-investiti” nella
composizione vera e propria, non soltanto negli “esercizi di stile”.
Del resto, l'immaginazione e la creatività sonora sono patrimonio dei singoli individui ed il
loro sviluppo è questione delicata, che non pertiene solo la sfera del medio specifico,
mentre linguaggi, tecniche e organizzazione formale sono processi simbolici legati a
periodi storici, aree geografiche, culture, e la loro comprensione e memorizzazione passa
attraverso la sperimentazione “sul campo” dei loro significati, non l'accettazione
incondizionata di regole e schemi rigidi ed incuranti del proprium di quei processi.
Ecco perché si propongono le seguenti “provocazioni” didattiche, che ad uno sguardo
superficiale potrebbero essere scambiate per giochetti enigmistici e nulla più. In realtà, il
livello di coinvolgimento collettivo che simili giochi sono in grado di raggiungere e l'alta
definizione dei contenuti concettuali che esibiscono li rende assai più efficaci di tante
esercitazioni asettiche e a senso unico, sia nella fase esplicativa (come mezzo
dimostrativo), sia nella fase di verifica (come valutazione oggettiva).
Ognuno dei giochi seguenti, di cui si darranno anche brevi esempi scritti, può essere poi
utilizzato come modello per la realizzazione di una mini-composizione che utilizzi in un
contesto costruttivo i concetti assimilati, riconvertendo la riflessione analitica in pratica
creativa.
1. Giochi cognitivi: il completamento.
Ai ragazzi viene consegnata una partitura contenente dei vuoti nella scrittura, che
vanno colmati facendo ipotesi individuali, confrontandosi coi compagni e con l’insegnante,
fino al raggiungimento di una soluzione condivisa e da confrontare poi con l'originale.
Naturalmente non si tratta di lasciare “buchi” a casaccio e in quantità da… gruviera, ma di
operare in modo strategico rispetto all’acquisizione/rinforzo di concetti importanti per la
comprensione del significato del brano che si sta eseguendo.
Tentiamo allora di circoscrivere alcune aree concettuali intorno alle quali l’insegnante potrà
costruire i giochi di completamento per la propria classe (ma anche quelli
successivamente descritti), ben consapevoli che la loro inevitabile parzialità ed
incompletezza saranno colmabili solo attraverso un paziente lavoro di riflessione sulle
singole partiture di volta in volta affrontate.
A. Tensioni e distensioni: il riferimento è ai sistemi orientati (modalità, tonalità), che
prevedono suoni e accordi con funzione sospensiva o risolutiva, ma la coppia di concetti
può riguardare anche andamenti lineari e sonorità verticali costituiti da particolari intervalli
in sé tendenti al movimento o al riposo (sistemi non tonali e fortemente cromatizzati, quali
si trovano, ad es., nella musica di Prokofiev’, di Bartòk o di Hindemith, negli autori
dodecafonici e in generale nella musica “colta” a partire dal secondo Novecento).
B. Ripetizioni e varianti: rispetto alla più frequentata strutturazione del periodo in
“antecedente e conseguente”, ma pure all’interno di processi locali o globali, che implicano
il mantenimento o la trasformazione di pattern armonico-melodici, come accade, ad es.,
nella scrittura dei compositori cosiddetti “minimalisti”.
C. Imitazioni: con tutte le possibili varianti e all’interno di qualsiasi contesto linguistico, il
passaggio dialogico di un intervallo, frammento o melodia, da uno strumento all’altro.
D. Buona continuazione melodica: coerenza rispetto ad un sistema, riferimento a gestalt
complessive (direzionalità, arco, sinusoide, progressione, ecc.), compensazione dei salti,
equilibrazioni tra ripetizioni e varianti, sono tutti principi che regolano la costruzione del
percorso melodico.
E. Buona continuazione ritmica: anche in questo caso si tratta di riconoscere alcuni
princìpi regolatori del flusso ritmico, quali periodicità e aperiodicità, accelerazione,
rallentamento, stasi, ed il significato che possono assumere all’interno di uno specifico
contesto relazionale.
F. Coerenza armonica intervallare: la scelta di un dato intervallo armonico in un contesto
contrappuntistico può essere dettata dal suo valore simbolico, ma anche dall’insieme delle
relazioni che lo legano agli altri intervalli caratteristici di quel contesto, o ancora dal
migliore movimento delle parti che lo determinano.
G. Coerenza armonica accordale: non sempre si tratta di triadi, o comunque di accordi per
terze (settime e oltre) più o meno inseriti in un ambito tonale; esistono anche nella musica
post-tonale delle sonorità verticali “prevalenti” e “referenziali”, che ne garantiscono la
consistenza linguistica, la coerenza strutturale e la necessaria dialettica tra tensioni e
distensioni.
H. Coerenza formale: può dipendere da relazioni locali di ripetizione e trasformazione, di
contrasto o di sviluppo tra eventi temporalmente vicini o lontani, ma anche da assetti
formali storicamente e stilisticamente determinati: se dalla partitura di un Rondò è
scomparso un refrain c’è forse qualcosa che non va…
I. Coerenza progettuale: rispetto ad un riferimento extramusicale (immagine, danza, testo),
ma anche semplicemente ad un titolo, che può sottendere un’intenzione musicale.
J. Coerenza timbrica: uno staccato qui e un legato là; un pizzicato qui e un frullato là. È poi
tutto lasciato al caso o ci sarà qualche criterio a guidare le scelte?
2. Giochi cognitivi: scelte multiple.
Variante del completamento, la scelta multipla prevede la presenza di due o più
soluzioni già scritte, che l’allievo dovrà relazionare al contesto in cui vanno inserite sulla
base di una sperimentazione diretta, eventualmente orientata da opportune indicazioni
dell’insegnante (cfr. il paragrafo precedente). Per evitare inutili dubbi e confusioni, si
consiglia d’introdurre una sola soluzione corretta, chiaramente distinguibile da quelle
“false” e circondata da non più di tre alternative.
3. Giochi cognitivi: la “corrupta lectio”.
Manipolazione mirata di una nota, di un passo o di una sezione di un brano al fine
di evidenziare la necessità della sua scrittura originale. Come nei precedenti giochi
cognitivi, anche qui i ragazzi si avvicinano ai concetti generali e alle strutture specifiche,
partecipando attivamente alla ri-costruzione del frammento, perché l’individuazione e la
conseguente correzione dei tratti adulterati è possibile solo “entrando” nella sua logica
compositiva con l’orecchio e con la mente. La differenza sta nel metodo: rispetto al
completamento, aperto o a scelta multipla, la corrupta lectio non fornisce alcuna
indicazione all’allievo, che, dopo alcune letture ed esecuzioni del brano, dovrà segnare
sulla partitura i passi che non lo convincono per poi discutere coi compagni e con
l’insegnante le soluzioni adottabili.
4. Giochi cognitivi: “Shake it Easy!”.
Fare a pezzi linee melodiche individuali, frasi, periodi o addirittura intere sezioni per
poi agitarle ben bene e spargerle ai quattro venti! Ma poi siamo in grado di ricostruire
l’originale? Quanti bambini di tre o quattro anni smontano macchinine senza poi saper
rimettere i pezzi al posto giusto? Questa attività cognitiva implica certo la conoscenza
delle funzioni strutturali e formali del linguaggio, ma con una certa graduazione, perché
ricomporre un processo formale sulla base di princìpi generali come la ripetizione, la
variante e il contrasto è assai più semplice che ricostruire il rapporto tra una melodia
tonale e il suo accompagnamento armonico cubisticamente dissociati.
3. A proposito della circolare ministeriale 758 del 29-01-2015 concernente le prove
dell'esame di Maturità per il Liceo Musicale.
“composizione di un brano attraverso un basso dato con modulazione ai toni vicini o
armonizzazione di una melodia tonale.”
Partendo comunque dal presupposto che una prova d'esame così concepita non
verifica pressoché nulla delle competenze compositive acquisite dagli studenti nel corso
del quinquennio scolastico, ma può servire al massimo a misurare l'assimilazione più o
meno meccanica di schemi generali legati esclusivamente alla morfologia e alla sintassi
tonale (peraltro neppure in modo completo), si propongono alla discussione degli incontri
del sabato mattina (21 e 28 febbraio 2015) alcune simulazioni di seconda prova d'esame
compositiva (punto b della circolare), misurate su due criteri fondamentali:
 prove di basso o melodia scolastiche e decontestualizzate;
 prove di basso o melodia “d'autore”, quindi storicamente e stilisticamente
contestualizzate.
Entrambe le tipologie presentano aspetti positivi e aspetti negativi, perché nel caso
di prova scolastica l'allievo deve semplicemente applicare delle regole astratte, apprese
negli anni, col rischio però che qualche regola, eventualmente “autoprodotta” da qualche
zelante didatta della prima ora, rotoli, per così dire, fuori dal paniere e lo metta in difficoltà,
col rischio di compromettere i collegamenti tra il “prima” e il “dopo” e mandare a gambe
all'aria l'intero compito, mentre nel caso della prova contestualizzata c'è il problema
dell'individuazione stilistica: pur rimanendo nel dettato tecnico specifico (“modulazione ai
toni vicini – melodia tonale”) non c'è alcuna certezza di proporre una prova conforme alle
aree stilistiche effettivamente affrontate dai singoli docenti dei singoli Licei, per cui si
rischia di mettere in serio imbarazzo i candidati. Il compromesso che s'intende qui
proporre ai responsabili ministeriali della stesura materiale delle prove è quello di fornire
una rosa di possibilità il più ampia possibile, correndo anche in questo caso un rischio, ma
ben più calcolato e meno pericoloso, che è quello, tipico, dell'”imbarazzo della scelta”, con
la conseguente perdita di tempo prezioso.
C'è poi la questione dell'astrattezza della prova, che nella sua forma collettiva e “a
tavolino” rende di fatto impossibile la verifica percettiva di ciò che il candidato sta
scrivendo. Si pensa davvero che un ragazzo liceale, dopo cinque anni di TAC, possa
controllare a mente, con un sight singing prodigioso, i collegamenti armonici di un basso o
la migliore armonizzazione di una melodia? Forse sarebbe il caso di parlarne e di pensare
seriamente all'interazione con le tecnologie di videoscrittura.
1. Esempi di bassi decontestualizzati
a) 2 bassi da armonizzare (da Dionisi)
b) 2 bassi “imitati e fugati” - da Franco Margola
2. Esempi di bassi contestualizzati
a) Basso da Händel con completamento melodico
a) Basso da Bach per costruzione Minuetto
3. Esempi di melodie decontestualizzate (da Margola)
4. Esempi di melodie contestualizzate
a) Una melodia strumentale barocca
Si può anche pensare di proporre una melodia vocale con testo, eventualmente col suo basso
continuo originale, da trattare in forma di “completamento”, come già nel precedente basso händeliano con
melodia da completare.
Per chi si fosse comunque maggiormente concentrato sul Corale bachiano, l'indicazione ministeriale
di “armonizzazione di una melodia data” non esclude l'assegnazione di un canto del repertorio luterano:
b) Due melodie vocali romantiche
b1) In questo Lied di Johannes Brahms (1833 – 1897), su testo di Heinrich Heine (1797 – 1856), il testo
tedesco viene riportato solo in calce e non direttamente sotto la melodia, come nell'originale, sottoponendo
la traduzione italiana
non in modo ritmico sotto ciascuna nota, seguendo la distribuzione tedesca
dell'originale, ma in modo fraseologico, consentendo così al candidato di trovare l'armonizzazione più
pertinente possibile al significato poetico.
b2) e b3) In questi due Lieder, il primo di Franz Peter Schubert (1797 – 1828) e il secondo di
Ludwig Heinrich Berger (1777 – 1839), entrambi composti a partire da un testo di Johann Ludwig
Wilhelm Müller (1794 – 1827), il testo tedesco viene invece direttamente sottoposto alla melodia, come nella
versione originale, mentre la traduzione italiana è riportata in calce.
Bibliografia essenziale
Dispiace se molti testi sono in lingua straniera, ma la pubblicistica italiana in materia è ancora ben
lungi dall'avere titoli numerosi e in grado di fornire prospettive diverse dal solito tran-tran dell'armonia e del
contrappunto, tanto che per trovare qualcosa di veramente interessante ci si è dovuti spostare nei campi
limitrofi dell'analisi e della pedagogia musicale. Molti testi sono puramente teorici, ma penso che gli
insegnanti realmente interessati a ricercare soluzioni diverse e a mettersi sempre e comunque in
discussione abbiano il diritto/dovere di riflettere anche sui problemi generali che stanno alla base della scelta
di certi contenuti, delle elaborazioni metodologiche e delle conseguenti azioni didattiche.
AA.VV (a cura di Walter Salmen e Norbert J. Schneider), Der Musicalische Satz. Ein Handbuch zum lernen
und lehren, Helbling KG., Innsbruck, 1987
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Antonio Giacometti, Linguaggi e forme per inventare (una propedeutica alla composizione con proposte di
applicazione didattica), Milano, Rugginenti, 1997
Antonio Giacometti, Anche senza leggìo. Metodologie e materiali per la musica d'insieme, Rugginenti,
Milano, 2014 (di prossima pubblicazione)
Diether De La Motte, Il Contrappunto. Un libro da leggere e d studiare, Ricordi, Milano, 1991
Diether De La Motte, Wege zum Komponieren, Bärenreiter, Kassel, 1996
Ellis B. Kohs, Musical Composition. Projects in Ways and Means, The Scarecrow Press, Inc., Metuchen, N.J.
& London, 1980
Enrico Strobino, Tra il dire e il fare. Nel laboratorio di musica, Progetti Sonori, Pesaro-Urbino, 2009
Enrico Strobino, Musiche in cantiere, FrancoAngeli, Milano, 2001
Gérard De Vecchi – Nicole Carmona Magnaldi, Aiutare a costruire le conoscenze, Armando, Roma, 1999
Gertrud Meyer-Denkmann, Struktur und Praxis neuer Musik. Experiment und Metode, Wien, Universal
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