SynagoSyty di Aram Kian e Gabriele Vacis con Kian Aram regia di Gabriele Vacis scenofonia di Roberto Tarasco scene di Lucio Diana LE RECENSIONI La recensione di Beppe Severgnini (dal Corriere della Sera, 2 aprile 2009) Ammiro Gabriele Vacis. Scegliere un teatro a Sesto San Giovanni per rappresentare l’immigrazione di seconda generazione è come suonare Chopin a San Siro in attesa del derby. Si può fare, ma occorre fegato. Luogo surreale (Spazio Mil, ex-magazzini Breda), tema cruciale, bello spettacolo, pubblico scarso, titolo strano (Synagosyty, ne parleremo). Il testo è di Vacis e Aram Kian, interpretato dallo stesso Kian e da Francesca Porrini (bravi). Il protagonista è nato in Italia da papà iraniano e mamma italiana. Quando la cronaca offre un cattivo con la pelle scura, glielo affibiano («Ehi Gheddafi!», diceva la maestra). Lo chiamano arabo, anche se è persiano; lo chiamano straniero, ma è italiano. Davanti alle umiliazioni, il padre abbassa la testa e si scusa; lui s’arrabbia. E’ una schizofrenia identitaria che ha provocato tragedie (bombe di Londra, 2005), e in Italia fatichiamo a comprendere. Peccato, perché sulla seconda generazione ci giochiamo una fetta di futuro. Ora, più banalmente, vorrei contestare il titolo. «Synagosyty». Perché? Risposta: la vicenda si svolge a Sinago Milanese, immaginaria località della Brianza. Ma il nome è difficile da memorizzare, e comprensibile solo in corso di rappresentazione. Temo non abbia aiutato un lavoro che merita. Il TTT (titolo tendenzialmente toppato) è una mia ossessione. Virzì, uno dei registi che s’accorge dell’Italia che gli gira intorno, s’inventa un film sui call-center, e cosa fa? Lo chiama «Tutta la vita davanti», un’espressione che presuppone una serie di ragionamenti, e s’adatta indifferentemente a un disco di Laura Pausini, un romanzo di Susanna Tamaro e una conferenza sul metodo Montessori. Meglio «Pregate per i precari»: almeno si ricorda (e poi, diciamolo, ne hanno bisogno). Ho rivisto in dvd «Reality Bites» di Ben Stiller (1994), con Winona Ryder ed Ethan Hawke, film sui turbamenti erotico-esistenziali della Generation X. Invece di tradurre («La realtà morde»), come l’hanno chiamato, in Italia? «Giovani, carini e disoccupati», un titolo che avrebbe ucciso anche Kubrick (e per cui Kubrick avrebbe ucciso, immagino). E’ andata meglio a «Lost in Translation» di Sofia Coppola (2003), col grande Bill Murray e Scarlettina Johansson. Il brut- to titolo («L’amore tradotto») l’hanno soltanto aggiunto all’originale. Dal cinema ai libri. La lista è lunga, limitiamoci a due saggi recenti. La talentuosa e tremenda Guia Soncini ha zavorrato la sua opera prima chiamandola «Elementi di capitalismo amoroso» (Karl Marx sposa Roland Barthes?). Marta Dassù, direttrice di Aspenia, ha scritto una brusca, onesta autobiografia. Che titolo le ha dato? «Mondo privato e altre storie». Fogazzaro e Guareschi avrebbero applaudito. Ma, con tutto il rispetto, sono altri tempi. La recensione di Alessandro Grieco (Roma, Piccolo Jovinelli, 19/02/09) Sinagosity, o meglio Sinago City, è un grande slum periferico del Nord in cui la convivenza, non sempre facile, tra identità culturali eterogenee che insistono nel medesimo spazio diventa sineddoche esistenziale di una società che impara, giorno per giorno, a definire un significato più vero ed appropriato all´aggettivo “multietnicità”. Sinagosity, dunque, mette in scena contraddizioni e disagi che caratterizzano l´infanzia e l´adolescenza dei “nuovi” italiani, restituendoci l´immagine di una realtà complessa e caleidoscopica, sempre sospesa tra incanto, ironia ed incipiente tragedia. Aram, il protagonista della piéce, si misura con problematiche condivise da tanti adolescenti cresciuti in zone di periferia negli anni ottanta, anni di dance-music e musica grunge, tegolini del Mulino Bianco, cotte studentesche e serate trascorse a sognare sotto le luci stroboscopiche delle discoteche, per affogare delusioni e dimenticare fisiologici insuccessi universitari e il lavoro che non viene. Solo che il padre di Aram è iraniano, per cui le cose si complicano un po´. Così, questo “nuovo” italiano, diversamente eppur assolutamente autentico, ci racconta le sue sventure con il sorriso sulle labbra, guidato da quell´ironia lucida ed amara che sola può darci l´esperienza e se qualche volta lo sorprendiamo dar legittimo sfogo ad una più che ragionevole rabbia, quest´ultima è risposta conforme e, comunque, ancora cortese al mainstream ricorrente che, ad onta del rispetto dovuto ai singoli individui, induce le masse alla maccartistica infondata equivalenza iraniano=persona che delinque o terrorista. La comprensibile paura di Aram Kian ci viene raccontata sulla scena dallo stesso attore italo-iraniano, la cui narra- 1 SynagoSyty zione drammatizzata è organizzata con eleganza ed arte da Gabriele Vacis che, con la grande abilità che ne fa uno dei più grandi registi italiani, riesce a fondere ed amplificare, attraverso una forma abbastanza semplice di teatro di parola, la vivida forza di una testimonianza reale con la suggestiva evocazione di un passato non troppo remoto, memoria ancora incandescente dei nostri tempi meno ameni. E poi, ci ripetiamo una volta calato il sipario, “in fin dei conti, in un modo o nell´altro, siamo tutti seconda generazione”. La recensione di Federico Betta Aram Kian: Aram con la emme finale e Kian con la enne finale. Un nome difficile da pronunciare, come la condizione di chi lo porta. Sì, perché Aram Kian, autore e interprete dello spettacolo Synogocity, è un ragazzo nato da una coppia di genitori misti: italiana la madre, iraniano il padre. Questa storia di cittadino italiano, con nome straniero e carnagione olivastra, è raccontata in un testo a due. In scena, con l’autore protagonista, c’è anche la bravissima Francesca Porrini, che incalza, stravolge, recupera, rimbalza il dialogo. Tutto comincia nel bianco. Nel banco dell’infanzia, in un limbo ovattato di gioco, in cui tutto ciò che succede rientra nella protezione della famiglia. Un bianco che ricopre tutto come un marchio distintivo che, Aram, il personaggio principale di Synagosyty, non perderà più. Come un segno, un colore che ti macchia, che tutti vedono e non puoi fare a meno di portare. Il testo, scritto con Gabriele Vacis e prodotto dal Teatro Regionale Alessandrino, è un continuo entrare e uscire dai personaggi: da se stessi, vivendo o guardandosi da fuori, dagli amici, dai genitori, dalla maestra incapace di comprendere l’italianità di quel nome straniero. Un entrare e uscire dai sentimenti di un romanzo di formazione, dalla vita di un diverso che inventa, cerca, scopre sempre nuove strade. Per vivere come tutti, e sperimentare la differenza. La costruzione del testo ha rispettato i ricordi di Aram, le sue idiosincrasie, la voglia di riscatto, e porta in scena tante persone che hanno contribuito alla sua crescita. I nomi sono diversi, i caratteri mescolati. Ma nella cristallina rappresentazione della propria storia, l’attore ricorda affetti vibranti e volti amorevoli, rabbie feroci e vergogne senza limiti. La struttura è cronologica, in un’infilata di personaggi e battute, che nella tragedia strappano la risata e dal comico affondano nel dramma. L’ambiente sulla scena è formalizzato in una scatola bianca, dalle pareti che si sollevano per aprirsi al mondo. Un mondo da esplorare, che però ci rischiaccia dentro, coi suoi pregiudizi, nel nostro angolo, protetti da chi ci vuole bene. Un mondo che prende le sembianze della fredda e nebbiosa Synagosyty, immaginaria periferia di Milano, dove Aram ha vissuto infanzia e adolescenza. Una cittadina specchio della decadenza culturale del nostro Paese, sostenuta dagli istinti leghisti che promuovono la vera italianità. Istinti primordiali, di paura e ignoranza. Una maschera, una nuova maschera bianca che cancella tutto, tutto quello che ‘italiano’ può voler dire. Un marchio per segnare il diverso. Quando diversi siamo anche noi. Diversi dal nostro vicino, dai nostri genitori, diversi da chi ci ostacola e da chi di protegge. Diversi da noi stessi, tutte le volte che ci presentiamo. Mentre cerchiamo solo un posto in cui vivere. Lo spettacolo è nato da un idea di Gabriele Vacis, che ha letto un libro sulle seconde generazioni di immigrati, proprio quando in Francia, nelle banlieue parigine, i figli degli immigrati insorgevano per chiedere ascolto, accoglienza, rispetto. Synagosyty è un modo di urlare contro Synagosyty. Senza la ferocia delle auto in fiamme, forse, ma con la stessa angoscia, per un futuro che si ripara nella chiusura e nell’esclusione. Un atto d’accusa beffardo, che si prende gioco del mondo, grazie al potere della risata. 2 SynagoSyty IL TESTO DI UNA SCENA Professoressa - Ehi, Saddam Hussein. Aram - Kian Aram, professoressa Professoressa - E io cos’ho detto?… finalmente gli americani son venuti ad aprirvi il culo, eh? Aram - Ma porca zozza di una professoressa, io sono iraniano, Gheddafi è Libia! Saddam è Iraq! Non c’entra… Tu neanche dicevi Iran… Dicevi Persia, persiano… Michela - Esattamente che vuol dire? Scusa, sai… sai per me dalla Jugoslavia in avanti è tutta Arabia Saudita… Vero Ludovico, amore?… Ludovico - Michela… Ti prego… Aram - Anche per gli amici sei comunque il nemico… Prima guerra nel Golfo avevi 18 anni… Iracheno… Iraniano… Tutto uguale. Michela - Cioè, ragazzi… Si deve troppo andare a questa manifestazione Davide - Vero, M - m - Michela, si deve troppo andare. Carmen - Ma che ne sai tu, Michela, di guerra, di Golfo… Davide - V - v - vero, Carmen, che ne sai tu Michela? Michela - Cioè… Scusate, io sono stata a Sharm el Sheik… Davide - V - v - vero… Michela è stata a Sharm… Carmen - E che cavolo c’entra Sharm el Sheik… Michela - Cioè Carmen, ma pperchè devi sempre essere sempre così aggressiva nei miei confronti? Cioè, emani troppe energie negative… Davide - V - v - Vero, Carmen… Carmen - Miii Davide muto! Davide - Vero… Davide… Muto… Michela - Cioè, lo vedi, Carmen che sei aggressiva, povero Davide… Carmen - Miii, Mmichela! Ma te li dovevano lanciare in testa a tte i Cruiser, no a Baghdad… In testa a tte te lo dovevano lanciare… Michela - Ccioè, guarda, il missile di Tom Cruiser io me lo prenderei, eccome se me lo prenderei, vero Ludovico, amore?… Ludovico - Michela… Ti prego… Per il momento è meglio se ti accontenti del mio di missile, ok? Carmen - Miiiiii… Che umorismo raffinato… Meno male che arriva il pullman… Michela - Comunque se proprio volete sapere la ragione di fondo per cui io vengo, anzi partecipo alla manifestazione… Carmen - Miiii non la vogliamo sapere! Michela - La ragione di fondo per cui io partecipo a questa manifestazione contro la guerra in Iran è la solidarietà con Aram e il suo popolo. Aram - La guerra è in Iraq. Rumore di pullman come una deflagrazione Aram - Iraq… Q di quadro… Iran, Iran N di Napoli / Iracheno iraniano / iraniano iracheno / Uguale / Tutto uguale / Tutto la stessa zuppa… Con quella faccia e il tuo sapor mediorientale… Zuppa mediorientale… Ingredienti: prendete un ragazzo, nascetelo a Roma e crescetelo a Sinago Milanese… Quando comincia ad imbiondire, si fa per dire, aggiungete un padre iraniano una madre romana, una presa di lega lombarda e lasciate stufare a fuoco lento a SynagoSyty per circa vent’anni 3 SynagoSyty ed ecco la vostra zuppa mediorientale pronta da servire, mi raccomando ben calda anzi bollente, fiammeggiante, ma attenzione… SCOTTA! Musica Aram Kian. A-r-a-m di Mantova K-i-a-n di Napoli. no non Kiam, KIAN, finisce con la N di Napoli e Aram finisce con la M di Mantova… esatto sì… no! No Kian è il cognome e Aram è il nome… ma certo che ne sono sicuro, mi scusi… Italiano, certo… ma cosa c’entra?… No guardi, la mia carta d’identità non ha nessun problema sta benissimo in perfetta forma… Passaporto? Quale passaporto arabo o passaporto d’Egitto?! Le ho detto che sono italiano… No, non ho pregiudizi nei confronti di arabi o egiziani… Neanche nei confronti di cecoslovacchi ungheresi groenlandesi… è solo che essendo io italiano mi pare quanto meno presumibile che lo sia anche il mio passaporto… No, non ce l’ho il passaporto… Come perché… E’ lei che ha parlato di passaporto… IO ho la carta d’identità… sì certo, come dice lei, ognuno è libero di avere il documento che vuole… scusi io non voglio polemizzare e neanche discutere con lei di questioni razziali o massimi sistemi… E’ solo che sono I-TA-LIA-NO… C’è scritto sulla carta d’identità… Perché complimenti? Certo che parlo bene italiano… Professoressa… No, scusi… Mi ascolti un secondo, per cortesia… Allora chiami il preside… Professoressa lei mi conosce da cinque anni… Si, è solo che mia madre ha lavato la carta d’identità dentro i pantaloni, ma se guarda la carta d’identità è stata rilasciata dal comune di Sinago Milanese… Professoressa, sono io, sono Aram! Glielo dica lei… Sì, mi calmo… Ma lei faccia il membro interno! No, io non voglio niente… Voglio solo dare l’esame di maturità come tutti i miei compagni, sono calmissimo, ma… Io?… no! Non alzo la voce… Certo lei è il presidente della commissione e io sono il candidato… Voglio solo dirle che mi chiamo Aram, con la M di Mantova, Kian con la N di Napoli, sono ITALIANO e… e sono stanco offeso umiliato disgutato defraudato della mia dignità stuprato nei miei diritti civili cancellato reso invisibile... ma io esisto e voglio che lo sappiate che esisto (e non potete cancellarmi) e voglio che mi ascoltiate muti! Muti mentre io vomito addosso tutto il mio odio il mio rancore il mio disprezzo il mio schifo!!! Michela - 50! 50! Non riesco a crederci... Non hai studiato un nientissimo tutto l’anno e ti hanno dato 50! Ludovico - Dài, mezzasega... Di’ la verità, dove l’hai copiato quel discorso? Oh... Sembrava un film di Spike Lee. Davide - Muti mentre io vomito addosso tutto il mio odio il mio rancore il mio disprezzo il mio schifo! 4