CELLULA Nel 1665, il fisico inglese Hooke, osservando con il microscopio che egli stesso aveva costruito alcune strisce di sughero, notò che esse erano costituite da piccoli oggetti a forma di scatola; egli chiamò cellule questi elementi (dal latino, cellula = ‘piccola stanza’). Ciò che egli vide erano, in realtà, pareti cellulari vegetali morte. Né lui né gli scienziati suoi contemporanei si resero però conto dell'importanza di questa scoperta. Solo 170 anni dopo, il naturalista francese Dujardin notò che all'interno delle cellule vi è un "riempimento fluido vivo", chiamato citoplasma. Egli capì inoltre che le cellule stesse erano degli esseri viventi autonomi. Erano in grado cioè di funzionare da sole come organismi unicellulari o di unirsi a formare esseri viventi pluricellulari. Nel 1838, i biologi tedeschi Schleiden e Schwann, in seguito a una lunga serie di osservazioni sperimentali, proposero la teoria cellulare della vita secondo la quale: • • • tutti gli organismi viventi sono costituiti da una o più cellule; la cellula è la più piccola unità di materia vivente in cui è organizzato un organismo vivente; tutte le cellule derivano da altre cellule (questa terza generalizzazione è stata formulata, alcuni anni dopo, dal fisiologo Rudolf Virchow). Pertanto, se per conoscere la materia non si può fare a meno di studiare l'atomo, per conoscere gli esseri viventi occorre studire la cellula, che è la più piccola forma di vita che mantiene esattamente tutte le caratteristiche degli esseri viventi. Avendo un diametro di pochi micron (millesimo di millimetro, µm = 10-3mm), la maggior parte delle cellule non è visibile ad occhio nudo. Osservandole però al microscopio scopriamo che esse hanno un'organizzazione interna assai complessa. In genere la cellula è composta da tre parti fondamentali: • • • la membrana, un involucro fluido in cui è contenuta la cellula e che la separa dalle altre o dall'ambiente circostante, regolando anche l'ingresso e l'uscita di materiali; il citoplasma, sostanza gelatinosa, ricca di acqua, sali minerali e sostanze organiche, nella quale si compie gran parte delle funzioni cellulari. Queste funzioni, nelle cellule meglio organizzate ed evolute, sono affidate a speciali categorie di organuli; il nucleo, struttura più o meno sferica racchiusa da un involucro poroso detto membrana nucleare. All'interno del nucleo si trovano il DNA nel quale sono immagazzinate tutte le informazioni necessarie per la regolazione delle attività cellulari e per la determinazione delle caratteristiche di ogni singola cellula e le proteine solitamente presenti in coppie, in un numero variabile e caratteristico di ciascuna specie. Nucleo cellulare Il nucleo, che solo nelle cellule eucariote esiste come struttura ben definita in quanto delimitata da una membrana propria, contiene il patrimonio genetico dell'organismo sotto forma di molecole di DNA. Il doppio strato della membrana separa il nucleoplasma dal citoplasma, consentendo gli scambi solo attraverso appositi pori. Non tutte le cellule però posseggono tutti e tre gli elementi sopra descritti. In particolare, le cellule procariote sono fornite di membrana e citoplasma ma sono sprovviste di nucleo, mentre le cellule eucariote presentano tutte e tre le parti fondamentali. Gli organismi unicellulari con le cellule procariote vengono detti Procarioti, mentre gli organismi unicellulari o pluricellulari con le cellule eucariote vengono detti Eucarioti. La crescita, lo sviluppo e la riproduzione sono processi svolti dalle cellule. Possiamo dire che tutti gli organismi derivano da altri organismi perché tutte le cellule derivano da altre cellule. La divisione cellulare è alla base di tutti questi processi e, come indica la parola, consiste nella divisione di una cellula madre in due cellule figlie. Essa può avvenire con la mitosi e la meiosi. PROCARIOTI ED EUCARIOTI Le cellule, in base alla loro organizzazione interna, possono essere distinte in due grandi categorie: le cellule procariote (per esempio, i batteri) e le cellule eucariote (quelle che formano il corpo delle piante, degli animali e dell'uomo). La maggiore differenza tra le cellule di questi due gruppi di organismi sta nel fatto che i procarioti presentano il materiale genetico libero nel citoplasma, mentre negli eucarioti esso si trova segregato all’interno di un nucleo circondato da membrana. Questa differenza strutturale comporta anche piccole variazioni nei processi di trascrizione e traduzione descritti. Negli eucarioti, infatti, la trascrizione del DNA in mRNA avviene nel nucleo; poi le molecole di mRNA vengono traslocate nel citoplasma, dove ha luogo la sintesi delle proteine. Le cellule procariote, oltre ad essere normalmente assai più piccole di quelle eucariote (con un diametro generalmente compreso fra 1 e 5 µm), hanno una struttura interna alquanto semplice. Il loro DNA si trova concentrato in una regione del citoplasma, senza essere delimitato da alcuna membrana. Sono prive di organuli, a eccezione dei ribosomi, preposti alla sintesi delle proteine. Le funzioni cellulari sono comunque effettuate da complessi enzimatici analoghi a quelli delle cellule eucariote. Struttura dei cianobatteri (o alghe azzurre) Le cellule dei procarioti (tra cui i batteri) mancano di molte delle strutture interne tipiche di quelle degli organismi eucarioti. Pur essendo dotate di membrana plasmatica ed eventuale parete cellulare, sono prive di membrana nucleare; la molecola di DNA circolare si trova, pertanto, libera nel citoplasma. Sono pure assenti i mitocondri, il reticolo endoplasmatico, i cloroplasti e l’apparato di Golgi. Benché generalmente non vi siano strutture interne limitate da membrane, nei cianobatteri (qui illustrati) si trovano invece numerose strutture membranose, chiamate tilacoidi, contenenti clorofilla e altri pigmenti fotosintetici necessari a catturare l’energia solare per la sintesi degli zuccheri. Le cellule eucariote presentano un'organizzazione più complessa e sono molto più grandi (solitamente il loro asse maggiore è compreso fra i 10 e i 50 µm). Le cellule eucariote si distinguono nettamente da quelle procariote per la presenza di organuli cellulari, cioè di corpuscoli ben differenziati e provvisti di una loro membrana di separazione dal citoplasma. Gli organuli hanno la funzione di separare fisicamente complessi di reazioni specifiche, in modo che esse si svolgano indipendentemente le une dalle altre. Ciò conferisce alle cellule eucariote la possibilità di svolgere, contemporaneamente, più funzioni, anche se incompatibili tra di loro. Cellula eucariota Tutti gli organismi sono costituiti da una o più unità fondamentali dette cellule. Negli eucarioti ossia protisti, animali, piante e funghi - la cellula è caratterizzata da un nucleo, in cui è racchiuso il patrimonio genetico, e da organuli membranosi deputati allo svolgimento di specifiche funzioni. Queste strutture sono protette dalla massa gelatinosa del citoplasma e da un involucro detto membrana plasmatica. Dunque, le cellule eucariote sono suddivise in zone funzionali in cui possono avvenire contemporaneamente reazioni metaboliche che richiedono differenti condizioni; per tale proprietà, definita compartimentazione, risulta più efficiente delle cellule dei procarioti (batteri e alghe azzurre), prive di organuli (possiedono solo ribosomi) e di nucleo. Rispetto al modello cellulare qui illustrato, tra gli eucarioti si possono riscontrare diversità nel numero e nell'effettiva presenza di tutti gli organuli: ad esempio, molte cellule fungine, così come le fibre muscolari umane, possiedono numerosi nuclei; cellule dotate di mobilità, come molti protisti e gameti, sono dotate di flagelli e ciglia; le cellule vegetali, inoltre, possiedono alcune strutture caratteristiche (parete, cloroplasti e vacuoli). MITOSI La mitosi è un processo legato alla divisione cellulare. Attraverso la mitosi una cellula si divide in due cellule figlie che risultano geneticamente e morfologicamente identiche tra loro e alla cellula madre. La mitosi è preceduta dalla interfase durante la quale si ha la duplicazione del DNA e dei cromosomi che da 2n divengono quindi 4n. La duplicazione avviene a metà dell'interfase, nel corso della cosiddetta fase S. La fase S è preceduta dalla fase G1, in cui la cellula si accresce e si prepara alla sintesi del DNA, ed è seguita dalla fase G2, durante la quale la cellula continua ad accrescersi e si prepara ad entrare in mitosi. L'insieme dei fenomeni che avvengono durante la divisione cellulare prende il nome di ciclo cellulare. Esso dura dalle 10 alle 24 ore circa a seconda degli organismi. Fasi della mitosi Il processo di mitosi consiste nella suddivisione di una cellula in due cellule figlie geneticamente e morfologicamente identiche tra loro e alla cellula originaria. Nel corso del ciclo cellulare, la mitosi si alterna all'interfase, periodo in cui la cellula compie le reazioni metaboliche che ne permettono il mantenimento; avviene successivamente allo stadio S (in cui si verifica la duplicazione del DNA). L'immagine schematizza le 4 fasi della divisione cellulare; è di facile intuizione la forte somiglianza tra lo schema della metafase e l'immagine rappresentata in foto, dove appare una cellula durante la divisione cellulare. Allo stadio S seguono le quattro fasi tipiche della mitosi. Occorre precisare che nelle alghe e nei funghi non si verifica la disgregazione della membrana nucleare che, invece, si riscontra nelle piante e negli animali; nel primo caso si parla di "mitosi chiusa", nel secondo di "mitosi aperta". • • • • PROFASE : I filamenti di DNA si organizzano in strutture dall’aspetto di bastoncelli, i cromosomi. Ogni cromosoma possiede una strozzatura, che viene detta centromero. La duplicazione del DNA è già avvenuta. Nella tarda profase (prometafase) il nucleolo scompare. METAFASE : La membrana nucleare gradualmente scompare e i cromosomi restano liberi nel citoplasma, mentre i centrioli si sdoppiano e migrano in direzione opposta, formando un fascio di fibre che assume la forma di un "fuso", il cosiddetto fuso mitotico. Le coppie di cromatidi si muovono su un piano immaginario che taglia a metà la cellula detto piano equatoriale. In questa fase i cromosomi raggiungono il massimo grado di visibilità al microscopio, a causa della loro forte spiralizzazione. Ciò ne facilita l'osservazione. ANAFASE : Nell’anafase i due cromatidi di ciascun cromosoma si separano e si spostano uno verso un polo della cellula e l’altro verso il polo opposto. In questo modo ciascuna metà cellula riceve un uguale numero di cromatidi. TELOFASE : Ciascun gruppo di cromatidi viene circondato da una nuova membrana nucleare, quindi i cromatidi cominciano a decondensarsi e a formare i due nuclei figli. In ciascuna cellula figlia compare anche il nucleolo. Alla fine di questa fase ciascuna cellula figlia avrà una copia di ciascun cromosoma e, quindi, un patrimonio cromosomico completo. Alla fine del ciclo cellulare si ha la separazione delle cellule figlie per mezzo del processo chiamato citodieresi. In genere, questo stadio segue le quattro fasi della mitosi; se essa non avviene, dopo successive mitosi si forma una cellula plurinucleata. Nelle cellule animali la separazione avviene per strozzatura delle cellule madri; nelle piante, mediante frapposizione di un setto di separazione. Mitosi come modalità di riproduzione Riproduzione di un batterio Una volta raggiunta una dimensione opportuna, ogni batterio si divide in due cellule identiche, di massa pari a circa la metà di quella originaria. A loro volta, le due cellule figlie si accrescono fino a dividersi ulteriormente. Un batterio si può riprodurre ogni venti minuti circa, proliferando in colonie abbastanza grandi da essere visibili a occhio nudo. In molti organismi pluricellulari e negli unicellulari, la mitosi rappresenta anche una strategia riproduttiva. Infatti, sistemi di riproduzione asessuata, come la scissione, operata da molti microrganismi, la gemmazione (o divisione ineguale), presente in protozoi che vivono fissi al substrato (come molti peritrichi e suttori, appartenenti ai ciliati), la strobilazione delle meduse, la rigenerazione, si basano su processi mitotici. Per mitosi si formano anche particolari tipi di spore, dette mitospore, cioè cellule che rappresentano forme di resistenza della specie, dalle quali può svilupparsi un nuovo individuo solo quando le condizioni ambientali sono favorevoli. MEIOSI La meiosi è un processo caratteristico delle cellule eucariote, essa riguarda unicamente la produzione delle cellule sessuali o gameti degli organismi pluricellulari. Con la meiosi, attraverso un processo piuttosto complesso, una singola cellula diploide, dopo aver replicato una sola volta il suo DNA, da origine a quattro cellule figlie, i gameti appunto, dotate di un patrimonio dimezzato di cromosomi e dette perciò aploidi. La meiosi si differenzia dall'altro processo di divisione cellulare, la mitosi, nella quale si formano due cellule figlie aventi lo stesso patrimonio genetico della cellula madre. Spermatogenesi e ovogenesi La produzione dei gameti avviene, nelle specie con riproduzione sessuale, attraverso un processo detto gametogenesi. Si parla più propriamente di spermatogenesi e di ovogenesi per indicare il processo di formazione degli spermatozoi e delle cellule uovo. Mediante la meiosi si ottengono, a partire da una cellula madre (spermatogonio e oogonio) diploide, quattro cellule aploidi. In realtà, mentre nel maschio si formano quattro spermatociti, nella femmina si ottiene un ovocita e tre globuli polari, destinati a degenerare. Spermatociti e ovociti, quindi, subiscono un processo di maturazione che rende queste cellule atte a svolgere la propria funzione riproduttiva. Fasi della meiosi La meiosi avviene secondo due fasi principali, dette rispettivamente prima e seconda divisione meiotica, o meiosi I e meiosi II. PRIMA DIVISIONE MEIOTICA In sintesi, nella prima divisione meiotica si evidenziano i cromosomi, ciascuno costituito da due cromatidi. Questi cromosomi (metà di origine paterna e metà di origine materna), dopo aver subito alcuni processi durante la profase (in particolare il crossing-over, di cui parleremo successivamente), si portano al piano equatoriale della cellula. Qui, senza dividersi nei due cromatidi, si attaccano alle fibre del fuso per migrare verso i due poli in modo tale che, di ogni coppia di cromosomi omologhi, una si dirige verso un polo e l'altra al polo opposto. A conclusione della prima divisione meiotica, si hanno così due cellule, ciascuna con la metà esatta dei cromosomi omologhi. • PROFASE I : La cromatina visibile nel nucleo cellulare, che rappresenta la massa del DNA quando la cellula svolge le sue normali attività metaboliche, si condensa, in modo che si formano strutture bastoncellari, i cromosomi. Ciascun cromosoma appare a forma di X, poiché è formato da due cromatidi fratelli, uniti in un punto detto centromero. I cromatidi derivano da un processo di duplicazione del DNA; pertanto, ciascuno è geneticamente identico all’altro. In questa fase, una volta che i due cromosomi omologhi sono uniti tra di loro, possono avvenire scambi incrociati di parti più o meno lunghe di cromatidi omologhi (fenomeno di crossing-over). La membrana che avvolge il nucleo si disgrega. Si forma un fascio di microtubuli proteici, che si estende da un polo all’altro della cellula e le cui due estremità fanno capo a due coppie di organuli, detti centrioli. • • • METAFASE I : Le tetradi omologhe si dispongono simmetricamente lundo una linea immaginaria, trasversale rispetto al fuso. In tal modo, ognuna è rivolta verso uno dei due poli della cellula. ANAFASE I : Le fibre del fuso prendono contatto con i centromeri; ciascuna tetrade migra verso un polo della cellula. TELOFASE I : Ai due poli della cellula madre si formano due agglomerati di cromosomi aploidi, in cui è presente un solo cromosoma per ciascun tipo. I cromosomi sono ancora allo stadio della tetrade. Il citoplasma delle due cellule si ripartisce e avviene la citodieresi, ossia la vera e propria divisione della cellula originaria in due cellule figlie distinte (in alcuni casi, la ripartizione può essere incompleta). Le fibre del fuso si disgregano; i cromosomi si despiralizzano. SECONDA DIVISIONE MEIOTICA La seconda divisione meiotica non è preceduta da alcuna duplicazione del DNA. I cromosomi, costituiti da due cromatidi, si portano all'equatore e si attaccano alle fibre del fuso; i due cromatidi di ciascun cromosoma si separano migrando ai poli. Si formano così quattro cellule, ciascuna con un corredo aploide di cromosomi e con un diverso assortimento dei cromosomi di origine materna e paterna. Durante questa separazione vi è una distribuzione indipendente dei cromosomi paterni e materni per cui, alla fine, vi sarà un diverso assortimento dei cromosomi nelle quattro cellule figlie. • • • • PROFASE II : La cromatina si condensa nuovamente, in modo che si possono osservare i cromosomi, formati da due cromatidi uniti dal centromero. Si forma nuovamente il fuso di microtubuli. METAFASE II : I cromosomi si dispongono su una linea equatoriale, trasversale rispetto alle fibre del fuso, in modo che ciascun cromatidio sia rivolto verso uno dei due poli della cellula. I centromeri prendono contatto con le fibre. ANAFASE II : I cromatidi migrano ciascuno verso un polo della cellula, spostandosi verso le fibre del fuso. In tal modo, ciascun cromatidio diviene un nuovo cromosoma. TELOFASE II : Ai poli della cellula, si formano due aggregati di cromosomi, le fibre del fuso si disgregano, i cromosomi cominciano a decondensarsi, e si forma infine una membrana nucleare. Il citoplasma della cellula si divide in due, cosi da portare alla formazione di due cellule figlie aploidi. Da un punto di vista genetico, la meiosi assume una grande importanza perché rappresenta il modo in cui possono formarsi nuove combinazioni di geni e, quindi, rende possibile la variabilità genetica tra individui della stessa specie. Infatti, già con il crossing-over, ovvero con lo scambio di porzioni di DNA tra cromatidi di due cromosomi omologhi, al momento della profase I, avviene una prima modificazione dell’ assortimento di geni rispetto a quello della cellula madre. Inoltre, occorre considerare che la divisione dei due cromosomi omologhi durante la fase di anafase I avviene in modo casuale: ciò significa che non è prestabilito il polo della cellula verso cui migrerà ciascun cromosoma. Dunque, a partire da una cellula madre, si formano con la prima divisione meiotica due cellule aploidi che sono geneticamente differenti tra loro e diverse da qualsiasi altra coppia di cellule che derivano dalla stessa cellula madre. La variabilità genetica, assicurata anche dai meccanismi di mutazione spontanea, assume un ruolo essenziale nei processi evolutivi, secondo il concetto di selezione naturale. I CARATTERI EREDITARI E LA LORO TRASMISSIONE Alla base dell'idea che ognuno di noi ha della trasmissione ereditaria dei caratteri vi sono due concetti abbastanza ovvi: il primo si può sintetizzare con l'osservazione che simile produce simile, cioè che i gatti nascono da altri gatti, le rose da altre rose, gli esseri umani da altri esseri umani; il secondo si può sintetizzare invece nell'espressione che i figli rassomigliano ai genitori. Questi due concetti sono stati presenti nell'uomo fin dall'alba dei tempi ma nonostante queste importanti intuizioni, la spiegazione scientifica dei meccanismi che governano la trasmissione dei caratteri ereditari è una conquista relativamente recente così come il ramo delle scienze biologiche che se ne occupa: la genetica. La nascita di tale scienza può collocarsi intorno al 1860 ed è indissolubilmente legata all'opera del monaco boemo Gregorio Mendel (1822-1884). Abate del monastero agostiniano di Brno e insegnante, presso il Collegio reale della medesima città, di fisica e scienze naturali, Mendel si dedicava a esperimenti di ibridazione con le piante coltivate nel giardino del monastero. Dalle osservazioni che gli provenivano da questa attività, nacque in lui la curiosità di capire come i caratteri ereditari si trasmettessero da una generazione all'altra. Per affrontare questo problema egli adottò dei criteri incredibilmente geniali e apparentemente semplici, che per quel tempo erano non solo fortemente innovativi ma andavano contro le concezioni correnti sulla trasmissione ereditaria dei caratteri. Infatti vi era allora la convinzione che i caratteri di un individuo fossero il risultato di una semplice mescolanza di quelli dei due genitori. Nell'arco di venti anni condusse numerosi esperimenti sulla trasmissione dei caratteri su vari tipi di piante, in particolare sul pisello, nel quale era possibile realizzare sia la fecondazione incrociata sia l'autofecondazione. Per capire meglio i risultati ottenuti da Mendel analizziamo assieme i suoi esperimenti. Egli provò ad incrociare, cioè a far riprodurre sessualmente in condizioni controllate, due razze di piselli puri, una che dava solo semi gialli, una solo verdi; ottenne così una prima generazione, detta F1, di piante che avevano tutte i semi gialli. Il colore verde sembrava definitivamente scomparso. Facendo però incrociare questi individui di prima generazione tra di loro, ricavò una seconda generazione, detta F2, composta per 3/4 di piselli con semi gialli e per 1/4 di piselli con semi verdi. Questo esperimento mise in evidenza che non tutti i caratteri presenti nei genitori sono evidenti nelle successive generazioni di discendenti. Per spiegare questo fatto Mendel ipotizzò che ogni carattere sia controllato da due fattori che possono essere dotati di "forza diversa" uno dei quali, detto dominante, è in grado di impedire all'altro, detto recessivo, di manifestarsi. Mendel formulò così la sua prima legge o legge della dominanza. Inoltre osservò che i due fattori si trasmettono indipendentemente l'uno dall'altro (seconda legge o legge della segregazione indipendente) determinando tre combinazioni diverse dei due fattori: dominante-dominante, recessivo-recessivo, dominante-recessivo. Le prime due combinazioni daranno origine ad individui omozigoti, cioè puri per il colore giallo o verde. La terza combinazione invece darà individui eterozigoti (o ibridi), cioè impuri, ma gialli secondo il principio della dominanza. Poiché gli eterozigoti manifestano il carattere dominante come gli omozigoti, è necessario distinguere il loro aspetto esterno, cioè il loro fenotipo, dalla costituzione genetica, cioè il loro genotipo: fenotipi simili possono infatti derivare da genotipi diversi. Se incrociamo organismi che differiscono per due coppie di caratteri si vede che questi ultimi si presentano nei discendenti secondo tutte le loro combinazioni possibili. Così, incrociando tra loro piselli a seme giallo e liscio con con piselli a seme verde e grinzoso, Mendel ottenne in F1 tutte piante con semi che presentavano i due caratteri dominanti (giallo e liscio), alla F2 quattro categorie di individui che presentavano le quattro combinazioni possibili, cioè le due introdotte nell'incrocio e le due nuove: giallo liscio, giallo-grinzoso, verde-liscio, verde-grinzoso. Questo fatto suggerì a Mendel la legge dell'indipendenza dei caratteri, detta anche terza legge di Mendel, secondo la quale ogni coppia di fattori si comporta indipendentemente dalle altre, per cui la trasmissione di ciascun carattere segue un suo percorso autonomo. Grazie ai suoi esperimenti Mendel era riuscito a svelare i meccanismi che regolavano la trasmissione ereditaria dei caratteri, confermando che solo quelli acquisiti già alla nascita vengono trasmessi alla discendenza. Oggi si sa che i fattori di Mendel sono i geni, piccoli segmenti di DNA ognuno dei quali esprime un carattere ereditario secondo un linguaggio chimico detto codice genetico. Le coppie di geni, detti alleli che, proprio come i fattori di Mendel, codificano per uno stesso carattere, sono localizzati sui due cromosomi di una stessa coppia. In questo modo si spiega la segregazione dei caratteri: gli alleli, trovandosi su cromosomi diversi, vengono separati al momento della meiosi e trasmessi indipendentemente l'uno dall'altro. Gli esperimenti con cui Mendel mostrava la natura ben distinta dei geni furono pubblicati nel 1865, ma per un lungo periodo vennero pressoché ignorati dalla comunità scientifica. Tuttavia, agli inizi del Novecento, il lavoro di Mendel venne riscoperto e rivalutato. Negli ultimi anni del secolo precedente erano stati fatti importantissimi progressi da parte dei citologi (cioè gli studiosi delle cellule) che avevano scoperto i cromosomi e il loro modo di comportarsi nel corso della mitosi, della meiosi e della fecondazione. Ciò aveva riacceso un grande interesse per lo studio della trasmissione dei caratteri ereditari. Nel 1902 venne così proposta la teoria cromosomica dell'ereditarietà che, prendendo a base il comportamento dei cromosomi - cioè il fatto che essi vanno incontro a segregazione e assortimento indipendente - correlava cromosomi e geni , cioè i fattori mendeliani responsabili della trasmissione dei caratteri ereditari, secondo regole precise. Dopo una intensa sperimentazione, nel 1910 Thomas Hunt Morgan dimostrò la localizzazione di un gene su uno specifico cromosoma. A questa prima dimostrazione fecero seguito numerose ricerche che confermavano la correttezza della teoria cromosomica che stabiliva che i geni si trovano nei cromosomi. La scoperta di nuovi geni portò alla conclusione che, essendo il loro numero assai superiore a quello dei cromosomi, ciascun cromosoma portava più geni. Fu inoltre dimostrato che i geni non sono disposti a caso nei cromosomi, ma sono ordinatamente distribuiti in modo lineare. Dagli esperimenti di Mendel risultava che i caratteri segregano indipendentemente. Ciò appare confermato nel caso in cui i geni si trovano su cromosomi diversi. Quando invece si trovano sullo stesso cromosoma, può verificarsi il fenomeno dell'associazione, cioè la mancanza di una completa segregazione. L'uomo, come la maggior parte degli animali e alcune specie di piante, presenta individui di sesso diverso, distinti in maschi e femmine. Questa differenza è determinata geneticamente da specifici cromosomi chiamati cromosomi sessuali. Nella maggior parte delle specie sono due, diversi tra di loro. Nella specie umana i due cromosomi vengono indicati con le sigle X e Y. La femmina ha un patrimonio XX mentre il maschio ha un patrimonio XY. I maschi sono il sesso eterogametico, in quanto producono spermatozoi contenenti per metà il cromosoma X e per metà il cromosoma Y. Le femmine, al contrario, sono il sesso omogametico in quanto tutte le uova hanno solo il cromosoma X. Al momento della fecondazione e della formazione dello zigote sarà il sesso eterogametico che determinerà il sesso del nuovo individuo. Pertanto nella specie umana è il padre che determina il sesso del nascituro. Come si è già detto ogni specie è caratterizzata da un preciso patrimonio cromosomico. Esso può essere rappresentato in modo sintetico dal suo cariotipo, che rappresenta numero e morfologia dei cromosomi. Esistono però vari fattori, tra cui possibili alterazioni del normale andamento della meiosi o della mitosi oppure una varietà di agenti fisici e chimici, che possono determinare delle anomalie nelle caratteristiche dei cromosomi. Queste alterazioni sono dette mutazioni cromosomiche. Oltre alle mutazioni cromosomiche, vi possono essere anche delle mutazioni geniche o delle mutazioni genomiche. Le mutazioni cromosomiche riguardano le sequenze di geni all'interno di singoli cromosomi, le mutazioni geniche comportano alterazioni puntiformi al livello del DNA, e le mutazioni genomiche riguardano un aumento o una diminuzione del numero dei cromosomi tipici di una determinata specie. Tutti i tipi di mutazione hanno conseguenze notevoli che si manifestano con modificazioni significative del fenotipo.