CELLULA
Nel 1665, il fisico inglese Hooke, osservando con il microscopio che egli stesso
aveva costruito alcune strisce di sughero, notò che esse erano costituite da piccoli
oggetti a forma di scatola; egli chiamò cellule questi elementi (dal latino, cellula =
‘piccola stanza’). Ciò che egli vide erano, in realtà, pareti cellulari vegetali morte. Né
lui né gli scienziati suoi contemporanei si resero però conto dell'importanza di questa
scoperta.
Solo 170 anni dopo, il naturalista francese Dujardin notò che all'interno delle cellule
vi è un "riempimento fluido vivo", chiamato citoplasma. Egli capì inoltre che le
cellule stesse erano degli esseri viventi autonomi. Erano in grado cioè di funzionare
da sole come organismi unicellulari o di unirsi a formare esseri viventi pluricellulari.
Nel 1838, i biologi tedeschi Schleiden e Schwann, in seguito a una lunga serie di
osservazioni sperimentali, proposero la teoria cellulare della vita secondo la quale:
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tutti gli organismi viventi sono costituiti da una o più cellule;
la cellula è la più piccola unità di materia vivente in cui è organizzato un
organismo vivente;
tutte le cellule derivano da altre cellule (questa terza generalizzazione è stata
formulata, alcuni anni dopo, dal fisiologo Rudolf Virchow).
Pertanto, se per conoscere la materia non si può fare a meno di studiare l'atomo, per
conoscere gli esseri viventi occorre studire la cellula, che è la più piccola forma di
vita che mantiene esattamente tutte le caratteristiche degli esseri viventi.
Avendo un diametro di pochi micron (millesimo di millimetro, µm = 10-3mm), la
maggior parte delle cellule non è visibile ad occhio nudo.
Osservandole però al microscopio scopriamo che esse hanno un'organizzazione
interna assai complessa.
In genere la cellula è composta da tre parti fondamentali:
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la membrana, un involucro fluido in cui è contenuta la cellula e che la separa
dalle altre o dall'ambiente circostante, regolando anche l'ingresso e l'uscita di
materiali;
il citoplasma, sostanza gelatinosa, ricca di acqua, sali minerali e sostanze
organiche, nella quale si compie gran parte delle funzioni cellulari. Queste
funzioni, nelle cellule meglio organizzate ed evolute, sono affidate a speciali
categorie di organuli;
il nucleo, struttura più o meno sferica racchiusa da un involucro poroso detto
membrana nucleare. All'interno del nucleo si trovano il DNA nel quale sono
immagazzinate tutte le informazioni necessarie per la regolazione delle attività
cellulari e per la determinazione delle caratteristiche di ogni singola cellula e le
proteine solitamente presenti in coppie, in un numero variabile e caratteristico
di ciascuna specie.
Nucleo cellulare
Il nucleo, che solo nelle cellule eucariote esiste
come struttura ben definita in quanto delimitata da
una membrana propria, contiene il patrimonio
genetico dell'organismo sotto forma di molecole di
DNA. Il doppio strato della membrana separa il
nucleoplasma dal citoplasma, consentendo gli
scambi solo attraverso appositi pori.
Non tutte le cellule però posseggono tutti e tre gli elementi sopra descritti. In
particolare, le cellule procariote sono fornite di membrana e citoplasma ma sono
sprovviste di nucleo, mentre le cellule eucariote presentano tutte e tre le parti
fondamentali.
Gli organismi unicellulari con le cellule procariote vengono detti Procarioti, mentre
gli organismi unicellulari o pluricellulari con le cellule eucariote vengono detti
Eucarioti.
La crescita, lo sviluppo e la riproduzione sono processi svolti dalle cellule. Possiamo
dire che tutti gli organismi derivano da altri organismi perché tutte le cellule derivano
da altre cellule.
La divisione cellulare è alla base di tutti questi processi e, come indica la parola,
consiste nella divisione di una cellula madre in due cellule figlie. Essa può avvenire
con la mitosi e la meiosi.
PROCARIOTI ED EUCARIOTI
Le cellule, in base alla loro organizzazione interna, possono essere distinte in due
grandi categorie: le cellule procariote (per esempio, i batteri) e le cellule eucariote
(quelle che formano il corpo delle piante, degli animali e dell'uomo). La maggiore
differenza tra le cellule di questi due gruppi di organismi sta nel fatto che i procarioti
presentano il materiale genetico libero nel citoplasma, mentre negli eucarioti esso si
trova segregato all’interno di un nucleo circondato da membrana. Questa differenza
strutturale comporta anche piccole variazioni nei processi di trascrizione e traduzione
descritti. Negli eucarioti, infatti, la trascrizione del DNA in mRNA avviene nel
nucleo; poi le molecole di mRNA vengono traslocate nel citoplasma, dove ha luogo
la sintesi delle proteine.
Le cellule procariote, oltre ad essere normalmente assai più piccole di quelle
eucariote (con un diametro generalmente compreso fra 1 e 5 µm), hanno una struttura
interna alquanto semplice. Il loro DNA si trova concentrato in una regione del
citoplasma, senza essere delimitato da alcuna membrana. Sono prive di organuli, a
eccezione dei ribosomi, preposti alla sintesi delle proteine. Le funzioni cellulari sono
comunque effettuate da complessi enzimatici analoghi a quelli delle cellule eucariote.
Struttura dei cianobatteri (o alghe azzurre)
Le cellule dei procarioti (tra cui i batteri) mancano di molte delle strutture interne tipiche di quelle
degli organismi eucarioti. Pur essendo dotate di membrana plasmatica ed eventuale parete cellulare,
sono prive di membrana nucleare; la molecola di DNA circolare si trova, pertanto, libera nel
citoplasma. Sono pure assenti i mitocondri, il reticolo endoplasmatico, i cloroplasti e l’apparato di
Golgi. Benché generalmente non vi siano strutture interne limitate da membrane, nei cianobatteri
(qui illustrati) si trovano invece numerose strutture membranose, chiamate tilacoidi, contenenti
clorofilla e altri pigmenti fotosintetici necessari a catturare l’energia solare per la sintesi degli
zuccheri.
Le cellule eucariote presentano un'organizzazione più complessa e sono molto più
grandi (solitamente il loro asse maggiore è compreso fra i 10 e i 50 µm). Le cellule
eucariote si distinguono nettamente da quelle procariote per la presenza di organuli
cellulari, cioè di corpuscoli ben differenziati e provvisti di una loro membrana di
separazione dal citoplasma. Gli organuli hanno la funzione di separare fisicamente
complessi di reazioni specifiche, in modo che esse si svolgano indipendentemente le
une dalle altre. Ciò conferisce alle cellule eucariote la possibilità di svolgere,
contemporaneamente, più funzioni, anche se incompatibili tra di loro.
Cellula eucariota
Tutti gli organismi sono costituiti da una o più unità fondamentali dette cellule. Negli eucarioti ossia protisti, animali, piante e funghi - la cellula è caratterizzata da un nucleo, in cui è racchiuso il
patrimonio genetico, e da organuli membranosi deputati allo svolgimento di specifiche funzioni.
Queste strutture sono protette dalla massa gelatinosa del citoplasma e da un involucro detto
membrana plasmatica. Dunque, le cellule eucariote sono suddivise in zone funzionali in cui possono
avvenire contemporaneamente reazioni metaboliche che richiedono differenti condizioni; per tale
proprietà, definita compartimentazione, risulta più efficiente delle cellule dei procarioti (batteri e
alghe azzurre), prive di organuli (possiedono solo ribosomi) e di nucleo. Rispetto al modello
cellulare qui illustrato, tra gli eucarioti si possono riscontrare diversità nel numero e nell'effettiva
presenza di tutti gli organuli: ad esempio, molte cellule fungine, così come le fibre muscolari
umane, possiedono numerosi nuclei; cellule dotate di mobilità, come molti protisti e gameti, sono
dotate di flagelli e ciglia; le cellule vegetali, inoltre, possiedono alcune strutture caratteristiche
(parete, cloroplasti e vacuoli).
MITOSI
La mitosi è un processo legato alla divisione cellulare. Attraverso la mitosi una
cellula si divide in due cellule figlie che risultano geneticamente e morfologicamente
identiche tra loro e alla cellula madre. La mitosi è preceduta dalla interfase durante la
quale si ha la duplicazione del DNA e dei cromosomi che da 2n divengono quindi
4n. La duplicazione avviene a metà dell'interfase, nel corso della cosiddetta fase S. La
fase S è preceduta dalla fase G1, in cui la cellula si accresce e si prepara alla sintesi
del DNA, ed è seguita dalla fase G2, durante la quale la cellula continua ad
accrescersi e si prepara ad entrare in mitosi. L'insieme dei fenomeni che avvengono
durante la divisione cellulare prende il nome di ciclo cellulare. Esso dura dalle 10
alle 24 ore circa a seconda degli organismi.
Fasi della mitosi
Il processo di mitosi consiste nella suddivisione di una
cellula in due cellule figlie geneticamente e
morfologicamente identiche tra loro e alla cellula originaria.
Nel corso del ciclo cellulare, la mitosi si alterna all'interfase,
periodo in cui la cellula compie le reazioni metaboliche che
ne permettono il mantenimento; avviene successivamente
allo stadio S (in cui si verifica la duplicazione del DNA).
L'immagine schematizza le 4 fasi della divisione cellulare; è
di facile intuizione la forte somiglianza tra lo schema della
metafase e l'immagine rappresentata in foto, dove appare
una cellula durante la divisione cellulare.
Allo stadio S seguono le quattro fasi tipiche della mitosi. Occorre precisare che nelle
alghe e nei funghi non si verifica la disgregazione della membrana nucleare che,
invece, si riscontra nelle piante e negli animali; nel primo caso si parla di "mitosi
chiusa", nel secondo di "mitosi aperta".
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PROFASE : I filamenti di DNA si organizzano in strutture dall’aspetto di
bastoncelli, i cromosomi. Ogni cromosoma possiede una strozzatura, che viene
detta centromero. La duplicazione del DNA è già avvenuta. Nella tarda profase
(prometafase) il nucleolo scompare.
METAFASE : La membrana nucleare gradualmente scompare e i cromosomi
restano liberi nel citoplasma, mentre i centrioli si sdoppiano e migrano in
direzione opposta, formando un fascio di fibre che assume la forma di un
"fuso",
il
cosiddetto
fuso
mitotico.
Le coppie di cromatidi si muovono su un piano immaginario che taglia a metà
la cellula detto piano equatoriale. In questa fase i cromosomi raggiungono il
massimo grado di visibilità al microscopio, a causa della loro forte
spiralizzazione. Ciò ne facilita l'osservazione.
ANAFASE : Nell’anafase i due cromatidi di ciascun cromosoma si separano e
si spostano uno verso un polo della cellula e l’altro verso il polo opposto. In
questo modo ciascuna metà cellula riceve un uguale numero di cromatidi.
TELOFASE : Ciascun gruppo di cromatidi viene circondato da una nuova
membrana nucleare, quindi i cromatidi cominciano a decondensarsi e a formare
i due nuclei figli. In ciascuna cellula figlia compare anche il nucleolo. Alla fine
di questa fase ciascuna cellula figlia avrà una copia di ciascun cromosoma e,
quindi, un patrimonio cromosomico completo.
Alla fine del ciclo cellulare si ha la separazione delle cellule figlie per mezzo del
processo chiamato citodieresi. In genere, questo stadio segue le quattro fasi della
mitosi; se essa non avviene, dopo successive mitosi si forma una cellula
plurinucleata. Nelle cellule animali la separazione avviene per strozzatura delle
cellule madri; nelle piante, mediante frapposizione di un setto di separazione.
Mitosi come modalità di riproduzione
Riproduzione di un batterio
Una volta raggiunta una dimensione opportuna, ogni batterio si divide in due cellule identiche, di
massa pari a circa la metà di quella originaria. A loro volta, le due cellule figlie si accrescono fino a
dividersi ulteriormente. Un batterio si può riprodurre ogni venti minuti circa, proliferando in colonie
abbastanza grandi da essere visibili a occhio nudo.
In molti organismi pluricellulari e negli unicellulari, la mitosi rappresenta anche una
strategia riproduttiva. Infatti, sistemi di riproduzione asessuata, come la scissione,
operata da molti microrganismi, la gemmazione (o divisione ineguale), presente in
protozoi che vivono fissi al substrato (come molti peritrichi e suttori, appartenenti ai
ciliati), la strobilazione delle meduse, la rigenerazione, si basano su processi mitotici.
Per mitosi si formano anche particolari tipi di spore, dette mitospore, cioè cellule che
rappresentano forme di resistenza della specie, dalle quali può svilupparsi un nuovo
individuo solo quando le condizioni ambientali sono favorevoli.
MEIOSI
La meiosi è un processo caratteristico delle cellule eucariote, essa riguarda
unicamente la produzione delle cellule sessuali o gameti degli organismi
pluricellulari. Con la meiosi, attraverso un processo piuttosto complesso, una singola
cellula diploide, dopo aver replicato una sola volta il suo DNA, da origine a quattro
cellule figlie, i gameti appunto, dotate di un patrimonio dimezzato di cromosomi e
dette perciò aploidi. La meiosi si differenzia dall'altro processo di divisione cellulare,
la mitosi, nella quale si formano due cellule figlie aventi lo stesso patrimonio
genetico della cellula madre.
Spermatogenesi e ovogenesi
La produzione dei gameti avviene, nelle specie con riproduzione sessuale, attraverso un processo
detto gametogenesi. Si parla più propriamente di spermatogenesi e di ovogenesi per indicare il
processo di formazione degli spermatozoi e delle cellule uovo. Mediante la meiosi si ottengono, a
partire da una cellula madre (spermatogonio e oogonio) diploide, quattro cellule aploidi. In realtà,
mentre nel maschio si formano quattro spermatociti, nella femmina si ottiene un ovocita e tre
globuli polari, destinati a degenerare. Spermatociti e ovociti, quindi, subiscono un processo di
maturazione che rende queste cellule atte a svolgere la propria funzione riproduttiva.
Fasi della meiosi
La meiosi avviene secondo due fasi principali, dette rispettivamente prima e seconda
divisione meiotica, o meiosi I e meiosi II.
PRIMA DIVISIONE MEIOTICA
In sintesi, nella prima divisione meiotica si evidenziano i cromosomi, ciascuno
costituito da due cromatidi. Questi cromosomi (metà di origine paterna e metà di
origine materna), dopo aver subito alcuni processi durante la profase (in particolare il
crossing-over, di cui parleremo successivamente), si portano al piano equatoriale
della cellula. Qui, senza dividersi nei due cromatidi, si attaccano alle fibre del fuso
per migrare verso i due poli in modo tale che, di ogni coppia di cromosomi omologhi,
una si dirige verso un polo e l'altra al polo opposto. A conclusione della prima
divisione meiotica, si hanno così due cellule, ciascuna con la metà esatta dei
cromosomi omologhi.
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PROFASE I : La cromatina visibile nel nucleo cellulare, che rappresenta la
massa del DNA quando la cellula svolge le sue normali attività metaboliche, si
condensa, in modo che si formano strutture bastoncellari, i cromosomi.
Ciascun cromosoma appare a forma di X, poiché è formato da due cromatidi
fratelli, uniti in un punto detto centromero. I cromatidi derivano da un processo
di duplicazione del DNA; pertanto, ciascuno è geneticamente identico all’altro.
In questa fase, una volta che i due cromosomi omologhi sono uniti tra di loro,
possono avvenire scambi incrociati di parti più o meno lunghe di cromatidi
omologhi (fenomeno di crossing-over). La membrana che avvolge il nucleo si
disgrega. Si forma un fascio di microtubuli proteici, che si estende da un polo
all’altro della cellula e le cui due estremità fanno capo a due coppie di organuli,
detti centrioli.
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METAFASE I : Le tetradi omologhe si dispongono simmetricamente lundo
una linea immaginaria, trasversale rispetto al fuso. In tal modo, ognuna è
rivolta verso uno dei due poli della cellula.
ANAFASE I : Le fibre del fuso prendono contatto con i centromeri; ciascuna
tetrade migra verso un polo della cellula.
TELOFASE I : Ai due poli della cellula madre si formano due agglomerati di
cromosomi aploidi, in cui è presente un solo cromosoma per ciascun tipo. I
cromosomi sono ancora allo stadio della tetrade. Il citoplasma delle due cellule
si ripartisce e avviene la citodieresi, ossia la vera e propria divisione della
cellula originaria in due cellule figlie distinte (in alcuni casi, la ripartizione può
essere incompleta). Le fibre del fuso si disgregano; i cromosomi si
despiralizzano.
SECONDA DIVISIONE MEIOTICA
La seconda divisione meiotica non è preceduta da alcuna duplicazione del DNA. I
cromosomi, costituiti da due cromatidi, si portano all'equatore e si attaccano alle fibre
del fuso; i due cromatidi di ciascun cromosoma si separano migrando ai poli. Si
formano così quattro cellule, ciascuna con un corredo aploide di cromosomi e con un
diverso assortimento dei cromosomi di origine materna e paterna. Durante questa
separazione vi è una distribuzione indipendente dei cromosomi paterni e materni per
cui, alla fine, vi sarà un diverso assortimento dei cromosomi nelle quattro cellule
figlie.
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PROFASE II : La cromatina si condensa nuovamente, in modo che si possono
osservare i cromosomi, formati da due cromatidi uniti dal centromero. Si forma
nuovamente il fuso di microtubuli.
METAFASE II : I cromosomi si dispongono su una linea equatoriale,
trasversale rispetto alle fibre del fuso, in modo che ciascun cromatidio sia
rivolto verso uno dei due poli della cellula. I centromeri prendono contatto con
le fibre.
ANAFASE II : I cromatidi migrano ciascuno verso un polo della cellula,
spostandosi verso le fibre del fuso. In tal modo, ciascun cromatidio diviene un
nuovo cromosoma.
TELOFASE II : Ai poli della cellula, si formano due aggregati di cromosomi,
le fibre del fuso si disgregano, i cromosomi cominciano a decondensarsi, e si
forma infine una membrana nucleare. Il citoplasma della cellula si divide in
due, cosi da portare alla formazione di due cellule figlie aploidi.
Da un punto di vista genetico, la meiosi assume una grande importanza perché
rappresenta il modo in cui possono formarsi nuove combinazioni di geni e, quindi,
rende possibile la variabilità genetica tra individui della stessa specie. Infatti, già con
il crossing-over, ovvero con lo scambio di porzioni di DNA tra cromatidi di due
cromosomi omologhi, al momento della profase I, avviene una prima modificazione
dell’ assortimento di geni rispetto a quello della cellula madre. Inoltre, occorre
considerare che la divisione dei due cromosomi omologhi durante la fase di anafase I
avviene in modo casuale: ciò significa che non è prestabilito il polo della cellula
verso cui migrerà ciascun cromosoma. Dunque, a partire da una cellula madre, si
formano con la prima divisione meiotica due cellule aploidi che sono geneticamente
differenti tra loro e diverse da qualsiasi altra coppia di cellule che derivano dalla
stessa cellula madre. La variabilità genetica, assicurata anche dai meccanismi di
mutazione spontanea, assume un ruolo essenziale nei processi evolutivi, secondo il
concetto di selezione naturale.
I CARATTERI EREDITARI E LA LORO
TRASMISSIONE
Alla base dell'idea che ognuno di noi ha della trasmissione ereditaria dei caratteri vi
sono due concetti abbastanza ovvi: il primo si può sintetizzare con l'osservazione che
simile produce simile, cioè che i gatti nascono da altri gatti, le rose da altre rose, gli
esseri umani da altri esseri umani; il secondo si può sintetizzare invece
nell'espressione che i figli rassomigliano ai genitori.
Questi due concetti sono stati presenti nell'uomo fin dall'alba dei tempi ma
nonostante queste importanti intuizioni, la spiegazione scientifica dei meccanismi che
governano la trasmissione dei caratteri ereditari è una conquista relativamente recente
così come il ramo delle scienze biologiche che se ne occupa: la genetica.
La nascita di tale scienza può collocarsi intorno al 1860 ed è indissolubilmente
legata all'opera del monaco boemo Gregorio Mendel (1822-1884).
Abate del monastero agostiniano di Brno e insegnante, presso il Collegio reale della
medesima città, di fisica e scienze naturali, Mendel si dedicava a esperimenti di
ibridazione con le piante coltivate nel giardino del monastero. Dalle osservazioni che
gli provenivano da questa attività, nacque in lui la curiosità di capire come i caratteri
ereditari si trasmettessero da una generazione all'altra.
Per affrontare questo problema egli adottò dei criteri incredibilmente geniali e
apparentemente semplici, che per quel tempo erano non solo fortemente innovativi
ma andavano contro le concezioni correnti sulla trasmissione ereditaria dei caratteri.
Infatti vi era allora la convinzione che i caratteri di un individuo fossero il risultato di
una semplice mescolanza di quelli dei due genitori.
Nell'arco di venti anni condusse numerosi esperimenti sulla trasmissione dei
caratteri su vari tipi di piante, in particolare sul pisello, nel quale era possibile
realizzare sia la fecondazione incrociata sia l'autofecondazione.
Per capire meglio i risultati ottenuti da Mendel analizziamo assieme i suoi
esperimenti. Egli provò ad incrociare, cioè a far riprodurre sessualmente in
condizioni controllate, due razze di piselli puri, una che dava solo semi gialli, una
solo verdi; ottenne così una prima generazione, detta F1, di piante che avevano tutte i
semi gialli. Il colore verde sembrava definitivamente scomparso. Facendo però
incrociare questi individui di prima generazione tra di loro, ricavò una seconda
generazione, detta F2, composta per 3/4 di piselli con semi gialli e per 1/4 di piselli
con semi verdi. Questo esperimento mise in evidenza che non tutti i caratteri presenti
nei genitori sono evidenti nelle successive generazioni di discendenti.
Per spiegare questo fatto Mendel ipotizzò che ogni carattere sia controllato da due
fattori che possono essere dotati di "forza diversa" uno dei quali, detto dominante, è
in grado di impedire all'altro, detto recessivo, di manifestarsi. Mendel formulò così la
sua prima legge o legge della dominanza. Inoltre osservò che i due fattori si
trasmettono indipendentemente l'uno dall'altro (seconda legge o legge della
segregazione indipendente) determinando tre combinazioni diverse dei due fattori:
dominante-dominante, recessivo-recessivo, dominante-recessivo. Le prime due
combinazioni daranno origine ad individui omozigoti, cioè puri per il colore giallo o
verde. La terza combinazione invece darà individui eterozigoti (o ibridi), cioè
impuri, ma gialli secondo il principio della dominanza.
Poiché gli eterozigoti manifestano il carattere dominante come gli omozigoti, è
necessario distinguere il loro aspetto esterno, cioè il loro fenotipo, dalla costituzione
genetica, cioè il loro genotipo: fenotipi simili possono infatti derivare da genotipi
diversi.
Se incrociamo organismi che differiscono per due coppie di caratteri si vede che
questi ultimi si presentano nei discendenti secondo tutte le loro combinazioni
possibili. Così, incrociando tra loro piselli a seme giallo e liscio con con piselli a
seme verde e grinzoso, Mendel ottenne in F1 tutte piante con semi che presentavano i
due caratteri dominanti (giallo e liscio), alla F2 quattro categorie di individui che
presentavano le quattro combinazioni possibili, cioè le due introdotte nell'incrocio e
le due nuove: giallo liscio, giallo-grinzoso, verde-liscio, verde-grinzoso.
Questo fatto suggerì a Mendel la legge dell'indipendenza dei caratteri, detta anche
terza legge di Mendel, secondo la quale ogni coppia di fattori si comporta
indipendentemente dalle altre, per cui la trasmissione di ciascun carattere segue un
suo percorso autonomo.
Grazie ai suoi esperimenti Mendel era riuscito a svelare i meccanismi che regolavano
la trasmissione ereditaria dei caratteri, confermando che solo quelli acquisiti già alla
nascita vengono trasmessi alla discendenza.
Oggi si sa che i fattori di Mendel sono i geni, piccoli segmenti di DNA ognuno dei
quali esprime un carattere ereditario secondo un linguaggio chimico detto codice
genetico. Le coppie di geni, detti alleli che, proprio come i fattori di Mendel,
codificano per uno stesso carattere, sono localizzati sui due cromosomi di una stessa
coppia. In questo modo si spiega la segregazione dei caratteri: gli alleli, trovandosi su
cromosomi diversi, vengono separati al momento della meiosi e trasmessi
indipendentemente l'uno dall'altro.
Gli esperimenti con cui Mendel mostrava la natura ben distinta dei geni furono
pubblicati nel 1865, ma per un lungo periodo vennero pressoché ignorati dalla
comunità scientifica.
Tuttavia, agli inizi del Novecento, il lavoro di Mendel venne riscoperto e rivalutato.
Negli ultimi anni del secolo precedente erano stati fatti importantissimi progressi da
parte dei citologi (cioè gli studiosi delle cellule) che avevano scoperto i cromosomi e
il loro modo di comportarsi nel corso della mitosi, della meiosi e della fecondazione.
Ciò aveva riacceso un grande interesse per lo studio della trasmissione dei caratteri
ereditari.
Nel 1902 venne così proposta la teoria cromosomica dell'ereditarietà che,
prendendo a base il comportamento dei cromosomi - cioè il fatto che essi vanno
incontro a segregazione e assortimento indipendente - correlava cromosomi e geni ,
cioè i fattori mendeliani responsabili della trasmissione dei caratteri ereditari,
secondo regole precise.
Dopo una intensa sperimentazione, nel 1910 Thomas Hunt Morgan dimostrò la
localizzazione di un gene su uno specifico cromosoma. A questa prima dimostrazione
fecero seguito numerose ricerche che confermavano la correttezza della teoria
cromosomica che stabiliva che i geni si trovano nei cromosomi.
La scoperta di nuovi geni portò alla conclusione che, essendo il loro numero assai
superiore a quello dei cromosomi, ciascun cromosoma portava più geni. Fu inoltre
dimostrato che i geni non sono disposti a caso nei cromosomi, ma sono
ordinatamente distribuiti in modo lineare. Dagli esperimenti di Mendel risultava che i
caratteri segregano indipendentemente. Ciò appare confermato nel caso in cui i geni
si trovano su cromosomi diversi. Quando invece si trovano sullo stesso cromosoma,
può verificarsi il fenomeno dell'associazione, cioè la mancanza di una completa
segregazione.
L'uomo, come la maggior parte degli animali e alcune specie di piante, presenta
individui di sesso diverso, distinti in maschi e femmine. Questa differenza è
determinata geneticamente da specifici cromosomi chiamati cromosomi sessuali.
Nella maggior parte delle specie sono due, diversi tra di loro. Nella specie umana i
due cromosomi vengono indicati con le sigle X e Y. La femmina ha un patrimonio
XX mentre il maschio ha un patrimonio XY. I maschi sono il sesso eterogametico, in
quanto producono spermatozoi contenenti per metà il cromosoma X e per metà il
cromosoma Y. Le femmine, al contrario, sono il sesso omogametico in quanto tutte
le uova hanno solo il cromosoma X. Al momento della fecondazione e della
formazione dello zigote sarà il sesso eterogametico che determinerà il sesso del
nuovo individuo. Pertanto nella specie umana è il padre che determina il sesso del
nascituro.
Come si è già detto ogni specie è caratterizzata da un preciso patrimonio
cromosomico. Esso può essere rappresentato in modo sintetico dal suo cariotipo, che
rappresenta numero e morfologia dei cromosomi.
Esistono però vari fattori, tra cui possibili alterazioni del normale andamento della
meiosi o della mitosi oppure una varietà di agenti fisici e chimici, che possono
determinare delle anomalie nelle caratteristiche dei cromosomi.
Queste alterazioni sono dette mutazioni cromosomiche. Oltre alle mutazioni
cromosomiche, vi possono essere anche delle mutazioni geniche o delle mutazioni
genomiche.
Le mutazioni cromosomiche riguardano le sequenze di geni all'interno di singoli
cromosomi, le mutazioni geniche comportano alterazioni puntiformi al livello del
DNA, e le mutazioni genomiche riguardano un aumento o una diminuzione del
numero dei cromosomi tipici di una determinata specie.
Tutti i tipi di mutazione hanno conseguenze notevoli che si manifestano con
modificazioni significative del fenotipo.