pag. 3 Editoriale - Fondazione Avvocatura Parmense

SOMMARIO
Cronache dal Foro Parmense
Anno XIX numero 3 – ottobre 2010
Periodico quadrimestrale a cura dell’Ordine
degli Avvocati di Parma.
Autorizzazione del Tribunale di Parma
n.14 del 10 giugno 1992.
Direttore responsabile:
avv. Giuseppe Negri
Comitato di redazione:
avv. Nicola Bianchi, avv. Dominga Bubbico,
avv. Andrea Conforti, avv. Alberto Magnani,
avv. Francesco Mattioli
avv. Alessandra Mezzadri, avv. Giuseppe Scotti
Hanno collaborato a questo numero:
avv. Renzo Botti
dott. Pierfrancesco Brunelli
avv. Raffaella Calda
prof. Edoardo Fregoso
avv. Carla Guidi
avv. Marcello Mendogni
avv. Giacomo Voltattorni
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pag. 9
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pag. 17
pag. 21
pag. 28
pag. 31
pag. 34
pag. 39
pag. 45
Editoriale: alla vigilia
della media conciliazione
Attività del Consiglio
Aggiornamento albi
Variazioni
Riforma federale dello Stato ?
Adelante … con juicio
Note sul processo amministrativo
Il futuro della normativa europea
in materia di informazioni sui
prodotti alimentari ai consumatori
Le Fondazioni non riconosciute
(della loro soggettività giuridica e
della responsabilità degli
amministratori)
La questione di genere
nell’avvocatura
Della conversione del contratto
di mediazione nullo in contratto di
procacciamento di affari
Segnali di fumo
Giurisprudenza disciplinare
Giurisprudenza
chiuso in redazione il 16 marzo 2011
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editoriale
Alla vigilia
della media conciliazione
La richiesta, pressoché unanime dell’Avvocatura – CNF,
Ordini territoriali, Associazioni professionali – di differimento
di un anno dell’entrata in vigore della media-conciliazione ha
avuto un parziale accoglimento.
Come è ormai noto – ma è bene rimarcarlo – il modello
di media-conciliazione, disciplinato dal DLgs n. 28/2010, prevede organismi di mediazione pubblici e privati, destinati ad
operare sotto la vigilanza del Ministero della giustizia.
Nella legge di conversione del decreto “Milleproroghe”
(L.n. 10/2011) è previsto il rinvio di un anno soltanto per le
controversie relative a questioni condominiali e ad incidenti
stradali.
Dall’inizio di quest’anno vi è stata un’accelerazione, in
vista del 20 marzo, delle attività preparatorie all’entrata in
vigore della procedura di media-conciliazione.
Le questioni più importanti riguardano, a tutt’oggi, il funzionamento dell’organismo di media-conciliazione, il personale, che necessita – tra l’altro – di idonea formazione e le
modalità di funzionamento della procedura.
Sicchè, dal 20 marzo 2011, la media-conciliazione sarà
operativa per le cause in materia di diritti reali, divisioni,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato,
affitto di aziende, risarcimento del danno da responsabilità e
Alcuni problemi sono stati già risolti in sede regolamenda diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubtare, altri lo saranno strada facendo – dopo il 20 marzo
blicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, le quali non
prossimo – non potendosi ora prevedere, se non con larghi
potranno essere iniziate, a pena di improcedibilità, se non
margini di approssimazione, quali
dopo l’attivazione della procedura di
Nella legge di conversione
potranno essere i numeri delle
mediazione.
richieste di mediazione all’Organidel decreto “Milleproroghe”
smo dell’Ordine in una situazione di
Prescindendo da qualsiasi valuta( L. n.10/2011) è previsto il
pluralità di offerte provenienti sia dal
zione sulle ragioni che hanno imperinvio
di
un
anno
soltanto
pubblico che dal privato.
dito il differimento in toto dell’enper le controversie relative
trata in vigore del DLgs n. 28/2010,
a questioni condominiali
E’ però presumibile che non
credo giovi fare il punto della situasaranno
numeri di poco conto.
zione riprendendo quanto scrissi,
e ad incidenti stradali
circa un anno fa, nel n. 1 del 2010 di
Questa, dunque, la situazione che stiamo affrontando in
Cronache.
un clima generale di incertezza con la ferma volontà di far
partire, pur con le difficoltà organizzative sopra poste in eviIl Consiglio di Parma ha sottoposto l’anno scorso all’Asdenza, l’Organismo di conciliazione del nostro Ordine.
semblea degli iscritti il tema della media-conciliazione, con
riferimento espresso alla creazione di un organo apposito da
Tuttavia, restano le criticità di una normativa, che con
parte del Consiglio, deputato alla media-conciliazione.
eccessiva fretta è stata imposta senza tenere conto delle
proposte di modifica che, da parte dell’Avvocatura, sono
L’Assemblea, nella seduta del 1° luglio 2010, si è espressa
state avanzate a tutti i livelli.
favorevolmente.
Sono critiche tanto note quanto fondate ed è inutile
ripeterle: il tempo dirà se l’introduzione della procedura di
mediazione porterà i benefici effetti voluti (sperati) dal legislatore o se, viceversa, l’innovazione si tradurrà in un altro
(l’ennesimo) esperimento di “esternalizzazione” (con parziale privatizzazione), che porterà soltanto (o quasi) ad un
ulteriore allungamento dei tempi della giustizia.
Il Presidente del Tribunale, a seguito di nostra richiesta, ha concesso i locali da utilizzare per il procedimento di
media-conciliazione.
Dopodiché, nell’autunno scorso, è stato emanato un
decreto ministeriale (il DM n. 180/2010), concernente disposizioni specifiche concernenti l’iscrizione e la tenuta dei registri di mediazione e l’elenco dei mediatori, nonché le indennità spettanti agli organismi di mediazione.
Luigi Angiello
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ATTIVITA’ DEL CONSIGLIO
* (in carica dall’adunanza dell’8 febbraio 2011, eletta il
2 febbraio 2011 in sostituzione della compianta avv. Patrizia
Grossi)
AATTIVITA’ DEL CONSIGLIO
OPINAMENTO PARCELLE
Dal 1° dicembre 2010 al 15 marzo 2011, l’apposita
commissione consiliare (ovvero il Consiglio) ha opinato
n.117 parcelle.
Dal 1° dicembre 2010 al 15 marzo 2011 il Consiglio si è
riunito 14 volte.
Elenco delle presenze dei Consiglieri alle adunanze:
avv. Angiello
n. 14
avv. Gandini
n. 14
avv. De Risio
n. 14
avv. Brianti
n. 11
avv. Cagna
n. 12
avv. Calistro
n. 12
avv. De Sensi
n. 12
avv. Maggiorelli
n. 14
avv. Mattioli
n. 13
avv. Mendogni
n. 11
avv. Mezzadri
n. 13
avv. Montanari*
n. 6
avv. Piombi
n. 13
avv. Pinardi
n. 9
avv. Salvini
n. 13
PROCEDIMENTI DISCIPLINARI
Dal registro dei reclami nei confronti degli iscritti
dal 1° dicembre 2010 al 15 marzo 2011:
pervenuti n. 39
archiviati n. 12
disciplinari aperti n. 2
disciplinari celebrati n. 2
RICHIESTE DI AMMISSIONE AL PATROCINIO
A SPESE DELLO STATO
pervenute n. 74
ammesse n. 79
non ammesse n. 3
pendenti n. 6
AGGIORNAMENTO ALBI
GIULIO SBERNINI (15 febbraio 2011)
BIAGIO CRAPAROTTA (22 febbraio 2011)
SALVATORE MASCHIO (1° marzo 2011)
elenco speciale degli avvocati addetti agli Uffici Legali
ANGELA PALUMBO (8 marzo 2011)
VALERIA BLANGIFORTI (8 marzo 2011)
ROBERTA ROLLO (15 marzo 2011)
ELISA RIGOLIN (15 marzo 2011)
per trasferimento dall’Ordine di Ferrara
ALBO AVVOCATI
ISCRIZIONI
FRANCESCA VIGNALI (21 dicembre 2010)
LUCIA SANDRINI (4 gennaio 2011)
DAVIDE ZAMBRELLI (4 gennaio 2011)
SABRINA ALBERINI (11 gennaio 2011)
DEMETRIO AZZARA’ (11 gennaio 2011)
FRANCESCA CALDARELLA (11 gennaio 2011)
GAETANA RUSSO (11 gennaio 2011)
VALENTINA SORAVIA (11 gennaio 2011)
ADRIANA CARUSO (18 gennaio 2011)
SARA CARNESECCA (18 gennaio 2011)
VIVIANA MANTIONE (18 gennaio 2011)
per trasferimento dall’Ordine di Catania
CLAUDIA ANNA RITA QUINTO (18 gennaio 2011)
per trasferimento dall’Ordine di Matera
VALENTINA GASTALDO (25 gennaio 2011)
RAFFAELE BUSANI (25 gennaio 2011)
DAVIDE AZZALI (25 gennaio 2011)
RAMONA LUCCHINI (1° febbraio 2011)
MICHELE DE NITTIS (1° febbraio 2011)
VERONICA VALENTI (8 febbraio 2011)
LAURA FERRARINI (8 febbraio 2011)
NICOLETTA CAMPA (8 febbraio 2011)
GIULIA VIRDIS (15 febbraio 2011)
ALESSANDRO NUCCI (15 febbraio 2011)
LUCIO SABADINI DIQUATTRO (15 febbraio 2011)
CANCELLAZIONI
VALERIA TAFURO (7 dicembre 2010) a domanda
EDOARDO LOMBARDI (14 dicembre 2010) a domanda
ERMINIA RIZZINI (18 gennaio 2011) a domanda
GIANLUIGI MICHELINI (25 gennaio 2011)
dall’Elenco Speciale degli avvocati addetti agli Uffici Legali,
a domanda per incompatibilità
MARIA PELUSO (1° febbraio 2011)
per trasferimento all’Ordine di Bologna
GIUSEPPINA FARINA (8 febbraio 2011) a domanda
UGO STANGHELLINI (15 febbraio 2011) a domanda
ANGELA RIZZO (22 febbraio 2011)
per trasferimento all’Ordine di Lecce
MATTEO PATRIOLI (1° marzo 2011) a domanda
CRISTINA POZZI (1° marzo 2011)
per trasferimento all’Ordine di Forlì-Cesena
MARTA TORELLI (8 marzo 2011) a domanda
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VARIAZIONI
Garibaldi 44; tel. e telefax 0524/83798;
avv. GIUSEPPE BERTANI: e-mail [email protected]
avv. PAOLO OREFICI: Parma, borgo XX marzo 7;
tel. 0521/235525; telefax 0521/206958; e-mail posta@
studiolegaleorefici.it;
avv. NICOLA SIMEONE: Parma, piazza Italo Pinazzi 61/A;
tel. 0521/775033; telefax 0521/778350; cell. 329/4125253;e-mail
[email protected];
avv. MICHELE MEGHA:
e-mail [email protected];
avv. MARIA LUCIA TAURINO: cell. 366/6618143;
invariati e-mail tel. e telefax;
avv. ISABELLA MARRAZZO: telefax 0521/293985;
avv. LAURA SANTORO: telefax 0521/200451;
avv. ROBERTO ALFIERI: Parma, via Cairoli 1; invariati
recapiti telefonici e-mail e telefax;
avv. VINCENZO CECERE: telefax 0521/200451;
avv. MARINA GHIRETTI: Parma, via San Leonardo 17;
invariati tel. e telefax;
avv. STEFANO PEZZONI: telefax 0521/951184;
avv. MARIA CRISTINA BALDASSARI: Parma, via I. Affò 4;
tel. e telefax invariati; cell. 349/4580159;
avv. FILIPPO LO IACONO: Parma, via San Leonardo 17;
invariati tel. e telefax;
avv. BARBARA MARCHETTI: Parma, via I. Affò 4;
tel. e telefax invariati;
avv. VITINA GUARINO: Parma, via Massimo D’Azeglio 26;
tel. e telefax 0521/234592; invariati cell. ed e-mail;
avv. GIUSEPPE MAMBRIANI: Parma, via Farini 5; tel.
0521/237984; telefax 0521/230760; e-mail [email protected];
avv. ENRICO BORDI: Parma, strada Antonio Cocconcelli 4,
invariati e.mail tel. e telefax;
avv. CARLO ANDREA RESTANO: Parma, via Rapallo 2/d;
tel. 0521/989468; telefax 0521/989331; e-mail avv.ca.restano@
studiorestano.it;
avv. FRANCESCO SAVERIO SUPERTI: Parma, vicolo Mulini
6; tel. 0521/238822-228210; telefax 0521/238866;
avv. EMANUELE CROCI: Parma via d’Azeglio 52; tel. e
telefax 0521/1893389 cell. 392/1102828; e-mail invariata;
avv. ROBERTO GALLO: telefax 0521/1857139;
dott. MASSIMO DE MATTEIS: telefax 0521/1810146; e-mail
[email protected];
avv. FABIO MASSIMO CANTARELLI:
e-mail [email protected]; invariati tel. e telefax;
avv. VALENTINA MIGLIARDI: Parma, via Maestri 4; tel. e
telefax 0521/570283; invariati cell. ed e-mail;
avv. SIMONA COSTA: II studio Parma, borgo al Collegio
Maria Luigia 22; tel. 0521/467822; telefax 0521/243427;
avv. SABRINA ORLANDINI: Parma, via Vincenzo Re 42; tel.
0521/336404; telefax 0521/804146;
e-mail [email protected];
avv. CHIARA DALL’ASTA: II studio Parma, borgo del
Correggio 18; tel. 0521/230026; telefax 0521/228864;
avv. IOANA VERBANCU:
e-mail [email protected] e [email protected];
avv. ANNA ADELE CARAFFINI:
e-mail [email protected];
avv. FRANCESCO LOISE:
e-mail [email protected];
avv. ROBERTA CANTARELLI: tel. e telefax 0521/240159;
avv. FABRIZIO PELIZZONI: Parma, p.le della Macina 3;
cell. 338/9284528; telefax 0521/711518; invariato recapito di posta
elettronica;
avv. ELENA REGGIANI:
e-mail [email protected];
avv. FRANCESCA ERENDA: Collecchio, strada Pavesi 13;
tel. e telefax 0521/804148; e-mail [email protected];
avv. LUCIO DE PALMA: e-mail [email protected];
Nell’ultimo numero di CRONACHE, nonostante
il plurimo, attento controllo delle bozze di stampa,
il cognome dell’avv. VITINA GUARINO è uscito
malamente storpiato. Nello scusarsi con l’interessata,
la redazione ripubblica l’intera variazione che la
riguardava:
avv. VALENTINA BOCCHI: II studio Fidenza, piazza
Alla data del 15 marzo 2011 gli iscritti all’albo
erano in numero di millecentosessantaquattro.
avv.VITINA GUARINO
Parma, via Massimo D’Azeglio 26
tel. e telefax 0521/234592
invariati cell. ed e-mail
(e cioè rispettivamente:
cell. 320/4822131
e-mail [email protected])
PRATICANTI AVVOCATI
Iscritti: n. 7
Cancellati:
n. 4
PATROCINATORI LEGALI
Iscritti
n. 10
Cancellati:
n. 1
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comunicazioni
deliberazione in materia di formazione continua obbligatoria allegata alla circolare
CNF N.2-C del 25 gennaio 2011
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comunicazioni
deliberazione CNF:
75 crediti formativi nel triennio 2011-2013
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comunicazioni
Consiglio Nazionale Forense
Verbale d’Adunanza
elementi di dubbio sulla effettiva portata di tale giudizio;
- che la maggioranza dei Consigli territoriali ha, invece,
dichiarato di ritenere eccessivo il carico dei crediti formativi
nel numero di 90 complessivi così come stabilito a regime
dal Regolamento;
- che occorre tenere conto di queste esigenze e del
fatto che – se pure il regolamento ha incontrato indubbio
successo perché oramai tutti gli avvocati hanno acquisito
consapevolezza della inderogabile necessità di adempiere il
dovere formativo - occorre garantire gradualismo in attesa
di un maggiore rodaggio delle strutture ordinistiche preposte
alla funzione formativa: ciò che potrebbe suggerire di ridurre
il monte crediti da conseguire annualmente e nel triennio a
venire rispetto a quello stabilito nel numero complessivo di
90 dall’art. 2, co. 3, cit. ;
- che in tal senso è di conforto anche la comparazione
con i sistemi di aggiornamento di altri paesi europei;
- che non è necessario disporre l’ultrattività della parte
della disciplina transitoria dedicata dall’art. 11 al caso degli
avvocati con anzianità di iscrizione all’albo di almeno quaranta anni, tenuto conto che la predetta disciplina ha esaurito
la sua funzione avendo di per sé garantito il gradualismo di
cui si è detto;
DELIBERA:
L’anno duemilaundici, il giorno 25 del mese di febbraio,
alle ore 9,00, in Roma, presso la sede in via del Governo Vecchio n. 3, il Consiglio Nazionale Forense si è riunito in seduta
amministrativa, previa convocazione spedita a mezzo e-mail
a tutti i Consiglieri in data 15 febbraio 2011, con l’intervento
dei Signori:
OMISSIS
Assume la Presidenza il Presidente, avv. prof. Guido Alpa.
Il Presidente, accertato che i Consiglieri presenti sono in
numero superiore a quello stabilito dall’art. 22 del D.D.L. 23
novembre 1944, n. 382, dichiara valida l’adunanza.
L’ ORDINE DEL GIORNO della seduta odierna comprende la trattazione dei seguenti argomenti:
OMISSIS
3. REGOLAMENTO
PER LA FORMAZIONE CONTINUA
- eventuali modifiche, con particolare riferimento all’ammontare dei crediti annui obbligatori
(relatore il Vice Presidente Perfetti)
OMISSIS
3. REGOLAMENTO
PER LA FORMAZIONE CONTINUA
di modificare l’art. 11 del Regolamento per la formazione
continua approvato il 13 luglio 2007 nel seguente modo:
Sul punto, il Consiglio Nazionale Forense,
Dopo il comma 3 dell’art. 11, è introdotto il seguente
comma 3 bis:
premesso:
- che con il 31 dicembre 2010 si è concluso il primo
periodo triennale di applicazione del Regolamento sulla formazione permanente approvato dal Consiglio con delibera
del 13.7.2007:
“Nel secondo triennio di valutazione a partire
dall’entrata in vigore del presente regolamento, e
cioè per il triennio 2011/2013, i crediti formativi da
conseguire sono determinati in complessivi settantacinque col minimo di quindici crediti in ciascuno dei
primi due anni del triennio; dei settantacinque crediti
complessivi almeno quindici nel triennio dovranno
essere conseguiti in materia di ordinamento forense
e/o previdenza e/o deontologia e di questi almeno
quattro in ciascuno dei primi due anni del triennio”.
- che già prima della fine del triennio era stata ravvisata
la necessità di disporre di dati, anche statistici, relativi alle
modalità con cui i Consigli territoriali hanno applicato il regolamento, alle eventuali difficoltà incontrate, alle valutazioni
date sulle singole disposizioni, con particolare riferimento
alla congruità del numero dei crediti formativi;
- che la raccolta dei dati è ancora in corso anche con riferimento alla verifica del numero dei Consigli territoriali che
si sono dotati di un proprio regolamento; ma che sin d’ora
emerge che, degli oltre cento Consigli che hanno risposto al
questionario inviato, solo una piccola minoranza (non più di
25 sugli oltre 104 che hanno risposto) ha dichiarato di trovare
adeguato l’ammontare dei crediti da maturare annualmente e
poi complessivamente nel triennio; sennonché questo giudizio è stato accompagnato dal riconoscimento che una buona
parte degli iscritti non ha adempiuto, totalmente o, quanto
meno, parzialmente, all’obbligo formativo: il che introduce
Il Consiglio si riserva di apportare ulteriori modifiche al
regolamento, anche all’esito del completamento della raccolta delle osservazioni da parte dagli Ordini.
OMISSIS
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
f.to Avv. Andrea Mascherin
IL PRESIDENTE
f.to Avv. Prof. Guido Alpa
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Riforma federale dello Stato?
Adelante... con juicio
Storicamente una federazione nasce, di regola, dall’unione
di almeno due entità sovrane; prima di arrivare alla forma di
stato federata può esservi, o meno, un passaggio intermedio
Dal punto di vista della storia delle costituzioni, che è
costituito da una confederazione. Questo è il caso degli Stati
il mio campo di ricerca, un ordinamento giuridico federale
Uniti che nascono prima come 13 Stati indipendenti che si
non è né più efficiente od efficace, ma neanche meno, del
danno una prima costituzione confederata: gli Articles of
suo contraltare unitario o della via intermedia costituita dallo
Confederation nel 1777, la successiva carta federale, l’attuale
Stato regionale o delle autonomie. Per ordinamento giuridico
costituzione è del 1787. Tuttavia la Costituzione del 1787
federale intendiamo quella particolare forma di Stato che in
entrerà in vigore solo il 21 giugno 1788, quando il nono Stato,
tedesco viene identificata dalla parola composta Bundesstaat,
il New Hampshire, la ratificò secondo il procedimento tipico
vista in contrapposizione alla confederazione che è invece
dei trattati internazionali; il Rhode Island, ultimo, attenderà il
identificata dal termine, sempre composto, Staatenbund. I
1790 per ratificarla.
due termini giuridici tedeschi hanno il pregio di porre icaA partire dal XIX secolo si è anche avuto il caso di fedesticamente, nella loro composizione, l’accento sulla prevarazioni che nascono da Stati unitari, tra gli altri il Brasile che,
lenza giuridica dell’Unione sui singoli Stati o viceversa. Per
caduto l’Impero, nel 1889 ed abrogata la Costituzione del
cui nel Bundesstaat il Bund, l’Unione, “viene prima” quindi
1824, con la carta del 1891 diventa
predomina sui singoli Stati mentre
una Repubblica federale (articolo 1,
nello Staatenbund gli Stati (al plurale)
un ordinamento giuridico
cost. 1891). Più recentemente è il
prevalgono sull’Unione. Per approfederale non è né più efficiente
caso del Regno del Belgio che con
fondire un minimo l’analisi della difod efficace, ma neanche meno,
le riforme del 1993-94 si è trasforferenza tra le due forme di unione, si
mato in uno Stato federale (articolo
possono riportare, a titolo di esemdel suo contraltare unitario o
1, cost. 1994) e dell’Etiopia (art.
pio, il preambolo della Costituzione
della via intermedia costituita
1, cost. 1994). In questi due casi le
U.S.A.: «We the People of the United
dallo Stato regionale o delle
entità federate sono state ritagliate
States [...] do ordain and establish
autonomie
seguendo i confini linguistici, e nel
this Constitution [...] » e quello della
caso dell’Etiopia anche etnici (cfr.:
Costituzione definitiva dei Confederil preambolo della costituzione stessa), che già erano ricomate States of America, del 1861, che recitava «We, the people
presi all’interno dei due Stati nella loro forma unitaria. Più
of the Confederate States, each state acting in its sovereign
raro il caso di Federazioni che evolvono in Stato unitario, un
and independent character [...] do ordain and establish this
esempio classico sono i Paesi Bassi. Questi nascono nel XVI
Constitution [...]». Dalla loro comparazione si nota che nella
secolo come Federazione delle Provincie Unite ma perdono
struttura federale si riscontrano due elementi alla base della
il loro carattere marcatamente federale a far data dal XIX
costituzione: il popolo e gli Stati Uniti, mentre nella struttura
secolo.
confederata vi si affianca un terzo elemento: i singoli Stati,
In sé e per sé un ordinamento giuridico federale non è
questi agiscono nella loro qualità di soggetti di diritto intergaranzia di libertà, né individuale né economica, l’U.R.S.S.,
nazionale pleno iure.
nella grafia originale cirillica С.С.С.Р. (S.S.S.R) la prima
La forma confederata è piuttosto risalente e può essere
esse sta per Soyuz, cioé Unione, rimase fino al suo ultimo
scorta, ad esempio, nel mondo greco classico, in formazioni
respiro una federazione esattamente come la Jugoslavia
come la Lega Delio-Attica, V a.C., che veniva definita sia
e come la Cecoslovacchia. Il caso dell’Unione Sovietica è
Συμμαχία (summachìa), dove lo scopo della Confederainteressante, in quanto essa era, sotto certi aspetti, una strutzione è leggibile, etimologicamente, come quello di combattura confederata: infatti le Repubblice Socialiste Sovietiche
tere insieme, cioé: una lega militare, sia come Ἀμφικτιονία
di Ucraina e Bielorussia avevano un loro autonomo seggio
(amfizionìa) che indica una lega di vicini, normalmente colleall’ONU, come Stati sovrani, ma erano anche unità costitugata ad un santuario comune. La Confederazione può quindi
tive dell’URSS, mentre una terza di queste unità, la Repubessere una unione momentanea finalizzata ad uno scopo e
blica Socialista Federativa Sovietica di Russia era, a sua volta
quindi destinata a sciogliersi, cosa che non dovrebbe risconuna federazione. La Cecoslovacchia socialista è un altro caso
trarsi nelle federazioni.
Edoardo Fregoso
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riforma federale
dopo una serie estenuante di lotte civili nel 1831. Ad ulteriore
conferma della tendenza di un’epoca, nel 1864, la Repubblica
Messicana, che secondo la costituzione del 1857 era federale, sarà trasformata nel breve Secondo Impero Messicano.
Il Regno di Sardegna aveva regolari contatti diplomatici con
queste realtà, quindi i maggiori politici sardi prima, italiani,
poi, Cavour soprattutto, sapevano benissimo quello che accadeva in giro per il mondo.
Vi era inoltre un secondo motivo per sconsigliare la
forma federale per la nuova Italia. Se guardiamo la situazione
del 1859 notiamo che questa ipotetica federazione avrebbe
dovuto comprendere: una provincia dell’Impero d’Austria,
quindi l’Imperatore d’Austria; un ducato, Modena ed un
Granducato, Toscana, i cui regnanti erano rami cadetti degli
Asburgo, ripettivamente gli Asburgo-Este e gli Asburgo
Lorena e che riconoscevano come capofamiglia l’Imperatore
d’Austria. Questo significava che, in caso di problemi successori l’arbitro era il capofamiglia. Inoltre vi erano un secondo
Ducato, Parma ed un Regno, quello delle Due Sicilie, che
riconoscevano come capofamiglia il sovrano di Spagna, della
casa di Borbone, con gli stessi problemi. Infine lo Stato Pontificio, il cui conclave era ancora sottoposto al veto informale
della Spagna, della Francia e dell’Austria.
A niente serve, poi, paragonare la situazione ed evoluzione
costituzionale italiana, post unificazione, a quella coeva tedesca, traendone conclusioni perlomeno fuorvianti. Il Deutsche
Bundesakte del 1815 aveva disegnato una federazione tedesca in cui i legami giuridici tra gli Stati erano molto laschi ed
in cui primeggiava l’Impero d’Austria, contrastato dalla Prussia. Nel 1866 la Prussia elimina l’Austria dal teatro tedesco, si
annette: Hannover, Nassau, Hesse-Kassel, Frankfurt e fonda
con gli Stati tedeschi settentrionali il Norddeutscher Bund che
si evolverà nel 1870 nel II Reich. La differenza col caso italiano è nei dettagli; al momento della proclamazione dell’Impero, nella Sala degli Specchi di Versailles, quasi tutti gli Stati
tedeschi avevano una costituzione, in Italia solo il Regno di
Sardegna aveva mantenuto lo Statuto del 1848. Questo vuol
dire, per la Germania, una classe dirigente elettiva abituata
a risolvere e dirigere i problemi locali. La Prussia non può
permettersi il lusso di perdere questi tedeschi azzerando le
loro autonomie. In secondo luogo, nel 1870, gli Stati tedeschi meridionali combattono con la Prussia contro il percepito nemico straniero, non rimangono neutrali come faranno
quelli italiani. Nel 1866 la Prussia aveva eliminato Hannover e Nassau, annettendoseli, perché il primo era collegato
dinasticamente alla Gran Bretagna, il secondo ai Paesi Bassi.
Infine la Gesetz Betreffend die Verfassung des Deutschen
Reiches (Legge concernente la Costituzione dell’Impero germanico), del 1871, disegna una federazione solo apparente.
Per quanto infatti gli Stati mantengano una loro autonomia
interna, chi comandava veramente era la Prussia: il suo
sovrano era automaticamente, non più elettivamente come
nel Sacro Romano Impero, il I Reich, imperatore tedesco; il
di trasformazione in federazione; la vecchia repubblica prebellica aveva avuto un’ottima costituzione, datata 1920, che
però disegnava uno Stato blandamente centralizzato, nel 1948
e nel 1960 due successive costituzioni marcarono la transizione dello Stato verso la forma socialista; tuttavia, nel 1969,
58 articoli della carta del 1968 furono emendati per creare un
nuovo Stato federale.
Nell’ultimo quarto del secolo scorso, tuttavia, è il
modello Stato Unitario che sembra essere messo in discussione nell’Europa Occidentale. La Spagna con la costituzione
del 1978 crea uno Stato delle autonomie ( art.137), prendendo
in ciò spunto dalla Costituzione della II Repubblica Spagnola
del 1931 (artt. da 8 a 22). La Francia, colei che ha inventato
il napoleonico Stato dei prefetti, si è trasformata con la creazione di 22 regioni metropolitane, in uno Stato unitario ma
decentralizzato, le regioni non hanno potere legislativo ma
regolamentare. Il Regno Unito, negli anni ’90, ha resuscitato,
con la devolution, un Parlamento scozzese – l’unico a fregiarsi del titolo Parliament - che si era estinto nel 1707, dopo
l’Act of Union; ha restaurato una North Ireland Assembly ed
infine creato una curiosa, storicamente parlando, National
Assembly for Wales. L’unica regione che non ha un proprio
parlamento od assemblea, paradossalmente è proprio l’Inghilterra propriamente detta. Nessuno di questi Stati si è però
federalizzato ma ha scelto la strada della regionalizzazione,
più o meno autonoma.
Nel 1861, però, il modello costituzionale in crisi ed i
nostri padri fondatori lo sapevano bene, era quello federale.
La Confederazione Elvetica aveva appena combattuto, nel
1847, la breve Sonderbundskrieg (guerra della Lega d’Eccezione), che aveva spazzato via la vecchia struttura costituzionale e portato alla carta del 1848, in cui i poteri cantonali erano stati radicalmente ridotti, pur nei limiti di una
nuova organizzazione federale. Il 1861 è anche l’anno in cui
i cannoni sparano su fort Sumter, mettendo fine ad una profonda crisi costituzionale, apertasi con l’elezione di Lincoln
nel 1860 ma iniziando una sanguinosa guerra di secessione.
Gli stessi Stati Uniti avevano più volte corso il rischio di una
secessione prima di tale data. Una di queste crisi ebbe inizio
con l’approvazione dei cosiddetti Alien and Sediction acts,
nel 1798, da parte del Congresso Federale. Queste quattro
leggi federali comportarono, come reazione, la Kentucky’s
resolution, del 1798, e la Virginia’s resolution, dell’anno successivo, con cui i Legislativi dei due Stati federati annullarono, sul loro territorio, le leggi federali, in quanto in contrasto con le costituzioni statali. La situazione si rasserenò con
l’elezione di Jefferson, alle presidenziali del 1800 e le norme,
mai abrogate, furono disapplicate.
Ma non finisce qui; la República Federal de Centroamérica, istituita nel 1823, cessa di esistere nel sangue di una
guerra civile tra il 1838 ed il 1840. Stessa cosa accadde alla
Bolivariana República de Gran Colombia, divenuta uno Stato
federale con la costituzione di Cucúta del 1822, si dissolse
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riforma federale
Regno del Belgio, attualmente senza un governo da più di
duecento giorni, ha creato delle entità federate, appoggiandosi su notevoli ed effettivi cleavages linguistici. Il risultato
è stato un intricato incubo costituzionale, per cui il Belgio è
un État fédéral (art. 1), che si divide in tre Comunità, ai sensi
dell’articolo 2: la Communauté française, la Communauté
flamande e la Communauté germanophone, tre regioni, che
per l’articolo 3 sono: la Région wallonne, la Région flamande
e la Région bruxelloise ed infine quattro regioni linguistiche,
artcolo 4: la région de langue française, la région de langue
néerlandaise, la région bilingue de Bruxelles-Capitale e la
région de langue allemande.
Come si è scritto in apertura una costituzione federale non
è, per sua natura, né migliore né peggiore di una costituzione
unitaria: la storia del costituzionalismo questo ci dice, possono essere entrambe soluzioni efficenti ed efficaci. Ma ci
dice anche un’altra verità fondamentale: la riuscita o il fallimento di una costituzione dipendono dalla classe politica.
Una buona classe politica può far funzionare una cattiva
costituzione, una pessima classe politica può far fallire anche
la migliore delle carte.
cancelliere del Reich è cancelliere prussiano, infine la Prussia
con i suoi 17 voti su 58, art. 6 cost. 1871, nel Reichsrat (il
Consiglio degli Stati, nel parlamento bicamerale) era l’arbitra
di tutta la legislazione. La federazione era poi modellata su
una monarchia costituzionale, a differenza dell’Italia che era
una monarchia parlamentare, per cui il Cancelliere Federale
tedesco non era vincolato alla fiducia del Reichstag ma solo a
quella del Kaiser; solamente nell’ottobre del 1918 due leggi
costituzionali, la RGBl. S. 1273 e la RGBl. S. 1274, trasformeranno l’Impero in un sistema parlamentare.
C’è poi da ricordare che, verso la fine del XIX secolo,
anche in Italia si comincia a dibattere sulla regionalizzazione
dello Stato, in un vocabolario etimologico italiano, del 1889,
la voce regionalismo descrive: « [...] l’opinione politica che
vorrebbe l’Italia amministrata per Regioni [...]»1. La vera fine
di qualsiasi progetto di regionalizzazione non è tanto l’Unità
d’Italia, il Regno avrebbe potuto svilupparsi in uno Stato
regionale, proprio come si era già sviluppato in parlamentare,
quanto piuttosto l’avvento del Fascismo e della sua idea di
Stato Totalitario.
Una federazione, in linea di massima, nasce da precedenti
entità sovrane; si pone il problema, nel caso dell’Italia odierna
e di una sua federalizzazione, non fiscale argomento che non
interessa in questo scritto, quali possano essere queste entità
sovrane. Se la risposta fosse le attuali regioni, si dovrebbero
valutare e risolvere una serie di complicazioni sia storiche
sia giuridiche. La prima è che le regioni sono state inventate
dalla Costituente; i loro confini sono stati tracciati dall’alto,
seguendo come modello, ma assolutamente non vincolante,
la divisione augustea dell’Italia. Per dare un’idea la Lombardia geografica era più ampia della Lombardia attuale e fino al
XIX secolo ricomprendeva quella che attualmente è l’Emilia Romagna, ma una Lombardia sovrana non è mai esistita.
Nel 1859 erano Sovrani: il Regno di Sardegna, il Ducato di
Parma, quello di Modena, il Granducato di Toscana, lo Stato
Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie, oltre alla Repubblica
di San Marino. Dopo la sovranità è passata al Regno d’Italia e quindi alla Repubblica. Quindi su quali entità costruire
una Italia federale, quali ne sarebbero le parti costitutive? C’è
inoltre il disposto dell’articolo 1 della costituzione, per cui
è sovrano il popolo, non la Repubblica. Questa, quindi, parrebbe di capire, non può, di per sé, cedere sovranità in una
ipotetica suddivisione federale; non esiste in pratica uno speculare interno dell’articolo 11 che accetta limitazioni esterne
– si badi bene, non cessioni - di sovranità. A titolo di comparazione l’articolo 33 della Costituzione Belga prevede:«Tous
les pouvoirs émanent de la Nation», in maniera più sfumata,
rispetto all’Italia, qui si dice che i poteri provengono dalla
Nazione e quindi in essa trovano la propria legittimità. Il
1 Francesco Zambaldi, Vocabolario etimologico italiano, S. Lapi,
Città di Castello, 1889, p. 1054.
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Note sul processo amministrativo
sibilità di depositare documenti fino a venti giorni prima e
memorie fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione,
l’attuale art.73 vuole consentire a tutte le parti l’esercizio di
un pieno e completo diritto di difesa. Sotto questo profilo,
appare come una misura alquanto meritoria: in precedenza
capitava spesso che il ricorrente – non avendo presentato
una domanda cautelare - venisse posto a conoscenza delle
difese dell’amministrazioni, e delle relative argomentazioni,
solamente dieci giorni prima dell’udienza di discussione,
senza alcuna possibilità di replicare, se non oralmente durante
l’udienza pubblica.
Repliche solo orali che, com’è evidente, quasi mai risultavano particolarmente efficaci, anche perché nel processo
amministrativo non viene effettuata una verbalizzazione puntuale dello svolgimento delle udienze e di quanto dichiarato
dai difensori.
A volte si utilizzava uno strumento che tentava di aggirare questo inconveniente, proponendo una domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato anche
quando non vi era una stretta necessità, al fine di costringere
l’amministrazione a difendersi ed a proporre le proprie argomentazioni; era poi possibile rinunciare all’istanza cautelare
senza alcuna conseguenza quanto alle spese, per affrontare
poi con una maggiore conoscenza delle posizioni di controparte l’udienza di merito.
L’introduzione dei nuovi termini, però, rende non solo
superfluo l’utilizzo di questo “stratagemma”, ma ha anche il
pregio di equilibrare le posizioni del ricorrente e del resistente, fornendo ad entrambe le medesime possibilità di
difesa.
L’art.55, V comma, prevede poi, in funzione equilibratrice
dei diritti di difesa delle parti, che la domanda cautelare
venga discussa nella prima camera di consiglio successiva al
perfezionamento per tutti i destinatari della notificazione e
decorsi almeno dieci giorni dal deposito del ricorso.
L’intento è evidente: consentire alle parti resistenti e controinteressate di disporre del tempo necessario per difendersi adeguatamente, cosa che a volte risultava difficoltosa
quando l’udienza in camera di consiglio era individuata nella
prima utile decorsi dieci giorni dalla notificazione del ricorso
contenente l’istanza cautelare.
A tale migliore opportunità per le amministrazioni fa
riscontro la necessità di garantire al ricorrente la possibilità
di prendere posizione in maniera adeguata rispetto alle argomentazioni difensive e alle produzioni dell’amministrazione
nell’udienza collegiale in cui si discute della domanda cautelare: lo stesso art.55, V comma prevede che le parti possano
depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi
prima della camera di consiglio. Ciò non esclude che le parti
possano costituirsi direttamente nella camera di consiglio e
discutere oralmente la domanda cautelare.
Puntuale come un condono edilizio giunge a periodicità
costante un intervento sul processo amministrativo che,
sotto le spoglie di una codificazione, incide soprattutto sugli
aspetti tecnico- processuali.
Il processo amministrativo ora disciplinato dal decreto
legislativo 2 luglio 2010 n.104 è chiamato a regolare un rapporto fra parti, interessi e poteri che non sempre risulta
equilibrato: il punto di vista di queste note è ovviamente
quello di un avvocato e privilegia gli aspetti che maggiormente caratterizzano l’esercizio della professione forense in
ambito amministrativo.
Non è una riforma, insomma, ma non è nemmeno una
semplice codificazione, intesa come riunione delle norme e
delle fonti che disciplinano una determinata materia.
Si tratta, piuttosto, di una rimodulazione delle regole processuali che doveva essere codificata sia per dare espressione
normativa a istituti e principi che già la giurisprudenza aveva
individuato e applicato, sia per incidere su aspetti spazio temporali (la competenza territoriale, i termini processuali) che
probabilmente, a giudizio del legislatore, esigevano una ridefinizione compiuta e organica.
D’altra parte, anche il legislatore del processo amministrativo, come quello che si è occupato di altri ambiti, rincorre la realtà, si fa orientare dalla giurisprudenza e acquisisce gli strumenti che i giudici hanno identificato svolgendo
un’attività di adeguamento alla realtà sociale e agli interessi
definiti dal processo, rispetto alla quale l’attività normativa
risulta quasi per definizione in ritardo.
Il limitato scopo di fornire alcune notazioni preliminari al
testo del nuovo codice, con riferimento soprattutto al processo di primo grado e alle disposizioni generali (si potrà
poi pensare di completare – senza pretese di esaustività –
queste note con i riti speciali e le impugnazioni), consente di
raggruppare gli istituti di maggiore rilievo intorno ad alcuni
nuclei tematici.
Il tempo (i termini; il giudizio cautelare)
Il nuovo codice amministrativo effettua una rimodulazione dei tempi del processo, senza per questo modificare in
misura sensibile la struttura della vicenda processuale.
La ridefinizione dei termini costituisce senza dubbio una
delle principali conseguenze pratiche a fronte delle quali l’avvocato è chiamato a modificare il proprio comportamento.
Mentre per il ricorso nulla è cambiato, l’art.73 consente
alle parti di produrre documenti fino a quaranta giorni prima
dell’udienza di discussione, offrendo inoltre la possibilità di
depositare memorie fino a trenta giorni prima e documenti
fino a venti giorni prima della medesima udienza di discussione.
Rispetto alla disciplina precedente, che prevedeva la pos-
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Le parti intimate si devono costituire, ai sensi dell’art.46,
Nel secondo caso l’istanza dovrà in ogni caso contenere
entro 60 giorni dalla notificazione del ricorso: non pare
una prospettazione dei vizi di legittimità relativi ai provvecomunque si possa far discendere alcuna decadenza dal mandimenti considerati, al fine di consentire al Giudice di vericato rispetto del termine, sia in quanto tale misura non è
ficarne una parvenza di fondatezza, e allora non si vede per
espressamente prevista, sia perché il diritto di difesa deve
quale motivo non imporre al ricorrente di presentare il
comunque essere garantito. D’altra parte, nessuno svanricorso, per quanto succinto, al fine di ottenere un decreto
taggio potrebbe discendere per la parte ricorrente dalla
presidenziale ex art.56: tantopiù che vi saranno poi tutti i
costituzione delle parti intimate oltre il termine di legge:
tempi necessari per svilupparne le argomentazioni e proqueste infatti dovrebbero comunque produrre i documenti
porre nuovi motivi entro i termini di decadenza anche prima
e presentare le proprie difese e repliche nei termini previsti
della necessaria udienza di discussione in camera di consiglio,
dall’art.73, I comma.
finalizzata alla conferma o meno della misura cautelare monoIn generale, i termini paiono rimodulati in senso fortecratica. L’istanza prevista dall’art.61, inoltre, deve comunque
mente acceleratorio, se non dei tempi della giustizia, quanto
essere notificata alla controparte, anche a mezzo fax, anche
meno delle attività processuali assegnate alle parti: e non è
se il Presidente può provvedere a prescindere dalla verifica
affatto scontato che questo secondo aspetto possa risultare
del perfezionamento delle notificazioni.
funzionale al miglioramento del primo.
Una valutazione che prescinda dal riscontro di una parGli istituti della tutela cautelare paiono ampliati e ridefivenza di fondatezza dei motivi che inducono il futuro ricorniti in relazione al problema “tempo”: oltre alle misure cauterente ad agire in giudizio, e che si riferisca solamente al
lari collegiali, disciplinate dall’art.55, funzionali ad evitare che
parametro della eccezionale gravità e urgenza, imporrebbe
il ricorrente possa subire un pregiudizio grave ed irreparaal Giudice di svolgere una funzione che avrebbe poco di giubile “durante il tempo necessario a giungere alla decisione
risdizionale e molto di amministrativo, incidendo sull’attività
sul ricorso”, sono confermate dall’art.56 le misure cautelari
amministrativa sulla cui legittimità non può (ancora) esprimonocratiche, assunte con decreto presidenziale, giustificate
mere un giudizio e sostituendosi in concreto all’amministradal situazioni di “estrema gravità ed urgenza” tali da “non
zione nella valutazione discrezionale degli interessi pubblici e
consentire neppure la dilazione fino alla data della camera
privati in considerazione e del miglior modo per perseguire
di consiglio”. In quest’ultimo caso il ricorrente chiederà
l’interesse pubblico.
misure cautelari provvisorie, con ricorso o istanza notificati
Non pare che il legislatore abbia voluto valicare il limite
alle controparti, misure suscettibili poi di nuova valutazione
che distingue la giurisdizione dall’amministrazione: ma allora
nella prima udienza utile in camera
il rischio di una misura tanto immedi consiglio.
diata è che ci si trovi di fronte ad un
In generale, i termini paiono rimoSiamo stati abituati a ritenere
giudizio, più che tempestivo, affretdulati in senso fortemente accelerache il termine “estremo” segni un
tato.
torio, se non dei tempi della giustizia,
limite, ma non è così per il legiUna serrata sequenza di terquanto meno delle attività processuali
slatore: l’art.61 individua anche
mini e adempimenti caratterizza le
assegnate alle parti: e non è affatto
situazioni di “eccezionale gravità e
misure cautelari anteriori alla causa
urgenza”, tali da “non consentire
disciplinate dall’art.61 (notifica del
scontato che questo secondo aspetto
neppure la previa notificazione del
decreto entro cinque giorni; notipossa risultare funzionale al miglioraricorso e la domanda di misure caufica del ricorso con domanda caumento del primo
telari provvisorie con decreto pretelare entro quindici giorni; possisidenziale”.
bilità di revoca su istanza “di parte
Si prevede, in sostanza, una terza fattispecie, caratterizzata
previamente notificata”); non vi è dubbio che l’istanza di
dal fatto che non vi sono neppure i tempi per redigere un
revoca della misura cautelare, presentata dai destinatari della
ricorso: l’istanza dell’art.61 si differenzia infatti proprio sotto
stessa, sia suscettibile di instaurare un contraddittorio ante
questo aspetto dalla richiesta di misure cautelari monocraticausam anche di una certa complessità, che pare davvero
che prevista dall’art.56, dovendo essere proposta addirittura
poco opportuno affidare ad una fase alla quale è estraneo un
prima della notificazione del ricorso.
pieno e completo contraddittorio.
Dobbiamo presupporre che il legislatore, nell’introdurre
Infine, con ogni probabilità le fattispecie per le quali si
questo nuovo istituto, abbia inteso tutelare necessità effettive
può rendere necessaria una misura cautelare come quella
e ad una carenza di strumenti tecnici adeguati a rispondere
prevista dall’art.61 sono anche quelle in cui sono in gioco
a tali necessità.
interessi “eccezionali”, vale a dire quelle più complesse e in
La nuova misura “eccezionale” però pone qualche intercui il Giudice amministrativo si caratterizza maggiormente
rogativo: la decisione del Giudice esula dai tradizionali (e
come Giudice dei grandi interessi: a maggior ragione, però, si
necessari) ambiti di valutazione del fumus boni juris e del
dovrebbe ritenere che quanto maggiori siano la complessità
pregiudizio grave e irreparabile oppure deve attenersi a tali
e la rilevanza degli interessi, tanto più necessaria dovrebbe
parametri, sia pure nella prospettiva di affrontare circostanze
risultare la riconduzione della loro trattazione nell’ambito
di eccezionale gravità e urgenza?
del processo e del contraddittorio, con le garanzie dallo
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processo amministrativo
stesso previste.
Non pare irragionevole anche la previsione dell’art.62, con
Il luogo (la competenza)
la decurtazione dei termini per la proposizione dell’appello
nei confronti dell’ordinanza che ha deciso la fase cautelare,
Il codice del processo amministrativo ha modificato in
ridotti a 30 giorni dalla notificazione o 60 giorni dal depomaniera molto sensibile le disposizioni sulla competenza.
sito: se vi è effettivamente un’esigenza cautelare si giustifica
L’art.13 afferma, con una certa petulanza, che la compeanche l’assegnazione di termini coerenti con il pregiudizio
tenza territoriale è inderogabile, vale a dire esattamente l’opgrave e irreparabile che può discendere dal provvedimento
posto di quanto precedentemente previsto, ed è identificata
impugnato.
nella sede del TAR competente territorialmente, nella cui cirL’art.55, X comma, prevede infine che il Giudice “se ritiene
coscrizione sia collocata la sede dell’amministrazione che ha
che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolemanato l’atto impugnato o stipulato l’accordo contestato o
mente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione
tenuto il comportamento illegittimo.
del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data
Il difetto di competenza, sia funzionale sia territoriale, è
di discussione del ricorso nel merito”. Si tratta di una disporilevabile anche d’ufficio (art.15).
sizione che apparentemente sottrae alla parte ricorrente
Durante il giudizio di primo grado la parte che eccepisce
la disponibilità del fattore “tempo”, fornendo al Giudice un
l’incompetenza in qualsiasi momento può proporre istanza di
ulteriore strumento per definire la tempistica del processo e,
regolamento di competenza al Consiglio di Stato, che decide
con esso, l’assetto degli interessi considerati.
con ordinanza e vincola la prosecuzione del giudizio alla riasSi potrebbe evincere da tale disposizione che nei casi
sunzione, entro 30 giorni dalla notificazione o 60 dal depoin cui sia riscontrata la presenza del fumus boni juris, ma
sito dell’ordinanza stessa, avanti al Giudice designato come
non quella del periculum, il Giudice non si limiterà a respincompetente.
gere l’istanza cautelare per carenza di uno dei presupposti,
Ma i problemi maggiori sorgono quando con il ricorso
ma fisserà direttamente l’udienza di merito. In sostanza, si
venga presentata una domanda cautelare. Le motivazioni
riscontra un “pre – giudizio” che ha il pregio di chiarire fin
che hanno ispirato il legislatore sono evidenti: la derogabidall’inizio della controversia quale
lità della competenza territoriale
Le disposizioni del codice sono volte
possa essere con ogni probabilità
consentiva al ricorrente di scel’orientamento dell’organo giudigliersi il Giudice presso il quale
a scoraggiare la ricerca del TAR
cante, eliminando quella forma di
discutere almeno la fase cautefavorevole, ma introducono un regime
ambiguità (pur sempre possibile, in
lare, proponendo il ricorso in una
assai complicato e rigido: non si vuole
quanto non pare si escluda la possede di TAR non competente, ma
pensare male, ma chi voglia utilizzare
sibilità di respingere l’istanza caupresumibilmente più favorevole
il nuovo regime delle competenze
telare con la semplice motivazione
di quella “naturale”. L’organo di
inderogabili per procrastinare una
che “manca il periculum”) che
giustizia amministrativa decideva
induceva le parti ad attendere la
sull’istanza cautelare anche in pretemuta decisione in sede cautelare avrà
sentenza, perché effettivamente la
senza di un’eccezione di incomtutto l’agio per farlo
carenza di uno dei due presupposti
petenza territoriale sollevata
non significa necessariamente che l’altro risulti sussistente.
dall’amministrazione; a questo punto il ricorrente, che aveva
Gli strumenti che possono incidere sul tempo del proottenuto il provvedimento cautelare favorevole, poteva adecesso amministrativo sono stati inoltre ampliati, in modo da
rire all’eccezione di incompetenza territoriale e riassumere il
consentire un adattamento dello strumento processuale alle
giudizio presso la sede di TAR riconosciuta competente, ma
varie esigenze e fattispecie sottoposte all’esame del Giudice:
con il notevole vantaggio di avere già ottenuto “la sospencosì l’art.53 prevede che il Presidente del TAR su istanza di
siva” (ancora più efficiente risultava lo stratagemma, ovviaparte possa abbreviare “i termini previsti dal presente codice
mente, se nessuna eccezione di incompetenza veniva tempeper la fissazione di udienze o di camere di consiglio”, con
stivamente sollevata dalle amministrazioni resistenti).
riduzione proporzionale dei termini per le difese della relaIn questo modo i dilatatissimi tempi per giungere alla decitiva fase.
sione nel merito avvantaggiavano il ricorrente, che poteva
Si tratta di un istituto la cui utilità appare discutibile,
giovarsi nel frattempo del provvedimento favorevole.
soprattutto se riferito alla fase cautelare che prevede già la
Le disposizioni del codice sono volte a scoraggiare la
possibilità di richiedere il decreto presidenziale provvisorio
ricerca del TAR favorevole, ma introducono un regime assai
e il decreto ante causam, ma che in qualche modo rapprecomplicato e rigido: non si vuole pensare male, ma chi voglia
senta un carattere tipico del processo amministrativo così
utilizzare il nuovo regime delle competenze inderogabili per
come plasmato dal d.lgs.104/2010: la potestà del Giudice di
procrastinare una temuta decisione in sede cautelare avrà
adattare, secondo una propria valutazione amplissimamente
tutto l’agio per farlo.
discrezionale, il tempo del processo alle esigenze e agli inteQuando si propone la domanda cautelare l’eccezione di
ressi che vengono prospettati dalle parti.
incompetenza territoriale può essere avanzata dalle parti
resistenti e controinteressate, oppure, come già detto, può
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processo amministrativo
essere sollevata d’ufficio dal Giudice.
Questi ha due possibilità: richiede il regolamento di competenza al Consiglio di Stato indicando il tribunale competente (art.15, V comma), oppure decide con ordinanza sulla
propria incompetenza, indicando il tribunale competente,
presso il quale il giudizio dovrà essere riassunto entro 30
giorni.
Nel frattempo, nessuno decide la domanda cautelare.
L’ordinanza prevista dall’art.15 è impugnabile entro 30
giorni dalla notificazione o 60 dal deposito. Il ricorrente, nel
frattempo, se ha necessità di una decisione di natura cautelare (e non si vede perché non dovrebbe, posto che ha già
presentato un ricorso corredato da “sospensiva”) può solo
proporre “l’istanza cautelare” (art.16, IV comma) al Giudice
indicato come competente dal TAR adito.
La macchinosità del sistema è evidente e del tutto incongrua rispetto a qualsiasi esigenza cautelare, anche ordinaria: in
caso di disaccordo sulla competenza territoriale si dovranno
attendere i tempi del Consiglio di Stato, che per quanto
brevi non paiono certo compatibili con l’immediatezza che
dovrebbe caratterizzare la tutela cautelare.
Il ricorrente può ottenere un provvedimento cautelare
solo ed esclusivamente se aderisce a quanto già indicato dal
Giudice e perciò viene posto di fronte ad una scelta che gli
dovrebbe essere risparmiata: privilegiare l’esigenza di ottenere un provvedimento cautelare, sia pure avanti a un Giudice
– indicato dal TAR - che non si ritiene competente, oppure
attendere la definitiva individuazione del Giudice competente
da parte del Consiglio di Stato, con la conseguenza pressoché
inevitabile che a distanza di alcuni mesi appaia ben difficile
dimostrare la persistenza di un interesse alla tutela cautelare;
senza trascurare il rischio che il provvedimento impugnato
nel frattempo venga attuato, rendendo spesso davvero irreparabile il danno, se non con misure risarcitorie che possono
non essere del tutto soddisfacenti.
Il procedimento prescelto dal legislatore appare ancora
più problematico quando il ricorrente richieda non un’ordinanza cautelare collegiale, bensì un decreto presidenziale
provvisorio nel caso in cui vi siano ragioni di estrema urgenza:
è facile pensare che la tutela di tali ragioni venga vanificata da
eccezioni di incompetenza territoriale o funzionale che impediscono al Giudice di assumere decisioni in sede cautelare, a
meno che non si ritenga che solo il Collegio possa definire ai
sensi degli artt.15 e 16 l’eccezione di incompetenza proposta dal resistente, consentendo in ogni caso l’emanazione di
decreti presidenziali provvisori.
Infine, non vi è dubbio che certe procedure amministrative e i relativi provvedimenti possano essere ricondotti al
criterio previsto dall’art.13 (la sede dell’amministrazione)
solo con grande difficoltà e a prezzo di un “tradimento” del
criterio stesso.
Alcuni giorni or sono il Consiglio di Stato, nel decidere
una questione di competenza territoriale relativa ad una
complessa procedura ad evidenza pubblica, ha compiuto un
palese riferimento al criterio dell’ambito di efficacia dell’atto,
piuttosto che a quello della sede dell’amministrazione, affer-
mando la sussistenza della “competenza del T.A.R. locale a
giudicare sulle controversie aventi a oggetto atti della procedura di evidenza pubblica relativi ad appalti o affidamenti
che devono eseguirsi nel territorio di una Regione, risultando
indifferente che vengano impugnati bandi nazionali o altri atti
generali interni alla procedura ancorché emessi da organi
centrali dello Stato, ovvero che la gara si sia svolta a Roma”
(Consiglio di Stato, sez.IV, 16 febbraio 2011 n.1018). La decisione ora riportata fa riferimento ad una giurisprudenza
senz’altro prevalente, ma formatasi nell’ambito di regole sulla
competenza territoriale differenti da quelle attuali.
In ogni caso, l’esigenza di una corretta individuazione del
Giudice appare eccessivamente prevalente rispetto ad altre
necessità alle quali il processo amministrativo è chiamato a
rispondere.
Il modo (l’istruttoria)
Il progressivo avvicinamento del processo amministrativo
al processo civile aveva già condotto ad un ampliamento dei
mezzi istruttori, con il riconoscimento della possibilità di
richiedere vere e proprie consulenze tecniche, e non solamente verificazioni demandate alla medesima amministrazione che aveva emanato il provvedimento impugnato.
Ora gli strumenti a disposizione delle parti vengono ulteriormente ampliati: l’art.63, III comma prevede la possibilità di
assumere prove testimoniali in forma scritta.
Lo stesso art.63 pare limitare l’utilizzabilità della consulenza tecnica, instaurando una specie di preferenza per la
verificazione: il Giudice può disporre la consulenza tecnica
solo “se indispensabile”, e pertanto se ritiene che la verificazione non possa fornire gli accertamenti e i dati necessari ad
istruire il processo.
Ma l’elemento maggiormente rilevante della nuova istruttoria è costituito dal rapporto, apparentemente non semplice, fra il principio dispositivo tipico del processo civile e il
principio acquisitivo che caratterizzava in passato il processo
amministrativo.
Alcune disposizioni consentono di precisare, per quanto
possibile, i profili problematici dell’istruttoria.
L’art.54 prevede che la presentazione tardiva di memorie
o documenti in vista dell’udienza di merito possa comunque
essere autorizzata dal collegio quando la produzione nei termini risulti estremamente difficile; l’art. 63, I comma prevede
che il Giudice possa richiedere alle parti chiarimenti o documenti; l’art. 64 consente che d’ufficio possano essere acquisiti
informazioni o documenti nella disponibilità dell’amministrazione; l’art.104 consente la produzione di nuovi documenti
e l’ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, qualora il
Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della
causa.
Il potere acquisitivo del Giudice pare essere molto
ampio ma deve essere coordinato con il principio affermato dall’art.64, secondo il quale spetta alle parti fornire gli
elementi di prova relativi ai fatti posti a fondamento della
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processo amministrativo
domanda.
La più recente giurisprudenza ha proposto una lettura delle
disposizioni ora richiamate accentuando la natura dispositiva
delle prove: “il tema probatorio nel giudizio amministrativo è
ora essenzialmente assegnato alle parti, sicché il giudice non
deve supplire con propri poteri istruttori ad incombenti cui
la parte può diligentemente provvedere anche apprestando
tutti i rimedi ordinamentali che la legge predispone (…).
L’istruttoria ufficiosa subentra dunque quando il giudicante ritenga di dover attivare i suoi poteri d’ufficio al (superiore) fine di decidere, solo dopo però (ripetesi) che le parti
abbiano delineato (recte: provato) il tema del contendere”.
(T.A.R. Campania – Napoli, sez.VIII, 1° dicembre 2010 n.
26440).
In sostanza: la parte deve presentare tutte le prove sulle
quali si fondano le domande proposte, se del caso utilizzando
anche gli istituti che consentono l’accesso ai documenti
amministrativi ed il relativo ricorso in caso di diniego o di
inutile decorso del termine di 30 giorni; solo quando la parte
ha inutilmente esperito tutti i rimedi il Giudice può intervenire e ordinare l’acquisizione di documenti.
Una lettura tanto monolitica del principio desta però più
di una perplessità: in primo luogo, perché lo stesso art.64, III
comma prevede espressamente che il Giudice ordini anche
d’ufficio l’acquisizione di documenti e informazioni in possesso dell’amministrazione; in secondo luogo, perché l’art.46,
II comma impone all’amministrazione di depositare in giudizio i provvedimenti impugnati e tutti gli atti e documenti in
base ai quali è stato emanato l’atto impugnato, oltre a “quelli
in esso citati e quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio”.
Imporre alla parte ricorrente l’esperimento di tutti i
mezzi previsti dall’ordinamento al fine di acquisire i documenti da produrre appare un po’ eccessivo, quando la stessa
amministrazione è onerata della produzione di tutta la documentazione – anche preparatoria e istruttoria – relativa al
provvedimento impugnato. Il risultato di un’affermazione
tanto drastica del principio dispositivo consisterebbe nell’attribuzione di un notevole vantaggio all’amministrazione, che
avrebbe tutto l’interesse a negare pretestuosamente l’accesso agli atti, se non altro a fini meramente dilatori o per
impedire che venga effettuata una formulazione integrale
dei motivi di ricorso, quanto meno in vista della discussione
dell’istanza cautelare.
Altro aspetto fondamentale della nuova disciplina
dell’istruttoria riguarda l’onere della prova.
L’art.64, II comma riprende una formulazione tipica del
processo civile, per affermare che il Giudice “deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti
nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”.
All’onere della prova fa da riscontro l’onere di contestazione, che impone alle parti resistenti e controinteressate
di assumere posizione in maniera specifica rispetto ai vizi di
legittimità prospettati dal ricorrente.
Non pare comunque che tale disposizione possa modifi-
care o rendere più gravosa l’attività difensiva dispiegata dalle
parti, che già ora usano riferirsi nelle memorie difensive ai
singoli motivi rappresentati da parte ricorrente.
Sarà però necessario porre maggiore attenzione ai fatti
enunciati dalla controparte e curarsi di contestare specificamente quelli posti a fondamento delle domande proposte.
Un’ultima notazione riguarda il contenuto del ricorso.
Il nuovo processo amministrativo esige una grande accuratezza nell’esposizione dei fatti, anche in relazione agli oneri
probatori che incombono su parte ricorrente.
Non si comprende però come l’art.40 possa imporre
“l’esposizione sommaria dei fatti”.
Non vi è dubbio che molti ritengano che nel processo
amministrativo le parti scrivano troppo; ma prevedere che
l’esposizione dei fatti sia sommaria appare davvero una limitazione della quale potrebbe fare le spese la parte che ha
ottemperato alla disposizione di legge, a maggior ragione con
riferimento alla posizione del ricorrente, che normalmente
è ossessionato dalla completezza dell’esposizione (quanto
meno dei motivi di ricorso).
Tale disposizione probabilmente è da collegare al precetto generale contenuto nell’art.3, comma II (“Il giudice e le
parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”), che vorrebbe ridefinire le modalità con le quali vengono predisposti
gli atti giudiziari.
Il Presidente del Consiglio di Stato ha ritenuto di specificare il significato di tale disposizione, ritenendola una espressione del principio di economicità e individuando in 20 – 25
pagine la lunghezza massima degli atti, salvo particolari situazioni (comunicazione del 20 dicembre 2010).
Chi si trova ad affrontare il giudizio amministrativo,
soprattutto dalla parte ricorrente, spesso percepisce maggiormente, come detto, l’esigenza di completezza, a costo
di esplorare anche i vizi di legittimità il cui accoglimento
risulti meno probabile. Il ricorso infatti deve essere fatto
per “tenere” sia nel giudizio di primo grado che nel giudizio
d’appello e non è raro il caso in cui un motivo anche solo
brevemente enunciato in primo grado, perché non ritenuto
particolarmente rilevante, venga invece posto a fondamento
di una decisione favorevole in sede di appello.
Non si vorrebbe, insomma, che il richiamo alla sinteticità
costituisse un invito alla autolimitazione e alla scelta, fra i
tanti, dei soli percorsi che appaiono – nella visione strettamente soggettiva e spesso non coincidente con quella del
Giudice – maggiormente suscettibili di accoglimento.
Certamente il nuovo processo amministrativo da una
parte ha “sistemato” istituti e questioni che già erano stati
proposti (e spesso risolti e definiti) dalla giurisprudenza;
dall’altra solo l’esperienza e l’uso potranno chiarire i dubbi
e le incertezze che necessariamente una disciplina in parte
nuova porta con sé.
Marcello Mendogni
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IL FUTURO DELLA NORMATIVA EUROPEA IN
MATERIA DI INFORMAZIONI SUI PRODOTTI
ALIMENTARI AI CONSUMATORI
Le Istituzioni europee, dal 2008, stanno concentrando i
propri sforzi su una Proposta di Regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio avente per oggetto la fornitura di
informazioni sui prodotti alimentari ai consumatori.
Vi è un obbligo generale in capo agli operatori del settore
alimentare di garantire e verificare la conformità delle informazioni presenti.
Gli operatori, infine, devono garantire e vigilare affinché
a qualsiasi livello di commercializzazione, l’operatore successivo che riceve l’alimento sia in grado di avere e gestire tutte
le informazioni necessarie.
Il progetto di regolamento intende aggiornare le norme
dell’Unione europea applicabili all’etichettatura dei prodotti
alimentari, fondendo in un unico testo normativo, direttamente applicabile in ciascun Stato membro, le direttive utili
all’etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, in genere, nonché quelle relative all’etichettatura
nutrizionale. Ciò venendo, così, ad abrogare le norme ora
vigenti (1).
Grandezza delle indicazioni obbligatorie.
Un’importante novità è data dall’introduzione di una
norma ad hoc sulla c.d. leggibilità (legibility).
Le informazioni obbligatorie devono, infatti, avere sempre
una sicura visibilità, devono essere in particolar modo facilmente leggibili ed eventualmente indelebili. Il consumatore,
infatti, non deve incorrere nel rischio di non poter consultare
tali informazioni, per cui esse non possono risultare nascoste
oppure oscurate da altre.
L’art. 14 prevede che le informazioni obbligatorie siano
stampate in caratteri la cui parte mediana (altezza della X) sia
pari o superiore a 1,2 mm, e in modo da garantire un contrasto visibile tra lo sfondo e i caratteri stampati.
Per gli imballaggi la cui superficie maggiore misura meno
di 60 cm2, la dimensione minima prevista è identificata in 0,9
mm.
ETICHETTATURA:
PRESENTAZIONE E PUBBLICITA’
In materia di etichettatura, presentazione e pubblicità, il
testo normativo si ripropone diversi obiettivi. In particolare,
si intende richiamare l’attenzione del lettore sui temi più rilevanti trattati ed identificabili nella responsabilità dell’operatore, vademecum sulla presentazione delle indicazioni obbligatorie, nonchè data limite di consumo e alimenti a rischio
e per ultimo ma non da ultimo la disciplina dei prodotti non
confezionati.
Omissioni di indicazioni obbligatorie
L’art. 17 disciplina le situazioni in cui la lista degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale, indicazioni che devono
essere apposte obbligatoriamente in etichetta, possono
essere omesse.
L’esenzione riguarderebbe specificamente:
a) i vini di cui all’allegato XI ter del Reg.CE 1234/2007
b) i prodotti di cui al Reg.CE 1601/91, ossia i vini aromatizzati, le bevande aromatizzate a base di vino, i cocktail
aromatizzati di prodotti vitivinicoli.
c) le bevande analoghe a quelle di cui alle lettere a) e b)
con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume ottenute
dalla fermentazione di frutta o ortaggi;
d) l’idromele;
e) tutti i tipi di birra;
f) le bevande spiritose quali definite all’articolo 2, paragrafo 1, del Reg.CE 110/2008.
Responsabilita’
L’art. 8, individua il soggetto responsabile dell’informazione (c.d. “operatore del settore alimentare responsabile
dell’informazione”): si tratta dell’operatore con il cui nome
o ragione sociale viene commercializzato il prodotto, oppure,
a seconda dei casi, coincide con l’importatore nel territorio
europeo. L’operatore dovrà assicurare la presenza e l’esattezza delle informazioni. La norma prosegue prevedendo che
gli operatori del settore alimentare che non hanno alcuna
influenza sulle informazioni presenti in etichetta, ma che
conoscono o presumono la non conformità di queste, non
devono fornire il prodotto.
Inoltre si precisa, anche, che le informazioni su un prodotto non potranno essere oggetto di modifica qualora
questa possa indurre in errore i consumatori o ridurre il
livello di protezione degli stessi. Nel caso in cui, invece, l’operatore apporti tali eventuali modifiche, egli ne sarà completamente responsabile.
Data limite di consumo e alimenti a rischio
Nell’ambito della disciplina del termine minimo di consumo e della data limite di consumo viene inserita una pre-
1 Direttiva 2000/13/CE e Direttiva 90/496/CE
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prodotti alimentari
associato abitualmente alla denominazione dell’alimento, si
dovrà provvedere all’indicazione anche del paese d’origine
o il luogo di provenienza di tale/i ingrediente/i. In alternativa
si dovrà precisare che il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente o degli ingredienti primari è diverso
da quello del prodotto alimentare.
In riferimento all’indicazione di origine, la Commissione
rivaluterà, in un arco temporale predefinito, gli alimenti a cui
eventualmente estendere l’obbligo di indicazione del luogo di
origine o di provenienza, ciò prendendo, in particolare in in
esame tale obbligo per alimenti quali:
a) i tipi di carni diverse da quelle già considerate dal sopra
citato art. 25bis lett. b);
b) il latte;
c) il latte usato quale ingrediente di prodotti lattierocaseari;
d) le carni usate quali ingrediente;
Indicazione di origine
e) i prodotti alimentari non trasformati;
Il Regolamento si ripropone di puntualizzare e di distinf) i prodotti a base di un unico ingrediente;
guere il luogo di provenienza dal paese di origine.
g) gli ingredienti che rappresentano più del 50% di un
Il primo, ossia il luogo di provenienza, è il luogo da cui
alimento.
proviene l’alimento, luogo che non
Alla Commissione, quindi, verrà
deve confondersi con il luogo di
il progetto di regolamento intende
demandato il compito di redigere
origine che corrisponde invece
aggiornare le norme dell’Unione
un’attenta e approfondita relaall’origine come definita dal codice
europea applicabili all’etichettatura dei
zione basata, come espressamente
doganale. Secondo quest’ultima
prodotti alimentari, fondendo in un
detto dalla norma, sull’esigenza dei
norma, il paese d’origine corriunico
testo
normativo,
direttamente
consumatori di essere informati,
sponde al paese dove le merci
sulla fattibilità dell’introduzione di
sono state interamente ottenute,
applicabile in ciascun Stato membro,
tale obbligo, sull’analisi dei costi e
ovvero, in caso di merci alla cui prole direttive utili all’etichettatura,
benefici.
duzione hanno partecipato diversi
presentazione e pubblicità dei prodotti
paesi, al paese ove è avvenuta l’ulalimentari, in genere, nonché quelle
Gli operatori del settore sono
tima trasformazione sostanziale.
relative all’etichettatura nutrizionale
particolarmente interessati a
L’art. 25 bis, prevede un obbligo
questa innovazione introdotta dal
di indicazione in etichetta del
Regolamento. Ciò soprattutto, in quanto, al momento solo
paese d’origine o del luogo di provenienza:
il settore delle carni è sottoposto all’obbligo dell’indicazione
a) nel caso in cui l’omissione di questa indicazione possa
obbligatoria dell’origine.
indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali del prodotto alimentare,
Prodotti non precofenzionati
in particolare se le informazioni che accompagnano il proL’art. 41 prevede che sui prodotti offerti in vendita al
dotto alimentare o contenute nell’etichetta nel loro insieme
consumatore finale senza preimballaggio, oppure ai prodotti
potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento ha un diffeimballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o
rente paese d’origine o luogo di provenienza;
preimballati per la vendita diretta sia obbligatorio segnalare la
b) per le carni dei codici NC elencati all’allegato IX bis,
presenza di allergeni o ingredienti a cui si possa essere intolossia le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate
leranti, mentre le altre indicazioni, solitamente obbligatorie,
o congelate; le carni di animali delle specie ovina o caprina
possono essere omesse, ciò fatto salvo eventuali ulteriori
fresche, refrigerate o congelate e le carni fresche, refrigerate
indicazioni apportate da singole normative nazionali.
o congelate, di volativi del codice NC 0105.
cisazione che appare rilevante soprattutto ai fini della tutela
della salute dei consumatori.
Per gli alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico, e che dopo un breve periodo possono costituire
un pericolo immediato per la salute, il termine minimo di
consumo viene sostituito con l’indicazione di una data limite
di consumo, vale a dire con una data di scadenza.Tale dicitura
dovrebbe, infatti permettere di prevenire la circolazione di
alimenti a rischio in quanto dannoso per la salute o inadatti
al consumo umano.
Un prodotto alimentare, infatti, successivamente alla data
limite di consumo è considerato a rischio ai sensi dell’art.
14, paragrafi da 2 a 5 del Reg.CE 178/2002. Dato rilevante,
soprattutto, nella più ampia ottica del sistema di allerta rapido
disciplinato dal medesimo Regolamento CE 178/2002.
Inoltre, è previsto che nei casi in cui il paese d’origine o il
luogo di provenienza di un prodotto alimentare sia indicato
ma non corrisponda a quello del suo o dei suoi ingredienti
primari, dove per ingrediente primario si intende l’ingrediente il cui contenuto è più del 50% dell’alimento o che è
ETICHETTATURA NUTRIZIONALE
In materia di etichettatura nutrizionale il Regolamento si
ripropone:
Obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale
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prodotti alimentari
La dichiarazione nutrizionale deve, obbligatoriamente,
riportare: il valore energetico, la quantità di grassi, acidi grassi
saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale.
Questo obbligo, però, non si applica ai prodotti per i quali
è espressamente prevista l’esenzione dall’indicazione della
tabella nutrizionale nell’Allegato IV, e che sono:
1. i prodotti non trasformati che comprendono un solo
ingrediente o una sola categoria di ingredienti;
2. i prodotti trasformati che sono stati sottoposti unicamente a maturazione e che comprendono un solo ingrediente o una sola categoria di ingredienti;
3. le acque destinate al consumo umano, comprese quelle
che contengono come soli ingredienti aggiunti anidride carbonica e/o aromi;
4. le piante aromatiche, le spezie o le loro miscele;
5. il sale e i succedanei del sale;
6. gli edulcoranti da tavola;
7. i prodotti coperti dalla Direttiva 1999/4/CE, relativa agli
estratti di caffè e agli estratti di cicoria, i chicchi di caffè interi
o macinati e i chicchi di caffè decaffeinati interi o macinati;
8. le infusioni a base di erbe e di frutta, i tè, tè decaffeinati,
tè istantanei o solubili o estratti di tè, tè istantanei o solubili o estratti di tè decaffeinati, senza altri ingredienti aggiunti
tranne aromi che non modificano il valore nutrizionale del
tè;
9. gli aceti di fermentazione e i loro succedanei, compresi
quelli i cui soli ingredienti aggiunti sono aromi;
10. gli aromi;
11. gli additivi alimentari;
12. i coadiuvanti tecnologici;
13. gli enzimi alimentari;
14. la gelatina;
15. i composti di gelificazione per marmellate;
16. i lieviti;
17. le gomme da masticare;
18. i prodotti alimentari confezionati in imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 25 cm2;
19. i prodotti alimentari forniti direttamente dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consumatore finale o
a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono direttamente il consumatore finale.
d) l’idromele;
e) tutti i tipi di birra; e
f) le bevande spiritose quali definite all’articolo 2, paragrafo 1, del Reg.CE 110/2008.
La dichiarazione nutrizionale non è richiesta anche per
quei prodotti elencati nel paragrafo 4 dell’art. 17 (per i quali,
come sopra detto, non è neppure obbligatoria la lista degli
ingredienti):
a) i vini di cui all’allegato XI ter del Reg.CE 1234/2007
b) i prodotti di cui al Reg.CE 1601/91, ossia i vini aromatizzati, le bevande aromatizzate a base di vino, i cocktail
aromatizzati di prodotti vitivinicoli.
c) le bevande analoghe a quelle di cui alle lettere a) e b)
con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume ottenute
dalla fermentazione di frutta o ortaggi;
ULTERIORI INFORMAZIONI
Nella dichiarazione nutrizionale il valore energetico e la
quantità delle sostanze nutritive devono essere espressi per
100g o 100ml. L’indicazione deve essere facilmente riconoscibile dal consumatore a condizione che siano quantificate
in etichetta la porzione o l’unità utilizzate e sia indicato il
numero di porzioni o unità contenute nell’imballaggio.
Forme di espressione e presentazioni complementari per
la dichiarazione nutrizionale (es. Il semaforo)
L’art. 34 bis disciplina le “Forme di espressione e presentazione complementari” e consente che il valore energetico e le
quantità di sostanze nutritive siano indicati con altre forme
di espressione, per esempio usando grafici o simboli oltre a
parole o numeri purché siano rispettati certi e chiari requisiti
essenziali:
a) non devono indurre in errore il consumatore;
b) devono essere volti a facilitare la comprensione, da
parte del consumatore, del contributo o dell’importanza del
prodotto alimentare ai fini dell’apporto energetico e nutritivo di una dieta;
c) devono essere sostenuti e accompagnati da elementi
che dimostrano che il consumatore medio comprende tali
forme di espressione o presentazione;
d) nel caso di altre forme di espressione, devono basarsi
su assunzioni di riferimento armonizzate oppure, in mancanza di tali valori, su pareri scientifici generalmente accettati
riguardanti l’assunzione di elementi energetici o nutritivi.
La norma prevede, altresì, che gli Stati sostengano e
che, soprattutto, monitorino in maniera appropriata questo
impiego.
Al fine di provvedere a controlli adeguati gli Stati potranno
richiedere agli operatori del settore alimentare di notificare
all’autorità competente l’uso di una forma di espressione o
presentazione supplementare e di fornire loro le pertinenti
giustificazioni concernenti il soddisfacimento dei requisiti
essenziali.
Appare opportuno richiamare alcune delle altre modifiche apportate dal testo della Proposta.
Qualora le informazioni obbligatorie, disciplinate dagli
artt. 9 e 10, siano impiegate su base volontaria, devono essere
conformi a quanto disposto dal Regolamento e in via generale devono soddisfare i seguenti requisiti:
(i) non devono indurre in errore il consumatore.
(ii) non devono essere né ambigue né confusorie
(iii) se del caso, devono essere basate su dati scientifici.
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prodotti alimentari
di portata internazionale, saranno sempre più garantiti i controlli di sicurezza scoraggiando la diffusione di cibi di scarsa
qualità, nonché le sempre più frequenti frodi alimentari legate
all’importazione di materie prime di dubbia provenienza2. La
normativa verrà, comunque, a tutelare in particolare coloro
che sono i destinatari finali dei prodotti acquistati, vale a dire
i consumatori, unici veri interessati ad identificare e a fare un
uso adeguato di un alimento. Questo dando, in particolare
CONSIDERAZIONI FINALI
regole predefinite anche per esempio nel settore della distribuzione dei prodotti attraverso luoghi non tipici della grande
I principi qui innanzi individuati sono contenuti nel testo
distribuzione, ma che vedono coinvolti anche i nostri bottedel Regolamento che allo stato è ancora da considerarsi
gai di provincia. Infatti con l’art. 41 il Regolamento intende
come una bozza ed in quanto tale in continua fase di lavoradare rigore alla disciplina della vendita immediata attraverso
zione e, pertanto, è passibile ancora di modifica.
la vendita dei prodotti non preconfezionati al banco. D’ora
Inoltre, occorre evidenziare che l’iter legislativo prevede
in poi anche i nostri “affettati”, ma anche il nostro caro parallo stato un rinvio del testo al Parlamento europeo perché
migiano, scelti dal consumatore al momento dell’acquisto e
lo esamini in seconda lettura: se in questa seconda fase il Parimballati direttamente dal negoziante vengono regolamentati
lamento approverà la posizione comune del Consiglio l’atto
dalla nuova normativa europea e dovranno essere soggetti
potrà dirsi adottato. In caso contrario, qualora il Parlamento
ad una maggiore trasparenza. Il piccolo imprenditore dovrà,
emanasse a maggioranza assoluta ulteriori emendamenti al
molto probabilmente dare indicazioni chiare e leggibili al
testo del Consiglio, l’atto tornerà alla Commissione che
cliente dell’esistenza di eventuali allergeni. Teoricamente le
dovrà emettere un proprio parere. Si attende tale momento
altre indicazioni considerate dal Regolamento come obbligatorie potranno essere omesse, salvo
con grande interesse, soprattutto se
eventuali indicazioni riconosciute
si considera che fin dall’inizio il Parlail Regolamento avrà un
come tali dalla normativa nazionale.
mento, come anche alcune categorie
impatto concreto non solo
di produttori, hanno manifestato disSul punto si precisa che ad oggi il
sui produttori di prodotti
senso e contrarietà su diversi temi di
Decreto Legislativo 109/1992, all’art.
alimentari multinazionali, ma
primaria importanza trattati nel testo
16 prevede già un elenco rigoroso
anche sulle piccole e medie realtà
del “Regolamento”.
ed obbligatorio a cui i dettaglianti
imprenditoriali tipiche
Il Regolamento certo rivoludevono già attenersi, circostanza
della
nostra
regione
zionerà la disciplina della materia,
che invece non trova applicazione
razionalizzando l’attuale normativa
in molti altri paesi dell’Unione eurovigente, ciò agevolandone il rispetto e aumentandone la chiapea. Certamente tale rigore altro non fa che confermare che
rezza per le parti interessate, modernizzandola allo scopo di
sul cibo in Italia non si scherza! In conclusione comunque
tenere conto dei nuovi sviluppi nel settore delle informazioni
si può ritenere che i consumatori informati adeguatamente
sui prodotti alimentari. In particolare ritengo che il Regopotranno, quindi, in questo modo, propendere ad effettuare
lamento avrà un impatto concreto non solo sui produttori
scelte adeguate alle esigenze dietetiche più adatte alle prodi prodotti alimentari multinazionali, ma anche sulle piccole
prie caratteristiche ed esigenze personali.
e medie realtà imprenditoriali tipiche della nostra regione.
In etichetta sarà necessario evidenziare l’origine, nonché la
Raffaella Calda
provenienza dei prodotti, facendo, quindi, riferimento alle
diverse fasi della produzione. La “tracciabilità” fino ad oggi
resa obbligatoria solo per alcuni generi, quali la carne bovina,
gli ortaggi e la frutta, verrà ora estesa a tutti i prodotti freschi
e confezionati, includendo quindi anche la carne suina per
esempio, carne già soggetta ad una selezione di qualità nella
nostra regione ai fini della produzione e commercializzazione
dei nostri prodotti tipici. Molto probabilmente tali indicazioni
2 Si prenda in esame per esempio i casi di sequestri di prodotti alimentari provenienti da paesi terzi e prodotti falsando e imitando, anche
porteranno ad una maggiore trasparenza e a dare un valore
attraverso una immagine somigliante e/o di marchi e altri elementi
aggiunto anche alla nostra produzione locale che è già oggetto
identificativi in uso nel marketing, prodotti tuttavia con ingredienti
di qualificazioni e selezioni severe e oggetto di criteri distincertamente non in linea con le tecniche di trasformazione in uso localtivi dell’alta qualità sull’origine delle materie prime trattate e
mente o utilizzando materie prime di scarsa qualità e comunque non in
trasformate. Attraverso questo nuovo strumento normativo,
linea con i criteri imposti per esempio dai Consorzi medesimi. Il nostro
Nell’allegato III, relativo ai “prodotti alimentari la cui etichettatura deve comprendere una o più indicazioni obbligatorie complementari”, si specifica che per i prodotti alimentari ai quali
la caffeina è aggiunta a fini nutrizionali o fisiologici è prevista
la precisazione della dicitura “caffeina aggiunta. Non raccomandato per i bambini e durante la gravidanza”, con l’indicazione
del tenore di caffeina.
Consorzio del Prosciutto di Parma docet.
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Le Fondazioni non riconosciute
Della loro soggettività giuridica e della responsabilità degli amministratori
L’intendimento del presente studio è quello di fornire una
rassegna degli orientamenti che nel tempo si sono succeduti
in argomento fino a pervenire all’odierna sistemazione.
Assunta come definitiva la configurazione delle fondazioni
non riconosciute quale soggetto giuridico attraverso una
lunga elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, si
pone il quesito su quale sia il titolo da cui discende la responsabilità dei loro amministratori per le obbligazioni contrattuali e da fatto illecito che sulla medesima gravano, suoi limiti
ed estensione anche temporale.
La rassegna si apre con una ragionata classificazione della
varie tipologie di fondazione.
Nel parere della prevalente dottrina si ritiene che in
tal caso il proprietario non può far cessare la destinazione
impressa sui beni, nasce così un vincolo reale su di essi.
La causa di tale fenomeno è da ravvisarsi nel fatto che
l’opera, una volta iniziata, non rimane più nella sfera del fondatore, ma interessa ormai la generalità dei cittadini e così
non può più essere distrutta ad arbitrio del privato2. La conseguenza è che in questo caso si ha una ipotesi di fondazione
non riconosciuta, mentre in un primo tempo era considerata
priva di autonomia giuridica.
Si completa l’excursus: altra è la configurazione delle
fondazioni in attesa di riconoscimento (art. 15 c.c.). Il tratto
distintivo si verifica quando per statuto sia stabilito che la
devoluzione avvenga a favore di una fondazione in quanto
riconosciuta, cioè destinata ad operare solo in quanto abbia
ottenuto il riconoscimento (c.d. riconoscimento necessario).
In tal caso se la fondazione lo ottiene si avrà il trasferimento
della proprietà dei beni in di lei favore, e la applicazione analogica dell’art. 2331 2°comma c.c. nella sua odierna estensione,
che prevede la responsabilità illimitata e solidale di chi ha
agito prima della iscrizione della società, ma anche dell’unico
socio fondatore e di quelli tra i soci che nell’atto costitutivo o con atto separato hanno deciso, autorizzato, consentito
il compimento dell’operazione; salva la responsabilità della
fondazione per le operazioni pregresse a seguito di approvazione da parte della stessa una volta riconosciuta, in ogni
caso per quelle necessarie ai sensi dell’art. 2338 c.c.
Che se invece il riconoscimento viene negato, i beni rientreranno nella libera disponibilità del fondatore, a meno che
egli non abbia fatto iniziare l’attività dell’opera da lui disposta
(art. 15 c.c.) consentendo l’utilizzazione dei beni destinati in
dotazione alla persona giuridica; nel qual caso si ricade nella
fattispecie delle fondazioni non riconosciute propriamente
dette (ove ritenute ammissibili).3
Si pone il quesito se esse, in mancanza di personalità giu-
1. Fondazioni non riconosciute e figure contigue.
Fondazioni di fatto, fondazioni non riconosciute, fondazioni in attesa di riconoscimento, sono tutte figure giuridiche
che si distinguono e si intersecano tra loro, di cui solo si può
dire con sicurezza che si contrappongono alla fondazione
riconosciuta, alla quale è stata conferita personalità giuridica,
con conseguente responsabilità limitata degli amministratori.
Accettando tale nomenclatura, con la espressione “fondazione di fatto” ci si riferisce alla situazione giuridica che si
verifica nell’ipotesi in cui una persona, mediante un atto di
fondazione, abbia destinato il proprio patrimonio o parte di
esso a servire alla realizzazione di un’opera, e non vi sia stato
riconoscimento, né esso sia stato richiesto. Verificandosi tale
ipotesi, i beni oggetto di destinazione non si staccano e non
escono dal patrimonio di provenienza, ed i terzi, creditori
del fondatore, hanno il diritto di considerarli come facenti
sempre parte di tale patrimonio originario. Il proprietario,
inoltre, può in ogni momento far cessare la destinazione, non
insistendo su di essi alcun vincolo reale.
Tale categoria è però ormai priva di ogni rilievo giuridico, dopo che la giurisprudenza si è orientata a riconoscere
autonoma soggettività, nella fase prodromica, anche alle fondazioni operanti in attesa di riconoscimento, mentre inizialmente esse erano ritenute solo “fondazioni di fatto”1. Infatti
c’è un limite a tale “classificazione”: si ha quando, come si
ricava dallo stesso art. 15 c.c., il fondatore faccia iniziare l’attività dell’opera da lui disposta e, naturalmente, non sia intervenuto il riconoscimento.
A questo punto la “fondazione di fatto” esce da un binario
“morto”, si mette in cammino per caratterizzarsi come “fondazione non riconosciuta” se ed in quanto le sia attribuibile
una soggettività autonoma, indipendentemente dal mancato
riconoscimento che la costituisce in persona giuridica.
2 Così, sulla scorta della Relazione del Guardasigilli 35, Cass.
4.07.1959 n. 2130 (contra Galgano, “Persone giuridiche”, in Comm.
Scialoja – Branca, pag. 215).
3 Trib. Roma 15.09.1987, in Giur It. 1988, II, 442, che si limita
alla affermazione della irrevocabilità dell’atto di fondazione. Si riferisce alla costituzione, da parte del gruppo parlamentare radicale,
del Centro Calamandrei, e motiva la irrevocabilità della fondazione
in attesa di riconoscimento, alla luce dell’art 15 c.c., considerando
l’inizio dell’attività come rinuncia tacita alla facoltà di revoca.
Per Galgano, op. cit., 211: “L’atto di fondazione diventa… irrevocabile non appena si sia verificato l’effetto traslativo della proprietà
dei beni a favore di coloro che, per designazione del fondatore,
dovranno provvedere alla loro destinazione allo scopo o, se si preferisce, a favore della fondazione non riconosciuta, della quale le
persone designate dal fondatore sono gli amministratori”.
1 Tale era la tesi di Cass. 7.8.1967 n. 2096, in Giur. it. 1968, I, 1,
558, di cui alla nota 4.
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fondazioni non riconosciute
ridica, possano considerarsi centro autonomo di interessi,
soggetto a cui siano imputabili obbligazioni, contrattuali ed
extracontrattuali, assunte dagli amministratori, diritti e legittimazione processuale.4
L’incipit sta tutto nella riconosciuta e indiscussa proposizione del Galgano: “… l’immutabilità del vincolo di destinazione, che la fondazione imprime sui beni, ha indotto il
legislatore moderno ad escludere che simili vincoli perpetui
si possano liberamente costituire per volontà privata, ed a
limitare i casi e le forme di costituzione della fondazione.
Questo non significa che fondazioni non riconosciute sono
sempre e comunque inammissibili per il nostro ordinamento,
piuttosto significa:
a) che nel nostro ordinamento manca un principio di
generale ammissibilità di fondazioni non riconosciute;
b) che fondazioni non riconosciute risultano ammissibili
secondo il principio di tipicità, nei casi espressamente previsti dall’ordinamento giuridico”5.
Come noto, l’Autore cit., che più si è diffuso in innumerevoli e originali scritti sul fenomeno delle fondazioni non
riconosciute si discosta solo formalmente dall’indirizzo oggi
prevalente, ma perviene alle stesse conclusioni seguendo la
sua teoria delle fondazioni fiduciarie.
Il filo conduttore della ricerca giurisprudenziale è dunque
“la ricostruzione teorica delle fondazioni prive di riconoscimento: effettuata anziché in termini di rapporti fiduciari, in
termini di soggettività giuridica, ravvisandosi nella soggettività la pura e semplice idoneità ad essere titolari di diritti e
doveri6; come del resto anche nelle fondazioni operative in
attesa di riconoscimento. Per questa via la fondazione non
riconosciuta sarà ravvisabile “come autonomo soggetto giuridico che è tale anche se non ha ottenuto il riconoscimento
e anche se non intende chiederlo, senza che ciò influisca sul
suo regime giuridico”7.
Il cammino, come si vedrà in conclusione, è stato compiuto anche in sede legislativa.
2. Le fondazioni fiduciarie (teoria del Galgano).
Il ripetuto sovrapporsi dei più recenti indirizzi giurisprudenziali e le adesioni dottrinarie, ancorchè parziali ma comuni
nelle conseguenze, alla tesi delle “fondazioni fiduciarie” da
tempo elaborata dal Galgano esigono che se ne faccia cenno.
Secondo l’Autore con l’espressione “fondazioni fiduciarie” ci
si riferisce normalmente ad una disposizione patrimoniale a
favore di un altro soggetto, persona fisica o giuridica, con
l’onere di adempiere ad uno scopo.
Per realizzare lo scopo di una fondazione, oltre che di
un ente autonomo, ci si può servire anche di una dotazione
modale. Si può cioè attribuire una massa di beni ad altri, con
l’onere di compiere permanentemente una certa opera ma
“la fondazione disposta per testamento non potrà, come può
l’erede e il legatario, rinunciare alla dotazione patrimoniale; e
neppure quando la dotazione patrimoniale della fondazione
4 Nella risalente giurisprudenza Cass. 7.08.1967 n. 2096, in Giur.
it. 1968, I, 1, 558: “la semplice devoluzione di uno o più beni a un
determinato scopo, in attesa del riconoscimento, non importa una
perfetta autonomia dei beni medesimi, i quali, per il solo fatto di
avere una data destinazione, non si staccano, di regola dal patrimonio
di provenienza, né restano sottratti alla normale garanzia che i creditori hanno sul patrimonio”. Nella fattispecie esaminata un religioso
aveva, con atto tra vivi, disposto una fondazione per la gestione di
un orfanatrofio e, in attesa dell’accoglimento della domanda di riconoscimento, aveva iniziato l’attività dell’opera, agendo quale amministratore. Un minore affidato all’orfanatrofio aveva cagionato un
danno a terzi: costoro essendo deceduto nel frattempo il fondatore,
avevano agito in giudizio nei confronti dei suoi eredi, assumendo
che “del danno causato dal minore era tenuto a rispondere -in proprio- oltre che l’istitutore che accompagnava i convittori, il fondatore
quale direttore e amministratore dell’orfanatrofio e, per esso, i suoi
eredi. Questi ultimi, a loro volta, avevano eccepito che “deceduto il
loro congiunto, l’attore avrebbe dovuto riassumere il processo nei
confronti di chi, per destinazione testamentaria del de cuius, era
subentrato nella direzione dell’orfanatrofio e nel possesso e nell’amministrazione dei beni”. La Cassazione ha disatteso l’eccezione: “il
patrimonio destinato alla fondazione non può acquistare diritti nè
rimanere obbligato e pertanto il fondatore defunto era responsabile
in proprio, come direttore e amministratore dell’istituto, del fatto
illecito commesso dal minore nel tempo in cui era affidato alla sua
vigilanza, con la conseguenza che gli eredi erano tenuti al pagamento”. Da qui la drastica affermazione secondo cui “l’esistenza
di fatto di fondazione è un non senso” poiché “una fondazione di tal
fatta non esiste né ha alcuna rilevanza giuridica. Risponderanno altri
soggetti, diversi dai fondatori, se altri che non il fondatore abbiano
agito quali amministratori della fondazione”.
5 Galgano, in Tratt. dir. civ., 282.
Per Cass. 15.04.1975 n. 1427, in Foro it. 1976, I, 10683, l’atto di
dotazione “produce l’immediato effetto di destinare i beni all’ente
nascituro, sottraendoli non soltanto ad ogni altra destinazione, ma
anche al loro precedente titolare, il quale non può disporne se non
con la revoca dell’atto di fondazione, possibile nei limiti di cui
all’art. 15 c.c.” (Di Ciommo, “Sulle fondazioni non riconosciute”,
in Foro it. 1999, I, 348 ss.).
Vero è che l’autore citato non riconosce tale soggettività giuridica
all’ente che mai ha chiesto o non ha ottenuto il riconoscimento,
salve le responsabilità personali. Tuttavia ammette che “anche fondazioni non riconosciute possono avere un’autonoma ed efficiente
organizzazione disciplinata dall’atto costitutivo” il cui regime di
responsabilità “è rinvenuto nella parte del codice dedicata alla disciplina dei comitati e dunque senza problemi di sorta negli artt. 40,
41 e 42 c.c. applicati per analogia”: tesi assai prossima a quella del
Galgano che, però, applica il disposto in via diretta. Ciò consente
“ai creditori della fondazione di trovare soddisfazione nel patrimonio stesso e in quello degli amministratori, i quali ai sensi dell’art.
41 c.c. rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni
assunte” (Basile, in Tratt. dir. priv. Rescigno, II, 555 ss.). E’ notorio che a differenza dalle associazioni non riconosciute, per le quali
ai sensi dell’art. 38 c.c. rispondono gli amministratori che hanno
operato all’esterno negoziando con i terzi, nelle fondazioni-comitati
rispondono tutti gli amministratori senza alcuna distinzione tra chi
abbia agito e chi non abbia agito (Cass. 82/134, Trib. Civitavecchia
20.11.2003, in Gius. 2004, 6, 874).
6 De Giorgi, “Le fondazioni”, in Tratt. Dir. Priv. Rescigno, II, 1,
262.
7 Bazzani, “Le fondazioni non riconosciute”, in N.g.c.c. 1988,
II, 139.
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fondazioni non riconosciute
comprenda l’intero patrimonio del fondatore, o sia determiapplicabile alle fondazioni non riconosciute”9. Nel comitato
nata in ragione di una quota di questo, ci sarà responsabilità
si ha pluralità di sottoscrittori-fondatori, ma “le norme degli
della fondazione per i debiti del fondatore, come c’è responartt. 40 - 42 troveranno applicazione anche quando una sola,
sabilità dell’erede per i debiti del de cuius; sarà insomma,
anziché più persone, avrà destinato beni al perseguimento di
inapplicabile ogni norma che presupponga la qualificazione
uno scopo altruistico”10.
dei beni come eredità, o della vicenda traslativa come succesE sinteticamente: “la fondazione costituita su iniziativa
8
sione a titolo universale” , anche se l’atto di dotazione della
del comitato presenta, rispetto alla comune fondazione, una
fondazione è soggetto alle norme come quelle di riduzione
peculiarità che attiene alle modalità della sua costituzione:
per lesione di legittima dettate per l’istituzione di erede e
essa è una fondazione costituita per pubblica sottoscrizione,
per il legatario, oltre che per la donazione, in quanto atti di
anziché per atto di un unico fondatore. La sua è, cioè, una
liberalità.
costituzione progressiva o continuata, anziché una costituL’illustre Autore allarga lo schema della fondazione per
zione istantanea”11.
volontà di un unico soggetto per atto di liberalità comprenSul piano delle responsabilità il Galgano distingue quelle
dendovi le fattispecie previste dalle norme sui comitati (artt.
che riguardano i promotori/organizzatori da quelle dei
40, 42 c.c. e art. 32 c.c.) che regolano
gestori/amministratori, ancorchè tale
la responsabilità discende non
la “devoluzione dei beni con destinadistinzione non sia sempre concretazione particolare”: “il fenomeno regomente possibile poiché i membri del
già da ragioni di mandato più
lato da quelle norme non è che una
comitato di promozione assumono
o meno presunto a favore
fondazione la quale presenta la sola
spesso le vesti di gestori in fundel terzo che ha operato
peculiarità d’esser costituita per pubzione della gestione dei fondi per lo
negozialmente, bensì ex lege
blica sottoscrizione anziché con atto
scopo di destinazione.12 Della diversa
di un unico fondatore. Una fondazione
responsabilità degli amministratori
delle associazioni di fatto rispetto alle associazioni non ricola costituzione della quale è preceduta, pertanto, dall’opera di
nosciute si è già scritto nella nota 5 che precede.
un collegio promotore (il comitato in senso tecnico), impeI membri del comitato dei gestori, quantunque non
gnato a promuoverla. E, poiché la legge prevede solo come
abbiano partecipato all’atto, sono comunque responsabili nei
eventuale, in questa materia, il riconoscimento della persoconfronti dei terzi per il solo fatto di esserne componenti, in
nalità giuridica (art. 41), dalla costruzione proposta deriva
quanto l’obbligazione sia stata assunta in nome del comitato.
anche l’ammissibilità, per diritto vigente, di una fondazione
La responsabilità discende non già da ragioni di mandato più
non riconosciuta. Poiché, inoltre, la legge detta norme per il
o meno presunto a favore del terzo che ha operato negozialcaso di mancato conseguimento della personalità giuridica,
mente, bensì ex lege. La differenza sostanziale tra il diverso
quella costruzione consente altresì di individuare la disciplina
atteggiarsi delle responsabilità gestorie deriva dal fatto che
le associazioni non riconosciute nascono da un patto con8 Galgano Tratt. cit. I, 272. L’Autore riscontra nella parte motiva
trattuale e hanno piena sovranità decisionale entro i limiti
di Cass. 18.10.1960 n. 2785 che in diritto vigente come in epoche
statutari, mentre gli amministratori delle fondazioni non ricorisalenti, sono ammissibili accanto a fondazioni dotate di personalità
nosciute (o comitati) non possono distogliere i fondi raccolti
giuridica, le fondazioni fiduciarie, il primo enunciato giurisprudenda una destinazione diversa da quella impressa, con negozio
ziale favorevole alla propria tesi. Trattavasi di un obiter dictum. Un
unilaterale, dal fondatore, o dal programma annunciato al
passo della motivazione così si esprimeva: “certo poteva, come può
ancor oggi, il testatore raggiungere il suo scopo non solo attraverso
pubblico dei sottoscrittori oblanti. I gestori dei fondi sono
la detta costituzione indiretta della persona giuridica, ma anche attraassoggettati al vincolo degli artt. 25 e 42 c.c.: la differenza è
verso altro mezzo, lasciando cioè il proprio patrimonio all’erede e
icasticamente definita con l’essere le prime “dominanti” e a
facendo obbligo allo stesso di destinare le rendite allo scopo sociale
carattere pluralistico-personalistico, le seconde “serventi” e a
voluto (istruzione dei poveri, ecc..) o comunque di impiegarlo nella
carattere marcatamente collegiale13. Le due figure, sussistendestinazione voluta. Fondamentale differenza tra le due forme è che,
mentre la prima, attraverso la costituzione della fondazione, anche
indirettamente e cioè dall’erede attuata, il patrimonio a questa destinato passa dalla disponibilità dell’erede a quella del nuovo autonomo ente, potendo tutt’al più rimanere all’erede un obbligo, dal
testatore previsto, di vigilare sull’amministrazione del’ente stesso,
nella seconda (che da una corrente suol anche definirsi fondazione
fiduciaria) non si ha costituzione di persona giuridica, ma permanenza del patrimonio nella disponibilità dell’erede, pur con l’onere
relativo al suo impiego ed alla destinazione delle sue rendite. Lo
stabilire in quale delle due forme si verta nella specie rientra nell’interpretazione della volontà del testatore, compito riservato al giudice
di merito.” Galgano “Sull’ammissibilità di una fondazione non riconosciuta”, in Riv. Dir. Civ. 1961 , 172 ss.
9 Galgano, “Delle associazioni non riconosciute e dei comitati”,
293.
10 Galgano, ult. cit., 294.
11 Galgano, Tratt. cit, I, 288.
12 Infatti la promozione e la gestione sono momenti in successione logica, ma non necessariamente cronologica, potendo la sottoscrizione proseguire anche nel corso della realizzazione dell’opera.
13 Basile, “I comitati”, in Tratt. Dir. Priv. Rescigno, II, 1, 352:
“nei comitati non riconosciuti la semplice veste di membro legittima una responsabilità illimitata”. Per questo Autore la diversità di
trattamento rispetto alle associazioni non riconosciute dipende dallo
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fondazioni non riconosciute
done i requisiti (possibilità, liceità dello scopo, l’adeguatezza
del patrimonio al conseguimento dello scopo) approdano
entrambe al riconoscimento intervenuto ai sensi della legge
361/2000, conseguendo in tal modo la responsabilità limitata,
anche per le obbligazioni sorte nel periodo antecedente (se
ratificate dalle nuove persone giuridiche), ferma restando,
in solido, la responsabilità pregressa degli amministratori, in
conformità al rispettivo regime.
di rilevanza giuridica”. Conforme Cass. 15.07.1977 n. 3196, in
Foro It. 1977, I, 1875.
Ma con il passar degli anni le sentenze attributive di rilevanza giuridica alle fondazioni non riconosciute (siano esse
“fondazioni non riconosciute” o “fondazioni in attesa di riconoscimento”) diventano più frequenti. Su questa linea di tendenza Cass. 15.04.1975 n. 1427 (in Foro it., 1976, 1683, cit. in
nota 5), e Appello Milano 15.05.1981 (in Foro Pad., 1981, I,
251) in tema di fondazione in attesa di riconoscimento che
ritiene l’esistenza di un patrimonio autonomo destinato ad un
certo scopo con i seguenti argomenti: “a) quello dell’art. 15
c.c. che, consentendo al fondatore di revocare l’atto di fondazione prima del riconoscimento fino a che egli non abbia fatto
‘iniziare l’attività dell’opera da lui disposta, ammette implicitamente una limitata soggettività della fondazione anche prima
del riconoscimento’; b) quello degli artt. 600 e 786 c.c. che,
riconoscendo l’efficacia delle disposizioni testamentarie e
delle donazioni fatte a favore di un ente non riconosciuto,
ammettono del pari implicitamente una limitata soggettività
dell’atto senza distinguere a seconda che si tratti di associazione o fondazione. Né a tale conclusione si oppone l’art. 3
disp. att. c.c. perché la norma prevede la nomina prefettizia
di un amministratore provvisorio della fondazione in attesa
di riconoscimento, sul presupposto che nell’atto costitutivo
non sia nominato alcun amministratore; di guisa che, anzi, la
norma stessa è ulteriore riprova di una soggettività giuridica
alla quale non fa riscontro una piena capacità di agire”.
Di particolare importanza Cass. 16.12.1976 n. 4252, in
Giust. Civ. 1977, I 274 che riconosce l’attribuzione di un
centro di imputazione di situazione giuridica a soggetti collettivi “nel quadro del più ampio genus delle fattispecie soggettive o dei soggetti di diritto di cui le persone fisiche e le persone
giuridiche sono le più significative, ma non esclusive, espressioni”.
Riassume e conclude tale orientamento Cass. 12.6.1986 n
3898 secondo cui le società non personificate, le associazioni
non riconosciute, i comitati, forme organizzative accomunate
dalla qualificazione negativa di non essere persone giuridiche,
sono considerate dall’ordinamento come autonomi centri di
imputazione di situazioni giuridiche soggettive, dunque ad essi
centri può attribuirsi la titolarità di diritti, sia obbligatori che
reali. Uno dei corollari tratti da tale postulato è che il fondo
comune delle associazioni non riconosciute, in specie i beni
acquistati con i contributi degli associati, non è di proprietà
pro quota, ma è di proprietà del gruppo, appunto come autonomo centro di imputazione, vale a dire come soggetto di
diritti, pur non così a pieno titolo come la persona giuridica.
Altrettanto deve dirsi del patrimonio sociale delle società
semplici e di quelle in nome collettivo. Altrettanto può dirsi
dei fondi raccolti dal comitato e dei beni acquistati con tali
fondi.
“Anzi, per quanto riguarda i comitati, l’affermazione è più
sicura. Di certo, infatti, deve escludersi una comunione di
proprietà in capo a dei soggetti (componenti il comitato) che,
3. Panorama giurisprudenziale.
Gli argomenti addotti a sostegno della tesi della non
ammissibilità delle fondazioni non riconosciute sono (si
direbbe meglio “erano”) principalmente tre. Possono così
riassumersi:
a) Il legislatore non nomina in alcun punto tale figura giuridica nè ad essa fa riferimento. Infatti, nel titolo secondo del
primo libro, dopo un capo di disposizioni generali e un capo
secondo dove si parla espressamente sia di associazioni che
di fondazioni riconosciute, segue un capitolo terzo dove si
parla soltanto di associazioni non riconosciute e di comitati;
mentre non si nominano affatto le fondazioni non riconosciute.
b) il riconoscimento statale ha valore costitutivo: prima di
esso non possono esistere autonomi soggetti di diritto; esso
ha una funzione creativa, non dichiarativa né permissiva: “Il
diritto, in questo modo, fa propria l’unità sociale creatasi, che
diviene così, unità giuridica o persona giuridica, ma nell’atto
in cui la fa propria, la trasforma nella sua intrinseca struttura
sicché ciò che ne deriva è qualcosa di diverso da ciò che
preesisteva”.14
c) La fondazione è costituita da un patrimonio destinato
ad uno scopo: c’è l’elemento patrimoniale che acquista riconoscimento, divenendo autonomo. L’elemento organizzativo passa in secondo piano: lo scopo da perseguire diventa
il centro ideale intorno al quale ruota tutta l’attività della
fondazione e dal quale esso non può distogliersi. Prima del
riconoscimento il patrimonio non può essere autonomo e,
quindi, non si può avere una fondazione.
Eppur si muove questo patrimonio, eterodiretto!
La già più volte menzionata Cass. 7.08.67 n 2096, ed
altre conformi, evidenziavano esemplarmente la fondazione
di fatto in attesa o prima del riconoscimento concludendo
che l’esistenza di fatto di fondazioni non ha senso; seguita da
appello Trento 27.05.74 in Giur. It. 1974 I, II 673: “Prima del
riconoscimento non può la fondazione considerarsi, sia pure
in linea di mero fatto, un’entità a sé stante, dotata, come tale,
sfavore del legislatore verso i comitati non riconosciuti.
14 Menotti-De Francesco, voce Persona giuridica nel “Novissimo
Digesto It.”, XII, 1968, 1038-1040, cosi come Rescigno “Manuale
di diritto privato” 1986, 193 ss e Bianca “Diritto civile”, I, 1990, 312
ss. Ma l’argomento non valuta se tra la persona fisica e la persona
giuridica davvero tertium non datur , e se quella continuità nella
successione dei rapporti giuridici preesistenti non denunci una prioritaria soggettività giuridica a cui gli stessi siano imputabili.
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fondazioni non riconosciute
a differenza degli associati, non hanno proprio alcuna prerappresentanti”.16
tesa su questi beni (come invece gli associati delle persone
egoistiche), a non mutarne la destinazione (come invece gli
4. L’intervento del legislatore.
associati che ben possono mutare l’oggetto dell’associazione
Con la legge n. 192 del 22.06.2000, che ha integrato la fore dunque, lo scopo cui è destinato il fondo comune)”.
mulazione dell’art. 3 legge 15.03.1997 n. 127 (Bassanini bis), il
Ed ancora: “sussiste la totale insensibilità del patrimonio
legislatore ha accolto l’orientamento giurisprudenziale anche
del comitato rispetto ad eventuali obbligazioni personali degli
per finalità diverse da quelle che ci occupano. Si trattava di
organizzatori, ben più totale di quella che si riscontra per
liberalizzare il riconoscimento della personalità giuridica semla società semplice (art. 2270 c.c.) e per la società in nome
plificandone la procedura e parificandola al riconoscimento
collettivo (art. 2305 c.c.). E tale insensibilità è altro indizio
normativo delle società di capitali (art. 2330 c.c.) e delle cooche comprova il fatto che i fondi raccolti sono di proprietà
perative (art. 2517 c.c.), senza più valutazioni di merito degli
del comitato.”15 Per Cass. 8.5.2003 n. 6985: “I comitati non
scopi delle società e dell’oggetto sociale prescelto. Il sistema
riconosciuti, come le associazioni non riconosciute, pur non
concessorio restava di natura amministrativa, ma l’iscrizione
essendo persone giuridiche, sono autonomi centri di impunel registro delle persone giuridiche disposta dal Prefetto (o
tazione di situazioni giuridiche soggettive, potendo ad essi
dalle Regioni o dalle provincie autonome) non assolve più
attribuirsi la titolarità di diritti sia obbligatori che reali; peralla mera funzione di pubblicità dichiarativa bensì, diversatanto, l’incorporazione di un comitato
mente, costitutiva, e solo dall’iscrinon riconosciuto non crea una situazione nel registro delle persone giuabilitando associazioni n.r.,
zione di liquidazione del primo ma
ridiche l’ente acquista la personalità
fondazioni n.r. ed altri enti di fatto
una ipotesi di successione a questi del
giuridica: così da potersi equiparare
all’acquisto di immobili per via
nuovo comitato, con la conseguenza
al registro delle società, con tutte le
successoria o per atto gratuito
che nei rapporti giuridici del comiragioni analogiche da cui deriva l’apinter
vivos
senza
che
ciò
poi
tato incorporato subentra il comiplicazione, ad esempio dell’art. 2331
comporti la necessità di chiedere
tato incorporante, mentre il comitato
c.c.. Soprattutto da segnalare lo snell’autorizzazione governativa, e il
inglobato si estingue”. Più di recente
limento dell’iter: un tempo per tutti
previo riconoscimento
Cass. 22.06.2006 n. 14453 ha esamii passaggi burocratici occorrevano
nato il caso del Comune di Marsala
anche tre o quattro anni, oggi il terche aveva creato un ente per la organizzazione di servizi. Tale
mine è di 120 gg dalla domanda, e vige il silenzio-assenso. Di
ente aveva assunto una obbligazione di cui era stato chiamato
modo che di molto viene a diminuire l’incidenza delle fondazioni in attesa di riconoscimento17.
a rispondere il Comune sul presupposto che l’ente stesso,
privo di soggettività giuridica, avesse agito quale articolazione
Per quanto riguarda la materia che ci occupa di grande
organizzativa del Comune. Nonostante l’input originario la
importanza l’abrogazione dell’art. 17 c.c. disposta dall’art. 13 I
Corte ha così deciso: “Un comitato può essere costituito da
comma legge 15.05.1997 n.127 (Bassanini bis) e la successiva
un ente pubblico non economico, ancorchè manchi di autointegrazione disposta dalla legge 192/2000 che abrogava le
nomia nell’attività di raccolta dei fondi da impiegare per il
disposizioni che prevedevano il riconoscimento o autorizzaraggiungimento dello scopo, posto che ciò che caratterizza
zioni per accettare lasciti e donazioni e per acquistare beni
un tal tipo di ente sono il fatto del suo costituirsi per uno
stabili. Erano così abrogati: l’art 17 c.c. e la legge 21.06.1986
dei fini indicati dall’art 39 c.c. e la esistenza di un fondo con
n. 218, l’art. 600, il quarto comma dell’art. 782 c.c. e l’art.
cui perseguire detto fine, e non certo l’attività di raccolta
786 c.c., nonché le altre disposizioni che prescrivevano autodei fondi stessi. Conseguentemente, anche in tal caso, esso
rizzazioni per l’acquisto di immobili e per l’accettazione di
ha -pur privo di personalità giuridica- la titolarità piena e
donazioni, eredità e legati da parte di persone giuridiche,
diretta dei rapporti patrimoniali relativi sia a beni mobili che
ovvero il riconoscimento o autorizzazioni per l’acquisto di
immobili, e quindi risponde delle obbligazioni assunte dai suoi
immobili o per accettazione di donazioni, eredità e legati da
parte delle associazioni, fondazioni, e di ogni altro ente non
riconosciuto.
Abilitando associazioni n.r., fondazioni n.r. ed altri enti di
15 L’opponibilità ai creditori di tale vincolo sarà possibile in due
ipotesi: nel caso in cui l’atto di fondazione sia stato trascritto (e,
allora, si formerà un patrimonio separato e i creditori del fondatore
potranno agire sui beni di fondazione solo dopo il fruttuoso esperimento dell’azione revocatoria dell’atto di fondazione); nel caso in
cui il patrimonio destinato alla fondazione sia formato solo da beni
mobili si potrà opporre ai creditori del fondatore, quale atto avente
data certa anteriore al pignoramento agli effetti dell’art. 2915 c.c.,
l’atto di fondazione che essi potranno superare soltanto esperendo
vittoriosamente l’azione revocatoria.
16 La decisione si segnala per aver precisato che se al comitato
partecipano enti pubblici territoriali, la lora responsabilità verso i
terzi è limitata agli impegni finanziari assunti con la deliberazione
autorizzativa della loro partecipazione al comitato.
17 Sul tema G. Ponzanelli, “La nuova disciplina sul riconoscimento della personalità giuridica degli enti del libro primo cod.
civ.”, in Foro it., V parte, 46 ss.
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fondazioni non riconosciute
fatto all’acquisto di immobili per via successoria o per atto
di amministratore dei fondi una volta che sui medesimi si
gratuito inter vivos senza che ciò poi comporti la necessità
è impresso il vincolo fondazionale (peraltro “la fondazione
di chiedere l’autorizzazione governativa, e il previo riconoscipotrà dirsi costituita nel momento in cui è pervenuta la prima
mento, caduti definitivamente gli artt. 600 e 786 c.c., consegue
oblazione” Galgano ult. op. cit, 286).
per tutta evidenza che il legislatore attribuisce una soggettiDella prima fase sono protagonisti i promotori che
vità giuridica ad un centro di imputazione che non sia una
svolgono, in esecuzione dell’impegno contrattuale tra loro
persona fisica o una persona giuridica. L’esplicito richiamo
intercorso (c.d. patto di comitato), una attività che consiste
“alle associazioni prive di personalità e alle fondazioni e ad
nel diffondere tra il pubblico il programma di un’opera di
ogni altro ente non riconosciuto” dissipa ogni dubbio, ora
interesse collettivo (una sorta di “manifesto”) e nel curare
anche a livello normativo, al di là della compiuta ricostruzione
la esecuzione delle sottoscrizioni (v. per le soc. per az. art.
giurisprudenziale.
2334 e segg. c.c.). Successivamente, per effetto del negozio
I primi commentatori hanno ravvisato in questo interunilaterale di dotazione, con il quale si ha la definitiva devoluvento del legislatore il “sempre più
zione dei beni nella disponibilità degli
il tema della responsabilità dei
netto ridimensionamento del dogma
amministratori, inizia la fase fondadella personalità giuridica come ‘fortiva, erogatrice dei fondi per la desticomponenti del comitato trae la
mula minima di soggettività giuridica’
nazione, e ciò indipendentemente
sua regola dall’art. 41 c.c.
e la conseguente sostanziale assimidal riconoscimento della personalità
lazione tra enti riconosciuti e non,
giuridica.
18
innanzitutto sul piano della capacità giuridica” . La persona
Si hanno due tipologie di responsabilità. Quella verso
giuridica ha perso la esclusività nel mondo dei soggetti coll’ente scaturisce dall’art. 40 c.c. ed è diretta a sanzionare gli
lettivi. Non è più differenza tra associazione non riconosciuta
organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi
che può avere personalità giuridica, e la fondazione che è
(coincidano o meno le persone), tenuti personalmente e soliriconosciuta oppure non è, così come il comitato può o non
dalmente alla conservazione dei fondi e alla loro destinazione
ottenere la personalità giuridica. Questo “progressivo deperiallo scopo annunciato. Ne discende l’azione di responsabilità
mento della nozione di personalità giuridica”19 ha completato
spettante alla pubblica autorità, nella specie il Prefetto o le
l’iter aperto dalle esperienze giurisprudenziali e dagli apporti
Regioni. Altra è la responsabilità collettiva che il comitato
20
dottrinali.
di gestione dei fondi, con rilevanza esterna, in sede di svolgimento dell’attività fondativa assume per le obbligazioni
contrattuali ed extracontrattuali verso i terzi, disciplinata dal
5. La disciplina dei comitati (non riconosciuti):
successivo art. 41 c.c.
responsabilità dei gestori dei fondi devoluti.
La giurisprudenza richiamata sub nota 5 per le fondaCon questo capitolo si conclude il tema della responzioni–comitato è concorde nell’attribuire “la responsabilità
sabilità degli amministratori della fondazione non riconoverso i terzi per le obbligazioni assunte negozialmente o da
sciuta, equiparata a quella dei componenti del Comitato di
fatti giuridici a tutti i componenti del comitato in via solidale
gestione.
tra loro senza distinzione tra chi ha agito e chi non ha agito e
Una nota teoria riconosce al comitato una duplice natura,
senza che abbia rilevanza la veste particolare di chi ha posto
associativa nella fase iniziale, di fondazione nella fase seguente
in essere l’attività”. Scrive Basile (“I comitati” cit., 350): “In
(Galgano “Delle associazioni non riconosciute e dei comivirtù dell’art. 41, le obbligazioni del comitato, e la correlativa
tati” in comm. Scialoja e Branca, 278 e ss.; Basile “I comiresponsabilità patrimoniale, gravano su tutti i suoi membri.
tati” in Tratt. Rescigno, II, 1, 350 e ss.). Si avrebbe così una
Dottrina e giurisprudenza hanno chiarito più volte che ciò
fase associativa per la quale la responsabilità ha per titolo la
non è subordinato alla circostanza che essi abbiano deciso
partecipazione al gruppo solo in relazione agli obblighi sorti
o compiuto l’atto dal quale derivano quelle conseguenze,
nel corso della raccolta, ed altra che ha per titolo la qualità
poiché il loro titolo risiede nella partecipazione al gruppo o,
come pure si è scritto, nella qualità di parte del contratto di
18 E. Camilleri, “Gli acquisti di enti diversi dalle società e la ‘gracomitato”. Il principio discende dalla assimilazione della struttura
tuità in entrata’”, in Riv. dir. civ. 2001, 800 ss.
del comitato alla società semplice, come da consolidata dottrina:
19 E. Camilleri, op. ult. cit.
“i comitati hanno una struttura personale chiusa (a differenza
20 Già del resto Cass. 26.10.1995 n. 11151, in Giur. Comm.
dalle associazioni) così come le società semplici. In entrambe
1996, II, 329 aveva affermato che “l’ente è un centro di imputazione
meramente transitorio e strumentale” … e si ravvisa “conseguentel’ammissione di nuovi membri implica una modificazione del
mente, nella personalità giuridica (non lo statuto di un entità reale
contratto di comitato”21 avente rilevanza esterna.
diversa dalle persone fisiche, ma) una particolare normativa avente
ad oggetto pur sempre relazioni tra uomini”. Parimenti sono concepibili altre figure “metaforiche” della persona fisica, a soggettività
imperfetta, a cui si applicano discipline speciali , diverse da quella
proprie delle persone giuridiche.
21 Galgano, “Delle associazioni non riconosciute e dei
comitati”, in Com. Scialoja e Branca, 309 e ss.. Conf. Cass.
n. 3898/1986 menzionata nel testo.
26
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fondazioni non riconosciute
Così una risalente Cass. 11.10.1973 n. 2561: “I componenti di un comitato sprovvisto di personalità giuridica
rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni
del comitato stesso senza distinzione alcuna tra coloro che in
concreto hanno agito e coloro che non hanno agito. L’attività
negoziale dell’appartenente di un comitato, purchè rivolta al
conseguimento dello scopo dell’organizzazione, impegna la
responsabilità di tutti i componenti anche in mancanza di un
esplicito riferimento al comitato stesso”. (nello stesso senso
giurisprudenza cit. in Galgano Tratt. cit, I, 290 nota 6).22 Parimenti per le obbligazioni da fatto illecito Cass. 12.1.1982 n.
134 riguardante le fondazioni n.r., cit. in nota 5. “La solidarietà
– scrive il Basile alla pag. 351 dell’ op. cit. - è posta a tutela
dei creditori, e prescinde dal carattere disgiuntivo o collegiale
del governo del gruppo, potendo conciliarsi con entrambi i
metodi di gestione”. Si rinvia ai simmetrici artt. 2257 e 2258
c.c. per le società semplici. Di particolare rilievo l’applicazione dell’art 2257 c.c. sulla responsabilità per le obbligazioni
sociali (v. in particolare il patto limitativo della responsabilità
e la sua opponibilità ai terzi ai sensi del 2° comma dell’art.
2267 c.c.).23 Ricorre il beneficio di escussione del patrimonio
devoluto, come da art. 2268 c.c.. Come per il socio uscente
trova applicazione al componente del comitato l’art. 2290
c.c., ma l’esenzione da responsabilità per le obbligazioni successive dipende dall’aver portato a conoscenza dei terzi lo
scioglimento del rapporto particolare.
Sempre in tema di applicazione analogica “ogni membro
è soggetto anche all‘adempimento degli obblighi sorti prima
del suo ingresso nella compagine” (Basile “I comitati”, in op.
cit., pag. 351). E’ pertanto l’ art. 2269 c.c. la norma di riferimento a carattere dispositivo (art. 2267 c.c.) che impegna il
nuovo socio ovvero il nuovo componente della compagine
amministrativa per le obbligazioni antecedenti, salvo l’opponibilità ai terzi del patto di esclusione ( Ferri “Delle società”
in Com. Scialoja- Branca, 195 e segg.). In tema la citata Cass.
11.10.1973 n. 2561: in virtù della applicazione del principio
dettato dall’art. 2269 c.c. si ha che “il nuovo socio risponde delle
obbligazioni sociali solo se assunte da una società già costituita e
quindi da un comitato già costituito” (con riferimento al nuovo
gestore del comitato, n.d.r.)
E’ chiaro che nella suddivisione interna ai fini del regresso
troverà applicazione l’art. 1298 c.c., salvo il richiamo all’art.
2055 2° comma c.c. quando trattasi di attività compiute
abusivamente dagli amministratori di una società semplice (o
di un comitato di fatto). “Costoro infatti sono responsabili
verso i consoci degli illeciti che, pur non inficiando la validità
dei loro atti, realizzino però dei comportamenti quantomeno
contrari alla buona fede e alla correttezza”. Solo in questa
eventualità sarà consentito sottrarsi al regresso; ma, in tale
ipotesi, “più che opporsi al regresso in senso proprio si fa
valere in via di eccezione la violazione di un diritto e se ne
domanda la riparazione”24 nei confronti del socio e così del
gestore del comitato che ha compiuto l’illecito.
Si conclude l’iter espositivo avviato all’inizio. La ritenuta
autonomia giuridica del comitato di fatto-fondazione non
riconosciuta (che ha superato la risalente tesi della “fondazione di fatto” e della sua inesistenza nel mondo giuridico)
consente di applicare per analogia gli artt. 2270 e 2271 nonché
l’art 2267 cod. civ. prima parte, norme che fanno del patrimonio, formato dai conferimenti e dai successivi incrementi,
una entità autonoma, vincolata alla destinazione impressa dal
fondatore o dai promotori-organizzatori della raccolta delle
oblazioni; come tale insensibile alle pretese dei creditori particolari degli amministratori dei comitati di fatto-fondazioni
non riconosciute. Autonomia patrimoniale ancor più rigorosa rispetto a quella stessa delle società semplici, come già
messo in luce da Cass. n. 3898 del 1986 ut supra cit..
22 Nel qual testo si evidenzia che non sono considerati “componenti il comitato “agli effetti dell’art. 41, i cd. membri “onorari “,
o i componenti il “comitato d’onore” nel linguaggio corrente contrapposto al “comitato esecutivo”, il quale solo è comitato in senso
proprio. Conf. Basile “i Comitati “ cit. 351
23 Si ricorda che il patto di limitazione della responsabilità o di
esclusione della solidarietà non vale per gli amministratori (come
per i soci di società semplice) che hanno agito in nome e per conto
del comitato, i quali restano, nonostante qualsiasi patto a loro favore,
illimitatamente e solidalmente responsabili delle obbligazioni riferibili al comitato.
Giacomo Voltattorni
24 M. Costanza, “Sulle obbligazioni solidali nelle società di
persone”, in Giur. comm. 1979, II, 42 ss..
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LA QUESTIONE DI GENERE NELL’AVVOCATURA
La redazione ha ripreso il tema della presenza femminile
nell’avvocatura parmense aggiornando le statistiche locali
(pubblicate nel giugno 2000 e nel febbraio 2003) e nuovamente confrontandole con l’andamento numerico nazionale.
I numeri non hanno bisogno di molte interpretazioni.
scita numerica è sicuramente determinata dalla mancanza di
un’adeguata e programmata selezione all’ingresso nel mondo
della formazione universitaria nonché dalla mancanza di
sbocchi professionali diversi per donne e giovani laureati in
giurisprudenza che si affacciano al mondo del lavoro.
Ragion per cui molte delle difficoltà e delle problematiche
dei giovani professionisti si ripercuotono in modo ancor più
grave sulla componente femminile.
La loro presentazione, nel contesto della “questione di
genere” nell’avvocatura, è stata affidata ad una collega che
ha dato grande lustro all’avvocatura italiana: Carla Guidi,
lucchese, iscritta dal 1969, Segretaria e Presidente del locale
Consiglio dell’ordine, componente e tesoriere del Consiglio
nazionale forense, coordinatrice della sua Commissione per
le Pari opportunità (2007-2010). É stata anche assessore
della Regione Toscana(VII legislatura) con delega all’organizzazione; al sistema informativo regionale e infrastrutture
tecnologiche; all’efficienza e semplificazione amministrativa; ai rapporti coi cittadini; alla Scuola di governo e cultura della legalità.
La situazione di disagio ed incertezza che emerge da un
approfondito processo di conoscenza dell’avvocatura , in particolare giovanile e femminile, richiede sostegni espliciti allo
svolgimento della attività lavorativa al fine di rafforzarne la
collocazione sul mercato delle competenze legali.
Occorre, dunque, continuare tale processo di conoscenza
del mercato e delle sue esigenze per capire in quali settori ci
sia spazio ed orientare, quindi, le donne avvocato verso quei
settori, attraverso un’attività formativa specifica.
Tutto ciò, nel presupposto di una formazione professionale mirata ad una qualificazione ed a un orientamento che
tengano conto degli effettivi bisogni del mercato e della collettività nonché in una linea di rinnovo e di intervento nella
quale devono porsi le istituzioni forensi al fine di un’avvocatura che sia, effettivamente, attenta al presente e rivolta al
futuro.
LA QUESTIONE DI GENERE
NELL’AVVOCATURA
La questione di genere nell’avvocatura è ormai parte
essenziale della più ampia questione della trasformazione
della struttura sociale, del mutamento del rapporto donna
- lavoro e dunque della conseguente, diversa, distribuzione
dei carichi familiari, ponendosi come centrale al fine di una
effettiva tutela dei diritti fondamentali della persona.
Una formazione mirata, dunque, ma non solo. La situazione di grave disagio ed incertezza, emersa dall’analisi svolta,
è infatti determinata non solo dalla mancanza di meccanismi
di orientamento della professionalità femminile verso settori
di specializzazione atti a soddisfare le esigenze del mercato,
ma altresì dalla inesistenza di forme di sostegno economico
nell’avvio della vita professionale, dalla inadeguatezza dei
modelli associativi attuali nonché dalla disincentivazione
fiscale e dall’assenza di politiche di sostegno dello start up.
L’attenzione sulla questione di genere che supera, dunque,
la specificità delle problematiche dell’avvocatura femminile,
richiede un processo di conoscenza globale che non può
essere arrestato.
Ogni livello di programmazione passa, infatti, attraverso la
conoscenza dei dati.
Per raggiungere una posizione di equilibrio e parità nell’avvocatura così come nel mondo sociale è dunque necessario
muoversi su più fronti.
Dall’analisi della situazione dell’avvocatura italiana emergente dal Rapporto Censis del febbraio 2010 sulle donne
avvocato nonché dall’indagine dell’Osservatorio Permanente
Giovani e dai più recenti dati della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense risulta uno spaccato dell’avvocatura sicuramente diversa e trasformata rispetto al modello
tradizionale: oggi, dei 230.000 avvocati iscritti agli albi circa il
65% è costituito da giovani infra 45enni dei quali oltre il 60%
è donna.
Non solo, dunque, una maturazione collettiva della società
attraverso una presa di coscienza del ruolo della donna ma
interventi normativi specifici che tengano conto della componente femminile nell’attuale assetto.
Carla Guidi
Se è infatti vero che ogni ostacolo nell’accesso al mondo
dell’Avvocatura può dirsi superato ( le donne in ragione delle
proprie capacità e qualità sono le prime all’esame di Stato),
è però altrettanto vero che una tale ed inarrestabile cre-
28
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Quanto ai numeri, ha invece svolto una modesta indagine
statistica sugli albi dal 1950 al 2000, ricavando, innanzitutto, la
seguente tabella numerica
Per confronto è rilevato anche l’analogo andamento
numerico nazionale (1981 –2010) con dati forniti da CassaForense (ancora stimati per quanto riguarda il riferimento al
31 dicembre 2010).
parma
italia
data
uomini donne totale
%donne
data
uomini
donne
totale
% donne
giu-50
171
2
173
1,2
dic-81
43.543
3.077
46.620
6,6
giu-52
176
3
179
1,7
dic-85
43.881
4.446
48.327
9,2
giu-54
170
4
174
2,3
dic-89
47.459
5.568
53.027
10,5
giu-56
176
9
185
4,9
dic-93
54.363
15.401
69.764
22,1
giu-58
178
8
186
4,3
dic-94
56.796
17.642
74.438
23,7
giu-60
177
9
186
4,8
dic-95
62.068
21.022
83.090
25,3
giu-62
192
11
203
5,4
dic-96
63.641
23.298
86.939
26,8
giu-64
199
13
212
6,1
dic-97
68.265
26.024
94.289
27,6
giu-66
197
14
211
6,6
dic-98
70.453
29.339
99.792
29,4
giu-68
201
15
216
6,9
dic-99
75.335
34.483
109.818
31,4
giu-70
199
15
214
7,0
dic-00
79.244
40.094
119.338
33,6
giu-72
194
15
209
7,2
dic-01
84.283
44.788
129.071
34,7
giu-74
201
17
218
7,8
dic-04
97.804
60.968
158.772
38,4
apr-76
203
19
222
8,6
dic-05
100.881 67.572
168.453
40,1
mag-78
207
23
230
10,0
dic-06
104.914 73.220
178.134
41,1
giu-80
209
30
239
12,6
dic-07
107.287 78.713
186.000
42,3
lug-82
221
42
263
16,0
dic-08
112.269 85.772
198.041
43,3
lug-84
230
48
278
17,3
dic-09
115.705 92.295
208.000
44,4
set-86
234
60
294
20,4
dic-10
118.800 97.200
216.000
45,0
lug-88
227
65
292
22,3
lug-90
242
76
318
23,9
lug-92
264
101
365
27,7
lug-94
275
121
396
30,6
lug-96
305
171
476
35,9
nov-98
354
241
595
40,5
lug-00
390
297
687
43,2
dic-03
433
379
812
46,7
dic-04
449
415
864
48,0
dic-05
481
457
938
48,7
dic-06
497
496
993
49,9
dic-07
520
527
1047
50,3
dic-08
535
546
1081
50,5
dic-09
552
564
1116
50,5
dic-10
566
579
1145
50,6
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E’stato quindi elaborato un doppio grafico per rappresentare le curve d’andamento dell’insieme totale nonché dei
sottoinsiemi maschi-femmine a Parma e in tutt’Italia.
E’stato quindi elaborato un doppio grafico per rappresentare le curve d’andamento dell’insieme totale nonché dei
sottoinsiemi maschi-femmine a Parma e in tutt’Italia.
Come si noterà dal grafico successivo che rappresenta
l’incidenza percentuale delle donne sul totale, il “sorpasso”,
vicino nella statistica nazionale, a Parma è già avvenuto
nell’anno 2007.
Da tale indagine statistica emerge, secondo l’Avv. Carla
Guidi, la necessità che gli Ordini, ove il “sorpasso” è già avvenuto, maggiormente spingano affinché sia finalmente sfondato
il famoso tetto di cristallo.
Importante, sempre secondo l’Avv. Guidi, è proseguire
ed approfondire l’indagine statistica svolta dalla redazione
per una conoscenza che, pur necessitando dei dati numerici,
vada oltre i semplici numeri in un confronto con i dati nazionali ma anche locali, in rapporto con gli altri Ordini, sia del
Distretto che fuori.
Particolarmente interessante potrebbe essere un’analisi del contesto socio- economico che in una realtà come
Parma ha permesso il “sorpasso” già dal 2007: quale ruolo
della donna avvocato nel Consiglio dell’Ordine, nei luoghi
associativi e nel sistema giustizia. Tutto ciò al fine di capire se
vi siano ed in che forma meccanismi di esclusione, dal reddito
alla rappresentanza, che intervengono dopo l’accesso.
30
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Della conversione del contratto di mediazione nullo in
contratto di procacciamento di affari
ormai da tempo superato, riconoscono la natura contrattuale
della mediazione. Il rapporto di mediazione sorge (e, quindi,
il mediatore da diritto alla mediazione) sia nel caso in cui
gli interessati conferiscano preventivamente l’incarico al
mediatore, sia nel caso in cui accettano, comunque, l’attività
da lui prestata.
Si è detto che il nostro codice civile definisce la mediazione
non in sé, ma definendo il mediatore. Gli è, tuttavia, che se
si guarda al di là delle enunciazioni testuali, alla particolare
natura dell’istituto si scorge subito come il silenzio legislativo
sull’accordo quale fonte del rapporto non costituisca una
lacuna, ma risponde alla natura particolare degli interessi che
l’istituto tende a realizzare i quali comportano una reciproca
ed incondizionata libertà delle parti fino al momento
della realizzazione del risultato utile fatto conseguire dal
mediatore (V. Commentario al Codice Civile, diretta da
Piero Schlesinger, La mediazione). Si può, quindi, concludere
che il contratto di mediazione è un contratto consensuale,
oneroso, a prestazioni corrispettive, ad effetti obbligatori e,
di solito, ad esecuzione istantanea (v. Vincenzo Franceschelli
in Introduzione al Diritto Privato pag. 1035).
Premessa
Tizio (mediatore) stipula con Caio un contratto di
mediazione a mezzo del quale il primo assume l’incarico di
far acquistare al secondo un determinato immobile. Sta di
fatto che il mediatore in questione non risulta iscritto all’Albo
dei mediatori istituito con la legge n. 39 dell’anno 1989. In
mancanza di tale iscrizione, il mediatore non ha diritto a
chiedere alla controparte la provvigione per le prestazioni
svolte. Nel caso di specie, il mediatore in questione aveva
provveduto ad iscriversi all’Albo nel corso del rapporto
giuridico e prima che lo stesso fosse stato esaurito. In tale caso
il mediatore potrà pretendere da controparte la provvigione
solo per la prestazione svolta dopo la prefata iscrizione. In
tale caso il mediatore dovrà restituire gli acconti che avesse
ricevuto in precedenza (C.C. 07.05.07 n. 102904).
Il mediatore non potrà esercitare neppure l’azione
generale di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., in relazione
all’art. 2231 c.c., che dispone che quando l’esercizio di una
attività professionale è condizionata alla iscrizione in un albo
o elenco la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli
dà azione per il pagamento della retribuzione. L’ampiezza del
dettato normativo, diretto a negare l’azione per il pagamento
della retribuzione impone di ritenere che il divieto si riferisca
a qualsiasi azione e, quindi, anche all’azione generale di
arricchimento di cui all’art. 2041 c.c.. Senza contare che i
dettati di cui agli artt. 2229 e seguenti c.c., riguardano solo le
professioni intellettuali per le quali è richiesto, in relazione alla
loro peculiare natura, non solo lo svolgimento di riconosciuti
e specifici corsi di studio, ma altresì il superamento di appositi
esami di abilitazione (si pensi alle professioni di medico,
di avvocato, ingegnere, architetto e così via). Ecco, quindi,
spiegato il perchè della non applicabilità di dette norme ai
mediatori, agli agenti e rappresentanti di commercio.
La conversione del contratto di mediazione nullo
Si è detto che il contratto di mediazione è nullo se il
mediatore non risulta iscritto all’Albo speciale dei mediatori
istituito con la legge n. 39 dell’anno 1989. La nullità è
determinata dalla contrarietà a una norma imperativa che
comporta tutte quelle conseguenze di cui sopra si è detto
(perdita della provvigione spettante al mediatore, restituzione
di acconti eventualmente percepiti, impossibilità di esercitare
l’azione di arricchimento ex-art. 2041 c.c. ecc. ecc. ecc.).
Gli è che ai sensi dell’art. 1424 c.c. un contratto nullo può
produrre gli effetti di un contratto diverso del quale contenga
i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo
scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo
avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità. La così
detta conversione del contratto nullo.
La descrizione del fenomeno ci permette di individuare
gli elementi della fattispecie. Essa può innanzitutto essere
scomposta in due elementi: il negozio voluto dalle parti, ma
nullo, e il negozio a contenuto minore ma ricompreso nel
primo che le parti avrebbero voluto se avessero conosciuto
la nullità del primo: il così detto rapporto di continenza (v.
Vincenzo Franceschelli opera citata pag. 785). Attraverso la
conversione, ferma la nullità del primo negozio, che non deve
però trattarsi di nullità per illiceità della causa o dell’oggetto,
secondo il principio della inconvertibilità del negozio illecito,
il secondo negozio è produttivo di effetti, salvo che non sia
esso stesso nullo. La conversione, quindi, non sostituisce
La mediazione come contratto
Il codice civile definisce la mediazione non in sé, ma
definendo il mediatore. La mediazione (a prescindere dalla
unilateralità o bilateralità dell’incarico) si sostanzia nella
interposizione neutrale ed imparziale fra due persone per
agevolare la conclusione di un determinato affare. Ai sensi
dello art. 1754 c.c. è mediatore colui che mette in relazione
due o più parti per la conclusione di un affare senza essere
legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione di
dipendenza o di rappresentanza. (Giurisprudenza e Dottrina
costante. Si confronti Cassazione 13.01.82 n. 186. In dottrina
Francesco Galvano in Diritto Civile e Commerciale, volume
III, pag. 361).
Sulla natura giuridica della mediazione, la Giurisprudenza
dominante e la Dottrina corrente, salvo qualche ripensamento
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un contratto nullo effettivamente voluto dalle parti con un
L’art. 1755 c.c. costituisce una norma che, in quanto
contratto valido, o voluto dalle parti solo in via di ipotesi.
delimitativa della mediazione quale schema tipico, non può
Esso modifica la causa del contratto originariamente voluto
essere derogata dalla autonomia privata, che smaturirebbe il
dalle parti. La volontà, quindi, che sorregge il contratto
tipo stesso che la norma provvede ad individuare.
risultante dalla conversione è quella espressa delle parti
La giurisprudenza ha riconosciuto il diritto alla
nella conclusione del contratto convertito. Di conseguenza
provvigione anche quando il mediatore non sia intervenuto
la conversione del contratto nullo è consentita, a norma
a tutte le fasi delle trattative o alla precisazione definitiva di
dello art. 1424 c.c., solo quando, avuto riguardo allo scopo
tutte le condizioni e modalità del contratto, ammettendosi,
perseguito dalle parti, possa ritenersi che esse, ove avessero
altresì, che la semplice segnalazione dell’affare possa essere
avuto conoscenza della nullità del negozio concluso, ne
determinante per la conclusione del contratto.
avrebbe voluto uno diverso i cui requisiti di sostanza e di
forma fossero già contenuti in quello nullo. In sintesi si può
Il contratto di mediazione e il contratto atipico di
dire che l’istituto della conversione è espressione del principio
procacciamento di affari
di conservazione del negozio giuridico e, più in generale, del
Si è detto sopra, trattando dell’istituto della conversione,
principio giustinianeo “utile per inutile non viziatur”.
che, ai sensi dell’art. 1424 c.c., un contratto nullo può produrre
Per compiutezza sarà il caso di
gli effetti di un contratto diverso,
non v’è dubbio che la conversione del
accennare brevemente al principio
del quale contenga i requisiti di
della c.d. “conservazione legale”,
sostanza e di forma, qualora, avuto
contratto di mediazione nullo è
anche essa espressione del principio
riguardo allo scopo perseguito
possibile con il contratto atipico di
generale di conservazione del
dalle parti, debba ritenersi che
procacciamento d’affari, ossia con
negozio giuridico. Essa è collegata
esse lo avrebbero voluto se
il contratto avente forma ad oggetto
non già all’intento negoziale delle
avessero conosciuto la nullità del
del tutto analoghi del negozio di
parti, ma alla volontà della legge.
negozio concluso, attraverso la
mediazione, per il quale doveva
È denominata “conversione c.d.
conversione, ferma la nullità del
presumersi la volontà di cambio dei
impropria”; il principio secondo il
primo negozio (non deve però,
contraenti nel caso avessero
quale un documento incorporante
trattarsi di nullità per illiceità della
conosciuto
la
nullità
del
contratto
un negozio, mancante dei requisiti di
causa o dell’oggetto, secondo il
Parma richiesti per quello, ma avente
principio della inconvertibilità
stipulato in concreto
altra forma documentale, vale in
del negozio illecito) il secondo
questa forma. (Il testamento segreto che manca di qualche
negozio è produttivo di effetti, salvo che non sia esso stesso
requisito suo proprio, ha effetto come testamento olografo,
nullo.
qualora di questi abbia i requisiti).
L’attività dell’agente e quello del mediatore
La nozione di affare
Sebbene l’attività dell’agente come quello del mediatore
Causa della mediazione è la funzione economico sociale
siano dirette a procurare la conclusione di affari, mette ed
della intermediazione, del mettere, cioè, in relazione due o
inequivocabili risultano le differenze fra le stesse. L’attività
più parti nella conclusione dell’affare.
dell’agente, infatti, diversamente da quella del mediatore, è
Oggetto della mediazione è l’affare, la cui conclusione il
finalizzata alla conclusione non già di un singolo affare, bensì
mediatore favorisce.
di una pluralità di contratti in una zona ben determinata ed
Il termine “affare”, di cui all’art. 1755, ha un significato più
è, quindi, caratterizzata dalla stabilità (si prenda l’esempio
ampio di quello di contratto, comprendendo ogni operazione
scolastico dell’agente di assicurazione). Sicché l’agente,
di contenuto economico sociale risolventesi in utilità di
diversamente dal mediatore, è legato da un rapporto stabile
carattere patrimoniale.
e duraturo con una delle parti dell’affare nel cui interesse
Per “conclusione dell’affare” si dovrà intendere il
esclusivo agisce quale “ausiliario”. La stabilità dell’incarico
compimento di una operazione di natura economica
assunta dall’agente, intesa quale attitudine del rapporto,
generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, “di un
propria dei contratti di durata, a permanere, indefinitivamente,
atto, cioè, in virtù del quale sia costituito un vincolo che
la quale manca sempre dell’attitudine “a quella astratta
dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o,
continuazione indefinita che è propria dei contratti di durata”
in difetto, per il risarcimento del danno” (v. Franceschelli,
(vedi Carraro, La mediazione, pag. 98).
Galgano op. cit).
La conclusione dell’affare dà diritto al mediatore di
Il procacciatore di affari
richiedere la provvigione, che rappresenta la ricompensa del
Il procacciatore di affari costituisce una figura atipica
risultato utile fatto conseguire alle parti dello stesso.
circa la quale si discute se debba applicarsi, in via analogica, la
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il diritto di credito al compenso a favore del mediatore o
del procacciatore, che questi ponga in contatto tra loro due
o più parti per la conclusione di un affare, che questo venga
concluso per effetto del suo intervento e che la sua attività
nota alle parti sia stato quanto meno da loro accettata,
nella ipotesi della mediazione, o determinata da un incarico
unilateralmente affidato anche tacitamente e desumibile per
fatti concludenti (Cassazione Civile n. 11244 del 1996).
“Per integrare uno degli elementi essenziali del contratto
di mediazione è necessario che il mediatore sia un soggetto
che il mediatore sia un soggetto imparziale e che la sua
attività consista nel mediare fra le parti poste in contatto
per la conclusione dello affare. Qualora, invece, l’attività
de’l’intermediario è prestata esclusivamente nell’interesse
di una delle parti, si rientra nell’ambito del procacciamento
oneroso d’affari, che non è soggetto alla applicazione della
legge 03.02.89 n. 39 art. 6 (Cassazione civile n. 12106 dell’anno
2003).
“Quanto al rapporto tra contratto di agenzia e contratto
di procacciamento d’affari nella giurisprudenza di questa
Corte si è ulteriormente precisato che caratteri distintivi
del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità delle
attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti
per conto del preponente nell’ambito di una collaborazione
professionale e nell’ambito di una determinata sfera
territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una
non episodica collaborazione professionale autonoma. Invece
il rapporto di procacciatore di affari si concreta nella più
limitata attività di chi, senza vincoli di stabilità ed in via del tutto
episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole
all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare
tali commissioni. Mentre la prestazione dell’agente è stabile,
avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei
contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel
senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa (Cass.
Civile n. 13629 del 2005, Cass. Civile 11024 del 2007 e, da
ultimo Cass. Civile n. 4422 del 24.02.2009).
disciplina del contratto di mediazione.
Secondo la nozione comunemente ritenuta, il
procacciatore di affari è colui che senza stabilità (ecco
la grande differenza dall’agente di commercio) svolge, su
incarico e nell’interesse esclusivo del preponente, un’attività
di promozione di contratti.
Si tratta, dunque, sostanzialmente, di un intermediario, sia
pure occasionale, dell’imprenditore e, dunque, di una figura
essenzialmente diversa dall’agente per la inesistenza del
rapporto della stabilità. Si intende, allora, come la disciplina
del rapporto debba, innanzitutto, muovere dal concreto
assetto che le parti hanno inteso dare dei loro interessi,
per poi procedere, attraverso il criterio dell’analogico,
all’individuazione delle norme applicabili, nella specie, al
contratto di mediazione. Sarà, ora, necessario esaminare, se il
contratto di mediazione nullo, sia convertibile nel contratto
atipico di procacciamento di affari, di cui sopra abbiamo già
detto.
Non v’è dubbio, date le premesse, che la conversione del
contratto di mediazione nullo è possibile con il contratto
atipico di procacciamento d’affari, ossia con il contratto
avente forma ad oggetto del tutto analoghi del negozio di
mediazione (forma libera in entrambi, promovimento, dietro
compenso, della conclusione di contratti nello interesse del
committente, tanto nel primo che nel secondo), per il quale
doveva presumersi la volontà di cambio dei contraenti nel
caso avessero conosciuto la nullità del contratto stipulato
in concreto. È indubbio che l’identità di forma e la affinità
di contenuto fra le due figure contrattuali in parola viene
a realizzare la condizione di carattere “oggettivo”, imposta
dalla legge, per la operatività dello istituto della conversione
(art. 1424 c.c.: il contratto nullo può produrre gli effetti di un
contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza
e di forma) e la condizione di carattere “soggettivo” imposta
in merito: ossia la volontà dei contraenti, desumibile dallo
scopo da essi perseguito col contratto, di concludere un
negozio diverso nel caso avessero conosciuto la nullità di
quello effettivamente stipulato. E non può essere altrimenti,
atteso che lo scopo perseguito dalle parti con il contratto
di mediazione è, nella sua essenza, scopo uguale a quello
oggettivamente riconducibile di procacciamento di affari.
In passato, la tesi oggi sostenuta, non trovava molto
d’accordo la giurisprudenza, che solo ultimamente,
ripartendo dalle affermazioni di una sentenza di merito
(App. Roma 12.04.63, in Temi Romana 1963 pag. 394) si è
convinta della ricomprensione del procacciamento d’affari
nella mediazione.
È elemento comune delle fattispecie della mediazione e
del procacciamento d’affari la prestazione di una attività di
intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione
di un affare, sicché ad entrambe le ipotesi sono applicabili
alcune identiche disposizioni normative in materia di diritto
alla provvigione, secondo le quali è sufficiente, perchè nasca
Conclusioni
Alla luce delle recenti sentenze della Corte Regolatrice
sopra riportata non può non avere rilievo il principio che il
contratto di mediazione nullo possa convertirsi nel contratto
atipico di procacciamento di affari. E non può essere
altrimenti, atteso che - come infra detto - lo scopo perseguito
dalle parti con il contratto di mediazione è nella sua essenza
scopo uguale a quello oggettivamente riconducibile al
contratto di procacciamento.
Renzo Botti
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Retribuzione è locuzione che appartiene al lessico
dei comuni lavoratori, per gli artisti dicesi cachet, e tale
è l’oggetto della richiesta che il Maestro deduce avanti
un tribunale. All’udienza la stanza del giudice si anima in
maniera inusuale. Maglioncini casual, foulard dai colori
cangianti, passi lieviquasìaerei, movenze atipiche, così si
presentano in aula costumisti, costruttori di scenografie, regista ed assistenti, direttori artistici, cantanti e così
via, non in ordine di scena, ma secondo le regole testimoniali del processo.
E tuttavia, in questo improvvisato svolazzare, sembrava che il processo fosse soppiantato dallo spettacolo
teatrale.
Finché il giudice si rivolge al Maestro e gli chiede:
”Lei che è l’attore mi deve dire….”.
Il Maestro, artista demodé, lunghi capelli brizzolati,
rinserrato il capo tra le mani in posa antiemicranica,
non si muove dalla postura. Ma un direttore artistico,
impettito e severo, corregge: “Non è un attore, è il
regista”. Non un sussulto, nemmeno un sorriso in aula,
resta serio ed indifferente anche il giudice. Il processo
è tornato ad essere tale. Solo una praticante soffoca in
gola una risatina. E’ il battesimo del suo noviziato.
Segnali di fumo
il diritto preso sul serio
&
il diritto preso sul ridere
Sono veri e propri ‘inni alleluiatici’, che si inseriscono nella salmodia dell’analisi di diritto positivo,
allontanandosi arditamente dalla sua monotonia e
aprendo la strada allo studio di problemi nuovi, allora
ben poco noti, trattati con grande novità di accenti e
prospettive”.
(Con queste espressioni il giudice costituzionale
Prof. Sabino Cassese ha presentato l’opera scientifica
del parmigiano Prof. Fabio Merusi)
Prove d’orchestra in Tribunale
La grave stretta finanziaria ha notoriamente messo
in crisi anche il settore dei beni culturali. Le fondazioni
musicali sono allo sbaraglio, gli enti lirici alla frutta, gli
orchestrali scioperano alla prima della Scala, i Maestri
più illustri fanno precedere l’esecuzione dell’opera dalla
solenne lettura dell’art. 9 della Costituzione. I cartelloni delle opere vengono ridotti all’osso, registi, attori e
maestranze sono sul piede di guerra, e riversano le loro
rivendicazioni nei tribunali.
Nella Turandot il trio dei ministri della Corte, Ping,
Pang e Pong, si dissolve. Il tenore che interpreta Pong
viene licenziato su due piedi per assenza da una prova,
causata da affezione vocale. Si sostituisce subito, e si
risparmia.
Pong ricorre al tribunale. L’opera lirica è la Pompei
della cultura italiana! Un ministro, questa volta italiano,
l’onorevole Sandro Bondi, sebbene poeta, viene additato quale non lontano responsabile di questo sfascio,
ma lui chiama in causa quale terzo legittimato passivo il
Ministro Tremonti. Oggi i tagli, domani i ragli.
In questo surreale “circo” ministeriale italo-cinese
nessuno si accorge che si chiama Alfano, ed è italiano, il
compositore che ha portato a compimento l’opera di
Puccini. Un po’ di rispetto!
Di peggio capita al Trovatore. Un Maestro viene
scritturato per alcuni spettacoli. E’ regista, scenografo,
costumista, datore di luci ed altro ancora. Il Maestro
prende contatti con i collaboratori, con gli artisti, con
gli addetti alla scelta dei costumi, insomma lavora, organizza tutto….. ma poi il committente non approva, e
mette l’opera fuori dal cartellone.
Cronache dal Foro Parmense 2010: il riferimento è volutamente casuale.
E’ prassi del prolificissimo scrittore Andrea Camilleri esprimersi nelle postfazioni dei suoi innunerevoli
figli, pressappoco così (cito a campione): “Questo è un
romanzo di radica, almeno lo spero.
E perciò i nomi e i cognomi dei personaggi, i nomi di
ditte e società, le situazioni, le vicende del libro non hanno
attinenza con la realtà.
Se qualcuno troverà un qualche riferimento a fatti realmente accaduti, posso assicurare che non è stato intenzionale”.
Ma la cautela non è sufficiente a creare uno scudo
alla diffamazione di persone mediante un indebito uso
del loro nome, ad es. inserendolo come nome di un
personaggio di fantasia di un’opera artistica, in violazione dell’art. 7 cod. civ. inteso con estensione alla
tutela della identità della persona (onore, reputazione,
riservatezza).
E’ stato scritto puntualmente dal Breccia, “Persone
fisiche” in Comm. al cod. civ., pagg. 469 ss., che “c’è uso
indebito del nome quando le vicende immaginarie e i
tratti esteriori o di carattere del personaggio inventato
coincidano, anche fortuitamente, con i fatti della vita o
con i caratteri distintivi della persona omonima oppure
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quando, pur nella difformità, siano ugualmente possibili
sufficiente per ottenere – nel concorso degli altri requisiti
associazioni di idee e confronti non graditi all’interes– l’inibitoria, quando la parte del cognome usurpato, per la
sato”.
risonanza storica che ha acquistato, sia dotato di particoIl contenzioso che ha impegnato il Tribunale di Parma
lare forma individualizzante uno specifico casato o quando,
su un ricorso ex art. 700 cpc riguarda una baruffa tra
più in generale, esiste una condizione di confondibilità con
scrittori siculi di romanzi con propensione al “giallo”,
riferimento all’ambiente, al luogo, alla attività o ad altre cirche in loco riveste un particolare interesse, oltre che
costanze in cui venga fatto uso del nome alterato (Cass. civ.
per la notorietà del Camilleri, per la ragione che il ricorn. 5343/84);
rente (pregevolmente referenziato dalla critica, come
“in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’individuasi legge nei “Domenicali” del Sole 24ore) ha in Parma
zione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elela sua residenza. I colleghi curiosi, sapendo della conomenti della fattispecie concreta, quali la natura e portata
scenza per vie politiche che ho di quest’ultimo (ma non
dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i
più condivisioni dopo i suoi sconvolgenti editoriali sulla
riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, uni“Gazzetta di Parma”) mi hanno spesso “spiato” (alla
tamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valuMontalbano) cosa ne pensassi e poi, all’esito, se avessi
tati complessivamente, così che possa desumersi, con ragio“taliato” le motivazioni del provvedimento. Richiesta
nevole certezza , l’inequivoca individuazione dell’offeso, sia
che esaudisco stornando il testo dalla rubrica dedicata
in via processuale che come fatto preprocessuale cioè piena
alla giurisprudenza del foro:
e immeditata consapevolezza dell’identità del destinatario
Il giudice Dott. Massimo Razzano omissis consideche abbia avuto chiunque abbia letto l’articolo diffamatorio
rato che :
(Cass. pen.V n. 3344/08),
Cacopardo Domenico, assu“in tema di risarcimento del
mendo che nel romanzo di
danno causato da diffamazione
i colleghi curiosi mi hanno spesso
Andrea Camilleri “il nipote del
a mezzo stampa, non è neces“spiato” (alla Montalbano) cosa
negus” edito dalla Sellerio Edisario che il soggetto passivo sia
ne pensassi e poi, all’esito, se avessi
tore s.r.l. dalla pagina 86 alla
precisamente e specificatamente
“taliato”
le
motivazioni
del
pagina 88 si parla di un controlnominato, ma la sua individuaprovvedimento
lore di biglietti ferroviari con il
zione deve avvenire, in assenza di
nome di Cacopardo e si legge,
un esplicito e nominativo richiamo,
in particolare, alla pagina 88 “…il Cacopardo , che risulta
attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la
persona attendibile , anche se un poco chiacchierato (è fisnatura e portata dell’offesa le circostanze narrate, oggetsato d’essere un grande scrittore e consuma il suo stipentive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili,
dio pubblicando romanzi a sue spese)…e assumendo che
i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda
tanto sostanzia un uso indebito del nome e una diffamaoffre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa
zione di esso ricorrente, ha chiesto all’adito Tribunale
desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuadi ordinare a Camilleri Andrea e alla Sellerio Editore
zione dell’offeso” (Cass. civ. III n.17180/07);
s.r.l. la sospensione della pubblicazione dell’indicato
alla luce dei principi stabiliti dalla Suprema Corte,
romanzo e il ritiro di tutte le copie ancora invendute o
può e deve affermarsi che, affinchè si possa ritenere
comunque la correzione dello stesso;
sussistenti l’uso indebito del nome o la diffamazione, in
Camilleri Andrea e Sellerio Editore srl, costituiipotesi del tipo di quello in esame, quando cioè non è
tisi, hanno eccepito l’incompetenza del giudice adito,
espressa la completa indicazione del soggetto di cui si
essendo competente a loro avviso la sezione specializusi indebitamente il nome o che si diffami, occorre che
zata in materia di proprietà industriale ed intellettuale, e
detto soggetto sia, con ragionevole certezza, inequivohanno contestato la sussistenza delle condizioni necescabilmente individuabile o confondibile;
sarie per ottenere la tutela d’urgenza invocata;
nella fattispecie de qua, gli elementi valutabili al fine
l’eccezione di incompetenza è infondata e deve
di ritenere sussistente la possibilità di individuare nel
essere respinta, atteso che oggetto della presente proCacopardo di cui al romanzo l’odierno ricorrente,
cedura e dell’iniziando giudizio a cognizione piena è la
ovvero di confondere con quest’ultimo il Cacopardo
tutela del diritto al nome ed alla reputazione di compedi cui al romanzo, sono il cognome, il fatto che l’attitenza del giudice adito;
vità principale non è stata o non è quella di scrittore,
“perché si faccia luogo alla tutela prevista dall’art. 7 cod.
l’origine siciliana, la circostanza che vengono indicati nel
civ . non è necessario che il nome altrui venga usurpato
romanzo altri cognomi riconducibili a persone operanti
nella sua interezza, con la conseguenza che anche l’uso ininel mondo della letteratura, la circostanza che Cacobito di solo una parte del cognome può costituire elemento
pardo Domenico, in un suo libro, ha scritto “… non ce
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segnali di fumo
“approvigionamento”. Per esempio l’avv. Renzo Rossolini mi ha riferito di una forte polemica tra il Prof.
Walter Bigiavi ed il Prof. Remo Franceschelli, fondatore
e direttore della “Rivista di Diritto industriale”.
Le anticipazioni erano nuove e succulente e provenivano da un’autorevole fonte orale universitaria parmense (un imponente Magnifico).
Tuttavia le fonti scritte erano, ahimè, incerte e risalenti agli anni ’50.
Si doveva saltabeccare da una rivista all’altra, lavoro
compiuto da una praticante solerte e dotata di humor,
la stessa che mi ha ispirato le divagazioni teatrali di
un’udienza civile a cui aveva assistito (v. sopra).
Il primo cartaceo risulta dagli iniziali numeri della
“Rivista di diritto industriale” ove agli esordi, nel 1952,
il fondatore Prof. Franceschelli inaugurò una rubrica
“leggera” di recensioni denominata “Intermezzo”. Nei
primi numeri vi compaiono tra l’altro le recensioni
del periodico appena nato. Manco a dirlo si pronuncia
anche il Bigiavi sulla Riv. Trim. di dir. e proc. civile, di cui
era ancora condirettore, il quale non tarda a riconoscere l’impronta della sua rubrica “Cose Lette”. Facendolo precedere da un titolo ad hoc, così il Franceschelli
riproduce lo scritto del collega bolognese: “In cui si vede
che le cose che il Bigiavi legge, egli ritiene che figlino. E come
egli pensi d’essere degno d’imitazione e si veda imitato”.
“Per rimanere in argomento voglio scrivere che
le ‘Cose Lette’”figliano! Quale scandalo, nel nostro
timorato e pudibondo ambiente accademico, allorchè
nell’ormai lontano 1947, diedi inizio a questa rubrica
leggera per i lettori , pesante per me! Ma poi, dalla “Rivista del notariato” alla nuovissima “Rivista di diritto industriale”(…..) “gli imitatori non sono mancati e hanno
preso il posto dei denigratori. Meglio così! Quando c’è
l’imitazione vuol dire che il modello è buono; e, per
vero, la Trimestrale ha servito da modello o da calco a “
non so più quante riviste ormai , e non certo solo per
le “Cose Lette“. Del che noi siamo lietissimi”
Così contestualmente R.F. replica (si riproduce parzialmente il testo in anastatica):
l’ho con Camilleri, solo che non mi piace… la sua è una
Sicilia artificiosa…” e, infine, la circostanza che qualcuno,
nell’ambiente, ritiene Cacopardo Domenico l’antagonista di Andrea Camilleri;
gli elementi, invece, che imporrebbero di non individuare nel ricorrente il Cacopardo del romanzo e non
confondere quest’ultimo con il ricorrente medesimo
sono, evidentemente, il nome diverso e, ancora, la circostanza che i fatti narrati nel libro del Camilleri risalgono
al 1929 mentre Cacopardo Domenico nasce nel 1936,
la circostanza che Cacopardo Domenico ha svolto alte
funzioni nella pubblica amministrazione ed il personaggio di Camilleri svolge le funzioni di controllore delle
Ferrovie dello Stato, la circostanza affermata e comunque documentata dai resistenti che vi sono altri autori
con lo stesso cognome dell’odierno ricorrente;
ad avviso di chi scrive, gli elementi valutabili al fine di
ritenere possibili l’individuazione e la confusione, bilanciati con gi altri che imporrebbero di ritenere il contrario, non sono sufficienti per desumere con ragionevole
certezza che inequivocabilmente nel personaggio del
romanzo si individui e che col personaggio del romanzo
si confonda Cacopardo Domenico;
per gli esposti motivi, il ricorso deve essere rigettato;
sussiste ragione, costituita dalla particolare complessità delle questioni trattate, per la integrale compensazione delle spese di procedura;
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
compensa le spese di procedura.
15/12/2010
Come dire: l’intenzione maligna (forse) c’era, ma talmente camuffata, ed in un contesto di generale disinformazione su una fugace battuta polemica del ricorrente,
peraltro comune ad altri critici del Camilleri (ricordare
i confronti con Sciascia, Pirandello e Gadda) , da non
essere percepita dal lettore, nel concorso di situazioni
ambientali di tempo e di luogo, come riferita, attraverso il
personaggio dell’opera, per nome, caratteristiche etc…,
a (quella) persona fisica reale (Trib. Roma 24.01.1994,
Dir. Informatica 1994, 725). Ora i lettori sanno, e i fermenti letterari ed editoriali ne sono ravvivati.
“Avevo appena finito di leggere queste avventate parole,
quando lo sguardo mi cadde, tra i giornali esposti all’edicola
davanti alla quale aspettavo il tram, sulla seguente testata
Bigiavi bis: il pistolero
Ha suscitato curiosità e ragione di divertimento il
“segnale”, che compariva sotto il titolo “Gli strali del
prof. Bigiavi “ nel numero scorso di “Cronache”.
Ed anzi alcuni colleghi hanno indicato altre fonti di
Mi venne fatto di pensare, da un lato, che Dio li fa e poi li
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segnali di fumo
accoppia; e, dall’altro , che il Bigiavi, come modello o oggetto
di imitazione, non aveva, poverino, troppa fortuna, se in sette
anni da che dice che fatica a dar conto delle letture che
fa, non ha trovato che due supposti imitatori, piccola cosa
davvero appetto ai quasi duecento di quell’altro” (“Riv. Dir.
Ind.” 1952, I, 288).
Quando le meningi surriscaldano…
Ma quale la causa di tale risentimento? Poiché, in
fondo, il Bigiavi si era complimentato dell’imitazione
(così la mette il docente bolognese), mentre ad esempio al Prof. Asquini, che aveva criticato la rubrica, il
Franceschelli tributò ringraziamenti. “Il mistero sarebbe
proprio insolubile se non si risalisse ancor più addietro.
Molti anni fa, recensendo sulla Giur. It., 1946, IV, 144, un
libro d’altronde pregevole del mio amico Franceschelli
(il quale nel 1940 mi era succeduto, con mio grande
piacere, sulla cattedra parmense) avevo fatto osservare
che per ben due volte egli aveva definito il diritto commerciale una ‘branchia’ (anziché una ‘branca’ del diritto
privato). Naturalmente – poiché ho il torto di essere
uno spirito caustico- su questo errore (che non era un
errore di stampa) avevo ricamato qualche divertente
variazione. Orbene il nostro caro Remo (perché Remo
è), anziché incassare la botterella e fare bonne mone
à mauvais jeu, non me l’ha mai perdonata (da quando
Franceshelli si occupa di diritto industriale io attendo
ansioso che egli, fedele alle sue nobili tradizioni, parli
non già di Fernet Branca bensì di Fernet Branchia); ed ecco
perché egli è saltato addosso a chi gli dedicava parole
di compiacimento mentre ha scodinzolato - grande e
grosso com’è- intorno ad Asquini piccirillo”.
Ma forse, non tralascia il Nostro di pungere, non era
questa l’unica ragione di risentimento. Forse perché,
nominando la Rivista di diritto industriale aveva fatto
seguire alla menzione qualche puntino chiuso tra parentesi. Il B. desidera tranquillizzare il collega: “quei puntini
non vogliono affatto significare che la Rivista di diritto
industriale è la rivista di chi s’industria di salire su di una
Cattedra di diritto industriale (e ce la fa!)”.
“E adesso la botta finale: per mettere in ridicolo me,
che avevo parlato di imitazioni, Franceschelli credette
di far bene riproducendo la testata de La settimana enigmistica, il giornale che vanta ben 172 tentativi d’imitazione.
Povero Remo! Tu credevi e magari credi ancora di
aver avuto un’alzata d’ingegno. Ma come non hai pensato
che, se tu dai al lettore una testata, qualcuno potrebbe
farti rilevare che si tratta invece di una… zuccata?!”
L’articolo del pistolero bolognese su la Trimestrale
1954, 186 ss. ha il titolo beffardo Scritti quasi giuridici in
onore di me stesso compiendosi il mio 50° anno e mette
sotto il fuoco altri bersagli, colleghi naturalmente. Ho
detto pistolero perché la tradizione orale di cui all’inizio
vuole che in non so quale rivista, che la ricercatrice non
è riuscita a rintracciare, il Bigiavi figuri in tali fogge, non
saprei se in segno di autocompiacimento o di dileggio:
dipende dalla testata, con o senza zuccata, che lo ha
pubblicato.
Il professore bolognese torna sul “piccirillo”, critico
della rubrica del Franceschelli: “Asquini-uomo d’ingegno elevatissimo, che avrebbe dato contributi preziosi
alla nostra scienza se avesse avuto al suo attivo anziché
il solo studio del trasporto un po’ di trasporto per lo
studio”.
A valanga sul solito “provincialotto”, che si difende
come può dalla sua rivista “Il diritto fallimentare” 1950,
I, 285 ss.: “se Bigiavi vuole, a tutti i costi, attaccar briga
con me, troverà pane per i suoi denti e ne sentirà di
pittoresche”.
Di rimando: “tutta quanta l’opera del nostro quasistudioso si può per l’appunto definire in rapida ed eufemistica sintesi, come pittoresca”.
E quando il buon Provinciali “dagli e dagli” vince il
concorso, il Bigiavi richiama l’istituto giuridico a cui dà
il nome di “acquisto della cattedra per usucapione”:
“Allora concludiamo: batti e ribatti ce l’hai fatta, a quasi
60 anni, talchè, in un certo senso, devo dirti «e bravo il
mio Provincialotto per la tua inflessibile tenacia»; ma in
un altro senso -ricordando che la tenacia è un difettodevo condensare il mio pensiero in una formula ammodernata, che fungerà da moralité e qui sottopongo alla
vivisezione dei competenti. Questa formula suona (e
che suonata!) «PEGGIO TARDI CHE MAI».
Stop alle dotte cattiverie accademiche! Nel mio
precedente “Segnali di fumo” sul Maestro (“gli strali
del professor Bigiavi”), nell’incipit mi ero permesso di
spendere un elogio della “ricerca, provvisoria e intermittente, dell’allegrezza sul filo dello humor come reazione al peso della concettualità (e del vivere), senza
sfuggire alla gravità del pensiero”, anzi per vivificarlo,
fargli “prendere aria”.
A conforto della mia vanità leggo che il Bigiavi è del
parere che nello studio ci vuole “ogni tanto –anzi molto
spesso un pizzico di sale e pepe, un po’ di ginger”. E a
sigillo della positività della “leggerezza”: “io ho sempre
sostenuto che uno studioso serio può permettersi il lusso
di ridere e di fare ridere; che coloro i quali rifuggono dalla
gaiezza e temono di passar per buffoni sono, generalmente,
proprio i buffoni autentici: quelli la cui opera c.d. scientifica
susciterebbe ilarità se, invece, non movesse a compassione.
Appunto perché sono sicuro (sono sicuro io e sono sicuri gli
altri) della mia fondamentale e assoluta serietà, non rifuggo
dalla battuta scherzosa”.
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segnali di fumo
Tema su cui ci si può dare appuntamento al prossimo numero, magari dopo che qualcuno, accogliendo il
consiglio, abbia letto il volume, oltretutto ricco di giurisprudenza ed assai utile anche per l’esercizio professionale.
Giacomo Voltattorni
De profundis del negozio giuridico.
Dopo tali lepidezze, parlare di negozio giuridico è
come indossare il gessato dopo i jeans.
Storia e semantica del negozio giuridico: “La fonte
originaria è il latino letterario. Negotium si contrappone
a otium (nec-otium). Se l’otium indica il disinteressato
dedicarsi alle lettere e alle arti, il negotium esprime, per
antitesi, il praticare la vita degli affari. Nelle lingue neolatine négoce, negocio, negozio equivalgono ad affare, ma
in Francia e in Italia, se non in Spagna, è ormai locuzione arcaica, cui nel linguaggio moderno è preferita la
locuzione affaire, affare, che trova riscontro nel tedesco
geschäft e nell’inglese business.
In Italia, ma solo in Italia, la locuzione si è reificata.
Negozio equivale a bottega, indica il locale dove si pratica la vendita di merce al minuto”.
Chi scrive è Francesco Galgano. Per l’autore il negozio giuridico è defunto, privo di dignità classificatoria dal
momento che l’art. 1324 c.c. include tra gli atti unilaterali sia le dichiarazioni di volontà che quelle di scienza,
le partecipazioni e le comunicazioni. Sicchè “l’atto di
volontà non ha, nel mondo del diritto, un separato trattamento normativo, diverso dal trattamento dell’atto
giuridico in genere”.
La morte era già stata annunciata dal Prof. Schlesinger nella prefazione all’edizione 2007 del “Manuale
di diritto privato” del Torrente: “Si è preso atto che il
sistema del diritto civile è mutato, progressivamente
ma inesorabilmente, e che perciò talune scelte di impostazione che avevano per anni connotato il Manuale
non erano più attuali e dovevano essere rimeditate.
In particolare è apparso necessario un ripensamento
del ruolo centrale che l’impianto del Manuale aveva
per tradizione concesso alla figura e alla disciplina del
negozio giuridico, pur non ponendone in discussione
la rilevanza teorica e concettuale. Si è perciò, in una
prospettiva più moderna, ritenuto preferibile restituire
centralità e pieno risalto alla disciplina del contratto, eliminando l’estesa esposizione di una disciplina comune
ai vari fenomeni negoziali che connotava le precedenti
edizioni dell’opera”.
Conclusivamente per il Galgano il negozio giuridico,
super concetto sovrapposto alle norme del codice
civile, è “la metafora del nulla”, una di quelle “metafore
nel diritto” su cui l’autore intrattiene il lettore piacevolmente, pur in un contesto di superiore spessore culturale, non solo giuridico, nella sua ultima opera: “Le insidie
del linguaggio giuridico – Saggio sulle metafore nel diritto”
(Il Mulino 2010).
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Giurisprudenza disciplinare
prevista dalla legge ed il suo venir meno non incide sullo
status di praticante derivante dall’iscrizione al Registro
speciale, al quale il praticante continua a rimanere iscritto, il
provvedimento di cancellazione dall’elenco dei soggetti abilitati
al patrocinio per decorrenza del termine dell’abilitazione non
deve essere assunto nel contraddittorio con l’interessato,
essendo la preventiva audizione dell’interessato prevista nella
sola ipotesi disciplinata dagli artt. 24, co. 3, e 31, co. 3, del
R.D. n. 1578/33 relativa ai casi di diniego di iscrizione all’albo
per motivi di incompatibilità e di condotta. (Rigetta il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Napoli, 3 aprile 2008).
Cons. Naz. Forense 24-07-2009, n. 84
Pres. f.f. TIRALE - Rel. FLORIO - P.M. MARTONE
(non conf.) - dott. G.C.
Avvocato - Tenuta albi - Cancellazione Registro
praticanti Avvocati - Interruzione semestrale della
pratica - Rilevanza - Fattispecie
Ai fini della cancellazione dal registro dei praticanti,
l’interruzione della pratica forense per periodo superiore ai
sei mesi presuppone la mancanza di pratica sia sotto il profilo
dell’attività di Studio (atti, giudiziali e stragiudiziali) sia sotto il
profilo delle udienze.
Non può pertanto dirsi sussistente un’effettiva e completa
interruzione dell’attività della pratica forense per un periodo
superiore al semestre quando, come nella specie, pur in difetto
di prova di qualsivoglia attività di Studio, emerga dalla copia
conforme all’originale del libretto una sia pur incompleta,
ed in parte irregolare, attività d’udienza.(Accoglie il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Vercelli, 18 luglio 2008)
Cons. Naz. Forense 23-04-2009, n. 7
Pres. f.f. VERMIGLIO - Rel. BULGARELLI - P.M.
IANNELLI (conf.) - dott. D.S.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Sospensione
cautelare - Natura - Presupposti
Avvocato - Procedimento disciplinare - Prescrizione
- Decorrenza
Il potere di adozione della misura della sospensione
cautelare, che postula la sola gravità del fatto addebitato
al professionista in un atto dell’Autorità Giudiziaria
indipendentemente dalla sua fondatezza, e come tale idoneo
a creare allarme nella collettività per la compromissione
della dignità e del decoro della professione tale da rendere
incompatibili con tali doveri la prosecuzione dell’attività da
parte di costui, ha natura discrezionale e non è sindacabile,
avendo affidato l’ordinamento al solo Consiglio territoriale
la valutazione della lesione al decoro e alla dignità della
professione e quella dell’opportunità della misura cautelare.
Lo scrutinio del CNF, invero, è limitato al controllo di
legittimità, restando precluso ogni giudizio sull’opportunità
della misura sospensiva.
Diversamente dall’iniziativa disciplinare prevista dall’art.
38 L.P., collegata ad ipotesi generiche ed a fatti anche atipici,
in relazione alla quale il termine prescrizionale comincia a
decorrere dalla data della commissione del fatto, l’azione
disciplinare invece contemplata dall’art. 44 e collegata al fatto
storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento
perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha
commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata
formulata un’imputazione, ha natura obbligatoria e non può
essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto;
con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento
in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal
passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un
fatto esterno alla condotta, restando irrilevante, il periodo
decorso dalla commissione del fatto all’instaurazione del
procedimento penale, e ciò anche nel caso in cui il C.d.O.,
avuta notizia del fatto, abbia dapprima deliberato l’apertura
Avvocato -Tenuta albi - Cancellazione - Impugnazione
- Ricorso presentato al CNF - Inammissibilità
In tema di impugnazione del provvedimento di
cancellazione dall’Albo degli Avvocati, l’inosservanza dell’art.
59, co. 1, R.D. n. 37/34, che prevede tassativamente il deposito
del ricorso al CNF presso il Consiglio dell’Ordine che ha
emesso la pronuncia, determina l’inammissibilità del gravame.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di
Busto Arsizio, 16 febbraio 2007)
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 22
Pres. ALPA - Rel. BORSACCHI - P.M. CIAMPOLI
(conf.) - avv. R.D.M.
Avvocato - Tenuta albi - Praticante avvocato abilitato
al patrocinio - Intervenuta scadenza del termine Cancellazione - Impugnazione provvedimento C.d.O. Esclusione
Avvocato - Tenuta albi - Praticante avvocato abilitato
al patrocinio - Intervenuta scadenza del termine Provvedimento di cancellazione - Natura - Atto dovuto
- Previa audizione dell’interessato - Esclusione
Il provvedimento con cui il C.d.O. dispone la cancellazione
del praticante dall’elenco dei soggetti abilitati al patrocinio per
decorrenza del termine dell’abilitazione non è impugnabile,
sia perché non espressamente previsto tra gli atti soggetti
ad impugnazione dinanzi al C.N.F. dal R.D. n. 1578/1933, sia
perché tale delibera costituisce atto dovuto, in funzione del
mero accertamento della decorrenza del termine previsto
dalla legge per l’esercizio della facoltà di patrocinare davanti
all’Autorità Giudiziaria.
Atteso che la durata del patrocinio è espressamente
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giurisprudenza disciplinare
precise norme deontologiche che si assumono violate
Viola il dovere di riservatezza propria della professione
forense ex art. 9 C.D.F., nonché il divieto di sollecitare articoli
di stampa o interviste su organi di informazione, spendendo
il nome dei propri clienti ex art. 18 C.D.F., il professionista
che, attraverso le pagine di un quotidiano locale divulghi il
contenuto della propria corrispondenza, inviata per conto
dei propri assistiti.
Pone in essere un contegno contrario ai principi di
correttezza e riservatezza nonché violativo del divieto
di pubblicità propri della professione forense, l’avvocato
professionista che in ordine alle modalità di svolgimento di
un incarico professionale renda ad un giornalista dichiarazioni
poi pubblicate dalla stampa al fine di pubblicizzare la propria
attività professionale. (Rigetta il ricorso avverso decisione
C.d.O. di Treviso, 29 maggio 2006)
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 26
Pres. ALPA - Rel. DEL PAGGIO - P.M. MARTONE
(conf.) - avv. F.C.
e disposto poi la sospensione del procedimento disciplinare.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Alba, 4 agosto
2008)
Cons. Naz. Forense 09-04-2009, n. 6
Pres. f.f.VERMIGLIO - Rel. BERRUTI - P.M. FEDELI
(non conf.) - avv. R.R.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Decisione di
archiviazione - Impugnazione - Inammissibilità
Attesa la tassatività degli atti impugnabili e la mancanza di
una apposita previsione normativa,deve ritenersi inammissibile
il ricorso proposto avverso la delibera di archiviazione
dell’esposto presentato presso il Consiglio territoriale.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di
Bergamo, 10 ottobre 2005)
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 13
Pres. ALPA - Rel. CARDONE - P.M. FEDELI (conf.)
- sig.ra A.S.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Decisione
del C.d.O. - Rigetto istanza revoca provvedimento
disciplinare - Ricorso - Inammissibilità
E’ inammissibile il ricorso proposto avverso la delibera
con la quale il C.d.O. respinga l’istanza di revoca di
un provvedimento disciplinare applicato al ricorrente,
atteso che, gli atti impugnabili davanti al C.N.F. riguardano
tassativamente la tenuta degli albi, i certificati di compiuta
pratica ed i provvedimenti che riguardano il procedimento
disciplinare, mentre la decisione impugnata è senz’altro
priva del carattere di provvedimento disciplinare. (Dichiara
inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Viterbo,
29 giugno 2006)
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 17
Pres. f.f.TIRALE - Rel. BASSU - P.M. FEDELI (conf.)
- avv. S.D.A.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Fase
preliminare all’apertura del procedimento - Natura
ricognitiva - Applicazione garanzie procedimentali Esclusione
La fase preliminare che si svolge dinanzi al C.d.O., una
volta che sia pervenuto un esposto e prima che si addivenga
all’apertura del procedimento disciplinare, ha natura
ricognitiva ed informativa ed ad essa non si applicano pertanto
le garanzie procedimentali. Deve pertanto escludersi la nullità
della decisione per il fatto dell’audizione dell’esponente
in assenza dell’incolpato, e senza che questi ne avesse
ricevuto notizia, nella fase che ha preceduto l’apertura del
procedimento disciplinare. (Accoglie parzialmente il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Parma, 5 dicembre 2006)
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 27
Pres. ALPA - Rel. BORSACCHI - P.M. FEDELI (non
conf.) - avv.V.B.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Decisione del
C.d.O. - Corrispondenza tra contestazione e pronunzia
disciplinare - Violazione - Limiti
Avvocato - Norme deontologiche - Principi generali
- Divieto di pubblicità - Violazione a mezzo stampa Illecito deontologico - Sussistenza
In perfetta coerenza con i principi enunciati dalla
giurisprudenza della Suprema corte e del CNF, va esclusa
la violazione della regola della corrispondenza tra la
contestazione e la pronunzia disciplinare allorchè il fatto
posto a base della sentenza non abbia il carattere della
eterogeneità rispetto a quello contestato, sicchè la nullità
del procedimento disciplinare per difetto di specificità della
contestazione sussiste nel solo caso in cui vi sia incertezza sui
fatti contestati, con la conseguente impossibilità per l’incolpato
di svolgere le proprie difese, a nulla rilevando la precisazione
delle fonti di prova da utilizzare, né la individuazione delle
Avvocato - Norme deontologiche - Praticante
avvocato abilitato al patrocinio - Violazione limiti jus
postulandi - Illecito deontologico
Avvocato - Procedimento disciplinare - Eccessiva
durata - Responsabilità - Irrilevanza
Pone in essere un comportamento contrario ai doveri
professionali il praticante avvocato, pur abilitato al patrocinio,
che svolga attività processuale avanti il Tribunale riservata
all’avvocato pur non avendone titolo.
Salvi gli effetti della prescrizione estintiva, l’eventuale
eccessiva durata del procedimento disciplinare non può mai
avere come effetto di sottrarre l’incolpato alla responsabilità
che discende dalla violazione delle norme deontologiche,
ancorchè la violazione accertata si sia verificata quando
l’incolpato era praticante e la concreta esecuzione della
40
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giurisprudenza disciplinare
componenti.
Ancorchè il professionista possa vantare nei confronti dei
clienti insolventi un indiscutibile diritto di credito suscettibile
di essere azionato, nondimeno va ritenuto che anche
una richiesta legittima può essere soggetta a valutazione
disciplinare, allorquando si accompagni a modalità o forme
che incrinano il rapporto di fiducia e gettano discredito sulla
dignità e sul decoro dell’avvocato e quindi sull’immagine
dell’avvocatura, così integrando la violazione dei doveri di
correttezza e probità professionali.
L’eccezione di nullità del procedimento disciplinare per
omessa notifica della delibera di apertura dello stesso è
inammissibile, siccome tardiva, se non è proposta nel primo
atto o difesa successiva alla delibera stessa ed è comunque
irrilevante se, attraverso la comunicazione correttamente
notificata della richiesta di rinvio a giudizio, l’incolpato sia
stato messo a conoscenza delle determinazioni prese dal
C.O.A. nei suoi confronti e abbia perciò potuto compiere
tutti gli atti previsti dall’ordinamento a garanzia del diritto
di difesa. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisioni
C.d.O. di Pordenone, 27 giugno e 1 ottobre 2007).
Cons. Naz. Forense 04-06-2009, n. 64
Pres. f.f. CARDONE - Rel. BONZO - P.M. FEDELI
(conf.) - avv. D.L.
sanzione disciplinare inflitta avvenga quando lo stesso sia
divenuto avvocato, risultando così maggiormente afflittiva
in considerazione del maggior impegno e visibilità della vita
professionale dell’incolpato. (Accoglie parzialmente il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Livorno, 9 gennaio 2008).
Cons. Naz. Forense 04-06-2009, n. 47
Pres. f.f. TIRALE - Rel. BULGARELLI - P.M.
MARTONE (non conf.) - avv. C.P.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Rapporti tra
procedimento penale e disciplinare - Sentenza penale
di assoluzione perché il fatto non sussiste - Valutazione
disciplinare - Esclusione
In tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio
disciplinare, la sentenza irrevocabile pronunciata nel primo ha
efficacia di giudicato nel secondo quanto all’accertamento del
fatto, alla sua eventuale illiceità penale ed all’affermazione che
l’imputato lo ha commesso. Qualora, tuttavia, l’assoluzione
sia stata pronunciata perché il fatto non sussiste, l’esclusione
dell’ontologia del fatto ne impedisce la valutazione anche
disciplinare, mentre se essa è intervenuta perché il fatto non
costituisce reato, riconoscendone l’ontologia ed escludendo
la sola rilevanza penale, l’organo disciplinare può e deve
valutarlo sotto il profilo deontologico. (Accoglie il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Bolzano, 25 maggio 2007).
Cons. Naz. Forense 04-06-2009, n. 56
Pres. ALPA - Rel. VERMIGLIO - P.M. CIAMPOLI
(non conf.) - avv. S.D.A.
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con la
parte assistita - Difesa di parti in conflitto di interessi.
Integra certamente la violazione dei doveri di lealtà, di
correttezza e di fedeltà ex artt. 5, 6, 7 c.d.f. nei confronti
della parte assistita, configurando altresì l’illecito
deontologico previsto dal successivo art. 51, la condotta del
professionista che in seguito alla dismissione del mandato indipendentemente dal fatto che questa sia dovuta a revoca
o rinuncia - assuma un mandato professionale contro il
proprio precedente cliente, tanto più quando il nuovo
incarico sia inerente al medesimo procedimento nel quale il
difensore abbia assistito un’altra parte, che abbia un interesse
confliggente con quello del nuovo assistito. (Rigetta il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Bergamo, 19 ottobre 2007).
Cons. Naz. Forense 09-01-2009, n. 1
Pres. ALPA - Rel. ALPA - P.M. FEDELI (conf.) - avv.
A.D.P.
Avvocato - Procedimento disciplinare - Prescrizione
- Atti interruttivi
Avvocato - Procedimento disciplinare -Ricorso al
C.N.F. - Atti impugnabili - Tassatività - Decisione C.d.O.
su istanza di ricusazione - Esclusione
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con la
parte assistita - Richieste di pagamento compenso per
attività professionale - Forma e modalità della richiesta
- Illecito disciplinare - Sussistenza
Avvocato - Procedimento disciplinare - Omessa
notifica della delibera di apertura - Nullità del
procedimento - Eccezione - Mancata proposizione nel
primo atto o difesa successiva alla delibera - Tardività Inammissibilità
Al fine di evitare la prescrizione quinquennale ex art.
51 l.p.f. dell’azione disciplinare è necessario e sufficiente
il compimento da parte del C.O.A. di un atto interruttivo,
dovendosi intendere per tale l’apertura del procedimento
disciplinare.
Costituisce vero e proprio ius receptum l’insegnamento
secondo cui tra gli atti impugnabili dinanzi al C.N.F., i quali
sono previsti in modo tassativo, non rientra il provvedimento
di un Consiglio dell’Ordine territoriale che abbia deciso su
una istanza di ricusazione proposta contro alcuni dei suoi
Avvocato - Norme deontologiche - Dovere di
diligenza - Rapporti con il collega dominus della causaViolazione
Avvocato - Norme deontologiche - Dovere di
colleganza e collaborazione - Rapporti con il C.d.O. Omessi chiarimenti - Illecito deontologico
Pone in essere un comportamento deontologicamente
rilevante l’avvocato che svolga con negligenza il mandato
ricevuto, che ometta di dare informazioni al collega dominus
della causa sullo stato del procedimento, e che non restituisca
41
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giurisprudenza disciplinare
al medesimo collega mandante ed ai clienti i titoli esecutivi
necessari ad azionare la procedura esecutiva oggetto del
mandato, così compromettendo la tutela delle relative ragioni
creditorie.
L’avvocato che ometta di fornire i chiarimenti al C.d.O,pone
in essere un comportamento deontologicamente rilevante,
poiché lesivo dei principi di solidarietà e collaborazione con il
Consiglio di appartenenza, per i quali il professionista è tenuto
al rispetto delle disposizioni impartite dai competenti organi
nell’attuazione delle proprie finalità istituzionali.Tale contegno
configura peraltro un’autonoma violazione disciplinare ai
sensi dell’art. 24 del codice deontologico, giacché disattende
il dovere imposto a ciascun professionista di collaborare con
il C.d.O. per l’attuazione delle finalità istituzionali, dovendo
ravvisarsi nelle mancate risposte un mancato rispetto verso
le istituzioni collettive e un mancato senso di responsabilità
collegato all’attività difensiva. (Accoglie il ricorso avverso
decisione C.d.O. di Roma, 9 novembre 2007).
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 11
Pres. f.f. VERMIGLIO - Rel. VACCARO - P.M.
CIAMPOLI (conf.) - avv. A.R.
Cons. Naz. Forense 18-05-2009, n. 33
Pres. ALPA - Rel. BIANCHI - P.M. FEDELI (conf.)
- avv.ti C.I. e M.I.
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i
colleghi - Espressioni sconvenienti ed offensive - Illecito
deontologico - Fattispecie - Sussistenza.
Deve ritenersi deontologicamente rilevante il contegno
del professionista che utilizzi nel proprio atto difensivo
un linguaggio sconveniente ed offensivo nei confronti del
collega - peraltro più giovane - e, comunque, non consono
alla correttezza ed al decoro formale e sostanziale che deve
sempre contraddistinguere colui che esercita la professione
forense (nella specie, il C.N.F. ha ritenuto che l’utilizzo delle
frasi offensive oggetto di censura deve ritenersi aggravato
dalla circostanza che le stesse sono contenute nell’atto di
citazione notificato alla parte assistita, la quale ne ha appreso
il contenuto ancor prima del collega interessato dalle
espressioni offensive). (Rigetta il ricorso avverso decisione
C.d.O. di Chieti, 15 maggio 2007)
Cons. Naz. Forense 18-05-2009, n. 35
Pres. f.f. PERFETTI - Rel. BASSU - P.M. MARTONE
(non conf.) - avv. C.S.
Avvocato - Norme deontologiche - Obbligazioni
assunte nei confronti di terzi - Inadempimento - Illecito
deontologico - Sussistenza.
Il mancato pagamento dei debiti contratti dal professionista,
nei cui confronti risulti pendente un consistente numero
di procedure esecutive mobiliari costituisce violazione del
prestigio, della dignità e del decoro della professione, tale
fatto compromettendo la fiducia dei terzi nella capacità
dell’avvocato di rispettare i propri doveri. (Accoglie
parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Rimini, 20
dicembre 2005)
Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 29
Pres. ALPA - Rel. ALLORIO - P.M. IANNELLI
(conf.) - avv. M.L.T.
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i
magistrati e con i colleghi - Espressioni sconvenienti ed
offensive - Illecito deontologico - Esimente provocazione Irrilevanza - Risarcimento del danno in favore dell’offeso
- Irrilevanza.
Pone in essere un comportamento deontologicamente
rilevante, poiché violativo dei doveri di correttezza e di
lealtà, il professionista che - pur nella ipotesi in cui il clima
di esasperata contrapposizione dialettica possa spiegare
eventuali eccessi nell’uso di argomentazioni difensive - utilizzi
espressioni sconvenienti ed offensive dirette consapevolmente
ad insinuare, nei confronti dei Colleghi, la esistenza di
condotte illecite e, nei confronti del Giudice, la violazione
del fondamentale dovere di imparzialità nell’esercizio delle
funzioni giurisdizionali.
L’utilizzo di espressioni oggettivamente offensive verso il
collega avversario non può essere giustificata dalla reazione
ad una eventuale aggressione processuale ricevuta, atteso che
l’esimente di cui all’art. 599 c.p. (ritorsione e provocazione)
non trova applicazione in materia deontologica.
L’avvenuto risarcimento del danno da parte dell’incolpato
nei confronti del collega reiteratamente offeso ed ingiuriato si
manifesta del tutto privo di rilevanza, poiché tale circostanza,
in considerazione dei modi, delle forme e dell’ambiente in
cui la condotta lesiva si è estrinsecata, non appare idonea ad
elidere gli effetti nocivi del contegno tenuto dall’incolpato, dal
quale è scaturito, in maniera irreversibile, la compromissione
del prestigio e della dignità dell’intero Ordine forense.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con
la parte assistita - Divieto di conflitto di interessi Rapporti di carattere economico o commerciale - Illecito
deontologico.
L’avvocato ha il dovere di non porsi in conflitto di interessi,
nemmeno potenziale, con il proprio assistito, evitando di
intrattenere con quest’ultimo rapporti di carattere economico
o commerciale, indipendentemente dal fine, pur altruistico,
che lo stesso intenda così perseguire. Tale divieto è invero
diretto a preservare il rapporto fiduciario tra avvocato e
cliente, atteso che soltanto l’estraneità dell’avvocato rispetto
agli interessi del cliente garantisce la difesa tecnica più valida,
evita il coinvolgimento in responsabilità ed assicura la massima
professionalità.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O.
di Bergamo, 28 dicembre 2008)
42
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giurisprudenza disciplinare
Monza, 14 gennaio 2008)
Cons. Naz. Forense 18-05-2009, n. 37
Pres. f.f. PERFETTI - Rel. DEL PAGGIO - P.M.
MARTONE (conf.) - avv. P.L.C.
Cons. Naz. Forense 04-06-2009, n. 65
Pres. ALPA - Rel. SICA - P.M. FEDELI (conf.) - avv.
V.C.
Avvocato - Norme deontologiche - Doveri di
probità, dignità e decoro - Condotta nella vita privata
- Rilevanza
L’avvocato ha l’obbligo di avere una condotta
specchiatissima ed illibata sia nell’ambito dell’attività
professionale sia nell’ambito della vita privata, sicchè pone
in essere un comportamento deontologicamente rilevante
perché lesivo dei doveri di probità, dignità e decoro propri
della classe forense il professionista che compia atti di libidine
violenti ed atti osceni, dovendo ritenersi assolutamente
incompatibile tale contegno con la permanenza dell’incolpato
nell’Albo forense e risultando conseguentemente congrua la
sanzione della radiazione correttamente irrogata. (Rigetta
inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano,
6 novembre 2006).
Cons. Naz. Forense 13-07-2009, n. 70
Pres. f.f. VERMIGLIO - Rel. BORSACCHI - P.M.
CIAMPOLI (conf.) - avv. F.L.C.
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con
la parte assistita - Conflitto di interessi potenziale Violazione.
Atteso che l’art. 37 c.d.f. sancisce per l’avvocato l’obbligo
di astenersi dal prestare attività professionale quando ciò
determini un conflitto di interessi reale o meramente
potenziale con il proprio assistito, deve ritenersi - anche
in considerazione della ratio della disposizione - che anche
il solo “rischio serio di conflitto” sia idoneo ad integrare
la violazione del dettato deontologico. (Rigetta il ricorso
avverso decisione C.d.O. di Padova, 18 luglio 2007)
Cons. Naz. Forense 18-05-2009, n. 38
Pres. f.f. PERFETTI - Rel. BASSU - P.M. MARTONE
(conf.) - avv. P.S.
Avvocato - Norme deontologiche - Dovere di diligenza
e lealtà - Esibizione documentale in causa - Limiti
Ai fini della valutazione della diligenza e lealtà nelle
esibizioni documentali in causa, al difensore non può essere
richiesto un giudizio stringente ed approfondito sulla
congruenza di un documento all’oggetto della causa che vada
oltre una valutazione di non estraneità, oggettiva e soggettiva,
né tantomeno un’indagine sulla verità dei fatti riferitigli dal
cliente che vada oltre una valutazione di verosimiglianza.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Firenze, 28
novembre 2007).
Cons. Naz. Forense 04-06-2009, n. 54
Pres. ALPA - Rel. LANZARA - P.M. CIAMPOLI
(conf.) - avv. I.T.
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con la
parte assistita - Difesa di parti in conflitto di interessi
Avvocato - Norme deontologiche - Richiesta onorario
eccessivo - Violazione art. 43, sub II, c.d.f.
Non integra alcun illecito disciplinare il contegno
dell’avvocato che, già procuratore di un creditore per il
quale abbia presentato domanda di insinuazione al passivo
fallimentare, accetti altresì l’incarico di legale del medesimo
fallimento al fine di fornire al giudice delegato un parere
circa la legittimità e la legalità di notule professionali in
ordine all’ammontare delle somme oggetto di insinuazione,
trattandosi di questioni completamente indipendenti l’una
dall’altra ed insuscettibili di determinare collegamenti o
reciproche interferenze.
L’avvocato che richieda un compenso manifestamente
sproporzionato e comunque eccessivo rispetto all’attività
documentata pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere
di correttezza e probità, a nulla rilevando, ai fini della
responsabilità disciplinare, neanche l’eventualità che tra
il professionista ed il cliente sia intervenuta la transazione
della controversia. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso
decisione C.d.O. di Livorno, 11 gennaio 2006).
Cons. Naz. Forense 13-07-2009, n. 73
Pres. f.f. PERFETTI - Rel. DEL PAGGIO - P.M.
MARTONE (conf.) - avv. R.Z.
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con
i magistrati - Espressioni sconvenienti ed offensive
- Illecito deontologico - Scriminante ex art. 598 c.p. Inconfigurabilità
L’avvocato, nell’ambito della propria attività difensiva, può
e deve esporre con vigore la difesa del proprio assistito, senza
tuttavia mai giungere ad atteggiamenti o comportamenti
sconvenienti e violativi dell’art. 20 del codice di deontologia
professionale, che impone al professionista di mantenere con
il Giudice un rapporto improntato alla dignità e al rispetto sia
della persona del giudicante sia del suo operato.
La scriminante di cui all’art. 598 c.p. non trova spazio
nel procedimento disciplinare, atteso che la tutela della
libertà della difesa non attribuisce una singolare facoltà
di offendere, dovendo tutti gli atti ed ogni condotta nel
processo rispecchiare il dovere di correttezza, anche nelle
forme espressive usate dalle parti. (Rigetta il ricorso avverso
decisione C.d.O. di Torino, 26 marzo 2007).
Avvocato - Norme deontologiche - Informazione
professionale non veritiera - Omesso controllo
contenutistico - Illecito deontologico - Sussistenza
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giurisprudenza disciplinare
Viene meno ai doveri di verità, probità e correttezza
professionale, nonché alle disposizioni di cui all’art. 17 c.d.f.,
l’avvocato che ometta il controllo sul contenuto di un un
articolo giornalistico nel quale per scopi elogiativi venga
inesattamente attribuita allo studio associato l’esperienza
professionale decennale propria dell’incolpato che della
struttura faccia parte, sostanziandosi il mancato controllo
della verità dell’informazione nella lesione dell’affidamento
della collettività, la quale costituisce la finalità delle limitazioni
deontologiche portate alla libertà informativa nell’interesse
generale del corretto svolgimento della funzione svolta
dall’avvocatura nella società. (Rigetta il ricorso avverso
decisione C.d.O. di Vicenza, 23 aprile 2008).
Cons. Naz. Forense 13-07-2009, n. 75
Pres. ALPA - Rel. DEL PAGGIO - P.M. MARTONE
(conf.) - avv. M.B.
Avvocato - Tariffe forensi - Richiesta onorario Mancato pagamento - Richiesta di compenso maggiore
- Illecito disciplinare
Viola l’art. 43 III, c.d.f., l’avvocato che, a causa del mancato
spontaneo pagamento delle competenze professionali e senza
averne fatto espressa riserva, richieda con una successiva
comunicazione un compenso maggiore di quello già indicato
in precedenza. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso
decisione C.d.O. di Vicenza, 18 giugno 2008).
Cons. Naz. Forense 21-07-2009, n. 79
Pres. ALPA - Rel. MAURO - P.M. CIAMPOLI (non
conf.) - avv. R.C.
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Giurisprudenza
Oltre alla fissazione dei principi sopra estesi la decisione
ha superato l’eccezione, sollevata dal resistente, circa la pretesa intervenuta decadenza di cui al terzo comma dell’art.
186 l.f. (“Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un
anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato”): a tale riguardo il Tribunale
ha ricompreso fra gli adempimenti esecutivi del concordato,
atti ad essere qualificati come adempimenti previsti dal concordato, anche operazioni di pagamento quale il deposito di
somme dovute a creditori irreperibili, autorizzato dal Giudice Delegato precisando però sarebbe la chiusura definitiva
della procedura il termine finale rilevante per la disposizione
in parola : “gli adempimenti previsti dal concordato preventivo sono quelli dettati dalla relativa procedura che viene
ad ultimarsi esclusivamente con la chiusura della procedura
avvenuta con provvedimento ex art. 116 l.f. emesso dal Giudice Delegato” (tale atto finale è previsto per il concordato
preventivo in analogia con la disciplina fissata per il concordato fallimentare di cui agli artt.li 116 e 136”.
A considerare come soltanto la chiusura del concordato possa rilevare quale termine ai sensi dell’art. 186 terzo
comma l.f. spingerebbe una lettura in linea con la ratio della
norma che, fissando un termine teoricamente decadenziale,
deve addivenire ad individuare un dies a quo che sia determinabile con certezza ciò per cui si afferma che “soltanto la
data di chiusura della procedura costituisca un valido riferimento temporale per costituire “l’ultimo adempimento previsto dal concordato””.
La sentenza, in ossequio alla disciplina attuale, non ha
automaticamente dichiarato il fallimento in assenza della
relativa domanda da parte del ricorrente: per tale pronuncia,
quindi, è pretesa un’istanza del ricorrente congiuntamente al
ricorso per risoluzione del concordato, oppure una successiva istanza di un creditore o del pubblico ministero.
alb.m.
TRIBUNALE DI PARMA
Sezione Fallimentare
SENT. N. 56/10
Dott. Roberto Piscopo – Presidente
Dott. Pietro Rogato – Giudice Relatore
Dott.ssa Silvia Cavallari – Giudice
Con ricorso 26/7/2010 la ditta Alfa S.a.s., creditrice per €.
214.124,79 nei confronti della Beta S.r.l. in liquidazione e concordato preventivo, domandava la risoluzione del concordato
preventivo di Beta in quanto all’esito dell’esecuzione dello
stesso ai creditori di classe c), come la ricorrente Alfa, veniva
corrisposta una percentuale molto inferiore a quella prevista
nella domanda di concordato.
L’art. 186 l.f. dispone, infatti, che i creditori possano chiedere la risoluzione del concordato preventivo per inadempimenti che non siano di scarsa importanza e purché il ricorso
venga proposto “entro un anno dalla scadenza del termine
fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato.”
Il Tribunale di Parma, con sentenza 13-15/12/2010, ha
dichiarato risolto per inadempimento il Concordato Preventivo Beta S.r.l. in liquidazione applicando alcuni principi:
-
innanzi tutto è stato giudicato un inadempimento
grave che un concordato preventivo, approvato con la previsione del pagamento del 14,5 % dei crediti chirografari, finisca
per effettivamente versare, ad esito dell’esecuzione, somme
pari al 3% dei crediti;
-
è stato giudicato che, ai fini della risoluzione del
concordato, non possa considerarsi passività derivante da
un fatto sopravvenuto all’omologa ed imprevedibile (ciò che
secondo la sentenza sarebbe comunque non rilevante), un
processo verbale di accertamento dell’Agenzia delle Entrate
relativo ad imposte (IRES/IRPEG/IRAP ed IVA) evase negli
anni immediatamente antecedenti la richiesta di concordato
(la procedura aveva aderito alle pretese del fisco con concordato per adesione);
- un ulteriore principio fissato dal Tribunale è che nessun
requisito condiziona l’accoglimento della domanda di risoluzione, oltre alla gravità dell’inadempimento, sia perché non
vi sono riferimenti normativi a sostegno delle tesi di chi ne
richiederebbe la ricorrenza sia in considerazione della natura
contrattuale del concordato che non presuppone altri elementi, per esempio soggettivi, perché operi la risoluzione (la
sentenza conferma tale principio fissato dalla Suprema Corte
“Il Tribunale non ha altro compito né altro potere che quelli
di accertare se il concordato sia stato eseguito, o meno, nei
termini e con le modalità stabiliti nella sentenza di omologazione, senza alcun margine di discrezionalità in ordine
alla valutazione della gravità o all’imputabilità dell’inadempimento” Cass. Civ. Sez. I 27/12/1997 n. 11503).
TRIBUNALE DI PARMA
Ufficio del Giudice Unico Monocratico- Sez. PenaleDott. Paolo Scippa - Ordinanza 07.12.2010
Accoglimento della eccezione di estromissione della parte
civile costituita - Lo stesso soggetto (ente pubblico datore di lavoro
degli imputati) non può ricoprire nel medesimo processo il ruolo di
due parti processuali (parte civile e responsabile civile) portatrici
di interessi contrapposti e configgenti.
In procedimento penale a carico di appartenenti al Corpo
di Polizia Municipale pendente in relazione a diverse ipotesi
di reato tra cui quelle p. e p. dagli artt. 81, 582, 585 c.p.,56,
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giurisprudenza
611, 610 c.p., 81, 368, 61 n.2) e n. 9) c.p., 605 c.p., 81, 479 c.p.,
la difesa degli imputati sollevava tempestivamente, al Giudice
del dibattimento, eccezione con cui veniva chiesto che il
Comune presso cui prestavano servizio gli imputati all’epoca
dei fatti, venisse estromesso dal processo quale parte civile.
Lo stesso Comune, infatti, aveva già provveduto a
costituirsi, tramite lo stesso difensore che aveva depositato
atto di costituzione di parte civile, anche quale responsabile
civile ai sensi e per gli effetti degli artt. 83, 84 e segg. c. p.p.
Il Giudice, nel provvedimento sopra citato, ha offerto
ampia motivazione nella quale viene evidenziato il percorso
logico e giuridico che porterebbe ad escludere il fatto che “la
pretesa risarcitoria venga azionata nel processo penale nel quale
il medesimo soggetto è chiamato ad esercitare la propria difesa
quale responsabile civile”.
Il testo dell’ordinanza offre spunti di riflessione in materia
sostanziale, processuale ed anche deontologica, laddove il
Giudice afferma – tra l’altro - la condivisibilità dell’”ulteriore
motivazione addotta dalle difese ai fini di esclusione della parte
civile costituita, sul presupposto di fatto che il medesimo difensore
non è legittimato ad assumere il mandato difensivo di assistere
due parti processuali con interessi sostanzialmente contrapposti
e confliggenti”.
L’azione civile nel processo penale ha fondamento
normativo sostanziale e processuale, rispettivamente, nelle
norme di cui agli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. che consentono
l’ingresso, nel terreno pubblico del processo penale, di
pretese civilistiche: le azioni in giudizio per le restituzioni e
per il risarcimento del danno avanzate dai soggetti cui il reato
ha arrecato un nocumento.
Attraverso la costituzione di parte civile, la persona
offesa e, comunque,il soggetto danneggiato dal reato, vedrà
come “controparte convenuta” l’imputato; senza escludere,
tuttavia, il sub-ingresso, in questo rapporto, di un’ulteriore
“soggetto- parte”: il responsabile civile (art. 83 e ss. c.p.p.), il
quale, a norma di leggi civili, può essere chiamato a rispondere
solidalmente con l’imputato per le conseguenze dannose
causate dal reato, proprio sul presupposto dell’esercizio
dell’azione civile in sede penale e con l’obiettivo di fornire
maggiori garanzie a tutela delle pretese risarcitorie avanzate
dal danneggiato.
Resta impregiudicato, in ogni caso, il diritto di regresso,
che potrà essere fatto valere attraverso apposita azione in
sede civile, da parte del responsabile civile, nei confronti
dell’imputato-coobbligato in solido.
Circa la presenza delle cosiddette “parti eventuali” (parte
civile e responsabile civile) nel procedimento penale pare
fondamentale porre adeguatamente in luce lo schieramento
delle medesime nelle dinamiche processuali: in tal senso,
è indicativo il dato testuale dell’articolo 83 c.p.p. che
letteralmente prevede la citazione del responsabile civile
“per il fatto dell’imputato”.
In dottrina si deduce, dalla lettura della suddetta norma,
la sussistenza di un litisconsorzio processuale necessario
unilaterale1,nel senso che non sarebbe possibile pretermettere
l’azione contro l’imputato laddove si voglia chiamare in causa
il responsabile civile. Pertanto, attraverso l’intervento di
quest’ultimo, si consente e si prevede l’ingresso nel processo
penale di un terzo la cui posizione è strettamente correlata
e connessa a quella del “convenuto principale”, tanto da
rimanere coinvolto nelle vicende processuali che riguardano
l’imputato stesso.
E proprio nei confronti del “connubio processuale” come sopra indicato – si rivolgerà la parte civile al fine di
vedere risarcito il danno subito in conseguenza del reato.
Prendendo in considerazione il caso sottoposto all’esame
del Giudicante, inoltre, è necessario soffermarsi sui profili
di responsabilità della Pubblica Amministrazione per illeciti
commessi da propri lavoratori dipendenti.
Si tratta di una forma di responsabilità il cui fondamento
risiede nel rapporto di “immedesimazione organica” enteaddetto ed affermata pacificamente dalla giurisprudenza
della Suprema Corte la quale, richiamando l’art. 2043 c.c.,
Parte civile e responsabile civile: un caso di insanabile
conflitto di interessi
L’ordinanza in commento è stata emessa dal Giudice
nell’ambito di un procedimento in cui un ente locale è stato
citato in giudizio quale responsabile civile per fatti di reato
commessi da alcuni dipendenti in danno di terzi. Costituitosi
in giudizio con il patrocinio di un primo legale, il soggetto
pubblico, dopo la rinuncia al mandato di questi, si affidava ad
un nuovo difensore, il quale ha inteso proporre l’azione civile
nel processo penale, sostenendo un preteso danno subito
dall’ente pubblico in conseguenza degli episodi delittuosi
contestati agli imputati.
In virtù del mandato difensivo conferito dall’ente pubblico
(già ritualmente costitutitosi responsabile civile), il difensore
depositava nuovo atto di costituzione di responsabile civile
e, quindi, chiedeva che l’ente pubblico venisse escluso dalla
vicenda giudiziaria in qualità di responsabile civile.
La ricostruzione processuale sopra citata è utile per
porre l’attenzione su alcuni aspetti, soprattutto processuali,
che si possono sintetizzare in una serie di interrogativi per
l’operatore operatore del diritto: un soggetto (tra l’altro ente
pubblico) può essere presente in un processo penale in qualità
di parte civile e, simultaneamente, di responsabile civile per il
medesimo fatto di reato? Quali possono essere le ripercussioni
di tale “anomalia” sul principio del contraddittorio e sullo
svolgimento di tutta l’attività processuale? Il medesimo legale
può difendere e rappresentare gli interessi di uno stesso
soggetto in entrambi i confliggenti ruoli processuali?
1 Cfr. A CHILIBERTI, Azione civile e nuovo processo penale,
Milano, Giuffrè, 1993, 280.
46
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giurisprudenza
ha ribadito la riferibilità all’amministrazione del fatto lesivo
del dipendente quando questo sia e si manifesti come
esplicazione dell’attività della P.A. stessa, in quanto diretta
al conseguimento dei suoi fini istituzionali nell’ambito del
servizio a cui il dipendente è addetto2.
In altri termini, perché l’amministrazione sia chiamata
a rispondere per il reato commesso dal dipendente, è
necessario accertare l’esistenza di un nesso di “occasionalità
necessaria” tra il comportamento doloso o colposo posto
in essere dall’agente e le incombenze professionali ed
istituzionali affidategli, verificando che la condotta si innesti
nel meccanismo dell’attività complessiva dell’ente e che
l’espletamento delle mansioni inerenti al servizio prestato
abbia costituito conditio sine qua non rispetto al fatto
produttivo del danno per averne in modo decisivo agevolato
la realizzazione3.
La suddetta riferibilità viene meno, invece, qualora si
venga a provare, in sede processuale, il fatto che il dipendente
abbia agito per un fine personale, assolutamente estraneo
all’amministrazione, tale da escludere ogni collegamento con
le attribuzioni proprie del soggetto agente.
Sempre nell’ambito di un’indagine in merito alla eventuale
sussistenza di elementi di responsabilità dell’amministrazione,
non va trascurata anche l’esistenza di ulteriori profili afferenti
a comportamenti omissivi della P.A., essendo possibile
addebitare all’ente una culpa in vigilando.
A tale proposito dottrina e giurisprudenza, attraverso
l’analisi interpretativa del dettato dell’art. 2049 c.c., hanno
rinvenuto in capo ai superiori gerarchici un obbligo di
sorveglianza da attuare attraverso l’indicazione di opportune
direttive atte a prevenire la commissione di illeciti da parte dei
propri sottoposti. Ebbene: la violazione del dovere di vigilanza,
mediante omissioni nella predisposizione di siffatte misure
di controllo, potrà essere fonte di responsabilità qualora si
accerti l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento
medesimo e l’evento dannoso, prodotto proprio sfruttando
le lacune esistenti nella rete di sorveglianza.
Per completezza espositiva si evidenzia il fatto che
il Giudice, nel testo dell’ordinanza in commento, cita
inoltrealcuni spunti di riflessione legati alla “responsabilità
degli enti da reato” (di cui al testo del D.L.vo 231/2001)
precisando come l’ente chiamato a rispondere nel processo
penale ai sensi del D.L.vo 231/2001 “non è soggetto passivo di
una pretesa risarcitoria avanzata dalla parte civile”.
Tornando all’analisi della questione centrale affrontata
nell’ordinanza in commento, si sottolinea il fatto che il Giudice
rileva il corto circuito causato nel sistema processuale, laddove
si consenta l’accesso di uno stesso soggetto, in relazione al
medesimo fatto, in due ruoli antitetici e incompatibili, quali
la parte civile e il responsabile civile: gli interessi di cui
sono portatori le citate parti processuali, proprio perché
diametralmente opposti, esigono una tutela indipendente
attraverso l’adozione di linee difensive assolutamente (e
necessariamente) inconciliabili.
A sostegno dell’affermazione sopra riportata basterà
citare, ad esempio, le istanze totalmente opposte che, in
sede di conclusioni all’esito del dibattimento, competono
“naturalmente” alla difesa del responsabile civile e a quella
della parte civile rispetto alla posizione dell’imputato.
Il caso oggetto del presente breve commento è assai
singolare ed offre argomenti per un’ attenta riflessione (anche
in relazione agli aspetti di natura deontologica) in merito
alla difesa, nello stesso processo, di più parti in conflitto di
interessi.
A tale proposito la giurisprudenza ha affermato che “la
circostanza che le parti processuali antitetiche (nella specie, parte
civile e responsabile civile) siano rappresentate e difese dallo
stesso avvocato rende ancor più eclatante il conflitto d’interessi,
posto che il professionista, in tale situazione, non sarebbe in
condizione di fedelmente difendere gli interessi del mandante, né
potrebbe ammettersi un atteggiamento difensivo di ciascuna delle
parti in questione improntato all’inerzia ed alla passività rispetto
alle iniziative probatorie degli altri soggetti del processo che, di
per sé, già comporterebbe una grave violazione del diritto al
contraddittorio e del diritto di difesa, costituzionalmente garantiti,
oltre a concretizzare una palese mancanza ai doveri professionali
connessi al mandato professionale” e ancora “la contemporanea
veste di parte civile, nell’ambito del medesimo dibattimento, nei
confronti di un imputato e di responsabile civile per il fatto dello
stesso imputato, citato dalle altre parti civili, è incompatibile in
quanto implica l’interesse a compiere determinate scelte difensive
necessariamente fra loro antitetiche ed inconciliabili”4.
Anche la giurisprudenza del Collegio disciplinare forense
si è occupata della condotta del difensore che assiste, nello
stesso procedimento, più parti in conflitto di interessi ed ha
individuato, in capo al professionista che si occupi della difesa
di soggetti portatori di interessi obiettivamente confliggenti
(si veda, ad esempio, CNF, 27 ottobre 2008, n. 149), la
sussistenza della violazione di precisi canoni deontologici.
L’insanabilità del conflitto tra gli interessi rappresentati
dalla parte civile e dal responsabile civile nello stesso
processo dovrà essere attentamente valutata, pertanto, anche
nei possibili risvolti di carattere disciplinare – forense.
2 3 4 Cfr. Tribunale di Milano, 02 febbraio 2009. Da Foro ambrosiano, 2009, 1, 19 (s.m.) (nota di: CAMERA).
Cfr. Cass. Civ. Sez. III, sent. 22 maggio 2000, n. 6617.
Cfr. Cass. Civ. Sez. VI, sent. 20 giugno 2000, n. 13048.
dott. Pierfrancesco Brunelli
avv. Alessandra Mezzadri
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