Università degli Studi “La Sapienza” Roma Dottorato in Storia dell’Europa XXI ciclo Roberto Reali L’Italia e i Paesi Baltici (1919-1924) I documenti dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Tutor prof. Antonello Biagini Foto dei componenti della Missione interalleata per i Paesi Baltici Tratta da Henri Albert Nissel, L’èvacuation des pays baltiques par les Allemands : contibution à l’ètude de la mentalitè allemande, Parigi 1935 2 3 Sommario Introduzione, pag. 4 Capitolo I – L’indipendenza degli Stati del Baltico pag. 14 La nascita dell’indipendenza lituana Le vicende dell’indipendenza lettone sino alla guerra di liberazione del 1919 Le vicende dell’indipendenza Estone Capitolo II - La missione interalleata per il ritiro delle truppe tedesche dal Baltico, pag. 48 Il quadro generale politico-militare Gli avvenimenti militari in Livonia e Curlandia sino al maggio 1919 L’intervento dell’Intesa e le reazioni tedesche La guerra di liberazione lettone La Missione interalleata per il ritiro delle truppe Capitolo III – Il generale Marietti e le sue “Osservazioni sul Baltico”, pag. 76 Capitolo IV - La formazione dello stato libero di Memel e l’occupazione lituana, pag. 94 Importanza e ruolo della “piccola Lituania” L’Alto commissariato francese e gli avvenimenti tra il 1920 e il 1923 L’occupazione lituana di Memel del 1923 Il progetto di convenzione Capitolo V – Conclusioni, pag. 112 Appendice Giovanni Marietti – Appunti e osservazioni sugli stati baltici, pag. 119 Bibliografia, pag. 156 4 Introduzione L’esame della situazione politico militare dei paesi baltici all’indomani della firma dell’armistizio tra le potenze dell’Intesa e la Germania nel 1918 rimane, almeno per la storiografia italiana, ancora poco esplorato. Molta della storiografia nazionale si è concentrata, soprattutto negli anni tra le due guerre, a illustrare i problemi dell’indipendenza dei paesi baltici con l’obiettivo di segnalare un nodo geopolitico derivato dalla pace di Versailles. Questo ha portato la pubblicistica a ricostruire la storia di questi paesi concentrandosi più che sulla ricostruzione degli avvenimenti, verso considerazioni di opportunità politica e di proposte che l’Italia avrebbe dovuto sostenere in sede internazionale.1 Le ragioni di ciò sono sicuramente da rinvenire soprattutto nella marginalità che questi paesi hanno rivestito per l’orizzonte degli studi italiani che si sono giustamente concentrati su altre aree dell’Europa Orientale sentite più vicine alla sfera di coinvolgimento per i problemi nazionali. Recentemente però una serie di studi sulla storia dei paesi baltici e anche di monografie sui singoli paesi hanno ripreso quella tradizione e hanno prodotto negli ultimi anni alcuni interessanti lavori2 che rappresentano il segnale di un rinnovato interesse per questi paesi all’indomani della loro indipendenza dall’Unione Sovietica avvenuta nel 1991 e soprattutto con la loro entrata nell’Unione Europea nel 2007. Accanto a questo elemento che può, a prima vista, giustificare la dimenticanza possiamo anche addurre però anche altre ragioni di ordine più generale che riguardano la vicenda stessa di questi paesi i quali, passati, nel corso della loro storia, dal dominio tedesco a quello russo riuscirono a recuperare e, per alcuni di loro, avere ex novo una autonomia statuale solo negli anni tra il 1918 e il 1939, periodo comunque troppo breve per inquadrare la loro vicenda nel problema della nazionalità e della nascita delle nuove realtà statali sulle ceneri degli Imperi centrali all’indomani della prima guerra mondiale. Province dell’Impero zarista sino alla pace di Brest Litowsk nel 1918, Lituania, Lettonia ed Estonia furono immediatamente occupati dopo quella data dalla Germania e la breve parentesi che va dal 1919 fino alla occupazione sovietica come risultato del patto di non aggressione firmato con la Germania hitleriana, riconsegnerà di nuovo queste terre alla loro dipendenza politica sovranazionale fino al 1991. Questi elementi ci portano ad introdurre qui in via preliminare alcune considerazioni generali su Versailles e il suo ruolo nella storia europea del XX secolo che fanno da sfondo alle vicende narrate e che debbono necessariamente essere tenute a mente per riuscire a comprendere anche l’importanza degli avvenimenti legati all’indipendenza baltica. Nel suo libro sulla Conferenza della Pace di Parigi, Margaret Mc Millan traccia da subito il problema centrale di quella sistemazione politica e militare europea: “fin dall'inizio la Conferenza di Pace si svolse in un'atmosfera di confusione circa la sua stessa organizzazione, gli scopi e le procedure da seguire. Vista la portata degli argomenti sul tappeto, ciò era probabilmente inevitabile. 1 Tra questi titoli i più interessanti sono quelli legati soprattutto alla riflessione sul problema di Vilnius: Lea Meriggi, Il conflitto lituano-polacco e la questione di Vilna, Milano, 1930; Lilio Cialdea, L’espansione Russa nel Baltico, Milano 1940; Costantino Camoglio, Lituania Martire, Roma 1929; Tito Frate, I problemi del Baltico, Roma 1940; Nicola Turchi, Nella Lituania indipendente, Roma 1920; Manfredi Gravina, Lituania, Polonia e Russia ed il nuovo aspetto della controversia per Vilna, Roma 1927; Umberto Ademollo, I confini dei nuovi stati baltici: Estonia, Lettonia, Lituania, Roma 1933; Alessandro Pavolini, L’indipendenza finlandese, Roma 1928: Nicola Turchi, La Lituania nella storia e nel Presente, Roma 1928 Molto diversa è la situazione invece degli studi di linguistica e della cultura baltica nel dopoguerra in cui la cultura italiana manifestò grande interesse per le lingue di questi paesi e in cui si distinse Giacomo Devoto con numerose pubblicazioni tra cui Le letterature dei paesi baltici: Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Milano 1969 e con la redazione della rivista “Studi Baltici”. 2 Il più importante è il libro di Pietro U. Dini, L’anello baltico, profilo delle nazioni baltiche. Lituania, Lettonia, Estonia, Torino 1991; ma si segnalano anche la monografia di Claudio Carpini, Storia della Lituania: identità europea e cristiana di un popolo, Roma 2007 ed anche traduzioni di opere generali sui paesi baltici come quella di Ralph Tuchtenhagen, Storia dei Paesi Baltici, Bologna 2008. Questi volumi trattano gli avvenimenti dell’indipendenza in un quadro di storia generale e quindi offrono un quadro complessivo senza molto approfondimenti. 5 Le quattro grandi potenze – Gran Bretagna, Francia, Italia e Stati Uniti – programmarono degli incontri preliminari per accordarsi sulle condizioni da offrire, con l'intenzione di procedere in un secondo tempo a una Conferenza di pace a tutto campo in cui negoziare con il nemico. Sorsero subito dei problemi. Quando avrebbero potuto esprimere il loro punto di vista gli altri Alleati? Il Giappone, per esempio, era già una notevole potenza in Estremo Oriente. E i piccoli stati come la Serbia o il Belgio? Entrambi avevano perso più uomini del Giappone.”3 Stupisce ancor oggi infatti la brevità del periodo di questa conferenza preliminare che va dalla fine del 1918 alla primavera del 1919 in cui i negoziatori delle potenze dell'Intesa e gli altri diplomatici presenti a Parigi ebbero più in mente il quadro organizzativo e diplomatico del Congresso di Vienna che la reale esperienza di un conflitto maturato in condizioni del tutto diverse dalle guerre napoleoniche. Vi è però qualcosa in più da considerare per spiegare quella “confusione” di cui parla la Mc Millan e che non è solo lo scontro tra la semplificazione delle decisioni prese dalle singole potenze e la complessità dei problemi sul tappeto. Vi è anche lo scontro, diplomatico e di comportamenti, tra una vecchia concezione della sistemazione dei territori legata soprattutto alla mentalità dei paesi europei vincitori e una nuova diplomazia introdotta dal presidente americano Wilson legata alla trasparenza degli accordi e alla funzione dell'opinione pubblica come protagonista delle decisioni dei singoli governi. Non è nostro compito fare qui considerazioni generali sul senso di questo scontro e sul ruolo che esso ebbe nelle successive vicende, quello che interessa è considerare l’aspetto che molte delle decisioni prese in quella Conferenza derivavano anche da una parziale conoscenza delle questioni sul tappeto che venivano via via integrate soprattutto dalle missioni militari internazionali inviate nei luoghi più difficili dal punto di vista politico e che rappresentavano un prezioso strumento a disposizione dei decisori. Queste missioni internazionali fornirono così utili elementi di analisi a volte scarsamente considerati dalle rappresentanze diplomatiche presenti nella capitale francese.4 Ci pare quindi molto utile considerare nel dettaglio la vicenda della Missione internazionale per il ritiro delle truppe tedesche dal baltico che si riallaccia agli studi già pubblicati per altri paesi sulla base dei documenti forniti dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito5. I rapporti, le decisioni, le riflessioni di queste commissioni militari presentano non solo il vantaggio di una conoscenza particolareggiata degli elementi e delle dinamiche delle zone considerate ma, in più, obbediscono ad una logica, diremo così, operativa, in cui all'obiettivo principale della missione si accompagnano anche le testimonianze più immediate delle conseguenze politiche direttamente osservate . L’altro elemento politico che pesò sulla Conferenza della Pace fu l’espandersi della rivoluzione bolscevica. Il 1919 vide infatti, sulla scia della vittoria bolscevica nella guerra civile, la creazione in Ungheria della Repubblica dei Soviet di Bela Kun, l’occupazione delle fabbriche a Torino, la creazione di movimenti spartachisti in Germania. Un insieme vasto e articolato di esperienze politiche che impegnarono i negoziati in corso a tener conto in ogni momento che uno degli obiettivi della sistemazione diplomatica alla fine del conflitto era di impedire in ogni modo lo stabilizzarsi in altri paesi delle parole d’ordine di quella rivoluzione. Che la potenza militare sovietica fosse dall’Intesa a volte sopravvalutata6 non deve farci dimenticare che molta parte 3 Margaret Mac Millan, Parigi 1919. Sei mesi che cambiarono il mondo, Milano 2006, pag. 7 Nel caso del baltico si ricordano la Missione inglese del generale Cough o quella francese del colonnello Du Parquet. 5 I principali sono quelli relativi alla Russia, Antonello Biagini, In Russia tra guerra e rivoluzione, La missione militare italiana 1915-1918, Roma 1983; Alessandro Gionfrida, Missioni e Addetti militari italiani in Polonia (1919-1923), Roma 1996 e Guido Romanelli, Nell'Ungheria di Bela Kun e durante l'occupazione militare romena. La mia missione (maggio-novembre 1919), a cura di Antonello Biagini, Roma 2002 6 “Ciò che dominava nell’insieme di questi problemi era la crisi sovietica segnata prima dalla guerra civile (1919-1920) e poi dall’evidente affermarsi del potere rivoluzionario (1920-1922). Proprio il successo di una forza che metteva al centro della sua azione politica la bandiera della rivoluzione mondiale, e proprio l’eco che questo appello suscitava nel resto dell’Europa condizionavano le percezioni degli statisti occidentali, che non avvertirono adeguatamente le difficoltà interne al potere sovietico.” Ennio di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali 1918-1999, Bari 2000, pag.12 4 6 dell’opinione pubblica di tutti i paesi europei abbia visto nelle idee provenienti da Pietrogrado l’alternativa reale e concreta alla politica diplomatica di spartizione di paesi come Francia, Gran Bretagna o Italia e soprattutto un’alternativa meno fumosa politicamente dei quattordici punti enunciati dal Presidente Wilson che con il principio di autodeterminazione riprende in maniera puntuale gli stessi temi enunciati da Lenin nel suo decreto per la pace.7 La politica di contenimento dell’espansione bolscevica voluta dall’Intesa nel 1919 e, nello stesso tempo, la sconfitta della Germania e quindi il ritiro delle truppe di occupazione dai territori non tedeschi del nord pone così la vicenda del baltico più che ai margini della carta europea proprio al centro di questi nodi politici e ne fa un punto di osservazione di estremo interesse. I paesi del baltico subiscono le tensioni irrisolte che la guerra pone in primo piano e che si manifesteranno all’interno di quella cornice dettata dalle decisioni di Versailles. La missione interalleata destinata ai paesi baltici risponde quindi a questa impostazione e mostra quanto le direttive stabilite a Parigi furono efficaci e quanto invece ai singoli rappresentanti militari delle varie nazioni fu affidato anche il compito di dirimere molti punti politicamente delicati. La vicenda contemporanea è però strettamente legata alla tradizione politica di queste terre che nel corso della loro storia hanno convissuto sempre come dominio o in unione con altre realtà statuali. Senza richiamare nel dettaglio8 queste vicende possiamo ricordare che il rapporto con la Polonia, la Prussia Orientale tedesca e l’Impero Russo ne hanno determinato sviluppi, evoluzione sociale e culturale e vicende più o meno varie di oppressione. Questa vicenda storica che invece dovrà essere analizzata nel dettaglio per i secoli XIX e XX pone il problema dell’immersione di questi paesi all’interno di altre storie nazionali mancando quindi di un autonomo sviluppo. Tuttavia questo sviluppo vi fu ed ebbe a differenziare in modo puntuale i singoli paesi tanto che risulterebbe del tutto inspiegabile la loro vicenda contemporanea se non se ne richiamasse qui brevemente la vicenda. Domini feudali dell’Ordine Teutonico le regioni dell’odierna Lettonia ed Estonia subirono nel corso dell’età moderna una dominazione che alterna le popolazioni tedesche con quelle scandinave. E’ sotto il regno svedese che la Livonia, la Latgallia e l’Estonia entrano nell’orbita insieme con la Finlandia della dominazione centralistica di Stoccolma e proiettano sul mare il loro sviluppo. Le città anseatiche tedesche come Brema, Amburgo, Lubecca, Kiel sviluppano i loro traffici con i porti di Riga, di Tallin ma il centro strategico politico e militare rimarrà per lungo tempo la Svezia anche attraverso il controllo delle isole Aland vero punto nevralgico di tutta l’area. La convivenza tra svedesi e baroni baltici tedeschi fu favorita anche dallo stretto rapporto che la guerra dei 30 anni aveva sviluppato tra le coste tedesche e quelle svedesi e il connubio attirò in modo profondo queste regioni all’interno di quell’ orbita. Altre regioni dell’attuale Lettonia come la Curlandia furono invece dominio diretto della Prussia orientale sino a divenire regione strettamente legata alla antica capitale dell’Ordine, Königsberg. 7 Negli ambienti socialisti rivoluzionari torinesi, ad esempio, la dottrina di Wilson viene addirittura assimilata ad una possibile espressione politica del marxismo per i paesi evoluti dal punto di vista capitalistico: “Wilson è il vivente simbolo della realizzazione dell’internazionalismo nei paesi anglosassoni come perfettamente speculare a quello propugnato dal marxismo: le sue parole sono alla stregua di una civiltà che per i socialisti rappresenta il presupposto del loro trionfo. Il mondo capitalista ha raggiunto in Wilson la consapevolezza della sua funzione e la volontà di organizzarsi internazionalmente in una forma che sconfina con l’organizzazione del proletariato fatto padrone dei suoi destini” Antonio Gramsci, Wilson e i socialisti, in Il Nostro Marx (1918-1919), Torino 1984, pag. 315. Sull’origine bolscevica dei 14 punti si veda l’analisi di Edward H. Carr, La rivoluzione bolscevica 1917-1923,Torino 1964, pag. 808-809 8 Sulla storia dei paesi baltici dal medioevo all’età moderna si veda, oltre ai volumi di Dini e di Tuchtenhagen, anche i lavori di Jean Mevret, Histoire des Pays Baltiques, Paris 1934; Hugo Vitols, La mer Baltique et les Etats Baltes, Parigi 1935; Foreign Office, Historical section Courland, Livonia and Esthonia, London 1920. Per i singoli paesi: Louis Villecourt, L’Estonie, Paris 1932; Toivo U. Run, Estonia and Estonians, Stanford, 2001; Henry de Chambon, Origines et Histoire de la Lettonie, Paris ; Id., La Lithuanie Moderne, Paris 1933. Per una nozione generale sulla conformazione geografica e fisica dei paesi baltici, Ethel Gertrude Woods, The Baltic region: a study in physical and human geography, London 1932. 7 La Lituania subisce invece una sorte diversa. Come Granducato e quindi già costituitosi originariamente in entità statale autonoma nel corso del medioevo fu associato alla corona di Polonia e partecipò all’estensione territoriale di questo regno sino ai confini del mar Nero. La costruzione di uno stato paritario attraverso una politica matrimoniale perseguita nel corso del XV secolo portò così la Lituania a fornire alla casa regnante di Polonia il sovrano che dovrà legarsi a Bonza Sforza e introdurre il Regno di Polonia e Lituania in una prospettiva culturale e politica europea partecipando delle vicende delle grandi monarchie del rinascimento.9 La diversa vicenda storica di questi stati è unificata dal sorgere della potenza del ducato di Mosca. La formazione dell’Impero russo e la sua progressiva estensione verso occidente porterà queste regioni a subirne l’influsso politico e culturale prima e il dominio amministrativo poi. Nel corso del XVIII secolo la seconda e la terza spartizione della Polonia operata dalla Prussia, dall’Austria e dalla Russia portarono alla fine di un regno polacco già comunque entrato nell’orbita russa da almeno ottant’anni. L’opera iniziata da Federico II, Maria Teresa d’Austria e Caterina giunse alla sua sistemazione definitiva nel 1795 eliminando qualunque riferimento al passato e rendendo province amministrative quello che era stato il regno più importante dell’Europa orientale in età moderna insieme a quello svedese. La nascita dell’impero russo con la pace di Nystad del 1721 e con la fine del regno polacco aveva visto la creazione di provincie imperiali russe che comprendevano l’Estonia, l’attuale Lettonia, la maggior parte della Lituania e parte della Polonia, dividendo il territorio polacco e una sottile parte del territorio lituano assegnato al potere diretto della Prussia. Questa suddivisione non portò però ad una semplice divisione politica tra i due stati. In realtà le connessioni tra amministrazioni russe e tedesche ebbero in queste regioni una diretta collaborazione in cui si poteva avere una dominazione economica e amministrativa composta da funzionari russi e da baroni baltici tedeschi in Estonia, Curlandia, Livonia e Latgallia mentre vi era un dominio economico della nobiltà polacca anche in presenza di amministrazioni russe o tedesche in Lituania. La compresenza di queste èlites e la continuità sostanziale dei gruppi dominanti legati tra loro da accordi politici od economici ha avuto come risultato la messa ai margini delle popolazioni autoctone e le ha accomunate allo stesso destino di un silenzio politico interrotto solo dai tentativi di conversione forzata a religioni le più diverse e a subire inoltre sfruttamenti economici delle proprie risorse che prendevano la strada dei grandi fiumi come il Niemen o la Vistola e giungevano alla loro destinazione russa, tedesca o svedese. La storia delle popolazioni estoni, lettoni e lituane è quindi un tentativo riuscito di resistere a queste forme di oppressione politica, economica e culturale e il risultato di questa resistenza comincia a dare i suoi frutti nel corso del XIX secolo in cui si manifesta in Europa l’idea di nazione e in cui la trasmissione delle parole d’ordine di autogoverno, cultura nazionale ed autonomia dei popoli cominciano a circolare in modo sempre più forte. Possiamo dire che la presenza di tutti questi elementi è il quadro anteriore alle vicende relative all’indipendenza nazionale del Baltico che diventa quasi incomprensibile se non le colleghiamo allo sviluppo dei secoli precedenti una continuità di azione e soprattutto alla formazione di progetti di indipendenza molto differenti tra loro. Affermare dunque che la Lituania presenti nella sua pregiudiziale antipolacca un punto fermo che la porterà al progressivo isolamento nell’Europa del XX secolo non trova spiegazioni se non nella vicenda lituana di una progressiva decadenza della propria unità statale granducale a contatto con la nobiltà polacca che tenterà in ogni modo di stratificarsi all’interno di quei territori sino a divenire largamente presente nelle città e nei gangli vitali di questo territorio. La rinascita storica malamente interpretata dalla politica lituana contemporanea va letta quindi come un “ritorno alle origini” ad una ricerca di quel riscatto storico che non aveva alcuna ragion d’essere nel quadro della politica internazionale dopo il primo conflitto mondiale. Ma è esattamente quel collante politico che contraddistingue da subito la Lituania 9 Su questo tema si veda Giovanna Motta, Bona Sforza una regina del Rinascimento, in Giovanna Motta (a cura di), Regine e Sovrane. Il potere,la politica, la vita privata, Milano 2006, in particolare pag.18 8 indipendente disposta a tutto pur di non aver più a che fare con il suo antico alleato. Lo stesso vale per paesi come la Lettonia o L’Estonia che costituiti come nazioni indipendenti nel corso della fine del conflitto si pongono in modi differenti e con scelte politiche opposte il problema di eliminare per sempre l’élite nobiliare tedesca in economia e l’amministrazione russa per poter condurre i propri affari interni. Riflettendo ulteriormente su questa esplosione del sentimento nazionale o nazionalista, per i suoi detrattori, non si può fare a meno di considerare che, a differenza delle popolazioni dell’Impero Austroungarico o di quello Ottomano, il costante tentativo di queste nazioni dominanti è stato sempre quello di eliminare progressivamente ogni traccia della cultura e della struttura sociale di questi popoli prima con tentativi di repressione violenta della loro cultura fino poi con l’introduzione di altre popolazioni tedesche, russe o polacche sino alla creazione nel corso dei secoli, ad esempio, in questi territori della più grande concentrazione di popolazione ebraica di tutta l’Europa che appare la conseguenza di una strategia condotta anche con l’obiettivo di eliminare o di rendere minima la presenza delle popolazioni che abitavano da sempre queste regioni. Dimenticare tutto ciò nell’analizzare le vicende baltiche contemporanee significherebbe ridurle semplicemente ad un gioco di politica internazionale o di pedine di una grande scacchiera dove la popolazione residente diviene funzione semplicemente di disegni più vasti. Questa impostazione tipica di molta storiografia tra le due guerre e non solo italiana deve ormai cedere il passo ad analisi più serene e concentrate sulla specificità e sulla originalità di ogni singolo paese baltico a contatto con quegli avvenimenti. Dopo un periodo di contrapposizione molto forte tra la ricostruzione storica affidata a studiosi lettoni, lituani ed estoni tesi a ribadire la giustezza dell’indipendenza di questi paesi che è giunta talvolta sino alla deformazione di alcuni episodi cruciali della propria storia recente10 e l’interesse di studiosi di altri paesi di considerare il baltico semplicemente nell’ottica del gioco delle grandi potenze11 è giunto ormai il tempo di riprendere puntualmente questi studi con l’intento più modesto ma anche più fruttuoso di ricominciare la 10 Questa impostazione ci riporta a quel filone “rivendicativo” di cui si servirono molti storici per la ricostruzione dell’indipendenza baltica citati precedentemente. Accanto alla storiografia nazionale baltica inserirei alcuni lavori che invece si pongono l’obiettivo di fare chiarezza sui “dominatori” e sulla loro storia. Tra questi narratori della indipendenza vi è senza dubbio Georg Von Rauch che nel suo Die Geschichte der baltischen States, Berlin 1970 ha, con intelligenza, sottolineato come il rapporto tra mondo tedesco e baltico fosse più complesso e sfumato della semplice oppressione feudale ad opera di una minoranza sfruttatrice così descritti dalla storiografia nazionale estone o lettone. Il lavoro di Von Rauch mette bene in luce come in generale la storia baltica sia frutto di uno scontro tra popolazioni minoritarie dominanti e popolazioni colonizzate in cui i rapporti tra gli uni e gli altri non si fermano semplicemente ad una esclusione ma anche il frutto di una progressiva assimilazione della componente culturale dei dominatori sino a divenire, essi stessi, parte di quella nazione. In questo segmento vanno inseriti anche dei pregevoli lavori relativi alla comunità ebraica lituana come quello di Masha Greenbaum, The Jews of Lithuania: a History of a Remarkable Community 1316-1945, Gerusalemme 1995 in cui si mostra il rilievo che questa ebbe nelle vicende nazionali e internazionali sino alla nascita proprio nell’atmosfera dell’indipendenza lituana a Vilnius di correnti politiche che porteranno poi alla formulazione della dottrina sionista ad opera di Hertz. Il rovescio della medaglia di questo nazionalismo è invece testimoniato dallo sterminio negli anni tra il 1939 e il 1945 di questa comunità in cui la popolazione lituana ebbe un ruolo centrale insieme al nazismo prima e allo stalinismo poi. Su questo si veda soprattutto Karen Sutton, The Massacre of the Jews of Lithuania, Gerusalemme 2008. 11 Tra i lavori veramente notevoli in questo senso va situato quello di Stanley W. Page, The Formation of the Baltic States: A Study of the Effects of Great Power Politics upon the Emergence of Lithuania, Latvia, and Estonia, Cambridge Ms, 1959. Il lavoro di Page denso di considerazioni e di ricostruzioni storiche condotte sulle fonti inglesi, statunitensi, russe e tedesche è l’antesignano di quelle analisi dell’indipendenza dei paesi baltici che hanno al loro centro il ruolo che questi paesi ebbero nella politica internazionale di quegli anni. Il Baltico visto quindi come paradigma politico e militare di una situazione europea che si avviava in quegli anni a consumare la crisi del Trattato di Versailles e si avviava verso la seconda guerra mondiale. All’interno di questo filone di studi possiamo, a diverso livello di qualità e raffinatezza dell’analisi storica, porre anche Anatol Lieven, The Baltic revolution. Estonia, Latvia Lithuania and the Path of indipendence, London 1993 in cui la vicenda dell’indipendenza è proiettata nel ruolo dei paesi baltici durante e dopo la seconda guerra mondiale. Il libro di Lieven metodologicamente porta la stessa impostazione analizzando quest’area geopolitica nell’ottica delle potenze internazionali e della guerra fredda. 9 riflessione su queste realtà anche utilizzando nuovi contributi documentali e nuove testimonianze.12 In questo filone sono quindi da ascrivere nuovi lavori che attraverso lo scavo delle fonti sono riusciti a ricondurre alcune vicende puntuali della indipendenza baltica ad una loro chiarificazione attraverso osservatori indipendenti internazionali. Questi lavori inaugurano quindi, anche per questi paesi, una ricerca sistematica della documentazione che possa riprendere e rinnovare sia la storia peculiare di ogni singolo paese sia il ruolo d’insieme nelle vicende internazionali.13 I versanti degli studi storiografici sull’argomento possono quindi essere così riassunti velocemente. Da una prima fase di raccolta documentale legata alle vicende nazionali e a studi internazionali sui paesi baltici condotti negli anni tra le due guerre vi è stata poi un interesse crescente a rivedere, sulla base delle mutate condizioni storiche e politiche intervenute, il ruolo del baltico come scacchiere delle grandi potenze sino a giungere a nuovi studi puntuali e raccolte documentali che riaprono il problema di una nuova analisi delle peculiari situazioni che può gettare luce anche sulla complessità dei rapporti tra stati baltici, Germania e Russia da un lato e il ruolo delle potenze dell’Intesa dall’altro.14 All’interno di questa ricostruzione che non tralascia gli aspetti internazionali del problema dell’indipendenza baltica si pone quindi il presente lavoro che prende in esame la vicenda della guerra di liberazione lettone del 1919 alla luce delle fonti, in gran parte inedite, dello Stato Maggiore dell’Esercito. Questo materiale di archivio è stato già oggetto di un saggio di Antonello Biagini che ha avuto il pregio di aver riportato alla luce i documenti italiani della Missione internazionale bilaterale germano-alleata incaricata del ritiro delle truppe tedesche dal fronte lettone. Biagini ha sottolineato come questa missione contenga anche una serie di documenti che riguardano considerazioni politiche e sociali che il suo protagonista, il generale Giovanni Marietti, svolge e sottopone all’attenzione del suo Capo di Stato Maggiore. Vi sono quindi due aspetti principali da considerare: il primo è il resoconto diremo così “ufficiale” della missione che di per sé rappresenta una integrazione alla documentazione e alla memorialistica su quell’episodio15; il secondo riguarda invece il metodo seguito da Marietti nel tracciare i problemi relativi a quell’area e la capacità di 12 E’ quello che in questi anni ha condotto la ricerca di alcuni studiosi, soprattutto di area statunitense, in cui il richiamo alle vicende dell’indipendenza cerca di unirsi alla riflessione sull’ingresso nella modernità di questi paesi trascinati dal conflitto mondiale ad una coscienza di sé anche in relazione alle culture che li avevano sino a quel momento dominati. Tra i lavori più interessanti su questo versante vi sono, ad esempio, quelli che analizzano la cultura tedesca e il mondo baltico di Vejas Gabriel Liulevicius, War Land on the Eastern Front: Culture, National Identity, and German Occupation in World War I, Cambridge UK 2000 e The German Myth of the East: 1800 to the Present, Oxford 2009. 13 Su questo versante è il lavoro di Rolandas Makrickas, Santa Sede e Lituania. La rinascita dello stato lituano nei documenti dell'Archivio della nunziatura Apostolica di Monaco di Baviera (1915-1919), Roma 2006 e quello di Isabelle Chandavoine, Les Français à Klaipėda et après (1920-1932), Vilnius 2003. Il primo è una raccolta di trascrizioni diplomatiche di documenti della Nunziatura di Monaco che getta nuova luce sulle relazioni internazionali della Lituania durante il primo conflitto mondiale, il secondo è una ricostruzione su fonti dell’archivio francese della missione a Memel di grande interesse per comprendere il ruolo delle grandi potenze nel baltico. 14 Su questo versante è utile segnalare un lavoro collettivo piuttosto recente sulla Lituania che si concentra proprio su questi nuovi aspetti interni e internazionali, Alfonsas Eidintas, Vytautas Žalys, Alfred Erich Senn, Lithuania in European Politics, The years of the first Republic, 1918-1940, New York, 1999. Non va dimenticato invece l’enorme lavoro di documentazione storica che da anni conducono il Nordost Istitut für Kultur und Geschichte der Deutschen in Nordost Europa an der Universität Hamburg e la Baltische Historische Kommission. A questi istituti di ricerca va aggiunto anche l’Association for the Advancement of the Baltic Studies con sede a Seattle dove viene pubblicata la rivista “Journal of Baltic Studies”. Per completare i centri di studio sul mondo baltico va segnalato, per la Lituania, anche il gruppo di studiosi francesi che si raccoglie sotto la rivista “Cahiers Lithuaniens” a Strasburgo. 15 La missione internazionale è stato un episodio centrale della guerra di indipendenza lettone del 1919. La descrizione degli avvenimenti è stata riportata dal comandante di quella missione, il generale Niessel, in L’èvacuation des pays baltiques par les Allemands: contibution à l’ètude de la mentalitè allemande, Paris 1935. Il maggiore dettaglio sulla questione è però opera del comandante francese della missione alleata a Riga che ne ha fornito un dettagliato resoconto in Emanuel Du Parquet, L’aventure Allemande en Lettonie, Paris 1926. Il volume di Niessel è però una riflessione a posteriori degli avvenimenti del 1919. Nel 1935 il generale richiama quell’episodio sopratutto per valutare la nuova rinascita militare tedesca ad opera del nazismo. Il volume di Du Parquet è invece la cronaca minuta degli avvenimenti della guerra germano-lettone ma non si occupa direttamente del ritiro delle truppe tedesche. 10 mettere a fuoco i principali problemi dei paesi baltici all’indomani della conquista della loro indipendenza.16 Il desiderio di approfondire l’intero fondo dei paesi baltici dell’Archivio dello Stato Maggiore ha quindi comportato la necessità di un ulteriore esame dei documenti per ricavare da questi ulteriori elementi di analisi. Possiamo quindi dire che il materiale contenuto in questo archivio sicuramente merita attenzione per integrare la ricostruzione di alcuni avvenimenti relativi alla campagna del Baltico da parte delle truppe volontarie tedesche di Von der Goltz ma il fondo archivistico riesce a documentare anche altri episodi relativi al baltico come l’occupazione lituana del porto di Memel che verrà seguita da Marietti a Parigi nella sua veste di rappresentante italiano nella Commissione Militare Alleata. L'insieme delle notizie e della documentazione rimasta, anche attraverso le osservazioni sui paesi baltici scritte dal generale e riportate in Appendice, ci permette di tracciare un quadro abbastanza chiaro e pieno di nuovi particolari su molti episodi relativi ai paesi baltici tra il 1919 e il 1924 ma soprattutto ci offre un punto di vista, quello italiano, sinora inedito. Per poter inquadrare la documentazione è stato quindi necessario ricostruire non solo la storia di questi paesi a partire dai primi anni del XX secolo ma integrare il quadro dei problemi presentati dalle fonti italiane con le ricerche che, sul piano internazionale, sono state condotte sin qui sui vari argomenti. Esaurire però un argomento così vasto come l’insieme dei paesi baltici tenendo sott’occhio la pubblicistica che è stata prodotta in questi anni è compito assolutamente impossibile. L’insieme degli studi tedeschi, statunitensi, inglesi e francesi sul baltico forma una biblioteca di centinaia di volumi. A questi va aggiunta la sterminata serie di documentazione e studio prodotta in lingua russa, estone, lettone e lituana che per la mancanza di conoscenze linguistiche adeguate non è stato possibile consultare. Ma questo studio non si propone di fornire una disamina esauriente di tutti gli avvenimenti relativi all’indipendenza baltica quanto quello, più modesto, di integrare con le fonti italiane, la documentazione relativa a quegli episodi dal punto di vista delle forze dell’Intesa che parteciparono attivamente a creare i nuovi stati. Riprendendo alcune considerazioni dell’introduzione di Stanley Page al suo volume sull’importanza dello studio delle fonti delle nazioni dell’Intesa per comprendere gli avvenimenti del baltico va comunque sottolineato che, in questi anni, anche le ricerche avviate in Lettonia, Lituania ed Estonia hanno ricominciato la riflessione sulla questione dell’indipendenza uscendo dal cliché nazionalista che lo stesso Page attribuiva loro.17 Il livello di informazione inviato dunque allo Stato Maggiore italiano e alla Conferenza Militare Alleata a Parigi risulta quindi interessante per ricostruire, ancora una volta, queste vicende. Il contributo dei militari italiani nel partecipare anche a missioni internazionali in cui non vi era un interesse immediato di politica estera da parte del governo italiano ci permette di assumere questa documentazione come un osservatorio indipendente delle vicende che descrivono. Nel momento in cui tali vicende assumono l’aspetto di veri e propri nodi politici per l’equilibrio europeo le considerazioni svolte a caldo possono essere utili testimonianze per comprendere la dinamica delle forze in campo e le varie posizioni in gioco. La questione, ad esempio, delle relazioni tra Lituania e Polonia e quindi il ruolo che ebbe la decisione da parte di Parigi di mantenere Vilnius sotto la sfera d’influenza polacca generò una forte tensione con la Lituania sino a spingere quest’ultima a cercare l’aiuto dell’Unione Sovietica rovesciando così tutti i disegni di stabilizzazione di uno spazio politico antibolscevico nella regione. La restituzione di Vilnius alla Lituania negoziata nel 1920 con i bolscevichi fece quindi guadagnare alla Lituania la fama di nazione non affidabile presso gli Alleati ma la cui inaffidabilità era diretta conseguenza di una decisione voluta dalla Francia con un appoggio quasi incondizionato al nuovo governo polacco. In questo modo le iniziali ragioni politiche che avevano determinato l'entusiasmo delle popolazioni nell’assicurare la rinascita delle 16 Antonello Biagini, Alle origini dell’indipendenza baltica in età contemporanea, in “Fra Spazio e Tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa”, vol.111, Napoli, 1995 17 S. Page, cit. Preface, pag. VII per quanto riguarda questi studi recenti da parte lituana è già un prodotto di questa nuova impostazione il volume a cura di Alfonsas Eidintas cit. 11 nazioni baltiche subiva una forte incrinatura. Le fonti italiane su questo problema ci presentano quella scelta come frutto più di un compromesso nato all’interno del contrasto franco-inglese che una vera e propria proposta di soluzione. Non è quindi solo all’interno della linea antipolacca del governo lituano che va cercata la causa di quella scelta. Il ruolo degli Alleati non appare più in questo caso come quello di arbitri internazionali ma è esso stesso protagonista attivo del problema con tutte le contraddizioni positive e negative di questa azione. Il caso forse più emblematico in questo senso riguarda la questione del territorio libero di Memel a cui si è spesso fatto riferimento alla soluzione trovata dalla Conferenza di pace come parallela a quella di Danzica evidenziandone similitudini e analogie. In realtà la vicenda di Memel si inserisce in una più complessa dinamica di scontri tra gli obiettivi dell’Intesa, la presenza di minoranze linguistiche ed etniche divise come quella lituana e il revanchismo dovuto alla mancata soluzione della vicenda di Vilnius che impedì qualunque colloquio tra Lituania e Polonia trascinando ambedue in una crisi che impedì qualunque possibilità di creare uno spazio politicamente stabile tra Germania e Russia sovietica. La storiografia inglese e francese ha approfondito il problema degli stati baltici soprattutto analizzando gli effetti del ruolo che nel periodo 1919-1921 ebbe a sostenere la Polonia di Pilsudski come strumento efficace contro i bolscevichi. Ci si rende conto però quasi immediatamente che l’aver abbandonato un appoggio a questi territori per le necessità più cogenti degli interessi nazionali delle grandi potenze ha, di fatto, reso impossibile la creazione di una più concreta alternativa alla presenza dei sovietici o dei tedeschi nel baltico. Ad una prima lettura può sembrare infatti che, per le potenze vincitrici e in piena contraddizione con la questione della nazionalità, una volta risolto il problema della creazione territoriale di un isolamento tra Germania e Unione Sovietica, i problemi politici che vivono e si muovono oltre il confine polacco non rivestano molta importanza ma è proprio a partire da questo punto che i paesi baltici rappresentano un interessante osservatorio di questa ambiguità. Durante la fase dell’armistizio nel 1918 da parte degli Alleati non si esita, per esempio, a chiedere alle truppe tedesche di divenire forze militari di resistenza alla espansione bolscevica. Questo crea una situazione molto complessa dal punto di vista politico anche a causa dell’iniziativa del governo lettone di richiamare volontari tedeschi a difesa del proprio territorio con probabili promesse di nuove terre e di colonizzazioni in quella regione. Nel giro di pochi mesi si passa quindi dall’obiettivo, sostenuto dai francesi di un contenimento della Germania all’interno dei confini del 1914 ad una fase di propaganda basata sull’autonomia e l’indipendenza di queste nazioni con la decisione da parte dell’Intesa di liberare queste regioni dai tedeschi attraverso uno sgombro forzato di quelle truppe. Viste in un ambito più generale l’Estonia, la Lettonia e la Lituania escono sicuramente dal conflitto mondiale restituite alla loro possibilità di autodeterminazione: dalla antica dominazione zarista si vedono proiettate verso un destino di indipendenza e di autonomia dal crollo militare della Russia imperiale. Questi territori resi indipendenti da un primo trattato di pace bilaterale tra Russia e Germania possono quindi aspirare finalmente a cercarsi un ruolo all’interno dell’Europa e a formare i loro quadri politici e militari. Per altro verso però gli stessi paesi subiscono contemporaneamente due fattori di grande tensione interna: il primo è l'invasione tedesca conseguente all’Armistizio del 1918 il secondo è l’interesse della Francia e della Gran Bretagna nell’affrontare il problema delle regione del nord con il solo fine di contenere l’espansione del bolscevismo: tra il 1918 e il 1920 prima e durante la guerra civile russa, l’obiettivo che viene attentamente perseguito dalle cancellerie di questi paesi è infatti la riorganizzazione delle forze antibolsceviche di qualunque orientamento senza preoccuparsi dei veri fini di queste forze militari sul campo. Tra nostalgici dell’impero russo, colonizzatori tedeschi della nuova Germania e spinte di indipendenza legittime delle popolazioni giunte alla fine del dominio dei grandi imperi, l’unica risposta sul piano politico da parte dell’Intesa sarà quella di creare una nuova potenza politica e militare come la Polonia che doveva, per un verso, contrastare e contenere l’espansione tedesca verso est e per altro verso resistere alla volontà sovietica di rioccupare i territori dell’ex impero zarista persi con il trattato russo-tedesco del 1918. La creazione della Polonia e le sue vicende politiche militari e diplomatiche successive sono, allo 12 stesso tempo, dal punto di vista politico e strategico però anche l’abbandono di una centralità di tutti i paesi baltici nella strategia di contenimento russo con il conseguente ritorno di questi ultimi ad una frammentazione che sarà fatale per il destino di tutta la regione. Per chiarire tutti questi punti l'Archivio dello Stato Maggiore dell'Esercito presenta dunque una documentazione non molto estesa e piuttosto compatta relativa soprattutto alle vicende citate. Accanto a queste vi sono poi una serie di documenti relativi alla questione delle forze antibolsceviche piuttosto interessanti e a quelle relative alla questione di Danzica e di Memel. Si ritiene quindi di dover dare conto in maniera minuta di questa documentazione per descrivere soprattutto i materiali presenti in archivio di cui alcuni di notevole interesse. Accanto a questa descrizione è stato operato un confronto soprattutto per chiarire meglio la vicenda dell’occupazione lituana di Memel con gli Archivi della Società delle Nazioni a Ginevra18. Questo confronto ha messo in luce il contesto diplomatico internazionale entro cui quell’episodio maturò e quale fu il dibattito provocato soprattutto dai tentativi lituani di esporre le proprie ragioni in sede di Società delle Nazioni. Questo confronto ci ha permesso inoltre di chiarire meglio alcune considerazioni del generale Marietti che si trovava a Parigi in veste di rappresentante italiano per la Commissione Internazionale del Disarmo. Ci si è soffermati quindi sulla documentazione ufficiale che tratta il problema delle forze internazionali francesi e dell’invasione successiva delle truppe lituane e in cui la posizione italiana in sede internazionale su quel problema viene inquadrata e considerata. Il lavoro presenta quindi una struttura strettamente cronologica per rendere più chiara anche la lettura della documentazione. Questa impostazione riflette quindi una certa provvisorietà nelle conclusioni dei singoli capitoli perché la necessità primaria in questo momento era cercare di rendere il più possibili chiari i temi e le considerazioni delle fonti italiane. Si è rimandato quindi alle conclusioni una riflessione più generale sulle vicende di questi anni e anche alcuni spunti per un approfondimento successivo. Non si tratta quindi di un lavoro esauriente su tutti gli aspetti dell’indipendenza baltica quanto la prima ricognizione puntuale di archivi documentali dei testimoni italiani i quali hanno avuto un ruolo non secondario nel seguire gli accadimenti, analizzare i complessi contesti politici ed che potranno offrire nuovi spunti e riflessioni alla storiografia degli altri paesi su queste questioni. Il presente lavoro si compone quindi di quattro capitoli in qui nel primo si fornisce il quadro generale delle vicende dei paesi baltici tra il 1905 e il 1919. Nel secondo si ricostruisce, secondo la documentazione italiana il ruolo dei tedeschi e delle truppe di occupazione tedesche utilizzate dagli Alleati, in un primo momento, in funzione antibolscevica e il ruolo dei russi bianchi e il loro effettivo peso al fine di interrompere e rovesciare, a partire da queste regioni, la rivoluzione bolscevica e l'appoggio dato loro dalle potenze alleate. In questo contesto la guerra di indipendenza della Lettonia diviene il punto centrale da cui prenderà le mosse la missione internazionale per il ritiro di queste truppe dal baltico. Nel capitolo terzo si prenderà in considerazione invece il quadro politico, sociale ed economico che il saggio di Marietti sul baltico mette in luce e che riguardano una serie di aspetti molto interessanti sulla condizione stessa degli stati baltici e del loro effettivo ruolo politico nell’Europa uscita dalla guerra. Nel quarto capitolo si cercherà di ricostruire invece la vicenda posteriore del conflitto tra Polonia e Lituania per il possesso di Vilnius e l’occupazione del territorio di Memel posto dal Trattato di Pace sotto controllo internazionale. Anche in questo caso le vicende osservate e testimoniate da Marietti forniscono un punto di osservazione originale. Si ricorda infatti che una ricerca su questo periodo e in queste regioni rappresenta ancora oggi per gli studi italiani una ricerca ai suoi primi passi e che risulta essenziale ripercorrere queste vicende. Ripartendo dalle costituzioni in stati indipendenti realizzate negli anni immediatamente successivi 18 Vi è stata la possibilità di prendere conoscenza con i documenti internazionali relativi alla questione attraverso lo studio dei documenti presso l’archivio e la biblioteca della Società delle Nazioni a Ginevra. Il periodo di studio, finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha permesso una ricognizione di tutto il materiale relativo al Baltico che viene estesamente descritto, insieme alle fonti italiane dello Stato Maggiore, nella relativa sezione della bibliografia. 13 al primo conflitto mondiale Estonia, Lettonia e Lituania potranno quindi ripercorrere la loro storia recente avendo a disposizione tutte le voci che in quel momento furono protagoniste degli avvenimenti legati al loro riscatto nazionale ed evitare in tutti i modi quello che uno studioso lituano ha descritto come il punto più basso della decadenza politica delle nazioni baltiche: “nella storiografia sovietica, il rinascente stato Lituano dell'inizio del XX secolo viene presentato come un passivo osservatore della politica internazionale, continuamente oggetto dell'aggressione da parte degli stati imperialistici.”19 L’idea del baltico come territorio di conquista di altre popolazioni giunto sino ai giorni nostri rappresenta ancor oggi quel limite negativo che solo un’analisi documentale degli avvenimenti può eliminare in maniera definitiva. Ringraziamenti Il lavoro di ricerca presso gli archivi e le biblioteche di Roma e di Ginevra è stato possibile grazie anche alla collaborazione di archivisti e bibliotecari a cui va il ringraziamento per il supporto indispensabile che ci è stato fornito. Grazie innanzitutto Alessandro Gionfrida dell’Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito per la disponibilità a fornirci tutte le indicazioni archivistiche per la ricostruzione degli avvenimenti baltici e polacchi del periodo. Un ringraziamento particolare va agli archivisti e ai bibliotecari del Palazzo delle Nazioni a Ginevra, Jacqueline Chappuis, Pablo Bosh, Cristina Giordano, Salvatore Leggio, Sebastian Vernay. Un altro non meno importante ringraziamento va a Giovanna Motta, Roberto Sinigaglia e Sergio Bertolissi per le loro indicazioni bibliografiche sulla storia del Baltico in età moderna. Errori ed omissioni sono dovuti naturalmente a nostra responsabilità. 19 Rolandas Makrickas, cit., pag. 15. 14 Capitolo I – L’indipendenza degli Stati del Baltico La vicenda della costruzione dell’indipendenza degli stati sul Baltico rappresenta un interessante esempio della sistemazione dell’equilibrio europeo dopo la fine della prima guerra mondiale. La nascita di questi stati è infatti il tentativo da parte delle forze dell’Intesa di creare un’area favorevole all’alleanza delle democrazie tra la Germania sconfitta dalla guerra e la espansione della nascente Unione Sovietica. Possiamo dire che la necessità di questa operazione politico-militare nasce da questa motivazione anche se gli elementi che la costruiscono nel corso del biennio 1919-1920 sono differenti da paese a paese e il ruolo delle potenze alleate per raggiungere questo obiettivo non fu sempre del tutto coerente. Vale la pena preliminarmente ripercorre le questioni che hanno portato all’indipendenza della Lituania, della Lettonia e dell’Estonia per ricostruire un quadro generale ai problemi legati alla nascita di questo nuovo spazio politico. Naturalmente per approfondire meglio queste vicende occorre far riferimento anche all’indipendenza della Polonia e della Finlandia: tutto il mar baltico è quindi interessato ad un rivolgimento politico-sociale di grandi dimensioni e le singole realtà statali che si vengono a formare non possono prescindere da tutte le altre. La complessità sta quindi nel cercare di identificare i tratti peculiari di ogni singolo paese cercando di inserirlo in questo quadro dove le popolazioni dei vari territori, con diversi gradi di consapevolezza, raggiungono i rispettivi obiettivi politici via via che si formano concrete opportunità di sfuggire alla morsa germano-russa. La ricerca di una indipendenza per i tre stati è quindi un dato acquisito progressivamente e non definito a priori: nel caso della Lettonia e dell’Estonia non vi erano infatti tradizioni storiche di una loro autonomia statale. Dopo la colonizzazione ad opera dei baroni tedeschi e la costruzione di una società feudale a vantaggio di questi ultimi intervenne l’occupazione russa con Pietro il Grande che stabilì un compromesso con la pace di Nystad nel 1721 tra questa classe al potere e la volontà dello zar di ottenere uno sbocco sicuro al mare. Il compromesso portò quindi al mantenimento dei privilegi feudali per i baroni tedeschi in cambio di una stabilità sociale che permettesse all’amministrazione russa di governare senza troppe difficoltà. Il caso lituano è invece differente. La Lituania aveva già storicamente una sua identità di stato sovrano ed era riuscito a stabilire una unione con la Polonia creando una entità statale che si estendeva dal Baltico all’Ucraina sino al Mar Nero. Il Trattato di Lublino del 1569 aveva reso ufficiale una precedente politica matrimoniale con la monarchia polacca ed attratto il Granducato di Lituania all’interno della sua vicenda storica. Le vicende della spartizione della Polonia nel XVIII secolo porterà poi queste terre a divenire province dell’Impero russo; tuttavia questa tradizione statale rimane una base storico-giuridica che darà la possibilità ai lituani di rivendicare questo territorio come indipendente anche se la questione dei confini del nuovo stato autonomo sarà oggetto di continue controversie proprio con i polacchi. A queste premesse va quindi collegato il nuovo elemento rappresentato dall’intervento militare della Germania sul fronte orientale durante il conflitto mondiale. Tra il 1914 e il 1917 l’esercito tedesco conquistò buona parte della Polonia e della Lituania sviluppando nel periodo della sua occupazione una serie di soluzioni politiche che ebbero non poco peso per l’indipendenza successiva dei due paesi.20 Dovremo però attendere sino al 1917 con la vittoria bolscevica della 20 La diversa estensione temporale della conquista tedesca fornisce già la diversa impostazione della politica di occupazione per la Lituania, la Polonia e le altre due province baltiche. La conquista delle regioni ad est da parte dei tedeschi subì una battuta di arresto nel 1914 dopo la vittoria russa a Gumbinnen che portò alla nomina di capo di stato maggiore tedesco del fronte orientale di Von Hindenburg e all’ascesa del suo comandante in capo Ludendorff. La nuova impostazione strategica dei tedeschi si rivelò vincente e con la battaglia di Tannenberg nello stesso anno riportò i tedeschi ad avanzare sul fronte orientale e conquistare, dopo la vittoriosa battaglia dei laghi Masuri, i territori russi sino a Riga nel1916. Questa serie di successi militari portarono al mito della invincibilità delle truppe tedesche ad oriente 15 rivoluzione di novembre e la firma della pace separata di Brest Litowsk nel 1918 con la Germania perché si abbia la concreta opportunità per i paesi baltici di ottenere concrete possibilità di ottenere un loro riconoscimento come nazione. Questa seconda fase, originata dalla diplomazia tedesco-sovietica, porterà la Germania a occupare militarmente l’Estonia e la Lettonia con l’obiettivo di estendere il proprio disegno colonizzatore in queste regioni seguendo quindi la tradizione dei cavalieri teutonici mentre per l’Unione Sovietica la firma della pace separata assume un carattere puramente tattico. I bolscevichi, non senza difficoltà, considerano la fine della guerra con la Germania una scelta obbligata dalla necessità di rafforzare il potere interno dei Soviet ma la riconquista di questi territori da riguadagnare alla rivoluzione comunista sarà l’obiettivo finale di quel ritorno al mar baltico che anima la politica estera sovietica negli anni tra il ‘19 e il ‘20.21 La richiesta di armistizio da parte della Germania alle potenze alleate nel novembre del 1918 crea quindi una situazione di enorme incertezza per questi territori occupati militarmente dai tedeschi. Sul questo fronte le truppe non solo sono perfettamente in grado di controllare la situazione sul terreno ma già dal 1916 i tedeschi hanno iniziato a disegnare politicamente un loro ruolo centrale nel dominio delle province strappate all’impero russo e stabilizzato poi con il Trattato di Pace. La situazione sarà resa ancora più difficile dalla scelta dell’Intesa dopo l’armistizio di mantenere efficiente questa forza militare per impedire l’espansione della rivoluzione comunista e, nello stesso tempo, cercare di costruire con l’aiuto militare tedesco l’indipendenza di questi territori utilizzando quindi la pressione diplomatica e la forza del blocco economico contro la Germania per piegarla ai propri fini. L’esempio di questa strategia alleata aveva trovato successo nel caso della Finlandia: il governo antibolscevico del generale Mannerheim era riuscito, infatti, con l’aiuto delle truppe tedesche22 e supportato dalle missioni navali alleate a respingere il tentativo di invasione sovietica. A questo modello gli Alleati si ispirano per replicare il tentativo di contenimento dei bolscevichi non impegnando troppo le proprie truppe. Questo tentativo darà, per l’Estonia e la Lettonia, risultati molto diversi dal caso finlandese e proprio in virtù di quel conflitto profondo che esisteva tra la minoranza di origine tedesca dominatrice assoluta di quei territori e le popolazioni estoni e lettoni. La richiesta di armistizio provoca invece, in Lituania, un processo politico molto diverso in cui la classe politica lituana ha dato, sin dal 1917, pieno appoggio all’occupazione. I tedeschi vengono infatti visti come i soli in grado di poter sostenere una Lituania autonoma politicamente dalla Polonia riconosciuta come stato indipendente dalla Germania sin dal 1916. Questa diversa impostazione strategica decisa dai lituani li porterà ad una serie di errori politici e diplomatici sino all’isolamento internazionale negli anni successivi. oltre che a trasformare lo stato maggiore militare tedesco che operava in quelle regioni in una vera e propria leggenda popolare che si diffonderà in tutto il paese. Sulle battaglie del fronte orientale cfr. Norman Stone, The Eastern Front 1914-1917, Londra 1975, pagg 44-69. Sul mito di Von Hindenburg cfr. Vejas Gabriel Liulevicius, War Land on the Eastern front, Cambridge Ms, 2000, pagg. 20-21. Le vittorie ad est portarono i comandanti tedeschi, sopratutto Ludendorff, a pensare alla costituzione di un nuovo stato Tedesco originato dalla conquista da aggiungere al secondo Reich, questa utopia militare fu centrata anche dall’idea tutta simbolica di Tannenberg come luogo di vittoria dei Cavalieri Teutonici nel 1410 contro i Lituani e delle armate imperiali tedesche nel 1914 contro i russi. 21 L’intero dibattito sulla pace separata coi tedeschi è contenuto in Carr, cit., pag. 801-853. Nel descrivere il conflitto interno che animò il dibattito del Comitato Centrale lo storico inglese segnala la difficoltà politica di accettazione della pace separata con la Germania e soprattutto la messa in crisi della politica estera sovietica dichiarata sin dall’aprile del 1917. Brest Litowsk mise in crisi l’idea dei bolscevichi di considerare gli stati non comunisti come tutti nemici della rivoluzione: “il fatto che la sopravvivenza della rivoluzione in Russia dipendesse dalla sua rapida estensione nell’Europa centrale ed occidentale era cosa indiscussa; e i bolscevichi erano fermamente convinti dell’imminenza della Rivoluzione in Europa: il loro principale compito era quindi di affrettarla e promuoverla. (…) l’accettazione di Brest Litovsk sembrò un attacco ad entrambi questi articoli di fede. (…) Fu in questa situazione che Lenin cominciò a delineare una politica di coesistenza pacifica tra la Russia sovietica e le potenze capitalistiche.” pag. 846. 22 L’esercito tedesco comandato dal Generale Rüdiger von der Goltz fu decisivo, insieme alle truppe svedesi e alleate, per la liberazione della Finlandia dai bolscevichi nel 1918. L’intera vicenda è narrata da Von der Goltz, Meine Sendung im Finland und im Baltikum, Leipzig 1920. 16 La diversità di queste vicende legate all’indipendenza costituisce, nell’insieme, anche la fragilità di queste nuove formazioni nazionali che giungono all’indipendenza e al riconoscimento di questo status giuridico attraverso conflitti e soprattutto nemici molto diversi tra loro. Questo porterà al tramonto tra il 1919 e il 1923 a quella ipotesi di una federazione di stati del baltico, ipotizzata in un primo momento, forte abbastanza per poter contrastare manu militari la propria autonomia politica rispetto alla Russia e alla Germania. Per tracciare questo quadro nei dettagli è necessario però partire dalla rivoluzione del 1905 in Russia che rappresenta uno spartiacque cronologico ma anche politico nel quale si manifesta la prima crisi dell’impero russo e la creazione parallela di quelle forze politiche che creerà nei tre paesi baltici il primo nucleo di forze nazionali per la conquista dell’indipendenza. Il 1905 con la crisi militare dovuta alla sconfitta zarista nella guerra russo-giapponese e la crisi politica successiva che portò alla concessione di riforme sociali e alla nascita di una prima forma di parlamentarismo segna l’inizio delle opportunità per le popolazioni non russe dell’impero di creare il proprio destino. La nascita dell’indipendenza lituana Il 1905 porta al nuovo parlamento imperiale, la Duma, appena concessa dallo zar, alcuni rappresentanti del popolo lituano. Le modalità di elezione della prima Duma quando più impellente era la necessità di fornire uno sbocco adeguato alla crisi dei vari settori della società russa fu di concedere a tutte le popolazioni dell’Impero la possibilità di votare propri rappresentanti. Nel caso della Lituania questo ingresso alla Duma comportò l’emersione di quelle formazioni politiche che diverranno protagoniste delle successive vicende politiche legate alla sua indipendenza. Il sistema elettorale della Duma prevedeva una serie di votazioni per ogni provincia amministrativa che portava alla designazione di grandi elettori i quali avrebbero poi votato i rappresentanti al parlamento. L’elezione dei rappresentanti prevedeva inoltre la formazione di collegi elettorali differenziati tra città e campagne e distingueva i vari rappresentanti per ogni classe sociale che aveva diritto di voto. Questo complesso meccanismo era previsto dal governo imperiale per favorire le classi nobiliari e dei ceti legati dell’amministrazione russa in quanto minori di numero ma con il maggiore interesse a conservare l’impianto statale della autocrazia zarista. La legge elettorale per le votazioni successive della Duma, sciolta dallo zar per ben due volte, portò infatti ad un progressivo svuotamento della sua rappresentatività concentrando sempre di più i suoi eletti verso queste classi in un tentativo di mantenere formalmente un impianto democratico ma permettere di tenere strettamente il controllo del parlamento da parte di Nicola II. Nel novembre del 1905, grazie anche alle richieste di riforma che provenivano dalla società russa e che avevano scatenato la violenta repressione dell’esercito23, fu costituita una Dieta lituana verso la quale: “convennero duemila delegati da tutti i comuni e da tutti gli strati sociali del Paese che elessero J. Basanavičius come presidente e votarono un proclama per la creazione di una Lituania autonoma nei suoi confini etnografici.”24 23 cfr. Chamberlin, Storia della Rivoluzione Russa, Torino 1942, vol. I, pag. 65 e seguenti: “Il Lenin chiamò la rivoluzione del 1905 la ‘prova generale’ di quella del 1917. Infatti, benché fosse abortita, essa rivelò e rappresentò in modo straordinario le forze che ebbero poi successo nel1917: gli ammutinamenti nell’esercito, le agitazioni operaie, la fame di terra dei contadini, il malcontento delle minoranze nazionali.” Pag. 91 24 Pietro U. Dini, cit., pag. 72. Sin dall’inizio la Dieta lituana si caratterizzò per un legame forte con la Russia e un sentimento antipolacco dei suoi componenti come ha sottolineato uno storico italiano: “Basanavičius (…) pur rinnegando la politica di russificazione imposta al suo popolo dal governo zarista, (…) si fece promotore di un sentimento antipolacco molto diffuso, aprendo un dibattito non solo a livello internazionale, ma anche interno alla Lituania, dove le cose erano rese più difficili dal divieto (…) di pubblicare libri e giornali in lingua lituana” Claudio Carpini, Storia della Lituania, identità europea e cristiana di un popolo, Firenze 2007, pag. 114. L’intera vicenda lituana relativa all’indipendenza è segnata da questo elemento: si preferì, nel 1905, considerare la Russia il male minore rispetto ad una possibile riunificazione con la Polonia e tale ragione non è dovuta solo a motivazioni politiche contingenti ma nasce da quel sentimento di ostilità profonda nei confronti dei polacchi protagonisti di una oppressione 17 Organizzata dalle forze autonomiste la Dieta rivendicava l’indipendenza per i confini etnici della provincia rispetto alla precedente suddivisione che spaccava in due unità amministrative questa regione e la creazione di un parlamento a Vilnius, capitale storica della Lituania. In questa fase non vi è però da parte di nessuna delle forze autonomistiche nazionali la volontà di creare uno stato indipendente. Le formazioni più vicine al liberalismo classico e ai ceti borghesi e nobiliari cercavano infatti una autonomia ma sempre all’interno del quadro istituzionale dell’impero.25 Le formazioni socialiste e socialdemocratiche puntavano invece alla creazione di un sistema più libero per tutta la Russia e quindi intendevano garantire una autonomia a queste regioni nell’ambito più generale di una riforma dello stato zarista. I rappresentanti eletti alla prima Duma rispecchiano quindi le componenti di quelle forze politiche contrapposte: una parte dell’elettorato votò infatti con la nobiltà polacca che era da secoli insediata in quelle province e controllava in modo preponderante il voto dei centri urbani; dall’altro vi erano le forze politiche nazionaliste che avevano il loro bacino elettorale nei votanti di etnìa lituana concentrati soprattutto nelle campagne. Queste ultime riuscirono però a creare un blocco elettorale con la popolazione ebraica presente nelle città e a garantirsi una presenza importante nel nuovo parlamento russo. In città come Kowno e Suvalki, dove la popolazione di religione ebraica era prevalente, questo blocco funzionò a tal punto che la coalizione riuscì, grazie all’accordo elettorale, a portare sette rappresentanti tra lituani ed ebrei alla prima e alla seconda Duma.26 Per la prima volta all’interno dell’impero le condizioni di vita di queste nazionalità cominciano a costruire un percorso politico e istituzionale che ebbe come primo risultato concreto la fine di quella politica di russificazione violenta che aveva portato danni enormi alla popolazione lituana nel corso dell’ultimo secolo ma già all’indomani della formazione della Dieta e alla formulazione di una maggiore libertà politica questo tipo di richieste provocarono una nuova reazione del governo di San Pietroburgo che: “intervenne duramente già in dicembre, commettendo massacri e deportando circa 8.000 lituani in Siberia; altri presero la via dell’esilio”27 Se l’esperimento politico della Duma fu quindi un fallimento in questi anni prese vita un processo che portò, grazie anche alla fine dei divieti emanati di censura della stampa e delle libertà religiose, alla fioritura di una stagione di studi e di dibattiti molto intensi per creare quello spazio di autonomia culturale già presente da tempo nella regione di Memel e che divenne la base per la costruzione culturale di una rivendicazione dell’indipendenza politica lituana. Si creava pubblicamente: “l’opposizione lituana intorno al primo giornale nazionale fondato da F.Kurschat “Keleivis” (il Viandante, 1879). In seguito, in seno all’opposizione si lasciano individuare: una tendenza patriottico religiosa, di orientamento liberale, che ruotava intorno alla redazione della rivista “Aušrà” (Aurora, 1883, 1886); una tendenza positivista-realista con un orientamento di sinistra che faceva riferimento alla rivista “Varpas” (la Campana, 1889-1905).”28 Il percorso avviato con gli eventi del 1905 raccolse quindi un eredità culturale-letteraria già molto forte e diffusa e la trasformò rapidamente in una vera e propria base politico-rivendicativa. E’ però durante il primo anno del conflitto mondiale che la Lituania ha una concreta opportunità di rivendicare, contro la Russia, la sua indipendenza. Nel 1915 sono infatti i tedeschi che, dopo la culturale e storica delle popolazioni lituane idea fondamentale dal punto di vista interno per permettere alle forze politiche lituane di accrescere il loro consenso. 25 “I principi di indipendenza nazionale nati in Europa occidentale vengono trasportati più tardi in Europa centrale ed orientale. Qui vengono in parte distorti poiché le nazioni aspirano solo ad una vita culturale e amministrativa indipendente e sostengono solo l’una o l’altra autonomia in questo senso ma non attraverso entità statali separate.” Eidintas, cit. pag. 19 26 cfr. S. Page, cit. pag. 9 27 Pietro U. Dini, cit., pag.72 28 ibidem, cit., pag. 70. La formazione di queste riviste permisero anche la creazione di correnti politiche più o meno rivendicanti il principio etnico lituano come base della futura nazione anche all’interno di riviste legate ad orientamenti di sinistra. Una delle principali collaboratrici di “Varpas” fu, ad esempio, una scrittrice: ”Julija Žimantienė, (1845-1921) figlia di contadini e autodidatta, che rappresentò il mondo rurale con tale realismo da raggiungere spesso valore documentaristico.” Pietro U. Dini, cit. pag. 71 18 disfatta dell’esercito zarista e la sua ritirata, occupano lo spazio polacco e lituano raggiungendo Vilnius il 19 settembre. I tedeschi dopo i grandi successi militari cominciano allora a pensare di creare politicamente delle nazioni-satellite legate all’Impero tedesco. Il cancelliere BethmannHolweg manifestò allora pubblicamente l’intenzione del governo tedesco di staccare la Polonia e la Lituania dall’Impero russo e di concedere loro l’indipendenza.29 In realtà questo percorso politico delineato dai tedeschi era accompagnato parallelamente da una occupazione militare di questi territori da parte dell’esercito che non si faceva scrupoli a sostenere come il vero obiettivo dell’OberKommando fosse quello di creare delle colonie saldamente in mano alle truppe imperiali. Quali fossero infatti le reali condizioni della Lituania sotto l’occupazione tedesca possono essere ricavate da una interessante serie di documenti che la Nunziatura dello Stato Vaticano a Monaco ha conservato e che rappresentano un osservatorio indipendente molto interessante per la ricostruzione di queste vicende negli anni che vanno dal 1915 al 1917. Guidata da Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, la nunziatura era responsabile per gli affari lituani in quanto tale territorio era posto sotto il controllo della monarchia bavarese. In stretto contatto con la nunziatura di Varsavia, sotto la responsabilità di Achille Ratti, il futuro Pio XI, quell’ufficio diplomatico divenne un centro molto importante di raccolta di informazioni che coinvolgeva non solo la questione religiosa, divisa tra clero polacco e lituano, ma anche l’insieme dei passi compiuti dai lituani per ottenere presso i tedeschi una loro autonomia politica. Benedetto XV a Roma fu quindi costantemente informato della situazione interna ai due paesi sotto occupazione tedesca e si fece promotore di raccolte internazionali di fondi per aiutare queste due regioni cattoliche. In una relazione di Monsignor Casimiro Skirmut tradotta dal tedesco a Locarno nel 1916 e inviata a Pacelli viene evidenziata la sofferenza delle popolazioni sottoposte all’occupazione: “gli amici degli imperi centrali ebbero da vedere un disinganno doloroso: mentre essi avevano ogni ragione di aspettare, che la Lituania sotto l’Amministrazione tedesca – dopo la persecuzione Russa di più di cento anni -, respirerà di nuovo, e vedrà un’epoca più felice della sua triste storia, - il primo anno di questa amministrazione, trascorso nel settembre, ha dimostrato chiaramente, che essa non solo sta in contraddizione colle esigenze di una vera cultura, ma conduce anche direttamente il paese infelice verso una rovina religiosa, politica ed economica.”30 Le condizioni di occupazione dei tedeschi sono infatti quelle di una spoliazione progressiva delle risorse di quei paesi con, in più, una vera e propria persecuzione di tipo religioso accompagnata da numerosi tentativi di assimilazione alla cultura tedesca. Bersaglio principale di questa operazione è la religione cattolica e le sue organizzazioni ecclesiastiche e laiche strumento fondamentale nel passato per difendere l’identità polacca e lituana dal protestantesimo tedesco e dall’ortodossia russa. Per questo motivo la testimonianza dei prelati cattolici e lituani risulta preziosa per capire quanto la occupazione tedesca in Lituania venga considerata da subito come un ulteriore tentativo, dopo quello russo durato più di due secoli, di germanizzare le zone del baltico considerate da sempre, come nel caso della Lettonia e dell’Estonia, terra di conquista:”le chiese cattoliche in questo paese cattolico furono in diversi modi profanate. Esse furono adoperate per “scopi militari”, od anche in funzioni religiose protestanti, ed anzi-ebree! [sic] Così i nuovi padroni dell’infelice paese hanno direttamente schernito le severe leggi canoniche ed i sentimenti religiosi del popolo. – Di più, Chiese furono anche derubate: quando, per esempio a Rozanka, il parroco volle confondere un ufficiale, acchiappato nell’atto di rubare in Chiesa, 29 Eidintas, cit. pag. 21 Relazione di Mons. Casimiro Skirmut in La rinascita dello Stato lituano nei documenti dell’archivio della Nunziatura Apostolica di Monaco di Baviera (1915-1919) a cura di Roland Makrickas, cit., pag. 229. La sottolineatura è nel testo. La documentazione presente nella Nunziatura ci fornisce un punto di vista indipendente proprio negli anni cruciali dell’indipendenza lituana e l’insieme delle notizie e delle considerazioni qui testimoniate furono poi oggetto di fieri contrasti nella storiografia polacca e lituana negli anni successivi. Di fronte quindi a posizioni che si preoccupano delle reciproche responsabilità, il lavoro di sistemazione documentale di questo archivio può considerarsi un vero e proprio elemento di novità nel panorama internazionale degli studi sull’indipendenza dei paesi baltici. 30 19 l’ufficiale minacciò il sacerdote colla rivoltella, e disse nello stesso tempo: “che cosa ancora dirai?”31 Se la condizione della popolazione e del clero sono quelle descritte, le forze politiche lituane videro invece nell’apertura politica del cancelliere tedesco alla prospettiva concreta di una indipendenza della Lituania la strada per raggiungere quel risultato. L’occasione dell’indipendenza polacca fece muovere immediatamente il movimento indipendentista lituano verso quella soluzione per la creazione di condizioni di riconoscimento come territorio separato dalla Polonia che era il risultato finale voluto dai nazionalisti lituani. Le carte della nunziatura non ci danno infatti solo il quadro dell’occupazione tedesca ma descrivono anche il conflitto tra il clero di origine polacca e quello di origine lituana su questo progetto di indipendenza. Mentre i parroci lituani spingono, insieme con i nazionalisti, verso un accordo con la Germania per avere uno status politico di indipendenza, il clero polacco ritiene che non vi sia alcuna speranza per la Lituania di ottenere una piena indipendenza se non legandosi strettamente a Varsavia.32 Il dibattito si sposta quindi dai temi della libertà religiosa verso questioni più concretamente politiche in cui il ruolo di Roma diviene, in qualche modo, arbitra di questa contesa. Viene infatti chiesto dal clero lituano al Vaticano di riconoscere, insieme con lo Stato Tedesco, l’indipendenza del paese e, cosa più importante, la sua separazione dalla Polonia. Tale richiesta confligge in modo stridente con la opposta richiesta, ispirata da Varsavia, di nomina, per questi territori, di un vescovo polacco e di lingua polacca per garantire a quella componente che occupa il territorio lituano una continuità di legami con la madre patria. Come scrive monsignor Skirmunt a Pacelli nel novembre del 1917: “una soluzione, che non presenterebbe i gravi inconvenienti sopra accennati, e garantirebbe gli interessi del Cattolicesimo come anche quelli della pace stabile, sarebbe un’unione della Lituania e della Russia Bianca colla Polonia sulla base di uguaglianza di diritti (federalismo). Tale soluzione è desiderata da tutte le associazioni polacche, ma viene ostacolata dai famosi “nazionalisti” intransigenti”.33 Il conflitto che pare tutto confessionale in realtà ci mostra in modo chiaro le due correnti di pensiero che animano in questo momento il dibattito politico: da una parte vi è il gruppo nazionalista che, cercando un accordo con la Germania imperiale spinge affinché la Chiesa cattolica di Roma dia l’avallo al progetto di indipendenza nazionale; dall’altra vi è la componente polacca che cerca in tutti i modi di dissuadere il Pontefice a creare un pericoloso precedente che metterebbe in crisi l’unità dei cattolici polacco-lituani e, di conseguenza, la possibilità di futura creazione di uno stato unitario.34 L’analisi politica della situazione condotta dalla diplomazia vaticana è dell’opinione che l’unificazione polacco-lituana porterebbe invece grande vantaggio ai tedeschi: “vi è però da notare, 31 Relazione di Mons. Skirmut, in Makrickas, cit., pag. 230. In una memoria inviata dal nunzio apostolico, mons. Valfrè di Bonzo, da Vienna il 7 febbraio 1917 alla Nunziatura di Monaco vi è la sintetica descrizione dei comportamenti dei tedeschi in queste regioni che vale la pena lasciare nel latino curiale per mantenerne la sua forza drammatica: “Iam plus quam duos annos Gubernium Germanicum incolas regionis onere variarum requisitiones aggravavit, quae requisitiones fere omnes res, ut metalla, segetes, foenum herbas, vestes, animalia, eorumque pelles&attingunt atque saepissime sine ulla indemnisatione, vel saltem quam minima, resumuntur, insuper quisque incola varii generis vectigalia, ut a persona sua, apra edio, animalibus, proventibus solvere debet, etsi cuiusquesque expensae decies fere maiiores facte sunt, proventus vero minimi.” in Makrickas, cit. pag. 237 32 Sulla posizione dell’indipendenza polacca concessa dai tedeschi e sull’opposizione a quel disegno politico si veda Alessandro Gionfrida, cit. pag. 28-29 33 Makrickas, cit., pag. 375 34 E’ interessante segnalare un documento scritto il 31 luglio 1917 a papa Benedetto XV dal Consiglio Supremo Lituano che aveva sede a Losanna in cui si chiede al pontefice di intervenire poiché: “tutti i cattolici lituani sperano che, malgrado le dure prove che sta attraversando la nostra patria sorga un avvenire migliore delle rovine accumulate in questi anni. Il popolo lituano ha dovuto gemere sotto le catene per molto tempo; oggi spera sia venuto il momento di liberarsi secondo quei principi di libertà e di uguaglianza predicati dal Cristo che si sono imposti a tutti i potenti della terra.” E dopo questo appello i lituani ricordano però che: “ciò che ci affligge di più è che l’arcivescovato di Vilnius ha come amministratore un sacerdote che si dichiara polacco e si rivela il peggiore nemico della lingua lituana in tutte le chiese della diocesi e nella vita sociale” in Makrickas, cit., pag. 322-23 20 che gli Imperi Centrali, se essi si decidessero a formare nel modo sopra accennato una “grande Polonia” sulla base del federalismo, agirebbero nel modo desiderato dall’”Intesa” e taglierebbero così alla medesima le armi dalle mani; di più – essi si renderebbero la Polonia grata, ed acquisirebbero senza dubbio dalla Polonia molti vantaggi politici, economici e sociali. Inoltre essi avrebbero il grandissimo merito di aver respinto verso l’Asia la barbarie della Russia rivoluzionaria, che è oggi oggetto di avversione (sic!) generale.”35 L’analisi del prelato polacco contiene tutti gli elementi politici della partita che si sta giocando in questo momento nella regione dal punto di vista del Vaticano: una federazione polacco-lituanabielorussa – egli afferma – favorirebbe gli interessi di qualunque alleanza possa riconoscerla, sia quella degli Imperi centrali che quella dell’Intesa, proprio per il suo carattere di scudo antibolscevico che rappresenta il punto comune ai due contendenti in campo. La soluzione di indipendenza richiesta dai lituani porterebbe invece a vantaggi immediati ma senza fornire quella massa critica necessaria per cercare di fermare l’espansione comunista. L’obiettivo tedesco è invece molto diverso. Si tratta per l’Impero di creare due stati separati per impedire la formazione di una egemonia polacca troppo forte nella regione e quindi Berlino vede in questa componente nazionalista lituana un ottimo interlocutore per creare, secondo il principio del divide et impera, la propria egemonia ad est. L’argomento della difesa contro il comunismo sarà per i tedeschi sempre secondario rispetto all’obiettivo principale rappresentato dal crearsi una serie di satelliti nella regione. Tra il 1915 e il 1917 la Germania ha infatti tutto il tempo di costruire attraverso i canali politici, diplomatici e militari un suo disegno su questi territori e la creazione di regni indipendenti associati alla corona di Prussia e tale soluzione è vista dai tedeschi come quella più vicina ai propri interessi ed è proprio sulla base di questo obiettivo che i nazionalisti lituani giocano la carta della loro indipendenza politica. Sulla forma politica da dare a questi stati vi è però all’interno delle élite di potere imperiali una serie di contrasti. La classe militare prussiana e l’OberKommando non ha infatti alcuna intenzione di concedere una indipendenza giuridicamente stabile e chiederà una unione personale con il regno di Sassonia e con lo stesso Kaiser. Al contrario, i deputati cattolici del Zentrum legati al re di Baviera vedono invece per la Lituania un destino diverso con la possibilità di creare un regno autonomo affidandolo ad un sovrano tedesco da cercare nella casa di Baviera seguendo l’esempio della Finlandia divenuto regno con a capo Federico Carlo d'Assia-Kassel cognato del Kaiser. In maniera parallela lo stesso processo sta avvenendo in Polonia, dove gli elementi più nazionalistici spingono ad un riconoscimento dello stato polacco in unione coll’Imperatore mentre la componente più di sinistra, tra cui Pilsudski, si oppone fortemente a questo processo sostenendo che la Germania in realtà altro non fosse che un occupante e il governo proposto fosse solo un fantoccio in mano ai tedeschi: questa formazione politica chiese quindi a gran voce di non incamminarsi verso quel riconoscimento nazionale voluto a spese della Polonia e attuato secondo i disegni e le mire tedesche. La differenza tra i comportamenti di Lituania e Polonia in questa fase saranno quindi l’origine delle vicende successive: mentre i polacchi e parte della loro classe politica compie una precisa scelta di campo a favore di una indipendenza “reale” rispetto all’occupazione tedesca e, dopo il crollo tedesco, il governo polacco potrà argomentare con buone ragioni la sua opposizione a quella soluzione in sede di Conferenza della Pace; i nazionalisti lituani verranno sempre visti, grazie alla completa accettazione delle condizioni tedesche per la concessione della propria indipendenza, come uno stato non affidabile. In questa fase in Lituania si moltiplicano infatti gli sforzi di tutto il gruppo politico nazionalista di andare nella direzione voluta e dichiarata dal governo tedesco sin dal 1916 e l’intero corpo politico lituano, sia quello filo polacco che quello contrario alla soluzione unitaria si rivolge sempre al governo tedesco quale interlocutore degno di quel riconoscimento. Il 25 maggio 1917 viene inviato al cancelliere tedesco un memoriale da parte del partito polacco in Lituania in cui: ”sebbene la definitiva soluzione della questione lituana non può aversi, come bene 35 Makrickas, cit., pag. 375 21 intendiamo, che alla conclusione della pace, noi siamo tuttavia consapevoli della importanza che ha l’esame del problema del futuro della nostra patria, nel presente stato delle cose, la parte dei Governi delle Potenze centrali.” - si chiede quindi al governo tedesco di ricordare come - “le parti dei governi di Kowno, Vilna e Grondo accennate e che al principio dell’occupazione tedesca vennero assegnate alle amministrazioni di Vilna e Grondo, costituiscono un territorio polaccolituano-ruteno bianco in cui la popolazione polacca è in maggioranza. Specialmente la capitale del paese Vilna ha una fisionomia spiccatamente polacca, fisionomia che è assai evidente pure nelle località circonvicine.” - il documento conclude quindi con la richiesta al governo tedesco - “quale parte inseparabile del grande popolo polacco noi tendiamo e tenderemo sempre alla riunione politica con la Polonia, lo Stato con cui il nostro Paese ha condiviso i destini in tempi di prosperità e di gloria come in tempi di lotta e di oppressione”36 La risposta da parte degli autonomisti lituani non si fa attendere e il 10 luglio dello stesso anno viene inviato un memoriale sempre al cancelliere tedesco dove: “i Lituani non stendono avidi la mano né sul territorio compatto polacco, né sul territorio dei Ruteni bianchi, ma chiedono d’altra parte con energia irremovibile, la libertà, nell’ambito dei loro confini etnografici, di svilupparsi senza impedimenti di sorta.” Le motivazioni di questo memoriale sono quindi strettamente etniche e l’argomento centrale è proprio l’appartenenza alla razza lituana anche al di là della presenza di molti individui lituani che parlano ormai correntemente lingue differenti: “ma si può affermare che, per il fatto di parlar polacco o russo, essi siano diventati Polacchi o Russi (Ruteni bianchi)? Nemen per Sogno! Questi elementi chiamano se stessi, secondo le circostanze con vari nomi: Cattolici, Indigeni, Polacchi, Lituani o Russi. La parola “Bielorus” (Ruteni bianchi) è così poco nota oggi come lo era nel vecchio Granducato della Lituania. Ciò non pertanto questo elemento lituano che ha mutato al massimo la lingua viene apposto troppo spesso ai Lituani come una speciale stirpe slava.” Naturalmente la richiesta di questo gruppo è diametralmente opposta a quella del partito polacco: dopo aver accusato la nobiltà polacca di aver colonizzato il paese e di aver favorito anche la russificazione dell’ultimo secolo dichiarano: “se, come i rappresentanti del popolo lituano desiderano e sperano, l’avvenire della Lituania sarà edificato sulla base della giustizia e dell’indipendenza nazionale, i problemi della forma statale e delle cosiddette garanzie nazionali alla conclusione della pace saranno risolte senza nessuna difficoltà.”37 I termini del dibattito che animeranno nel dopoguerra la disputa tra Polonia e Lituania sono già, nel 1917, completamente dispiegati e con un interlocutore, il governo tedesco, identificato come legittimo ad ascoltare e dibattere le ragioni delle forze in campo. Il partito polacco ha l’appoggio di una parte della chiesa lituana, delle classi urbane e della popolazione che vedono nell’unione con la Polonia il ritorno a quell’equilibrio storico dei due paesi anche se rivisto su forme organizzative nuove derivanti da un progetto federale con il futuro regno di Polonia. Il partito lituano invece promuove la nascita di uno stato indipendente basato su motivazioni strettamente etniche e legate a risolvere il secolare dominio economico, culturale e sociale della componente polacca cercando di costruire uno Stato che sia strutturato su una base di appartenenza totale della etnìa lituana la quale ha risorse, all’estero e in Russia, per compensare quella condizione di subalternità che in questo momento sembra prevalere nei confronti delle altre componenti della regione: quella polacca e quella ebraica soprattutto. In questo momento il vero arbitro della partita è quindi il governo tedesco il quale partendo da queste divisioni interne può negoziare una indipendenza con clausole particolarmente onerose per il nuovo paese soprattutto in funzione dei propri obiettivi strettamente legati a mantenere il controllo militare e delle risorse economiche. Viene infatti predisposto un memorandum di riconoscimento dello stato lituano in cui si precisa in modo puntuale il legame di alleanza stretto in termini economici e militari con la Germania ed anche lo Stato Maggiore tedesco vede in questa 36 Makrickas, cit., pag. 267-69 Makrickas, cit., pag. 308-318. Il memorandum è firmato, tra gli altri, da Anton Smetona il futuro presidente della repubblica lituana. 37 22 sottoscrizione di alleanza una soluzione accettabile che salvaguarda i diritti irrinunciabili di considerare la Lituania come parte delle conquiste germaniche. Le vicende del 1917 sono quindi essenziali per comprendere le successive fasi dell’indipendenza lituana e, curiosamente, molta storiografia sull’argomento, pare tacere questo punto essenziale e cioè il completo e totale appoggio al governo tedesco in cambio della propria indipendenza. Da parte lituana si è infatti sempre negato che il primo riconoscimento dell’indipendenza del paese fu compiuto con atto formale dal governo tedesco sulla base della firma di un accordo tra Germania e Lituania che sancisce la prima dichiarazione di indipendenza dello stato lituano l’11 dicembre del 1917. Questa dichiarazione aveva al punto due della Dichiarazione l’impegno da parte del governo lituano ad una alleanza militare con la Germania.38 E’ certamente vero che nella seconda dichiarazione di indipendenza del febbraio 1918, quella ufficialmente rivendicata a Parigi, la Taryba, il Consiglio della Lituania, elimina la formale alleanza con la Germania e proclama l’indipendenza del paese con i confini del nuovo Stato e con Vilnius capitale ma in un documento inviato alla cancelleria tedesca del 28 febbraio 1918 quindi anche dopo la dichiarazione ufficiale di indipendenza, sempre sostenuta dai politici lituani come unica e sola, si ribadiva che tale dichiarazione non aveva l’intenzione di mettere in crisi i rapporti e gli accordi militari del precedente documento: “Der Beschluss der Taryba von 11. Dezember 1917, als Gründlage für die Künftigen Beziehungen Litauens zu Deutschland, ist durch keinen anderen Beschluss beseitigt und bleibt bestehen”39 Quindi anche la posizione della Lituania che negherà valore ufficiale alla dichiarazione dell’11 dicembre è smentita dalle rassicurazioni che, subito dopo quella del 16 febbraio, il governo lituano si affretta a fare nei confronti del governo tedesco. Rimane il fatto che l’intero ciclo delle dichiarazioni di indipendenza da parte della Taryba lituana fu compiuta con l’accordo e sotto l’occupazione tedesca ed è comprensibile l’ansia di ottenere una dichiarazione simile in concomitanza con quella polacca, meno comprensibile è il ribadire politicamente anche dopo la dichiarazione del 16 febbraio il rispetto di un patto così oneroso. Che le relazioni con i tedeschi furono molto più approfondite che una semplice dichiarazione di indipendenza lo prova anche il tentativo condotto dal capo del Zentrum cattolico tedesco Erzberg di favorire la creazione di un regno di Lituania con la nomina di un re tedesco nella figura del duca di Urach. I documenti della nunziatura testimoniano anche la pressione che il futuro re di Lituania fece 38 In Makrickas, cit. pag. 397. Questa dichiarazione di indipendenza peserà come un macigno dopo la fine del conflitto nelle considerazioni alleate sul destino della Lituania. L’unico che ne ricorda i termini è William Page, cit., pag. 46, che considera come questa prima dichiarazione sia letteralmente scomparsa dalla storiografia lituana sull’argomento. Stessa sorte pare accadere a studi italiani recenti che non considerano il portato politico sul piano internazionale della posizione filo germanica della Lituania. Si legge infatti in questi studi che: “un primo tentativo di avvicinamento venne condotto nel novembre del 1917 a Berna: fu stabilita la formazione di uno stato indipendente, legato alla Germania da un sistema monetario e di trasporti comune, anche se venne permessa la formazione di un piccolo esercito lituano. Il documento stabiliva anche l’intenzione della Lituania di rompere le relazioni diplomatiche con la Russia, chiedendo contemporaneamente la protezione della Germania. Berlino non reagì al documento e questo creò inquietudine tra i lituani, provocando anche una perdita di popolarità della Taryba. Fu quindi decisa un’accelerazione negli eventi: Smetona venne sostituito da Basanavičius come presidente della Taryba e il 16 febbraio del 1918 venne firmata la dichiarazione di indipendenza”. E’ invece chiaro che tra l’accordo del novembre 1917 e la dichiarazione del 16 febbraio 1918 vi fu la firma, da parte di Smetona, nel dicembre ’17, della Dichiarazione di indipendenza contenente tutti i termini dell’accordo di novembre; ed è quella Dichiarazione firmata da Smetona a segnare il destino politico della Lituania nel 1919. Senza questo passaggio non si comprende infatti come sia possibile cogliere l’atteggiamento ostile dell’Intesa nei confronti della Lituania. Continuando a ignorare la dichiarazione del dicembre del 1917 si rinnova l’idea della Lituania vittima delle decisioni delle grandi potenze non considerandola invece un soggetto politico capace di prendere decisioni e di assumersene le responsabilità. Anche da parte di storici non lituani e quindi non coinvolti da questa tradizionale deformazione dei fatti, tornare a rinnovare l’equivoco significa tornare a rinnovare la confusione sulla ricostruzione dell’indipendenza lituana. Il testo riprodotto è in Claudio Carpini, cit. pag. 133. Di diverso avviso è Makrickas che, nella sua introduzione ai documenti della Nunziatura, sottolinea invece i motivi politici di quella scelta: “la liberazione dalla Russia, alla fine del 1917, in pratica, non significò altro che la subordinazione alla Germania, che però prometteva il riconoscimento dello Stato lituano. In questa situazione, i politici lituani speravano di più stipulare la pace con la Germania con le migliori condizioni e le minor perdite possibili per il Paese” Makrickas, cit. pag. 107 39 Makrickas, cit., pag. 539 23 presso il Vaticano per favorire un suo riconoscimento preliminare come monarca della nuova nazione e la richiesta di inviare un nunzio apostolico a Vilnius. L’ultimo atto compiuto dalla Taryba in questi anni fu infatti quello di inviare l’appena nominato re di Lituania da Pacelli a chiedere il riconoscimento del nuovo stato presso la Santa Sede. Il 29 ottobre del 1918 Pacelli scrive un telegramma a Gasparri, Segretario di Stato vaticano, informandolo che: “Duca Urach, eletto già re di Lituania, venuto comunicarmi Taryba lituana persiste presa decisione (…) Duca prega Santo Padre voglia influire per mezzo Vescovi clero, onde raggiungere base suddetta, e inoltre faccia conoscere Stati Intesa che sua elezione non fu imposta dalla Germania, anzi Imperatore e Governo Berlino tennero atteggiamento negativo e quasi ostile.”40 Naturalmente tra le divisioni interne ai gruppi di potere tedeschi la posizione di un re tedesco al posto di una unione personale del Granducato di Lituania con il Kaiser favoriva un opinione pubblica tedesca e cattolica piuttosto che la casta militare ma considerare, da parte del duca di Urach, questa posizione come antitedesca è sicuramente molto difficile. Si aggiunga poi che siamo nell’ottobre del 1918 alla vigilia del crollo tedesco e quindi il riconoscimento vaticano e l’appoggio a tale riconoscimento avrebbe favorito, se positivo, l’esistenza di una dinastia tedesca che sarebbe comunque coinvolta dalla sconfitta degli Imperi centrali. La posizione della Santa Sede fu quindi di estrema prudenza lasciando cadere ogni possibile riconoscimento della Lituania accanto alla sola Germania adducendo come motivazione che nessuna potenza dell’Intesa aveva ancora compiuto questo gesto.41 Sostanzialmente il Vaticano che aveva il compito difficile di riconoscere uno stato fortemente voluto dai tedeschi e dai nazionalisti lituani rifiuta tale appoggio condividendo implicitamente l’idea di una federazione con la Polonia, molto più gradita all’Intesa.42 La Taryba lituana tentò quindi, tra il dicembre 1917 e l’ottobre del 1918, in tutti i modi di guadagnare una indipendenza piegandosi alle direttive tedesche e addirittura, nel tentativo di salvare il nuovo stato dal crollo germanico, di far nominare un sovrano tedesco chiedendo il riconoscimento a Benedetto XV. Non si può certo considerare questa serie di avvenimenti messi in luce dalle carte della Nunziatura che la Lituania si presenti come paese “occupato” dalle truppe tedesche nel 1919 alla Conferenza della Pace almeno nelle tesi presentate dai suoi rappresentanti politici. Vi è invece, e non del tutto a torto, la netta sensazione da parte alleata che la Lituania sino a quel momento abbia condotto una politica non solo filotedesca ma che abbia concentrato prevalentemente l’attenzione più sulla sua distinzione con la Polonia che al contesto internazionale in cui tale indipendenza stava prendendo corpo. Questo elemento porterà gli Alleati a vedere nella Polonia e nel suo astro politico nascente, Pilsudski, il vero attore della possibilità concreta di costruire allora quello spazio politico e militare tra Germania e Russia al centro degli obiettivi alleati. Alla Conferenza di Parigi non fu in effetti, né sotto forma di stato indipendente né sotto forma di Comitato di rivendicazione ammesso nessun diplomatico lituano alla discussione sul futuro della regione e questa esclusione trova forse spiegazione proprio negli atteggiamenti e negli atti ufficiali che la Taryba lituana tenne in questi due anni cruciali prima della fine del conflitto. I termini politici del conflitto tra filo-lituani e filo-polacchi così come la posizione antipolacca di un partito nazionalista lituano che aveva voluto la Germania al suo fianco per divenire nazione indipendente si ritrovano infatti nel materiale di discussione della Conferenza della Pace. A Parigi non si discute nemmeno di una Lituania indipendente ma solo come e in qual maniera l’unione di Polonia e Lituania possa essere realizzata. Per la ricostituzione del territorio russo si ribadisce in primo luogo che la Conferenza vuole riunificare i territori dell’ex-impero zarista sotto un'unica nazione escludendo però da questa 40 Makrickas cit., pag. 740 Makrickas, cit., pag. 584 42 Anche nelle vicende ecclesiastiche della nomina di un arcivescovo lituano di fronte alle posizioni conflittuali delle due componenti nazionali, il Vaticano sceglierà un prelato indipendente e libero da quella che stava diventando ormai scopertamente una lotta politica e non una investitura religiosa. 41 24 unificazione i territori non russi: la Transcaucasia, l’Ucraina, la Finlandia, l’Armenia ed eventualmente la Lituania.43 Soffermandosi poi sul caso della Lituania la discussione si orienta su due ipotesi: “Se verrà unita alla Polonia, come sembra possibile, seguirà le vicende dell’indipendenza polacca; se non avviene questa unificazione il suo status sarà assimilato a quello della Lettonia e dell’Estonia e non a quello della Finlandia o della Polonia”44 L’intento degli alleati è quindi quello di riportare la Lituania ad una dimensione di ex provincia amministrativa dell’Impero senza una sua autonomia statale come la Lettonia e l’Estonia in questo momento, eliminando quindi la sua posizione di indipendenza dallo status politico di riconoscimento come nazione compiuto per la Finlandia o per la Polonia. La Conferenza arriverà quindi alla risoluzione 246 in cui si afferma esplicitamente che, stabilito il confine dello stato polacco, se la Lituania verrà unita alla Polonia vi sarà un confine comune ai due stati (vedi figura 1) se ciò non sarà possibile si dovrà stabilire per le provincie di Grodno e di Minsk un referendum di appartenenza e, comunque, dovrà essere assegnato uno sbocco sicuro sul Baltico allo stato polacco.45 Figura 1 – Carta della sistemazione polacco-lituana alla Conferenza di Parigi del 191946 Nelle ipotesi della Conferenza vi è quindi un obiettivo principale: separare la Germania dalla Russia identificando nella regione denominata “linguaggio misto” l’oggetto possibile di un referendum linguistico con la zona ad occidente dell’Ucraina come possibile espansione della Polonia. 43 David Hunter Miller, My Diary at the Conference of Paris , cit. vol. IV pag. 219 ibidem pag. 220 45 ibidem pag. 224 46 ibidem pag. 226 44 25 Osservando però in particolare la zona di Grodno, la Conferenza nella sua risoluzione, inserisce Vilnius come zona oggetto di negoziato e quindi non assegnata alla Lituania bensì inserita in quella area da negoziare. Per completare l’analisi della sistemazione si nota infine che una parte della Prussia Orientale nei disegni della Conferenza rimane isolata, a sinistra, dal corridoio di Danzica posto poi sotto controllo alleato con un alto commissario inglese e a destra, dal territorio libero di Memel (in questo momento non assegnato alla Lituania) che sarà posto sempre sotto controllo alleato e con un alto commissario francese. Anche una sistemazione nazionale vede quindi la Lituania etnica ridotta ad un’area di solo 132.000 kmq. Il disegno di accerchiamento e isolamento delle regioni tedesche e dell’espansione sovietica è quindi assegnato da subito alla Polonia ma, cosa ancor più interessante, è che lo stesso isolamento territoriale viene elaborato anche per la Lituania che si trova anch’essa isolata anche rispetto ai confini tedeschi. Appare chiaro che la posizione del riconoscimento a nazione indipendente della Lituania si trova a questa data in una situazione molto difficile. L’Intesa non le riconosce alcuna autonomia statale e, nella ipotesi di una sua indipendenza, la dimensiona in modo da attenersi rigorosamente alla parte di popolazione prevalentemente lituana e soprattutto non comprende, in ambedue le ipotesi, la città di Vilnius rivendicata dai lituani come capitale storica dello Stato. In questa situazione di grande incertezza la Taryba lituana si ritrova allora a dover affrontare, nell’ordine, una situazione politica interna di grande complessità dovuta alla spaccatura tra filo polacchi e autonomisti lituani con conseguenti problemi di consenso politico al suo governo; una aperta ostilità della Conferenza della Pace e degli Alleati che, lungi dal sottoscrivere un progetto di indipendenza nazionale, la limitano nei confini privandola della sua capitale storica; la nuova posizione internazionale della Polonia a cui viene assegnato, soprattutto dai francesi, il compito di costruire un’entità politica che si interponga tra Germania e Russia sovietica e, non ultimo per importanza, la presenza delle truppe tedesche lasciate dagli alleati in questa regione a salvaguardia militare di possibili espansioni sovietiche. In questa situazione quasi disperata la posizione del governo lituano comincia allora ad orientarsi verso l’Unione Sovietica e quando, nel settembre del 1919, i bolscevichi cominciano a proporre una serie di accordi per il riconoscimento della Lituania, Lettonia ed Estonia trovano il governo lituano pronto ad accogliere questa offerta tanto più che i sovietici, con le dichiarazioni di Joffe ministro plenipotenziario per i trattati con i paesi baltici, riconoscono la Lituania non in base ad una continuità storica con il Granducato ma sulla base del principio di autodeterminazione. Nell’articolo1 del trattato di pace sottoscritto tra Lituania e Unione Sovietica, quest’ultima riconosce, in base a quel principio, i confini etnici della Lituania e rinuncia ad ogni tipo di pretesa su quel territorio e i sovietici accettano, ed è qui l’elemento nuovo dell’accordo, una estensione del territorio lituano sino a comprendere la capitale Vilnius. Questo accordo viene visto quindi, al di là delle divisioni ideologiche: “una grande tentazione per i lituani di accettare l’offerta dei bolscevichi di riguadagnare Vilnius”47 Questa fase della politica estera lituana è quindi tra le più confuse e contraddittorie. Tra il settembre del 1919 e l’ottobre del 1920, in occasione della guerra russo-polacca, il governo lituano non riuscirà in nessun modo a convincere gli Alleati della sua lealtà nei loro confronti, anzi, proprio in questi mesi si consumerà, a nostro avviso, ogni residua speranza di poter raggiungere quegli obiettivi proposti dai programmi politici largamente propagandati al suo interno. Crediamo inoltre che l’insieme degli avvenimenti di questi mesi quasi autorizzerà la Polonia con il tacito assenso degli Alleati ad operare quelle azioni di forza che porteranno alla occupazione polacca di Vilnius. Il governo lituano farà di questa occupazione la bandiera di una ingiustizia subita da parte delle potenze alleate e si preoccuperà di diffondere in tutta Europa scritti, memoriali e studi tesi a mostrarla. Di fatto ciò che alla Lituania manca non sono i pezzi di carta dei trattati ma la volontà politica delle potenze militari alleate di concedere a questo paese la capacità di sostenere un ruolo 47 Eidintas, cit., pag. 68 26 strategico pari all’obiettivo richiesto: creare una opposizione contro l’espansione bolscevica impedendo contemporaneamente ai tedeschi di riprendere il controllo della zona del baltico. La guerra russo-polacca e il suo andamento militare con una fase di espansione polacca in aprile maggio del 1920 con l’occupazione dell’Ucraina vede una seconda fase di riconquista sovietica dei territori sino alla espansione dell’armata rossa alle porte di Varsavia tra il luglio e l’agosto dello stesso anno da cui parte la controffensiva polacca per giungere alla conclusione tra il settembre e l’ottobre con la firma dell’armistizio.48 In questo alternarsi dei fronti la posizione della Lituania che accetta il tentativo sovietico di sottoscrizione di un Trattato di pace, risolutamente rifiutato dai polacchi, si trova esattamente nel mezzo di un conflitto cruciale in cui i bolscevichi vogliono tentare l’ultima carta di espansione della rivoluzione oltre i confini russi. Nella prima fase del conflitto i polacchi riescono ad invadere il territorio ucraino a sud della Lituania ma il contrattacco sovietico porta l’Armata rossa ad invadere il corridoio a sud del paese occupando, nel mese di luglio, Vilnius: “la comparsa delle truppe sovietiche e la presa di Vilna, già oggetto del fiero contrasto tra Polonia e Lituania, provocò l’intervento del piccolo esercito lituano in favore dei Rossi, cosa che accrebbe la depressione dei polacchi in ritirata.”49 Durante l’avanzata sovietica verso la Polonia si ebbe allora l’intervento alleato per evitare un disastro militare e politico con la conquista da parte bolscevica di Varsavia. I russi non avevano infatti alcuna intenzione di fermare la propria avanzata e nell’agosto del 1920 consideravano la conquista di quel territorio come il più importante risultato della espansione del nuovo regime comunista in Europa centrale. Furono intavolate discussioni e trattative tra gli Alleati, la Polonia e la Lituania in questa fase molto difficile del conflitto ed in una conferenza a Spa nel luglio del 1920 si propose un armistizio in cui la Polonia si sarebbe ritirata dietro la linea di confine tracciata dagli alleati della linea Curzon dal nome del ministro inglese, i bolscevichi si sarebbero invece stabilizzati a 15 km ad est di tale linea riprendendo sotto il loro controllo le regioni ucraine e la Lituania avrebbe avuto la città di Vilnius con la promessa di risolvere ogni conflitto con la mediazione del governo inglese. Al rifiuto polacco di cedere Vilnius la risposta inglese fu perentoria: di fronte ad una situazione militarmente complessa si i polacchi non avessero accettato le condizioni di armistizio proposte, il governo inglese avrebbe lasciato la questione di Vilnius nelle mani di una trattativa separata tra lituani e russi. Fu chiaro che senza l’appoggio alleato la Polonia non aveva alcuna possibilità politica di rimanere indipendente e il governo di Varsavia accettò le condizioni imposte da Loyd George. I mediatori francesi e inglesi che a Vilnius dovevano quindi favorire l’entrata dei Lituani in città secondo le condizioni dell’armistizio, trovarono invece l’esercito polacco assolutamente non disposto a questa soluzione: il 13 luglio ritardarono a tal punto l’uscita dalla città che fu occupata, il giorno seguente, dai bolscevichi che non manifestarono alcuna intenzione di cedere la città ai lituani come stabilito dal Trattato di Pace lituano-sovietico. La mossa polacca mette quindi in scacco il governo lituano che non può, per gli accordi sottoscritti, attaccare le truppe russe. Le stesse truppe però, il 26 di agosto, ritirandosi dalla Polonia non si preoccuperanno minimamente degli accordi firmati usando quindi il territorio lituano come corridoio per il passaggio dell’esercito. Questa leggerezza permetterà però ai polacchi di diffondere la notizia presso gli Alleati che esista in realtà un accordo segreto tra sovietici e lituani teso a favorire l’esodo delle truppe per sfuggire all’avanzata polacca. La posizione lituana diviene a questo punto insostenibile politicamente presso l’Intesa poiché l’atteggiamento filo-sovietico tenuto sino a questo momento rende molto difficile credere che tale idea sia del tutto peregrina. Anche se i diplomatici inglesi e francesi in questo momento non credono all’esistenza di tale accordo, il passaggio dei prigionieri di guerra russi nel territorio lituano permette di fornire il pretesto ai polacchi di chiedere formalmente il passaggio delle truppe polacche in quel territorio per 48 49 L’intera vicenda in Chamberlin, cit., vol.II, pagg. 407-432 Chamberlin, cit., vol II, pag. 415 27 inseguire le truppe sovietiche in ritirata. Al rifiuto lituano per violazione della sua neutralità territoriale vi è comunque l’invasione dell’esercito polacco che porta i sovietici a denunciare il Trattato di pace con la Lituania come nullo per aver permesso ai polacchi di aver attraversato i propri confini contro l’Unione Sovietica. Questa situazione assolutamente paradossale è quindi occasione di un successivo conflitto diplomatico tra polacchi e lituani in cui ambedue i contendenti faranno riferimento agli organismi internazionali per far valere le loro ragioni di rivendicazione della regione di Vilnius attualmente occupata dalle truppe di Varsavia. La Polonia si rivolgerà alla Lega delle Nazioni denunciando la Lituania di aver favorito i sovietici permettendo loro di occupare Vilnius e di aver fatto passare le truppe nell’avanzata verso Varsavia; la Lituania invece si rivolgerà al governo inglese che si era fatto garante del negoziato di Spa denunciando i polacchi di aver violato l’accordo per cui la zona attorno a Vilnius e la regione di Grodno doveva essere loro assegnata. E’ certamente vero che la Polonia gioca la sua partita in maniera spregiudicata costruendo l’immagine di una Lituania inaffidabile sia in virtù di quell’accordo coi sovietici sia facendo occupare la capitale dall’armata rossa ed impedendo quindi il rispetto dell’accordo di Spa; è anche vero però che gli stessi lituani peccano di ingenuità in primo luogo pensando che si potesse rimanere neutrali in un conflitto tra polacchi e russi con il proprio territorio al centro della contesa e in secondo luogo rendendo trasparente il proprio rapporto con i sovietici di fronte alle potenze europee. La posizione lituana diviene infatti agli occhi degli alleati quasi incomprensibile, tanto più che gli stessi comunicano alla missione britannica che i bolscevichi stanno preparando un’offensiva contro la Polonia e che in questa offensiva, grazie agli accordi sottoscritti, la Lituania potrà rientrare in possesso della sua capitale. Le intenzioni lituane sono ingenue o forse, come è stato sostenuto, sono il risultato di un tentativo di operare una pressione indiretta sui governi dell’Intesa al fine di ottenere un supporto da Londra visto che la Polonia è fortemente sostenuta dal governo francese. In questo gioco diplomatico-militare è comunque un dato di fatto che il trattato del luglio tra Lituania e Unione Sovietica era stilato in funzione antipolacca e che i comportamenti della Lituania nel corso del conflitto furono improntati a sfavorire l’azione della Polonia in un delicatissimo momento della sua storia e quindi a compromettere l’equilibrio internazionale creato dall’Intesa. Questi episodi portarono a confermare la pessima impressione di Francesi e Inglesi sul comportamento del governo di Kowno: creò un forte disappunto inglese per queste manovre con i sovietici e spinse i francesi a pensare che vi fosse un accordo tra lituani e russi ai danni della Polonia. Durante la guerra del 1920 tra Polonia e Unione Sovietica combattuta sul suo territorio la Lituania si dichiarò neutrale ma nessuno tra gli alleati poté credere ad una vera neutralità lituana vista la posizione assunta sulla questione di Vilnius. L’atteggiamento ambiguo nei confronti dei sovietici portò quindi: “i Russi ad occupare Vilnius il 14 luglio e a consentire il trasporto delle truppe russe verso il fronte polacco. Questo portò a vanificare la parte del trattato che prevedeva la neutralità lituana nel conflitto come prezzo per poter ottenere Vilnius. I leaders lituani non avevano capito le conseguenze negative di quella concessione e questo punto fu elemento di grande peso per gli avvenimenti successivi” 50 La posizione polacca ufficiale di accettazione dell’accordo di Suwalki, sotto la mediazione della Lega delle Nazioni nell’ottobre del 1920 in cui il territorio di Vilnius usciva dall’orbita polacca ma 50 Eidintas, cit. pag. 70, Il comportamento diplomatico lituano di avvicinamento all’Unione Sovietica non poteva certo prevedere in questa guerra la grande capacità di reazione dell’esercito polacco nel settembre 1920 e certamente la vicenda dell’occupazione russa di Vilnius fu provocata ad arte dai polacchi per creare imbarazzo nei rapporti russolituani. Rimane però la perplessità, tutta politica, di come il governo lituano alla fine del conflitto non abbia compreso che in questo momento la Polonia e gli Alleati non ritenessero alla luce degli ultimi avvenimenti di considerare ancora valido l’accordo sottoscritto a Spa. Inoltre poco si comprende come non sia risultato chiaro ai lituani l’atteggiamento polacco nei confronti di quegli accordi dopo che non solo aveva battuto l’esercito sovietico con le proprie forze ma che quella vittoria era stata realizzata con il parere contrario degli Inglesi: che il governo lituano si aspettasse quindi il rispetto di quell’accordo con l’abbandono polacco di Vilnius rimane certo incomprensibile. 28 senza la creazione di una difesa del suo territorio occupato invece, nella parte meridionale, proprio dalle truppe di Varsavia faceva pensare più ad una soluzione provvisoria in attesa della firma del Trattato di pace tra Polonia e Russia. Questo Trattato portò infatti ad una sistemazione territoriale in cui: “la Russia fu esclusa dal contatto immediato con la Lituania, e, attraverso questa, con la Germania (una cooperazione russo-tedesca era, in quel momento, l’incubo degli uomini di stato polacchi e francesi) mediante l’assegnazione alla Polonia di un lungo e stretto corridoio in cui rimaneva esclusa la disputata città di Vilna e mercé la quale la Polonia acquistava una frontiera comune con la Lettonia”51 Se, dopo lo svolgersi di questi avvenimenti, cruciali perché disegnano sul terreno e con sforzi militari enormi la serie dei confini nella regione, torniamo ad osservare la carta discussa a Parigi nel 1919 possiamo vedere che la situazione al termine del conflitto russo-polacco porterà esattamente a quella estensione territoriale della Polonia data, allora, per incerta dagli Alleati. La resistenza di Varsavia e l’invasione di Ucraina e Lituania per respingere le truppe sovietiche porteranno a far guadagnare alla Polonia, sul piano militare, quel territorio che permetteva di non avere più collegamenti tra Russia e Germania e soprattutto isolava la Lituania tra la Polonia a sud-ovest e la Lettonia ad est così come era negli obiettivi dell’Intesa. Rimaneva solo la città di Vilnius ottenuta dal governo di Kowno con un accordo del quale però nessuno dei protagonisti della vicenda aveva un reale interesse politico e strategico a rispettare. Gli stessi Alleati vedevano anzi nel rispetto di quell’accordo un oggettivo vantaggio al possibile collegamento tra russi e tedeschi riaffidando quello spazio ad uno stato come quello lituano che si era rivelato durante le vicende del conflitto disponibile a cedere ai russi. Il risultato ottenuto dal governo lituano può quindi definirsi fallimentare perché in un solo colpo riuscì non solo a inimicarsi l’unico interlocutore a lui favorevole, l’Inghilterra, operando in maniera autonoma un colloquio diplomatico con l’Unione Sovietica ma permise a quest’ultima di avere un supporto territoriale per il tentativo di invasione della Polonia. Il risultato finale fu quindi che: “il 12 ottobre 1920 delegati sovietici e polacchi firmarono un armistizio sulla linea tenuta dagli opposti eserciti. Tale linea fu confermata dal Trattato di pace firmato cinque mesi dopo, il 18 marzo 1921, a Riga e costituì la base delle relazioni tra la Russia Sovietica e la Polonia per quasi due decenni. Oltre a cedere alla Polonia un largo tratto di territorio prevalentemente bielorusso, la nuova frontiera lasciava un largo cuneo di territorio polacco tra la Lituania e la RSFSR, isolando in tal modo la Lituania e bloccando un potenziale canale di penetrazione sovietica verso occidente”52 Questo isolamento territoriale è quindi la conseguenza di un isolamento politico che la Lituania si è costruito sin dal 1917, come abbiamo visto. La posizione intransigente contro la Polonia e l’atteggiamento avuto nei confronti della Germania furono le premesse per la diffidenza verso la sua lealtà da parte delle potenze alleate durante la Conferenza di Parigi e le trattative diplomatiche con l’Unione Sovietica e la fine della guerra russo-polacca nel 1921 vedono la Lituania posta in una situazione internazionale molto complessa e difficile da poter gestire sia a livello interno che internazionale. La situazione interna vede infatti una crescita dell’estremismo nazionalista il quale chiede a gran voce la rivendicazione della capitale Vilnius agli Alleati come prezzo del suo non intervento nel conflitto; dal punto di vista internazionale invece il tentativo di riconoscimento di quel punto cercato con un avvicinamento ai sovietici fu considerato come la conferma di una sostanziale incapacità del governo lituano di poter sostenere una politica leale con le potenze occidentali. A questo punto il tentativo di putsch da parte di Pilsudski di occupare militarmente anche Vilnius e di chiudere questa annosa questione con le armi diviene una soluzione politicamente praticabile53. 51 Chamberlin, cit. vol. II, pag. 430 Carr, cit., pag.1000 53 Che Pilsudski conoscesse le intenzioni del generale Zeligowski e quindi approvasse l’occupazione di Vilnius risulta da un documento pubblicato da Gionfrida, da un colloquio del generale Romei con Pilsudski: “Egualmente quando il generale Zeligowski ha occupato Vilna, i lituani non hanno avuto un solo uomo nè morto né ferito. Ed a ciò, oltre agli 52 29 Il 9 ottobre, quindi dopo i primi incontri con l’Intesa per l’accordo di Suwalki e i primi approcci diplomatici con i sovietici per l’armistizio, il generale Zeligowski a capo di truppe volontarie polacche occupa Vilnius e proclama lo stato della Lituania Centrale provocando soprattutto una espulsione della comunità ebraica che si rifugerà in gran parte a Kowno. La reazione internazionale non si fece attendere e la Polonia fu accusata di fronte alla Società delle Nazioni di violazione degli accordi e lo stesso Pilsudski dovette accusare formalmente e pubblicamente il generale Zeligowski di violazione della disciplina militare e di aver abusato dei suoi poteri agendo di sua iniziativa. Naturalmente questa posizione di aperta violazione dei Trattati da parte della Polonia rappresentò per le potenze Alleate una diminuzione del prestigio della Lega delle Nazioni. Ma anche la decisione di sottoporre a plebiscito il destino di Vilnius provocò la reazione negativa dei due stati: “né la Polonia né la Lituania erano favorevoli ad un plebiscito anche se formalmente ambedue lo approvarono. Il punto essenziale della contesa era che le condizioni del plebiscito sarebbero state condotte con in corso un occupazione militare di una delle due parti in lotta.”54 Un ultimo tentativo militare intrapreso dall’esercito lituano per riconquistare Vilnius fu comunque fermato dal rappresentante militare alleato, il francese Chardigny, sino al plebiscito che porterà, grazie all’astensione dei lituani presenti nella capitale per protesta, ad assegnare definitivamente la città alla Polonia.55 Dopo aver descritto le ultime vicende della indipendenza lituana che verrà riconosciuta nella sua forma attuale come nazione solo alla fine del 1922 dagli Alleati dopo la sistemazione della questione di Vilnius è necessario soffermarsi per un momento ad alcune considerazioni di ordine più generale soprattutto confrontando l’esperienza lituana con le ipotesi alternative che in quegli anni furono compiute, come abbiamo visto, dal Vaticano favorevole ad una unione federale con la Polonia sino alla posizione francese che contribuì da subito alla formazione di uno stato polacco egemone nella regione. La medesima posizione fu espressa anche dal Generale Marietti in un suo documento successivo alla missione del 191956. In realtà le scelte dei governi lituani in tutto questo periodo si orientano sempre verso quei paesi, come la Germania e la Russia, che si dichiarano per la separazione con la Polonia. Questa pregiudiziale che guida tutta l’azione lituana per l’indipendenza porterà quindi ad una serie di errori politici e diplomatici derivati in parte dall’idea pregiudiziale che l’Intesa fosse favorevole alla grande Polonia senza ulteriori condizioni. E’ invece vero che vi sono almeno tre momenti in cui la Lituania può decidere alcune alternative per cercare di migliorare la sua posizione. La prima è sicuramente quella di formulare una diversa unificazione con la Polonia spingendosi sino alla formazione di una federazione tra i due stati. Una unione federale avrebbe potuto permettere anche una diversa considerazione del problema di Vilnius e avrebbe sicuramente favorito quella unione politico militare degli stati baltici utile agli obiettivi delle democrazie occidentali. Una seconda situazione fu quella legata alla posizione di “neutralità” nei confronti dell’Unione Sovietica che trascinò la Lituania all’interno di un conflitto in cui non era possibile ritenere quella posizione come non orientata ad un atteggiamento filosovietico. E’ vero quindi che in alcuni momenti cruciali in cui il governo si trovò a decidere liberamente alcune opzioni, come ad esempio, tra la prima e la seconda fase della guerra polacco-russa, la Lituania poteva assumere atteggiamenti meno ostili nei confronti di Varsavia anche per il modo con cui i sovietici decisero di violare apertamente il Trattato di pace e di considerare il territorio lituano come un ponte strategico per l’avanzata verso la capitale polacca. Dopo l’occupazione polacca di Vilnius e negli anni successivi alla pace di Riga, la Lituania divenne protagonista di una vera e propria campagna legalistica in favore del’occupazione polacca della loro ordini tassativi da me dati, ha servito un sentimento innato tanto nell’animo dei Polacchi che in quello dei Lituani, un sentimento di istintiva repulsione a combattersi tra di loro.”cit. pag. 252. Questo rafforza l’idea che la presa di Vilnius prima di essere un atto militare era già politicamente matura nell’agosto del 1920. La sottolineatura è nostra. 54 Eidintas, cit. pag. 77 55 Le conseguenze di questo plebiscito provocheranno da parte lituana l’occupazione di Memel. Cfr. Capitolo IV 56 Cfr. Capitolo III e Appendice 30 capitale, l’Europa fu inondata di libelli, opuscoli, testi di giuristi, politici, con cui il governo lituano difese la propria posizione di piccola nazione indifesa contro il disegno della grande Polonia e dal machiavellismo dimostrato sia dalla Germania che dall’Unione Sovietica nei suoi confronti.57 Questo atteggiamento fu certo una della cause che portò ad un inasprimento delle posizioni nazionaliste e condusse anche alla ricerca di soluzioni militari sino all’invasione di Memel. L’insieme di questi atteggiamenti però continuarono a comportare una fragilità politica sempre più evidente che minarono il ruolo della Lituania che rappresentava il paese baltico più importante e quello da cui si costruiranno l’insieme degli equilibri possibili nella regione. Anche in questo caso, la serie di decisioni sbagliate che derivano da quella pregiudiziale antipolacca saranno forieri di drammatiche conseguenze. Recentemente e con una riflessione più ragionata gli stessi storici lituani hanno cominciato a rivedere questa idea della “nazione ferita” e a riflettere sulla serie degli errori compiuti soprattutto dai governi nazionalisti e dal presidente Smetona. La domanda che oggi ci si pone è come mai nonostante nei mesi intorno al 1919 si fossero create le condizioni per una unione politica tra gli stati baltici e quindi con la concreta possibilità di formare un sistema di difesa comune che comprendesse anche Polonia e Finlandia naufragò sino a provocare un progressivo indebolimento di tutte queste nazioni per poi ripiombare di nuovo negli anni tra le due guerre nell’orbita tedescosovietica. La risposta a questa domanda è certo dovuta alle differenti condizioni e vicende con cui questi stati ottennero l’indipendenza ma soprattutto al fatto che: “il ruolo della Polonia in quelle regioni non era necessariamente facile. Nello spazio geopolitico tra Germania e Russia la Polonia era la sola potenza in grado di assicurare lo status quo di cui l’indipendenza degli stati baltici era parte integrante. In questo senso la posizione forte della Polonia avrebbe favorito gli interessi degli stati baltici. Ma allo stesso tempo come stato egemone la Polonia avrebbe obbedito al suo ruolo di grande potenza. Di conseguenza avrebbe raggiunto un accordo con la Finlandia per la spartizione delle influenze con l’Estonia sotto il controllo finnico e la Lettonia e la Lituania sotto quello polacco.”58 Questa ipotesi politica alternativa, non nuova perché già formulata dai francesi e in qualche modo disegnata anche durante la Conferenza della Pace, si scontrò sempre con la posizione Lituana e: “il conflitto Lituania-Polonia rese questo disegno impossibile”.59Rimane però la giustezza di questa ipotesi, considerata ormai oggi, dagli stessi lituani, come non peregrina, che spiega come il progressivo isolamento politico lituano portò, a lungo andare, ad un indebolimento di tutte le realtà statali appena costituite. Marietti nelle sue Considerazioni indicò chiaramente invece come l’unione di questi stati fosse la sola possibilità di giungere ad una loro stabilità60 ed è interessante notare come oggi tale ipotesi risulti un fecondo terreno di riflessione per comprendere la vicenda lituana. 57 Quasi tutte le pubblicazioni soprattutto di lingua francese e italiana si adoperarono per denunciare la situazione di Vilnius come una aperta violazione del diritto internazionale. Lo spoglio di questa documentazione ci riporta sempre al medesimo punto: questa violazione è basata sempre su argomenti giuridici e non all’analisi di una reale e concreta situazione storica in cui furono le decisioni politiche nella loro successione a determinarla. Il tono di queste pubblicazioni tendeva quindi a mostrare, più che la presenza di un problema lituano, la crisi del sistema di Versailles. L’interesse lituano viene difeso infatti con descrizione di avvenimenti molto lontani dalla realtà dei fatti. Solo per esemplificare questo tono citeremo due esempi, uno di lingua italiana e uno di lingua francese. Nel 1922 appare, anonimo, un opuscolo sulla questione di Vilnius dove si legge: “Durante tutta la guerra russo-polacca la Lituania mantenne rigidamente la neutralità che essa aveva dichiarata. Allorché l’esercito polacco subiva una serie di insuccessi e la più piccola pressione alle sue spalle da parte dei Lituani avrebbe potuto causare una seria catastrofe, il Governo lituano e il suo esercito si attennero rigidamente alla loro neutralità”, Il problema di Vilna, Genova 1922, pag. 19. Che questo fatto sia smentito ormai dalla ricostruzione degli stessi storici lituani è dato acquisito ma in quel momento risultava utile negare questa ricostruzione a vantaggio dell’immagine colpevole delle grandi potenze nei confronti di un paese privato della sua storica capitale. Il secondo testo, più distante nel tempo, siamo nel 1937, addirittura afferma che: “a seguito della prima guerra mondiale la Lituania ha dovuto sopportare nuovi sacrifici e violenze causati dalla Germania e dalla Russia” Petras Vileišis, La Lithuanie et le problème de la sécuritè internationale, Paris, 1937, pag. 6. 58 Eidintas, cit. pag., 101 59 ibidem 60 Si veda a questo proposito le analisi di Marietti nel Capitolo III 31 Le vicende dell’indipendenza lettone sino alla guerra di liberazione del 1919 Per poter inquadrare in modo corretto le vicende dell’indipendenza lettone ed estone bisogna tener presenti almeno due elementi che giocarono un ruolo determinante per gli eventi tra il 1917 e il 1919. Il primo è certamente l’atteggiamento antigermanico delle popolazioni lettoni che guidò il governo del partito nazionalista di Ulmanis dovuto ad una tradizione secolare di dominio feudale da parte dei baroni baltici di origine tedesca; il secondo è la capacità di penetrazione del movimento socialista bolscevico nel paese che, in qualche modo, è legato a quella condizione socio-economica generata dai processi di colonizzazione dei secoli precedenti. Tra tutti i paesi del Baltico in Lettonia la componente socialista e la vicinanza alle parole d’ordine rivoluzionarie che provenivano da Pietrogrado e da Mosca trova questo paese particolarmente ricettivo e pronto a creare il primo nucleo, insieme a paesi come l’Ungheria e la Baviera, di quella estensione della rivoluzione verso altri paesi proclamata dall’internazionalismo sovietico. La presenza di questi due fattori porterà quindi ad uno scontro interno alla Lettonia in cui il partito di centro e antibolscevico, in netta minoranza, troverà il suo consenso soprattutto nei ceti urbani e dediti ai traffici internazionali mentre il partito socialdemocratico vede nei ceti operai e portuali, nell’esercito e nei contadini una base fortissima di penetrazione e di risposta positiva alla sua propaganda. In Lettonia questa suddivisione sociale non coincide però sempre con la divisione etnica. Nelle campagne l’etnia lettone favorevole ai socialisti è sicuramente prevalente mentre nelle città portuali anche le minoranze di origine tedesca o ebraica partecipano attivamente alla costruzione delle avanguardie politiche rivoluzionarie. L’origine della penetrazione del socialismo data sin dal 1905. La presenza del Partito socialdemocratico dei lavoratori, il futuro partito bolscevico, organizza la sua prima opera di penetrazione in quel periodo subendo repressioni molto violente da parte dell’esercito e della polizia zarista in tutte le città della Lettonia. In un opuscolo pubblicato nel 1907 in Inghilterra sulla nascita del movimento rivoluzionario lettone viene già segnalata la presenza di 52 agitatori e agenti rivoluzionari con la maggiore concentrazione a Riga.61 Il processo di centralizzazione amministrativa del regime zarista insieme al ferreo dominio feudale dei baroni tedeschi ha costruito una miscela esplosiva di enorme portata. Già durante l’abolizione della servitù della gleba voluta dallo zar Alessandro II il sistema produttivo contadino è stato contemporaneamente privato della proprietà terriera anche se tra il 1840 e il 1860 vi fu una riforma operata dai baroni baltici che portò invece alla progressiva acquisizione di territori da parte dei contadini sino a raggiungere nel 1917 il 63,5% dell’estensione dei terreni agricoli.62 Questo progressivo emergere della proprietà contadina diede luogo ad una crescita dell’autogoverno delle singole località in cui la presenza di amministratori di etnia lettone comincia a prendere piede e ad estendersi. Dopo la rivoluzione del marzo 1917 il governo provvisorio russo non può quindi ignorare la presenza di questi gruppi di autogoverno locale che pensano alla costituzione di una Assemblea rappresentativa che possa far valere le ragioni delle popolazioni e il suo desiderio di autonomia. Particolare è quindi la costruzione di questi consigli che hanno nei loro componenti una prevalenza di origine contadina a cui si uniranno i soldati che riescono ad ottenere il diritto di voto come autonoma rappresentanza. Ed è da questa base che il partito socialdemocratico dei lavoratori comincia a costruire basi solide per una sua estensione. Questa importante presenza quindi del movimento rivoluzionario negli anni tra il 1905 e il 1917 conobbe un ulteriore incremento di aderenti dovuto anche alle particolari condizioni di centro commerciale e industriale dovuto ai traffici portuali. Lo stesso Lenin giunse a considerare la Lettonia come uno dei pochi territori sicuri per evitare possibili persecuzioni zariste. Nella fase più delicata della rivoluzione nel momento in cui si decise il colpo di mano di novembre il capo dei bolscevichi trovò qui e in Finlandia un rifugio sicuro per evitare persecuzioni ed attentati. 61 62 Ernest O.F. Ames, The Revolution in the baltic provinces of Russia, London 1917, pag. 21 Von Rauch, cit. pag. 6 32 In pieno clima rivoluzionario dovuto al riconoscimento delle nazionalità non-russe da parte del governo provvisorio di Pietrogrado il 30 luglio del 1917 viene convocato un Consiglio a Riga per discutere la base legale di questa autonomia. La Lettonia non aveva mai avuto, sino a questo momento, una tradizione storica di autonomia nazionale, in effetti si era sempre discusso delle varie province amministrative che costituivano un territorio reso omogeneo solo dalla presenza di popolazioni di lingua lettone che però avevano subito nel corso dei secoli sviluppi politici molto diversi. Mentre la Curlandia era da sempre considerata un territorio molto vicino alla Prussia orientale per i suoi legami politici e commerciali costruiti dall’Ordine Teutonico prima e dai baroni baltici poi, la Livonia era da sempre una regione molto più legata all’Impero Russo ed aveva subito profondamente l’influenza di quel paese. Il Consiglio di Riga tenta quindi di rappresentare tutte queste componenti e soprattutto di dare voce anche agli operai, ai soldati, ai rifugiati all’estero63 oltre che alla componente contadina che però è solo una delle parti della popolazione e non è la parte preponderante, come nel caso lituano. Viene quindi stabilito all’unanimità in quella riunione che il popolo lettone ha diritto all’autodeterminazione fornendo su base etnica anche l’estensione territoriale della nuova Lettonia che comprende le regioni della Livonia meridionale, della Curlandia e della Latgallia. Accanto alla dichiarazione di autonomia e grazie all’abolizione dei divieti zaristi si comincia a dare vita anche ad una autonomia amministrativa, scolastica e religiosa nell’ottica di una unione federale con la Russia opponendosi ad ogni interferenza esterna senza un preventivo assenso della popolazione. Quasi immediatamente a questa richiesta, appoggiata dalle componenti nazionaliste, comincia a delinearsi anche la posizione egemone del partito socialdemocratico il quale, al di là della identificazione della popolazione e del territorio lettone, vuole decidere che tipo di autonomia possa essere attuata e con quali regole soprattutto nei rapporti con il governo provvisorio russo. I socialisti chiedono una proclamazione di indipendenza in vista di un patto federativo con la Russia mentre la componente antibolscevica vuole una indipendenza completa e lontana da quelle posizioni che dominano in questo momento larga parte dei rappresentanti locali in Lettonia. Questa richiesta di unione federale con Pietrogrado deriva soprattutto dalla consapevolezza da parte dei socialisti rivoluzionari di controllare in larga parte i rappresentanti di quei consigli amministrativi. Ci si rende infatti conto da parte del partito nazionalista che mentre alcune rivendicazioni inviate al governo provvisorio contengono in modo chiaro l’evoluzione verso uno stato indipendente e nazionale, il passaggio relativo ad una unione federale con la Russia mina la possibilità di decisioni autonome rispetto alla politica decisa nella capitale imperiale. La serie degli eventi legati alla rivoluzione di novembre in Russia si incaricherà di dirimere questo conflitto tra autonomia integrale e unione federativa. Mentre infatti la presenza di consigli rivoluzionari in territorio lettone porterà a rivolgersi al nuovo governo sovietico come punto di riferimento per una rivoluzione proletaria, in Estonia questo cambiamento provocherà l’effetto opposto cementando ancora di più la resistenza antibolscevica dei consigli locali in cui la presenza rivoluzionaria è largamente minoritaria. Il 20 dicembre del 1917 viene creata la repubblica dei Soviet di Lettonia che si trova quindi spaccata in due: nella regione della Curlandia vi è una forte presenza del partito nazionalista lettone mentre nella Livonia settentrionale la presenza sovietica e il regime rivoluzionario ha ormai preso piede in maniera stabile. In questo momento vi è quindi un governo provvisorio che non ha alcun potere: stretto tra la presenza tedesca in Curlandia e la posizione egemone dei bolscevichi lettoni nelle altre regioni. Esso si dichiara governo legale ma, di fatto, non esercita alcun potere se non una rappresentanza come Consiglio Lettone in Scandinavia da dove comincia a tessere la tela di un suo riconoscimento internazionale da parte delle nazioni dell’Intesa. Il 18 di novembre del 1918 vi è quindi una proclamazione di indipendenza da parte del presidente Goldmanis raccolta immediatamente dagli Alleati che riconoscono de facto l’indipendenza lettone 63 Cfr. S.Page, cit. pag. 65. 33 ma tale indipendenza è del tutto nominale e verrà travolta dall’invasione tedesca di tutte le regioni lettoni un mese più tardi. E’ importante però soffermarsi un attimo a considerare questi eventi che portano alla dichiarazione di novembre come utili per chiarire le differenze e le peculiarità della situazione politica lettone rispetto agli altri paesi del Baltico. A differenza dell’Estonia, la pregiudiziale antigermanica dovuta alla particolare situazione economica largamente dominata dai baroni baltici è trasversale a tutte le componenti sociali. Questa pregiudiziale che si riflette sulla estensione della proprietà agraria tedesca rispetto al resto della popolazione richiama lo sviluppo e la presenza del movimento socialista in forme vicine al movimento bolscevico che ha proclamato da subito la necessità di una riforma radicale della condizione contadina. I due proclami dei bolscevichi russi sulla terra e sulla pace sono quindi degli strumenti molto forti di penetrazione del movimento rivoluzionario nella popolazione lettone che vede invece nel governo del consiglio nazionale una specie di rappresentazione locale di quelle componenti politiche già dissolte dalla rivoluzione di novembre in Russia. La strategia bolscevica condotta nelle trattative con i tedeschi per la pace separata considera quindi la Lettonia come il paese che presenta le condizioni migliori per darsi ordinamenti rivoluzionari pur proclamandone ufficialmente l’autodeterminazione. Si può dire che l’Unione Sovietica rinunciando ai territori sul Baltico in favore della Germania conserva intatta la speranza di riottenerne rapidamente il controllo grazie alla forza dei soviet lettoni che sono in questo momento egemoni su larga parte del territorio. Osservando la carta di queste regioni nel gennaio del 1918 il controllo politico del governo nazionalista si concentra infatti soprattutto nella zona di Libau sulla costa baltica mentre il resto del paese è largamente dominato dai soviet. L’occupazione tedesca che si accinge ad occupare queste regioni è quindi largamente osteggiata dal punto di vista popolare ma anche dalle classi nazionaliste e liberali del paese mentre trova ampio riscontro e protezione da parte dei baroni baltici che controllano gran parte dell’apparato produttivo del paese. Questi ultimi sono quindi pronti a difendere i propri privilegi feudali con grande determinazione fino ad ignorare completamente non solo la componente contadina lettone ma anche quegli stessi ceti borghesi che si sono dati in questo momento la rappresentanza politica appoggiata dall’Intesa. Si formano così tre blocchi sociali tra di loro in radicale opposizione. Il primo è rappresentato dal governo provvisorio della Lituania indipendente, minoritario ma vicino agli Alleati e che quindi rappresenta l’interlocutore più vicino ai futuri vincitori del conflitto per creare uno spazio politico vicino alle loro posizioni in questa zona; un secondo blocco è rappresentato dai baroni baltici filotedeschi e favorevoli all’occupazione da parte della Germania con la richiesta di riportare il paese ad un ordinamento feudale a loro favorevole; la terza componente, quella filo bolscevica, è invece largamente maggioritaria tra la popolazione lettone e sostenuta dagli attivisti bolscevichi di origine lettone presenti a Pietrogrado e alle comunità lettoni che si sono rifugiate in territorio russo le quali hanno largo peso nella organizzazione del partito comunista russo. La pace di Brest Litowsk che porta all’occupazione di queste regioni da parte dei tedeschi a partire dal marzo del 1918 fa emergere questa contrapposizione in modo violento. Lo scatenarsi di tutte le tensioni interne dovute alla pace separata trova in queste regioni il centro dinamico di tutte le sue contraddizioni. Curlandia, Livonia e Latgallia nella loro diversità reciproca dovuta a peculiari componenti sociali, culturali e politiche sono consegnate alla Germania durante la fase più acuta della discussione sul trattato di pace germano-sovietico che manifesta una crisi interna al partito bolscevico in cui vi è una minoranza dei componenti il Comitato Centrale del partito che vuole continuare la guerra con i tedeschi. La firma voluta fortemente da Lenin per non minacciare ulteriormente lo stabilizzarsi del movimento rivoluzionario64 porterà infatti alla perdita di territori 64 Su questa discussione si veda Carr, cit. pag. 835-36 : la posizione “estremistica” di Lenin di firmare comunque vadano le cose sul fronte militare, la pace con i tedeschi deriva in gran parte dagli eventi lettoni. L’occupazione tedesca non fa che confermare la sua tesi della minaccia mortale che una mancata pace con il Reich comporta per la fragile 34 come quello lettone legato profondamente all’evoluzione della rivoluzione bolscevica. D’altro canto l’occupazione tedesca che estende il proprio dominio a partire dalla Curlandia quindi da un territorio a loro più favorevole dal punto di vista politico per la presenza dei baroni baltici, trova in Livonia e in Latgallia una profonda resistenza anche negli strati nazionalistici e antibolscevichi lettoni che vedono ricacciate indietro le loro pretese di autonomia proprio dalla rinnovata importanza che la nobiltà di origine tedesca assume dietro la protezione delle armate del Reich. Vi è inoltre, a rendere ancora più esasperata la situazione, l’idea della Germania di trasformare queste regioni, tradizionalmente legate all’espansione germanica verso est, il nucleo forte di uno stato coloniale che possa in qualche modo resistere al crollo ormai imminente dell’esercito tedesco e alla crisi interna che si scatenerà dopo la sconfitta sul fronte occidentale.65 Il vero problema che diventerà sempre più preoccupante sino ad esplodere nel 1919 è la reale forza in campo di queste componenti. I baroni baltici filotedeschi hanno a protezione l’esercito tedesco che nell’est non ha perso una battaglia e che per le trattative di pace condotte sino a questo momento vede l’Unione Sovietica ritirarsi almeno ufficialmente dalla possibilità di reagire alla sua occupazione; per altro verso la componente filo bolscevica del partito rivoluzionario lettone è in grado non solo di resistere ai tedeschi ma di incrementare la propria forza proprio in virtù del tentativo reazionario di reintrodurre il regime feudale e quindi relegare di nuovo i lettoni al rango di colonia tedesca. Il governo nazionale lettone invece, protetto dalla marina inglese e dall’Intesa, ha dalla sua parte il riconoscimento internazionale alleato e quindi può ricorrere alle minacce di rinnovo del blocco economico che risulterà fatale per la sopravvivenza dell’intera Germania ma non ha, in questo momento, una reale base di consenso popolare né tantomeno una forza militare sul terreno. Le decisioni prese tra il febbraio e il novembre 1918 dai tedeschi sono quindi essenziali per comprendere gli avvenimenti successivi e l’esplodere di queste contraddizioni. Saranno infatti le scelte politiche del governo imperiale a determinare l’estremizzazione del conflitto, la crescita di consenso locale verso i bolscevichi lettoni e internazionali verso le componenti nazionaliste sino a creare le condizioni della guerra di liberazione del 1919. Nel marzo del 1918, con la conquista della Curlandia, i tedeschi rinnovano infatti le basi legali della loro occupazione rispolverando il trattato di Nystad del 1721 tra Federico il Grande e i baroni baltici. Ignorando completamente i rapporti nuovi e le trasformazioni sociali intervenuti nel frattempo l’idea centrale che guida lo stato maggiore di Ludendorff è di rinnovare le prerogative dell’antico consiglio locale formato dalle componenti tedesche, il Landesrat, ma: “questa razionalizzazione ignora completamente il periodo di due secoli e i cambiamenti sociali delle popolazioni lettoni ed estoni da servi della gleba a uomini liberi e amanti della libertà”66 Il Landesrat della Curlandia appena nominato chiederà come suo primo atto la trasformazione in un regno autonomo della regione e la richiesta di unione personale con il Kaiser. Questa impostazione che non tiene in alcun conto il valore popolare viene semplicemente estesa dai tedeschi al resto delle regioni conquistate. L’Estonia e la Lettonia si trovano così a dover subire di nuovo l’imposizione di regole feudali assolutamente anacronistiche. Sono chiuse le scuole di lingua lettone repubblica dei soviet. In questo momento, siamo nel marzo del 1918, le forze antibolsceviche raggiungono il punto più vicino ai centri nevralgici della rivoluzione, soprattutto Pietrogrado, e questo spinge i bolscevichi ad accettare non solo la pace separata ma anche le conquiste sino a questo momento effettuate dall’esercito tedesco in marcia verso la Russia. Posizione pericolosa e precaria che infatti scatenerà quasi immediatamente la determinazione dei sovietici a riconquistare la maggior parte del territorio precedentemente abbandonato appoggiandosi in Lettonia a tutte le organizzazioni territoriali a loro favorevoli. 65 Che la Lettonia sia il centro motore di queste contraddizioni la rende contemporaneamente il territorio più esposto ai cambiamenti di fronte e alle violenze di un conflitto che qui toccherà l’apice di tutte le vicende baltiche. Mentre la Lituania e l’Estonia subiscono in effetti le medesime conseguenze derivanti dalle varie occupazioni e dai cambiamenti di fronte il quadro che però viene a delinearsi dei rapporti di forza trova da subito una sua stabilizzazione. In Lettonia questo quadro non è assolutamente pacifico poiché tutte le componenti in lotta si trovano in un sostanziale equilibrio tranne forse proprio la posizione del governo provvisorio che ha l’appoggio internazionale degli Alleati. 66 S.Page, cit. pag. 98 35 ed estone e il linguaggio amministrativo e dei tribunali diviene solo il tedesco facendo ripiombare la Lettonia e l’Estonia indietro di tre secoli. Dopo l’accettazione dell’Unione personale della Curlandia operata dal governo fantoccio, il Kaiser si annette in questo modo tutte le regioni conquistate formando così il Baltikum regione unitaria e sottoposta alle leggi imperiali della Germania. Viene formato un Concilio Unito delle Province del Baltico nel quale: “ci si augura che lo status di monarchia costituzionale con una costituzione e una amministrazione unitaria formata dalla Livonia, dall’Estonia, dalle Isole e da Riga sia annessa all’Impero Germanico attraverso una unione personale con il Re di Prussia” 67 Chiaramente questo diktat imperiale viene esteso senza tener conto della voce di tutti i consigli amministrativi locali formati per la maggior parte da popolazioni lettoni ed estoni che però si rifiutano in ogni modo di avallare le decisioni prese resistendo in ogni modo alle pressioni tedesche. Nelle vicende torbide legate a quella dichiarazione di unificazione con la Germania viene richiesto ai rappresentanti estoni e lettoni addirittura una votazione forzata a nome di tutta la popolazione presente nelle province per giungere rapidamente ad una validazione legale di questo nuovo status politico. Le discussioni vengono tenute sempre in lingua tedesca non fornendo alcuna traduzione nelle lingue native di questi rappresentanti e addirittura negando una formulazione scritta delle decisioni basando quindi l’intero corso che approverà questa nuova forma statale con argomentazioni orali in una lingua straniera.68 Questa farsa viene naturalmente rifiutata dai delegati estoni e lettoni ed in realtà essa mostra chiaramente la debolezza della componente tedesca di poter dare una minima base popolare al disegno di monarchia filotedesca mentre ricompatta in modo formidabile la resistenza e l’opposizione delle popolazioni verso decisioni estreme. A differenza del governo lituano la resistenza alle decisioni tedesche sarà compatta per tutte queste regioni. Risulta quindi del tutto naturale che questa opposizione al nuovo regime di occupazione trovi l’Unione Sovietica ben disposta ad aumentare la pressione per guadagnare di nuovo questi territori alla causa della rivoluzione. Il passo ufficiale che sancisce questa solidarietà alle nuove popolazioni oppresse del baltico è il rifiuto da parte del rappresentante ufficiale del governo sovietico per il baltico Joffe di ricevere una delegazione della nuova amministrazione filo tedesca.69 Questo atteggiamento di opposizione scatena anche una serie di violente reazioni da parte dei tedeschi contro gli esponenti del mondo politico lettone ed estone: sono arrestati Päts e Stredemann esponenti politici estoni e addirittura viene assassinato il deputato del Consiglio Nazionale estone Jüri Vilms, vengono quindi soppressi giornali e riviste nelle due lingue, proibite le riunioni politiche e imprigionati tutti gli esponenti delle rappresentanze nazionali e locali. L’ottuso atteggiamento tedesco spinge allora il partito nazionalista e socialista ad unirsi in un blocco democratico che però, in Lettonia, non ha più del 30% dei consensi interni e soprattutto fornisce grande spazio alla propaganda bolscevica che con il 70% dei consensi popolari comincia a appoggiare l’invasione sovietica di questi territori. In questa posizione di grande difficoltà per gli esponenti del Blocco democratico emerge però, nei mesi immediatamente precedenti l’armistizio, l’opportunità di trovare all’interno della vita politica tedesca degli interlocutori in grado di favorire un passaggio all’indipendenza nazionale che: “si opponga onestamente all’Intesa ma anche alla vecchia Germania e creda sia possibile lavorare con la nuova Germania della Repubblica.”70 Questa nuova posizione politica viene immediatamente condivisa dai socialisti lettoni antibolscevichi che vedono negli esponenti socialdemocratici tedeschi del nuovo governo repubblicano la possibilità di intavolare trattative che comportino, oltre che l’indipendenza nazionale, l’eliminazione sia della estrema destra militarista tedesca sia la minaccia bolscevica. 67 ibidem pag 100 ibidem pag. 105 69 ibidem 70 ibidem pag. 107 68 36 Negli ultimi mesi del 1918 e in pieno crollo tedesco viene presa una risoluzione da parte dei socialisti lettoni di stabilire, oltre che l’indipendenza nazionale per la Lettonia, una sua dichiarazione di neutralità in caso di scontro con le armate sovietiche. Questa risoluzione ha il vantaggio tutto politico di permettere un apertura di dialogo con il nuovo governo tedesco sostenendo così in modo concreto l’indipendenza lettone contro le mire bolsceviche avendo una protezione che non sia semplicemente la simpatia diplomatica delle potenze alleate. William Page nel descrivere questa via d’uscita del gruppo democratico lettone per evitare la propria morte politica schiacciato tra il militarismo tedesco e il bolscevismo si chiede quali siano veramente le forze che questo gruppo politico può porre in essere e soprattutto se vi sia una qualche speranza di creare una vera alternativa di potere ai due contendenti prima di soccombere definitivamente. La risposta va data osservando la crisi politica che in questo momento attraversa la Germania. E’ vero infatti che l’opposizione popolare estone e lettone ai progetti tedeschi di unificazione con il Kaiser ha provocato profondi conflitti anche all’interno dell’amministrazione tedesca ma è il volgere ormai quasi certo verso la sconfitta che muta sostanzialmente l’atteggiamento tedesco nei confronti dei territori occupati ad est. L’ultimo cancelliere dell’Impero, il principe Massimiliano di Baviera indirizza al Reichstag nell’ottobre del 1918 una sua comunicazione in cui si dice in profondo disaccordo con la politica e il comportamento tenuto dai militari tedeschi nei territori occupati del Baltico. Tale posizione – afferma il cancelliere – risulta contraria non solo alla politica imperiale ma anche ai principi di autodeterminazione enunciati da Wilson. Vi sono in questa dichiarazione anche motivazioni più importanti rispetto al quadro generato dalla dichiarazione americana. Nei 14 punti si fa infatti esplicito riferimento al ritorno della Polonia al rango di nazione e questo punto richiama implicitamente la volontà da parte dell’Intesa di procedere ad una sistemazione generale delle zone del Baltico in cui il principio di autodeterminazione dei popoli avrà quindi un ruolo centrale. Il cancelliere tedesco sa quindi che la politica di occupazione tenuta sinora è assolutamente insostenibile e il pericolo rappresentato da una completa evacuazione dei tedeschi da quelle regioni più che probabile. Viene quindi sostenuta una nuova politica nelle regioni baltiche che vede il principio di autodeterminazione come centrale dichiarando che la Germania sarà disposta ad ascoltare le voci delle popolazioni che avranno libera volontà di esprimersi alla fine del conflitto. Questa posizione coincide anche con quella ufficiale del partito socialdemocratico tedesco che vede in questo cambiamento la possibilità di esercitare non il dominio ma una influenza della nuova repubblica se solo essa sarà in grado di ottenere un consenso da quelle popolazioni.71 Il nuovo corso tedesco porta quindi ad immediate e nuove conseguenze. Nello stesso mese di ottobre infatti il governatore militare tedesco Von Gossler trasforma l’amministrazione militare tedesca delle regioni baltiche in amministrazione civile e inizia un processo di trasferimento delle competenze verso i consigli locali, i Landesräten, aprendo contemporaneamente un dialogo con il Blocco Democratico lettone che vede in questo mutato atteggiamento la possibilità di fornirsi finalmente di una base solida per permettere il passaggio ad una vera indipendenza nazionale. Si tratta dunque di una inaspettata opportunità in cui il partito antibolscevico gioca l’unica carta in proprio possesso per assicurarsi la forza militare necessaria in grado di reggere l’urto delle armate sovietiche. Dopo la firma dell’Armistizio il nuovo consiglio amministrativo di Riga, il più importante del paese, decide quindi di eleggere un governo provvisorio formato da lettoni e questo governo, presieduto da Ulmanis, propone il disegno di una nuova costituzione. Con il crollo dell’esercito tedesco questo governo provvisorio deciderà, coerentemente con quella politica di apertura al governo repubblicano tedesco, di costituire una propria milizia chiamata Baltische Landeswehr formata soprattutto da soldati tedeschi e da una minoranza lettone e bielorussa con a capo un generale tedesco. La Repubblica di Weimar si incarica in questo momento di fornire assistenza politica e militare al nuovo governo nazionale lettone e la scelta del Blocco Democratico formato da 71 ibidem pag. 111 37 nazionalisti e socialisti antibolscevichi diviene in qualche modo obbligata: appoggiarsi ai nuovi esponenti politici tedeschi che hanno intenzione di prendere saldamente le redini della Germania in piena crisi militare. Che cosa i socialdemocratici tedeschi intendano però per appoggio politico alla Lettonia una volta giunti al potere dopo l’armistizio non è ben chiaro nemmeno al governo lettone. Il partito socialdemocratico nelle sue analisi politiche compiute pubblicamente nel corso del conflitto non ha infatti mai nascosto il suo colonialismo sull’est dell’Europa e si è trovato spesso d’accordo con le posizioni più vicine agli ambienti tradizionalisti di Berlino. In una pubblicazione del 1917, un socialista svizzero, riassume in un volume intitolato Germania annessionista 72 tutte le posizioni politiche e culturali che propagandano all’interno del paese l’idea della necessaria espansione del popolo tedesco verso oriente. Pubblicando in modo ordinato questi interventi riassume anche, in un capitolo, la posizione dei socialisti tedeschi che manifestano la medesima volontà del resto del paese: “Praticamente non vi è alcuna differenza tra i socialdemocratici, il dottor Paul Lensch e gli obiettivi dell’Imperatore tedesco” afferma Grumbach. Passando semplicemente in rassegna le dichiarazioni ufficiali del partito si scopre in maniera trasparente che gli esponenti della sinistra non bolscevica tedesca: “hanno seguito un doppio obiettivo nel corso della guerra: il primo è quello di proclamare i principi della democrazia e del socialismo ma in realtà la maggioranza dei politici socialdemocratici ha supportato sempre le posizioni ufficiali del governo imperiale nella sua condotta aggressiva e di annessione”73 Questa posizione espansionistica permessa sul fronte orientale dalle condizioni della pace separata viene letta quindi dai socialdemocratici come la possibilità per i tedeschi di acquisire territori in grado di sopportare una migrazione delle popolazioni tedesche verso una soluzione dei loro problemi economici e sociali. Le vaghe affermazioni del Trattato di Brest Litowsk che avevano lasciato l’esercito tedesco nelle zone baltiche con compiti di polizia rappresenta quindi una concreta possibilità di utilizzare il controllo militare di quel territorio per dare nuovi obiettivi anche alla politica repubblicana. La formazione di una regione baltica che si interponga tra la Germania e il bolscevismo con la possibilità politica derivante dal nuovo corso di controllare e piegare i signori della guerra sconfitti e fornire contemporaneamente un possibile sbocco alle popolazioni tedesche che verranno spinte verso est dal crollo del fronte occidentale e dalla crisi economica diventa una evoluzione della strategia socialdemocratica perfettamente coerente con l’idea dell’espansionismo proclamata durante la guerra. E’ un espansionismo popolare, democratico nella sua formazione e che prevede allo stesso tempo la presenza tedesca ma anche la fine di quell’idea di rapina delle risorse che stava alla base della formazione dello stato militare pensato da Ludendorff. La persona che si incarica di costruire questo nuovo obiettivo è il nuovo inviato nel baltico per conto del partito socialdemocratico tedesco August Winnig. Winnig è uno dei più importanti leader sindacali socialdemocratici e si incarica di acquisire quel necessario consenso presso gli esponenti lettoni ed estoni e di rappresentare quel cambiamento politico auspicato dal nuovo governo. Il politico e sindacalista socialdemocratico, che diventerà governatore della Prussia Orientale alla fine del 1919, in questo momento tiene i contatti tra il governo lettone e quello tedesco anche in aperta ostilità con lo stato maggiore prussiano e con l’ambasciatore tedesco. Nelle sue memorie egli rivendica alla Germania il ruolo di colonizzatore degli stati baltici74 e negozia con il blocco democratico lettone le nuove condizioni di una collaborazione. 72 S. Grumbach, Das Annexionistische Deutschland, Losanna 1917. Di questo libro fu, nello stesso anno, fatta una traduzione in inglese dal titolo Germany’s annexationist Aims, stampato a Londra. Da questa versione inglese prendiamo le citazioni del volume. 73 Cit. pag. 55 74 Cfr. S. Page, cit. pag. 111, Le memorie di Winnig sul baltico sono state ripubblicate con il titolo Heimkehr, Hamburg 1935. Sul ruolo di Winnig in questo momento si veda anche Charles Sullivan, German Freecorps in the Baltic, 19181919, “Journal of Baltic Studies”, vol. 7, n. 2, 1976, pag. 125: “Winnig agì da catalizzatore per un ulteriore sviluppo dei Freikorps nel Baltico, in pochi giorni i suoi agenti a Berlino reclutarono truppe per una futura campagna nel Baltico con la promessa di terre da colonizzare, promessa che non aveva nessuna base giuridica nello stesso accordo.” Sullivan 38 Il disegno del governo repubblicano, di cui Winnig si trova ad essere rappresentante in quel mondo così ostile al nuovo corso politico, è quello di estendere il numero dei componenti la Landeswehr baltica, comandata dai tedeschi e convincere il governo lettone e il Blocco Democratico a sostenere l’aiuto tedesco per avere una forza militare contro il bolscevismo che in Lettonia è particolarmente minaccioso ma il suo fine ultimo, dichiarato apertamente nei suoi scritti ufficiali, è quello di creare un’atmosfera di fiducia nei confronti dei tedeschi e dare un nuovo senso alla collaborazione con i lettoni per la conquista della loro indipendenza. L’operazione di Winnig è estremamente interessante perché l’impostazione che fornisce all’accordo col governo lettone dopo il crollo dell’esercito tedesco è di evitare qualunque riferimento all’idea di considerare queste regioni come “annesse” al Reich. Nominato infatti plenipotenziario del Reich per le province baltiche commenta questo titolo dicendo: “Il Reich per tutto il resto del mondo è il Reich tedesco. Io sono orgoglioso invece di questa designazione e ho rifiutato tutti i tentativi di introdurre la parole Tedesco in questo titolo”75 E’ quindi l’Intesa l’interlocutore su cui Winnig stabilisce una strategia di azione per garantire questa continuità anche in forza di una interpretazione non restrittiva del titolo XII dell’Armistizio che obbliga le truppe tedesche al ritiro dalle regioni baltiche ma afferma che tale ritiro dipenderà anche dalle condizioni militari che si verificheranno in quei territori76. Che questa protezione militare sia quindi utile e riconosciuta a livello internazionale è indubbio ma certo non sufficiente per poter convincere il secondo interlocutore di Winnig, il governo lettone, a tenere in vita un esercito che sino al giorno prima rappresentava lo strumento principale dell’oppressione feudale del Oberkommando. L’ostilità della casta militare tedesca in realtà favorisce l’azione di Winnig. Egli può dimostrare agli esponenti lettoni di come la colonizzazione delle regioni baltiche operata sin qui è in pieno contrasto con la nuova politica che egli intende attuare e soprattutto egli non perde occasione di ricordare che l’appoggio del nuovo governo tedesco è assolutamente necessario ad un governo riconosciuto a livello internazionale ma debole e che non è in grado di sostenere lo scontro con i bolscevichi se non appoggiandosi alle truppe tedesche. Vi è, crediamo, anche un altro aspetto da sottolineare in questa azione che ha un peso soprattutto all’interno della politica interna tedesca. I socialdemocratici sono infatti convinti che la crescita di questo processo di emigrazione verso est possa riuscire efficace anche per la lotta contro i bolscevichi all’interno della Germania. Il tono della proposta di un’accordo di colonizzazione presentato al Consiglio nazionale lettone non è quindi quella di Von der Goltz che vede il contadino tedesco occupare il territorio baltico in virtù di una tradizione di dominio e seguendo la medioevale avanzata dell’Ordine Teutonico; Winnig ha in mente invece un colono che può aiutare i Lettoni e gli Estoni a spodestare e rendere fertile le proprietà dei vecchi baroni tedeschi e accrescere il numero degli abitanti di quelle regioni, in gran parte spopolate, da bonificare e da far crescere economicamente77. La riforma agraria proclamata dal governo lettone ha bisogno di braccia e confrontando i giornali tedeschi soprattutto il Deutsche Zeitung documenta quanto la campagna di reclutamento dei corpi baltici a Berlino fosse largamente presente nella stampa repubblicana dell’epoca. Questa documentazione smentisce soprattutto il dato che identifica i Freikorps tedeschi composti solo di élite militari contrarie al governo della repubblica e pronte a tutto pur di far rinascere il sogno imperiale come tanta agiografia di parte tedesca fece pensare. 75 S.Page, cit. pag. 113 76 Cfr. Capitolo III. Sul Titolo XII dell’Armistizio la discussione tra gli Alleati fu abbastanza dura come mostrano le raccolte diplomatiche della Conferenza della Pace in Miller, cit. vol. IV. Curiosamente il compito di attendere per questi territori a compiti di difesa militare coincide quasi alla lettera con l’articolo del Trattato di Brest Litowsk sull’assegnamento ai tedeschi da parte russa di una loro presenza militare con compiti di polizia per alcune province (Livonia ed Estonia). Nell’aver rifiutato completamente le condizioni della pace separata con i sovietici, gli Alleati continuano però a ritenere essenziale il ruolo delle truppe tedesche anche con il nuovo Armistizio firmato a novembre. 77 Sull’immaginario tedesco delle regioni del baltico è da ricordare l’immagine del baltico che viene trasmessa in territorio tedesco e soprattutto la lettura delle impressioni dei soldati che per la prima volta raggiungono questi territori e restituiscono l’immagine, cara ai tedeschi, di un luogo primitivo e magico in cui le divinità pagane dei boschi e la 39 Winnig è convinto, in fondo, che il combattere per le province baltiche possa avere come risultato finale la riconoscenza dell’intervento del popolo tedesco contro la nuova barbarie bolscevica a far nascere una nuova nazione dalle ceneri della vecchia provincia dominata dai baroni tedeschi. In fondo egli ha dei Freikorps e della Landeswehr una concezione romantica e legata a quella tradizione dei corpi militari che aiutarono, nel XIX secolo, le nazioni occidentali a trovare la propria indipendenza. Questa tradizione presente in Germania in tutta la seconda metà di quel secolo aveva infatti contribuito non poco a far nascere l’identità nazionale tedesca e la creazione di volontari che parteciparono alla formazione delle nazioni libere contro i vari Imperi per una nuova Europa dei popoli con la possibilità anche di ottenere il diritto di cittadinanza nelle nazioni liberate e di assicurarsi un futuro economico prospero in quelle terre. Certo se la concezione di Von der Goltz della colonizzazione tedesca incarna gli aspetti feudali e medioevali dell’ideologia baltica, la visione di Winnig è del tutto romantica e idealizzata ma in questo momento il nuovo governo del Blocco democratico che vede Ulmanis nominato Presidente della Lettonia nonché ministro della difesa non ha molto da scegliere. Il Consiglio Nazionale che lo sostiene infatti pur avendo al suo interno dieci membri del partito socialista menscevico e un consigliere socialista rivoluzionario è ancora una minoranza nel paese dove il movimento bolscevico ogni giorno guadagna consensi ed ha dietro di sé le armate sovietiche. Nella sua manovra di accerchiamento del governo lettone, Winnig cerca allora di spostare in senso filotedesco l’esecutivo tentando di far entrare al suo interno un ministro indicato dalla Germania. Il segnale di novità di questa richiesta è che questo inserimento di elementi tedeschi nel governo lettone non viene più stabilito in base ad una questione di censo o di casta ma semplicemente sulla base della presenza di una minoranza della popolazione di origine tedesca. Lo scontro con gli esponenti politici lettoni, soprattutto con il socialista Valters che ha il dicastero dell’Interno, è però molto duro su questo punto e la presenza di rappresentanti tedeschi viene quindi esclusa.78 Il tentativo però mostra il nuovo corso della politica tedesca il quale preferisce lasciare fuori i baroni baltici dal governo piuttosto che creare contrasti e conflitti con l’esecutivo lettone. Infatti il progetto democratico di colonizzazione si basa certo sull’ingresso di cittadini tedeschi in territorio straniero ma garantisce anche al governo nazionale la possibilità di contribuire a creare una base popolare alla sua stabilizzazione impostando la riforma agraria con lettoni e tedeschi protagonisti in egual misura della fine del feudalesimo baltico separando con i fatti l’idea della nuova Germania dalla vecchia. desolazione di quelle pianure che si aprono verso la pianura russa ne fanno un territorio spopolato, misterioso e terribile. Cfr. Liulevicius, cit., pag. 21 78 W. Page descrive il comportamento di Winnig in questo scontro tra i baroni baltici e il nuovo governo lettone come ambiguo. Il tentativo di Winnig è quello di appoggiare inizialmente la possibilità di avere una rappresentanza dei baroni all’interno del nuovo governo per poi ripiegare sulla soluzione della rappresentatività numerica. Crediamo che questa interpretazione sia in conflitto proprio con tutto il comportamento dell’esponente socialdemocratico sin qui. La presenza dei baroni baltici nel governo lettone avrebbe cambiato completamente la sua reputazione di uomo nuovo nei confronti dei lettoni e soprattutto avrebbe messo in crisi il disegno colonizzatore democratico da lui apertamente proclamato. Winnig sa che con la fine dell’esercito tedesco, sconfitto dalla guerra, gli stessi baroni vedranno sfumare completamente il loro disegno egemone ed è quindi curioso che un esponente del governo repubblicano cerchi di favorire una minoranza certamente tedesca ma sicuramente ostile al nuovo ordine politico. Le considerazioni di Page sono alle pagine 115-117. Sull’atteggiamento dei baroni baltici alla fine della guerra è utile vedere anche le considerazioni fatte da un esponente estone del partito socialista menscevico che proclama come prioritaria per difendersi dall’espansione bolscevica una immediata riforma agraria da raggiungersi con tutte le forze in grado di contrastare quella espansione. Lo stesso Marietti nelle sue Considerazioni condivide pienamente quest’analisi e considera anche la possibilità di mantenere in funzione di elite tecnica la minoranza tedesca per garantire il successo della riforma in questi paesi. In tutte queste posizioni i tedeschi sono quindi visti come protagonisti attivi del processo di riforma e questo risultato non può non derivare da una fiducia nelle nuove classi politiche le quali combattono anch’esse una battaglia per sconfiggere la vecchia Germania imperialista. Anche l’unico autore che parla di un ruolo positivo e riformatore dei baroni baltici anche nelle fasi precedenti il conflitto condivide in fondo l’idea di riacquisire la collaborazione di questi “riformatori” nel nuovo corso del baltico verso l’indipendenza. Cfr. Von Rauch, cit., pag. 6. 40 Winnig per questo motivo non cerca l’appoggio delle truppe tedesche regolari di stanza nel Baltico ma cerca di convincere il generale Von Kathen comandante militare delle forze baltiche a sposare l’idea di costruire delle truppe volontarie che possano proteggere i beni tedeschi nella regione e formare il nucleo del futuro esercito nazionale lettone. Il romantico disegno di Winnig comincia a prendere forma proprio in questa proposta che viene fortemente rifiutata da Von Kathen contrario a perdere il controllo militare della regione. Winnig si rivolge quindi alle truppe stesse attraverso il Consiglio Militare Tedesco di Riga che nel frattempo si era formato dopo l’armistizio e ottiene da questi soldati la possibilità di costruire il primo nucleo di quella che sarà la futura Divisione di Ferro: “Questo è il momento in cui è nata la Divisione di Ferro. Questo corpo militare è concretamente possibile attraverso l’aiuto del comando militare tedesco ma questo non significa che debba avere una cattiva reputazione nel Reich.”79 Insieme alla Landeswehr baltica, la Divisione di Ferro è quindi il primo risultato, almeno nelle intenzioni di Winnig, di fornire aiuto militare alla Lettonia ma soprattutto di rinnovare l’immagine della Germania come strumento per la causa dell’indipendenza. Gli avvenimenti del 1919 si affretteranno a smentire questa intenzione e la vicende delle truppe tedesche nel baltico prenderà strade del tutto opposte soprattutto grazie all’intervento dei baroni baltici, esclusi dal governo nazionale, che porterà alla nomina al comando militare esponenti della vecchia classe prussiana. Resta comunque il dato molto importante che in questo momento le due Germanie, quella repubblicana e quella imperiale, si affrontano in questi territori fornendo per lo stesso obiettivo due differenti metodi politici e va dato atto alla classe politica tedesca di aver cercato di impostare una alternativa politica credibile alla vecchia idea dell’esercito tedesco come semplice truppa di occupazione asservita al potere tedesco. Senza questa alternativa politica non potremmo infatti del tutto spiegarci sia l’atteggiamento positivo del governo lettone a questa iniziativa il quale aveva dichiarato in precedenza, per bocca di Valters, che avrebbe preferito far entrare i bolscevichi nel governo piuttosto che i baroni tedeschi sia l’atteggiamento di apertura di credito dato alle truppe tedesche dagli Alleati. Ambedue gli interlocutori vedono nel disegno dei volontari delle truppe franche per l’indipendenza lettone non il vecchio esercito tedesco da eliminare quasi subito dal territorio ma la creazione di truppe di cooperazione in cui tedeschi, lettoni e bielorussi possono combattere insieme e, nello stesso tempo, assicurare anche una sopravvivenza politica al governo repubblicano che da Berlino tenta di vincere la battaglia più difficile: la guerra intestina contro gli spartachisti e le forze nazionaliste che rifiutano l’Armistizio.80 Nella composizione delle forze favorevoli al governo lettone si inserisce in questo momento anche l’intervento della marina inglese. Il colonnello comandante britannico delle forze navali e il Tenente Colonnello tedesco del comando militare tedesco a Riga stabiliscono, in un incontro tenuto il 23 dicembre 1918, un accordo in virtù del XII articolo dell’Armistizio in cui i tedeschi informano che 700 soldati della Landeswehr non possono sostenere l’urto dei 16.000 soldati dell’Armata Rossa e che quindi non sono nemmeno in grado di poter riprendere il territorio occupato in questo momento dai sovietici. Alla richiesta di un ritiro completo delle truppe tedesche da parte inglese, i tedeschi replicano che si sarebbero verificati episodi di ammutinamento ma soprattutto mostrano come le 79 cit. in S.Page, pag. 119 Che la formazione di truppe multinazionali favorevoli all’Intesa e a difesa dell’indipendenza dei nuovi stati non fosse un elemento nuovo nell’organizzazione militare e territoriale in Europa dopo il conflitto è testimoniata, per esempio, dalla formazione delle legioni cecoslovacche. I governi francese ed italiano favorirono la formazione di queste truppe multinazionali aventi l’obiettivo di ausilio agli eserciti alleati ed esse successivamente divennero il primo nucleo delle forze armate del nuovo stato cecoslovacco uscito dalla Conferenza della Pace. L’intento degli Alleati è quindi quello di creare queste unità militari “franche” attraverso aiuti materiali e logistici raggiungendo così l’obiettivo di trovare formazioni militari che non impegnino truppe nazionali per la soluzione di questioni territoriali. Cfr. John F.N. Bradley, The Czechoslovak Legion in Russia, 1914-1920, Boulder, 1991. Sull’impresa delle legioni cecoslovacche in Siberia si veda Chamberlin, cit. vol. II pagg. 1-31. Una documentazione interessante sulla legione cecoslovacca in Siberia è su http://drfaltin.org/archive.htm ricco di documenti originali e di riproduzioni fotografiche. 80 41 truppe tedesche presenti siano l’unico strumento in mano al governo lettone per avere qualche speranza di sopravvivenza. Winnig ha quindi buon gioco a proporre in alternativa alla posizione ufficiale tedesca espressa dal comando militare il mantenimento delle truppe volontarie e alla diffidenza inglese verso questa soluzione viene proposto un accordo con il governo lettone in cui viene offerto l’ausilio della Divisione di Ferro e un aumento del numero di soldati della formazione mista germano-lettone appartenente alla Landeswehr baltica. Questo accordo, sollecitato anche dall’ammutinamento in quel momento di due unità dell’esercito lettone passate ai bolscevichi, rende ormai impossibile prescindere dalle truppe tedesche che però vengono accettate solo se sottoposte ai termini dell’accordo proposto da Winnig. Sarà quindi la Landeswehr a dare ausilio al contingente inglese ed insieme combatteranno infatti contro i contingenti lettoni passati al bolscevismo sedando così l’ammutinamento e mostrando nei fatti agli inglesi che solo: “il contingente militare volontario tedesco rimane l’ultima speranza di sopravvivenza per il governo Ulmanis sul suolo lettone”.81 Nel dicembre del 1918 Winnig viene nominato ambasciatore tedesco presso le repubbliche di Estonia e Lettonia e, in questa veste, riesce a sottoscrivere un accordo con Ulmanis in cui i volontari tedeschi sono considerati cittadini lettoni se hanno combattuto per almeno quattro settimane a difesa dello stato lettone e, all’art. 2, viene affermato che i cittadini lettoni di origine tedesca (Reichsdeutschen) potranno partecipare come ufficiali e istruttori all’interno della Landeswehr82. In virtù di quest’accordo si diede allora il via all’apertura dei centri di reclutamento per i volontari del Baltico in Germania. Le prime sconfitte dell’esercito lettone nel gennaio del 1919 a Riga, Vilnius e Khahrkov e la proclamazione a Riga della repubblica dei Soviet aprono così la seconda e conclusiva fase del conflitto che vedrà un mutamento sostanziale delle intenzioni tedesche con la guida dell’esercito volontario tedesco affidata a Rüdiger Von der Goltz e quindi alla rivincita dei baroni baltici contro l’idea di una difesa armata democratica cercata da Winnig. Con gli stessi accordi, ma con significati del tutto diversi attribuiti ai medesimi, i tedeschi utilizzeranno le tessiture diplomatiche della repubblica per trasformare la difesa dell’indipendenza lettone in un nuovo disegno di conquista coloniale con il tentativo riuscito di creare un governo fantoccio in Lettonia e ridare vita ai sogni di conquista orientali della Germania imperiale.83 Nel suo articolo sui Freikorps tedeschi Sullivan chiarisce molto bene che i freikorps tedeschi siano nati essenzialmente contro il governo socialdemocratico accusato di aver ceduto ai Diktat alleati e aver venduto la Germania a pezzi per distruggere uomini e risorse della nazione.84 E’ vero anche però che il governo socialdemocratico utilizzò queste truppe volontarie per sedare le rivolte spartachiste in Germania e favorì la loro fuoriuscita verso il baltico con l’intenzione di eliminare pericolose formazioni che minavano l’ordine interno. Eppure nella tradizione storiografica sui Freikorps tedeschi del baltico rimane sempre e solo richiamata la prima di queste ragioni: i tedeschi che si ribellano a qualunque ordine costituito e formano gruppi senza legge e senza regole che non siano la loro, fa parte infatti dell’agiografia diffusa con dovizia di particolari negli anni ’30 dal nazismo.85 La tesi di una diversa storiografia accusa invece di “doppiezza” il governo repubblicano tedesco nei confronti dei disegni annessionistici della Germania in cui i Freikorps sono visti solo 81 S.Page, cit. pag. 122 ibidem pag. 123 83 cfr. Capitolo III 84 Sullivan, cit. pag. 124 85 L’esponente più illustre di questa agiografia rimane Ernst Von Salomon che ne diffuse la filosofia ribellistica e violenta non contro la repubblica ma, in maniera più metafisica, contro l’ordine, qualunque ordine che non fosse quello della superiorità del soggetto che in quel momento agisce e crea, quindi, la legge sino ad uccidere Walther Rathenau, forse l’unico esponente politico repubblicano in grado di fornire concrete possibilità alla Germania di uscire dalla crisi. Di Von Salomon cfr. I Proscritti, Milano 1998 ma anche Io resto Prussiano, Milano 1954 e Un destino tedesco, Roma 1960. 82 42 uno strumento del vecchio potere imperiale di imporre i sogni di dominio da parte di una Germania sconfitta. Curiosamente le due tesi coincidono avendo però come ambedue come premessa la contraddittoria affermazione che la repubblica di Weimar fornendo supporto a queste formazioni militari provocò il suo suicidio politico. Crediamo che la questione sia invece più complessa ed è solo interpretando nel senso sopra visto la funzione delle truppe volontarie può giustificare l’interesse del governo socialdemocratico tedesco ad un loro incremento non solo di difesa verso i comunisti tedeschi ma anche, positivamente, come nuovo mezzo per una colonizzazione del baltico di cui Winnig è l’esponente teorico più importante. Saranno infatti gli avvenimenti politici del marzo 1919 in Germania a mettere in crisi questo disegno e, dopo il primo momento di panico causato dall’Armistizio, solo allora si verificherà quel cambiamento di atteggiamento delle truppe tedesche che spingerà i baroni baltici a riprendere il controllo della situazione nominando un uomo come Von der Goltz al comando dell’armata volontaria. E’ quindi molto difficile giudicare i comportamenti diplomatici antecedenti con le ragioni di ciò che accadde dopo. Che il tentativo di Winnig sia stato invece quello di creare qualcosa di nuovo sia dal punto di vista politico che militare in quelle regioni presentando il volto di una Germania attenta, per la prima volta, alle nazionalità baltiche nei mesi tra il novembre 1918 e il marzo del 1919 è un elemento che va tenuto in attenta considerazione per spiegare le ragioni profonde per cui lettoni e Alleati accettarono la proposta di usare truppe tedesche in quella particolare circostanza. A testimonianza di questo fattore va innanzitutto citata l’enorme diffusione che i centri di reclutamento per i volontari del baltico ebbero in tutto il territorio tedesco. Questi centri non furono infatti osteggiati dal governo repubblicano e sicuramente la tesi sostenuta da varie parti di utilizzare i corpi franchi contro gli spartachisti non spinge a pensare di favorire la nascita di centri di reclutamento di forze che risulteranno poi ostili al governo. La seconda testimonianza per una riflessione su questo punto è data anche dall’atteggiamento del governo lettone e dagli inglesi che in quel momento rappresentavano le potenze alleate. Se il disegno di Winnig fosse stato semplicemente una copertura del vecchio sistema militare tedesco questo sarebbe stato rilevato in maniera quasi immediata. Sia il governo lettone che gli inglesi sono in allarme proprio per la presenza delle truppe germaniche regolari e la ripetuta richiesta inglese di ritirarle fatta nel dicembre del 1918 porta a concludere che nessun tentativo di far passare le truppe tedesche semplicemente come volontarie avrebbe avuto qualche possibilità di successo. Anche l’idea che il governo lettone sia in qualche modo “costretto” ad utilizzare i tedeschi lascia perplessi poiché l’intervento della marina alleata era stata impegnata con successo per la liberazione dell’Estonia e, a quella data, era possibile elaborare soluzioni differenti di fronte al sospetto che le truppe tedesche perseguissero obiettivi contrari a quelli dell’indipendenza. Crediamo quindi che l’idea di Winnig, romantica sin che si vuole, ma originale è quella di credere lui stesso e quindi convincere anche i diffidenti lettoni e gli ancor più diffidenti inglesi di poter davvero trasformare la forza militare tedesca in uno strumento utile all’indipendenza lettone. Che questo disegno sia poi riuscito o meno poco importa rispetto al rinvenire in modo puntuale quali siano le forze e quali motivazioni e ragioni li muovano nel momento in cui l’esercito tedesco intraprende la campagna di riconquista dei territori occupati dai bolscevichi e soprattutto ci permette di comprendere la progressiva delusione degli Alleati nel veder tornare la Germania agli antichi furori bellici e divenire truppa di conquista dopo aver pensato seriamente che potesse trasformarsi in uno strumento per una diversa politica internazionale. Gli Alleati hanno invece mal compreso questa posizione del governo repubblicano tedesco e, forse, lasciando correre gli avvenimenti senza interessarsene troppo, come fecero invece in Estonia, commisero l’errore di non appoggiare quelle deboli forze tedesche le quali erano più vicine politicamente ai loro obiettivi qualificando tutti sommariamente come tedeschi e guerrafondai. Un ultima considerazione va invece fatta per i Freikorps nella loro composizione e nei loro comportamenti nel corso del conflitto. Una sincera passione anticomunista pervade senza dubbio tutta la loro vicenda: l’insieme di queste truppe, la loro formazione culturale e la loro impostazione 43 ideologica difende la tradizione nazionale tedesca; tuttavia i 50.000 uomini che formeranno l’insieme delle truppe tedesche nel baltico non possono essere considerate solamente il frutto di una elitaria volontà di potenza propagandata dagli aedi letterari della loro vicenda. Più verosimile è che la composizione così come il reclutamento di molti di essi sia il frutto anche di quell’idea coloniale sostenuta dai socialdemocratici: la possibilità cioè di guadagnare nei nuovi stati indipendenti del baltico terra da coltivare e una possibile soluzione al disagio economico terribile che in quegli anni la Germania va attraversando. Alcuni di essi avranno anche pensato di essere i colonizzatori immaginati dai sogni prussiani di Von der Goltz, molti invece seguiranno quell’avventura convinti, andando verso i centri di reclutamento e vestendo la divisa di volontari, più semplicemente di aiutare con le armi una nazione a sorgere per poi vivere tranquillamente come coloni protagonisti di quella indipendenza.86 86 Nella lettura “eroica” dei Freikorps e nell’insieme delle pubblicazioni, anche contemporanee, che hanno fatto di queste formazioni una specie di mito negativo, tradizione che, nella sua illusoria immaginazione, si continua ancor oggi, colpisce proprio il rifiuto di questo atteggiamento più naturale e anche diretto di partecipare militarmente alla possibilità di ottenere un pezzo di terra per sé e la propria famiglia. La furia iconoclasta contro l’atteggiamento “borghese” della vita negli scritti, ad esempio, di Von Salomon, tradisce forse il timore che quelle truppe volontarie nella loro maggioranza quell’atteggiamento non solo condividevano ma esso rappresentava probabilmente l’obiettivo finale della loro azione. Naturalmente la storiografia inglese, americana, francese, e, paradossalmente, anche una certa storiografia tedesca dell’età eroica condivide invece questa idea elitaria e anarcoide dei corpi franchi del baltico. Si spera che una maggiore riflessione sui documenti possa invece riportare nelle giuste proporzioni il fenomeno e considerare soprattutto che un conto è organizzare un attentato terroristico o un putsch, altro conto è ottenere il consenso e la necessaria motivazione di un esercito destinato a combattere vere battaglie in una campagna militare ispirandosi ai sogni nostalgici di qualche ufficiale prussiano. 44 Le vicende dell’indipendenza Estone Analizzare da ultimo le vicende legate all’indipendenza dell’Estonia risulta compito più lineare se si considera soprattutto che tra la dichiarazione di armistizio del novembre ’18 e il raggiungimento di questo risultato nel febbraio del 1919 passano soltanto pochi mesi nei quali viene combattuto l’unico tentativo violento da parte dei sovietici di tornare in possesso delle terre estoni invase dai tedeschi dopo la pace separata. Se dal punto di vista cronologico l’indipendenza estone è quindi la prima ad essere acquisita, tuttavia dal punto di vista delle implicazioni militari e politiche la sua vicenda si intreccia saldamente con la seconda parte della guerra di liberazione lettone e a quella analisi rimanderemo per le questioni successive.87 Vi è però un elemento da sottolineare invece qui ed è la differente vicenda dell’indipendenza estone da quella degli altri paesi del baltico. A differenza della Lettonia che verrà affidata alle cure delle truppe volontarie tedesche l’Estonia viene invece immediatamente strappata ai bolscevichi anche grazie all’intervento, oltre a quello della marina britannica, delle truppe volontarie finlandesi, danesi e svedesi. L’immediata liberazione è favorita certamente dalla comune radice linguistica che lega gli estoni ai finlandesi, indipendenti già dal novembre del 1917, e soprattutto grazie alla sua conformazione geografica. L’Estonia è infatti un insieme di isole grandi e piccole davanti alla Finlandia e distribuite in modo puntiforme su tutto il lato nord del baltico e la sua estensione continentale molto più ridotta di quella lettone o lituana presenterà il vantaggio di una manovra militare più efficace da parte delle truppe navali alleate contro i sovietici. Questo motivo è però solo un vantaggio tattico, il vero atout che permette agli estoni di trovare un così vasto consenso internazionale per la sua liberazione è legato soprattutto alle decisioni che sul piano politico vengono prese tra il marzo del 1917 e l’occupazione tedesca. La rivoluzione del 1905 aveva consegnato anche l’Estonia alle riforme nelle condizioni sociali e politiche già evidenziate per la Lettonia. La Duma imperiale aveva visto sin dalla sua prima elezione cinque delegati estoni a difendere i destini di questa popolazione non russa ai confini settentrionali e le condizioni economiche e sociali sottoposte al rigido controllo della feudalità tedesca e dell’amministrazione russa avevano contrastato con dure repressioni il tentativo di riformare, con i governi locali dominati dalle popolazioni estoni, la condizione generale di quella regione. A differenza della Lettonia però non vi è stato durante il periodo di dominazione russa alcuna divisione amministrativa e soprattutto l’Estonia rappresenta il punto più a nord della penetrazione baltica più vicina alla capitale Pietrogrado e quindi meno esposta alle durezze dei baroni baltici. In compenso la crescita dell’industria soprattutto della produzione della carta e la vicinanza strutturale con la Finlandia avevano favorito la nascita di imprese industriali e artigiane considerate strategiche dall’amministrazione imperiale russa. Una ulteriore differenza con la Lettonia è poi determinata dalla penetrazione delle idee socialiste all’interno della popolazione. Il bolscevismo trova in queste regioni una classe contadina e urbana meno pronta a recepire messaggi di tipo estremistico. In Estonia infatti il movimento socialdemocratico menscevico ha una tradizione molto forte e non vi sono, come per le popolazioni lettoni esiliate all’interno della Russia, focolai di penetrazione della dottrina bolscevica. Si può affermare che il perno su cui ruota l’intera vicenda politica è interamente spostato verso il golfo e il mare a contatto con nazioni quali la Svezia, la Danimarca e soprattutto la Finlandia le quali attraggono gli Estoni verso un netto rifiuto del bolscevismo come dottrina politica. Le percentuali infatti tra nazionalisti e socialisti che possiamo assimilare al blocco democratico lettone e i bolscevichi sono invertite. Qui sono questi ultimi ad essere una minoranza attorno al 24 % anche perché il partito socialista estone e quello nazionalista liberale hanno creato, tra il 1905 e il 1917, una penetrazione molto forte nella popolazione e soprattutto hanno trovato in Mihkel Martna e 87 Cfr. Capitolo II 45 Eduard Vilde per i socialisti e Konstantin Päts e Jann Teemant e Otto Strandmann per i nazionalisti dei leader che riescono ad accordarsi sulle questioni principali legate alla riforma agraria che costituiscono la base su cui costruire l’indipendenza nazionale. Non è quindi una anomalia che nell’aprile del 1917 alla domanda di Kerenski formulata in un teatro di Tallin all’affermazione della libertà accordata alle popolazioni non russe di decidere del proprio destino, gli estoni risposero: “noi vogliamo venire con te”. La Russia soprattutto quella uscita dalla rivoluzione di marzo incarnava in modo sintetico i termini dell’autonomia e dell’indipendenza estone in quel momento. La caduta dei Romanov aveva infatti mostrato alle classi estoni che forse la Russia poteva rappresentare una interessante alternativa alla dominazione tedesca a condizione che non si formasse di nuovo una federazione con l’impero russo che sottoponesse al centralismo politico del governo di Mosca le decisioni e le libertà prese a livello locale. Questo programma più vicino alle posizioni del Partito Socialdemocratico Rivoluzionario furono infatti respinte con vigore dalla maggior parte della popolazione. E’ interessante notare come la funzione del partito socialista permise sin dall’inizio anche ai nazionalisti estoni di avvicinarsi in maniera razionale al problema delle riforme agrarie. Vi fu quindi una integrazione, vissuta senza alcun timore, delle classi politiche estoni nazionaliste e socialiste della necessità di procedere ad una progressiva eliminazione della proprietà feudale che certo non era dell’importanza e del peso di quella lettone. Il riconoscimento dell’indipendenza da parte dei russi della Polonia e della Finlandia nello stesso anno portarono progressivamente gli Estoni a cogliere la possibilità di creare anche per loro una possibilità di riconoscimento di un ordinamento autonomo che ottennero nello stesso mese di aprile in cui vi fu la dichiarazione ufficiale da parte russa di un riconoscimento dell’autogoverno lettone e la possibilità di allargare questa autonomia a quelle regioni della Livonia in cui vi fosse una maggioranza di popolazione di lingua estone. Questo atteggiamento di appoggio al governo provvisorio portò al riconoscimento del Sindaco di Tallin Jaan Poska di poter assumere il governatorato dell’Estonia nominando al contempo Jüri Jaakson vicecommissario amministrativo per il nord e Konstantin Päts per il sud del paese. Vi fu da parte di questi politici quasi immediatamente una pressione continua presso il governo provvisorio russo per poter ottenere la possibilità di formare un esercito estone che si rivelò per le dimensioni del paese, molto numeroso circa 100.000 soldati e 2.000 ufficiali. I leaders nazionalisti intuirono subito che la formazione di un esercito nazionale era la strada più semplice per sostenere la propria autonomia in presenza di uno scenario che tra l’aprile e il novembre del 17 andò sempre di più deteriorandosi sino al colpo di stato bolscevico. Questo intervallo di tempo diede poi al governatorato estone la possibilità di costruire e formare dei reggimenti effettivi e di indire nel luglio del 1917 elezioni per il Consiglio Nazionale che a causa della guerra fu indetto con un sistema di elezione indiretta già sperimentato in occasione delle elezioni alla Duma. Le elezioni portarono quindi all’organo collegiale di autogoverno per un terzo rappresentanti di quel ceto di borghesia, piccola borghesia e piccoli proprietari contadini rappresentato dal partito nazionalista di Päts e per un altro terzo fu eletta la rappresentanza del movimento socialista menscevico. L’alleanza tra queste formazioni permise di mostrare come la parte bolscevica rappresentata nei soviet estoni fosse in realtà una palese minoranza e soprattutto rappresentata da quella popolazione russa presente nel paese ed impiegata nell’industria navale e del legname molto importante per l’economia della regione. Mentre la popolazione estone aveva quindi la possibilità concreta di disegnare immediatamente i suoi organi politici e le sue alleanze tra le forze antibolsceviche supportando questi organi dalla formazione di un esercito regolare e quindi mostrare ai russi un possibile esito della politica del governo provvisorio uscito dalla rivoluzione di marzo, i russi procedevano in questa regione ad un inasprimento delle condizioni di vita della popolazione cercando di riportare l’Estonia ad una russificazione che alcuni definirono peggiore di quella del periodo dello zar.88 Questo portò a richiedere in aprile da parte del Consiglio Nazionale una maggiore autonomia della 88 S. Page, cit., pag. 73. 46 regione portando ad una vera e propria espropriazione delle terre appartenenti alla corona russa ed inglobandole all’interno del nuovo territorio autonomo.89 La reazione di Pietrogrado fu allora quella di cercare di reprimere in qualunque maniera lo sviluppo di questa autonomia richiedendo la chiusura delle scuole in lingua estone aperte nel frattempo e nei tentativi di imbrigliare questa azione ponendo a capo delle infrastrutture amministrative del paese, nelle poste e nelle ferrovie funzionari russi. La rivoluzione di novembre non fece quindi che accentuare questa politica di resistenza dei russi all’espansione dell’autonomia politica, amministrativa e militare del paese.90 Nel dicembre del 1917 viene infatti votata una risoluzione dal soviet di Tallin di coinvolgere anche l’Estonia nel processo di statalizzazione dell’economia con la decisione di nazionalizzazione delle banche e l’avvio di procedure di esproprio per l’abolizione della proprietà privata. Viene anche vietata, dopo la sua opposizione, anche la riunione dell’Assemblea costituente estone e naturalmente l’intero blocco democratico nazionalista e socialista menscevico venne accusato, in quella occasione, di collaborare con le forze nemiche della rivoluzione bolscevica. Mentre nel febbraio del 1918 le truppe tedesche occupano il territorio i bolscevichi estoni mostrano tutta la loro debolezza politica. Nella fase dell’avanzata tedesca i nazionalisti trovano infatti l’opportunità per arrestare molti esponenti di quel partito e di far proclamare dal parlamento locale di Tallin (Maapäev) l’indipendenza dell’Estonia dalla Russia il 24 febbraio del 1918. Nel mese di marzo la firma del Trattato di Pace con la Russia con la cessione della sovranità dell’Estonia alla Germania mette fine al tentativo di espansione rivoluzionaria comunista che non ha però mai ottenuto in questa regione un consenso adeguato a condizionare le scelte del governo e degli organismi rappresentativi creati dopo la rivoluzione di marzo. L’occupazione tedesca di queste regioni sino al novembre del 1918 presenta le stesse caratteristiche politiche e la stessa resistenza già considerata per la Lettonia e di cui alcuni avvenimenti possono essere letti parallelamente mentre la resistenza da parte di questi organismi locali alle soluzioni di annessione all’Impero Tedesco, le vicende legate all’armistizio e alla fine di quel disegno presentano invece una differenziazione molto evidente anche nelle strategie tedesche. In Lettonia l’azione del governo repubblicano di Berlino ha tutto il tempo per mostrare la difficile situazione militare del governo nazionalista e la pressione derivante dalla presenza imponente dei bolscevichi lettoni favorisce l’accordo con i tedeschi. Nel caso dell’Estonia invece il movimento bolscevico che non ha mai preso piede si trova anche di fronte alla decisione dei tedeschi di rinunciare ad esercitare una pressione militare e diplomatica per concentrarsi sul porto di Riga e sulla Lettonia che rappresenta il punto più favorevole per la penetrazione verso il territorio russo. Questa rinuncia della Germania scatena quindi il tentativo immediato delle forze bolsceviche di rientrare in Estonia pur conoscendo la difficile situazione di appoggio interno nel paese a loro riservata ma certo l’occupazione di quel territorio avrebbe rappresentato un guadagno netto dell’Unione Sovietica al primo sbocco sul baltico dopo la pace di Brest Litowsk. Il governo provvisorio estone deve però fare i conti in questo momento anche con gli effetti dell’occupazione tedesca che ha dissolto l’esercito estone, distrutto i collegamenti all’interno del paese e nella fase di ritiro ha razziato gran parte delle sue risorse. Anche di fronte a questa debolezza strutturale i bolscevichi credono di poter realizzare facilmente i propri obiettivi e il soviet estone ricostruito quasi immediatamente all’invasione chiede quindi l’aiuto delle truppe sovietiche e convince i sovietici ad invadere, con il pretesto di un sostegno alle locali forze rivoluzionarie, con le sue truppe tutto il territorio tra il novembre e il dicembre del 1918. Le vicende della guerra di indipendenza estone vedono anche in questo caso episodi di mobilitazione volontaria dei cittadini di un piccolo paese che osano battersi contro il gigante sovietico. Ma è proprio in virtù delle condizioni politiche e alla preparazione militare del paese che i russi si trovano di fronte all’accanita resistenza estone. L’esercito, comandato dal generale 89 90 Si veda su questo Mihkel Martna, L’Estonia, Gli estoni e la questione estone, Roma 1919, pag.98 e segg. S.Page, cit. pag. 75 47 Laidoner, sta infatti ricevendo l’aiuto di truppe volontarie dalla vicina Finlandia, dalla Svezia e dalla Danimarca e può contare sull’aiuto logistico e dell’artiglieria navale della marina inglese presente nel golfo di Tallin. Un aiuto essenziale alla resistenza estone viene inoltre fornito dalle truppe bianche del generale Judenitch che era riuscito a negoziare con i tedeschi la sua permanenza in una regione ai confini con la Russia in modo da permettere la formazione di un nucleo militare russo in funziona antibolscevica. L’esercito controrivoluzionario russo può quindi attaccare l’armata rossa da sud mentre le truppe volontarie internazionali e l’esercito estone respinge l’assalto sovietico da nord. L’aiuto prestato da questo esercito agli estoni permetterà a Judenitch di rimanere in forze nella regione per tentare una penetrazione verso Pietrogrado e sarà anche l’occasione strategica fornita nella seconda fase della guerra di indipendenza lettone alle truppe di Von der Goltz di invadere l’Estonia e di tentare una riunificazione delle due armate con l’obiettivo di arrivare a colpire la russia sovietica.91 Questo episodio che si situa nel marzo del 1919 da l’occasione all’esercito estone non solo di respingere le truppe tedesche all’interno del territorio lettone ma di fornire aiuto militare al governo lettone di Ulmanis messo alle strette dalle operazioni militari tedesche di occupazione. La battaglia di Cesis (Wenden) nel 1919 sarà l’episodio militare centrale in cui l’armata volontaria tedesca dovrà non solo firmare un armistizio con l’Estonia che segnerà la fine della sua avanzata e del suo disegno di accordo con i russi bianchi di Judenitch ma anche la fine dell’avventura tedesca nel baltico. La trasformazione di una operazione di difesa contro i bolscevichi in un piano di occupazione tedesca scatenerà infatti la violenta reazione degli Alleati che dall’aprile del 1919 cominceranno a minacciare i tedeschi di tornare entro i confini nazionali. Mentre la resistenza alle truppe sovietiche rappresenta la prova del fuoco dell’esercito estone e testimonia anche l’intervento militare diretto degli Alleati per la liberazione di questo territorio è proprio la battaglia di Cesis che, unendo estoni e lettoni contro le armate tedesche, sancirà un punto di non ritorno per la fine dell’egemonia tedesca sul Baltico. Dal punto di vista politico e militare l’episodio è insieme quindi punto finale della guerra di indipendenza estone e punto di svolta dell’indipendenza lettone i cui effetti saranno il lavoro della Missione Internazionale bilaterale per il ritiro delle truppe tedesche dalla regione.92 91 92 Cfr. Capitolo II Cfr. Capitolo III 48 Capitolo II - La missione interalleata per il ritiro delle truppe tedesche dal Baltico Come è stato più volte sottolineato l’anno 1919 può definirsi come uno dei momenti più critici per l’equilibrio europeo. Il progressivo stabilizzarsi dell’Unione Sovietica con la vittoria della guerra civile, dovuto più ad una mancanza di un progetto politico alternativo che a veri e propri successi militari, unito al crollo degli Imperi Centrali nel novembre del 1918 portò a modifiche profonde e a crisi politiche e militari decisive. Basti pensare all’instaurazione della Repubblica dei Soviet in Ungheria da parte di Bela Kun, alla rivoluzione spartachista in Germania sino al progressivo crollo di tutte quelle formazioni territoriali create, dall’Ucraina alla Siberia alla Transcaucasia, dagli eserciti controrivoluzionari “bianchi” che tentarono di riaffermare il vecchio regime zarista o una forma simile di governo.93 Il 1919 è anche l’anno in cui le potenze Alleate raggiungono, non senza problemi e tensioni, una sistemazione dei confini sul fronte occidentale e si trovano ad affrontare i primi mesi del dopoguerra con il suo lascito in termini di crisi economica, smobilitazione delle truppe e problemi politici legati all’enorme influsso che la Rivoluzione d’Ottobre aveva prodotto in quasi tutti i paesi. Se il quadro di questo hannus horribilis è vero per molti fronti europei e internazionali, per le regioni che dominano il Baltico il 1919 può davvero essere considerato l’anno chiave in cui avviene, per alcuni, il “miracolo” dell’indipendenza delle terre che si affacciano su quel mare dominato per molti secoli dai tedeschi e dai russi. Seguire gli avvenimenti che si dipanano in questi mesi per paesi come la Finlandia, la Lituania, l’Estonia e la Lettonia è non solo complesso per i molteplici intrecci che questi stessi avvenimenti generano tra di loro e le reazioni immediate che scatenano ma è anche difficile esporli in una forma che possa rendere chiaro il sistema di relazioni che questi avvenimenti generano sul piano internazionale e come le reazioni internazionali, a loro volta, sconvolgano in modo decisivo le azioni delle classi politiche protagoniste di quella indipendenza. Uno storico americano ha definito il 1919 per il Baltico Time of confusion e questa “confusione” è però necessario ripercorrerla per comprendere la cruciale partita che si sta giocando in questa regione d’Europa definita da alcuni testimoni, crocevia tra Asia ed Europa o limite tra civiltà e barbarie.94 Questa sintesi tra strumento militare e intervento internazionale trova la sua più importante esemplificazione proprio nella missione interalleata che portò al ritiro delle truppe tedesche dalle regioni della Curlandia alla fine di quel terribile anno. Questa missione è infatti la prima in cui si sperimentano le volontà del nuovo governo tedesco di aderire al Trattato di pace appena firmato e in cui militari tedeschi e militari alleati hanno un obiettivo comune. Vero è che questa missione è la prima che si trova ad operare su un territorio per larga parte dominato da forze militari tedesche prevalentemente ostili al proprio governo ed armata semplicemente del peso negoziale delle potenze alleate nei confronti della fragile repubblica di Weimar sorta dall’impero tedesco. L’azione della missione si svolge nel clima arroventato della sconfitta delle truppe tedesco/russe del colonnello Bermondt ad opera dei Lettoni e quindi avviene nello stesso momento in cui sul fronte settentrionale di quel paese si sta svolgendo la battaglia decisiva per la sua indipendenza. La mancanza di collegamenti e di notizie, la rapidità con cui gli avvenimenti si svolgono nel giro di poche settimane e la prontezza della missione alleata di sfruttare i vantaggi derivati dell’essere gli unici controllori dell’avventura dei freikorps tedeschi sul Baltico si deve confrontare anche con l’ostilità fortissima di quelle truppe contro il proprio governo, lo scatenarsi di violenze, anche feroci, delle popolazioni che nel giro di pochi mesi vedono trasformare le proprie case e le proprie città in un teatro dove si lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza ed infine la necessità di immaginare un futuro politico per questi stati che solo ora guadagnano, al di là delle dichiarazioni diplomatiche, sul terreno la propria esistenza. 93 94 Su queste vicende W.Chamberlin, cit., in particolare le pagg. 235-280; H.Carr, cit. 1197 e segg. S.Page, cit, pag. 125 49 Per comprendere tale intreccio è necessario quindi premettere all’analisi dei documenti della missione di cui le fonti italiane ci hanno lasciato tracce di grande interesse, la sequenza degli avvenimenti in Curlandia e Livonia sino al maggio del 1919 dove si dipana l’espansione delle forze tedesche in contrapposizione ai soviet lettoni e, partendo da questa, sottolineare l’intervento dell’Intesa che porterà all’ultima fase della vicenda, la liberazione di Riga da parte delle forze lettoni e lo sgombero pressoché totale di tutte le truppe tedesche e la fine del sogno imperiale del ducato di Curlandia coltivato da molti generali tedeschi nonostante la fine del conflitto. Il quadro generale politico-militare Dopo il crollo degli imperi centrali nel novembre del 1918 il dato che emerge dalla fine delle ostilità è il diverso comportamento che mantiene la classe degli alti ufficiali dell’esercito tedesco dislocati sul fronte occidentale e sul fronte orientale della Germania. Le condizioni stesse dell’armistizio e l’abdicazione del Kaiser e il suo esilio in Olanda dopo il rovesciamento ad opera degli spartachisti della dinastia Wittelsbach a Monaco provocano in alcuni di questi comandanti la sensazione di essere stati traditi dal potere politico, dall’opinione pubblica tedesca e dai soldati che abbandonano le loro postazioni o si riuniscono in consigli rivoluzionari senza più obbedire agli ordini. Già a ridosso della richiesta di armistizio, nell’ottobre del 1918, si erano verificati ammutinamenti nei porti di Kiel, Amburgo, Lubecca, e Brema, le grandi città libere della lega anseatica. I soldati avevano innalzato bandiere rosse e formato Consigli (Räte) di operai e soldati sull’ esempio di quelli sovietici. Tutto il mondo di valori, cultura e la stessa forza di volontà della Germania di sopravvivere a questo drammatico momento pare vacillare.95 Il governo socialdemocratico che prende le redini dello Stato si trova a dover affrontare non solo il pericolo rivoluzionario interno legato ai movimenti spartachisti di ispirazione bolscevica ma anche la reazione di una classe militare che il governo di coalizione di Friedrich Ebert ha decapitato. La nomina del generale Groener al posto di Ludendorff e la nascita di un esercito tedesco organizzato centralmente e non più dominio esclusivo della vecchia classe degli ufficiali è il tentativo dei politici repubblicani con cui si spera di portare dalla propria parte alcune realtà dell’esercito che non siano ostili al nuovo regime e che aiuti quindi a contenere i tentativi di un suo rovesciamento che provengono da sinistra e da destra. Il governo tedesco è quindi stretto da due lati: da una parte una consistente fetta della popolazione che chiede di poter uscire rapidamente dalla crisi attraverso la fine del blocco economico decretato dagli Alleati che rappresenta una notevole arma di pressione e, dall’altra, da un esercito che nei suoi quadri di comando tradizionali si sente tradito ed abbandonato nel momento più difficile. In questo clima le modalità stesse della resa della Germania giocano a sfavore di questo progetto. Mentre sul fronte occidentale e tra la popolazione civile tedesca vi è la percezione netta della sconfitta dovuta alla resistenza delle truppe alleate a alla disperata carenza di cibo e di tutte le materie prime:“nella Prussia orientale, dove la sconfitta non si è fatta sentire che come ripercussione (…) non ha distrutto fondamentalmente nulla della casta militare ed ha lasciato un rimpianto ed un astio verso il nuovo ordine statale, che si traduce in opposizione e resistenza e spesso anche aperta” così il generale Marietti osserva, cogliendo esattamente il clima del fronte 95 Per comprendere lo stato d’animo dell’opinione pubblica tedesca e dello stesso esercito, oltre alla memorialistica, è utile il confronto con il ruolo particolare che l’esercito e il concetto di nazione è stato per la Germania nel corso della seconda metà del XIX secolo. Protagonista assoluta dell’unificazione tedesca, la struttura militare divenne il tema chiave per la costruzione dell’identità di questa nazione: “La volontà generale divenne una religione laica, il culto del popolo per se stesso, e la nuova politica si prefisse il compito di regolare e di dare forma a questo culto. Ma il cemento che dette solidità all’unità del popolo non fu la semplice idea della tendenza connaturata all’essere cittadini,anzi questa funzione fu adempiuta da una ridestata consapevolezza nazionale, che in molte nazioni europee era cresciuta insieme all’ideale della sovranità popolare.” George L.Mosse, La nazionalizzazione della masse, Bologna 1975, pag. 26 50 orientale tedesco, agli inizi del 1920 in una relazione riservata della sua missione sul baltico al generale Cavallero a Parigi.96 Ed è infatti nella zona nord-orientale dell’Europa che questa “opposizione e resistenza” al nuovo governo si sviluppa nelle sue forme più dirette. Per la cultura tedesca e soprattutto per quella legata alla tradizione di conquista militare, il Drang nach Osten è stato da sempre considerato prerogativa della missione civilizzatrice delle popolazioni di lingua tedesca. Non solo per la tradizione di Alberto di Brema, dei Cavalieri Portaspada e poi dell’Ordine Teutonico che, grazie all’editto di Rimini del 1255 ad opera di Federico II97, conduce l’ultima crociata per “convertire” al cristianesimo le pagane regioni baltiche del nord ma anche per le modalità particolari di colonizzazione di queste regioni da parte della nobiltà tedesca. L’atteggiamento tedesco è infatti quello di un pieno e assoluto dominio che ha comportato una concentrazione della proprietà terriera in mano ai baroni baltici in regioni come l’Estonia, la Curlandia e la Livonia. Vere e proprie élite nobiliari, i baroni baltici, hanno diramazioni e collegamenti in Prussia e a Berlino, formano una classe dirigente coesa e indipendente che ha in mano l’intero potere economico grazie ai domini feudali e possiede anche una notevole influenza politica presso il Kaiser. I Baltes, come vengono chiamati, sono la classe nobiliare di tradizione militare la quale è riuscita a non perdere il proprio potere nemmeno dopo la conquista russa di questo territori da parte di Pietro il Grande. Grazie ad un accordo solido tra questa nobiltà e lo zar vi fu una perfetta continuità di potere anche nei secoli in cui queste regioni furono controllate dall’impero russo. La possibilità di mantenere saldamente il potere economico e i legami con la madre patria nelle mani della nobiltà di origine tedesca assicurò, attraverso una ristretta élite, la possibilità di governare queste terre, fornendo contemporaneamente ai russi quello sbocco sul Baltico cercato vanamente per secoli. L’obiettivo che guida i generali tedeschi e le loro truppe all’occupazione di queste regioni subito dopo la firma della pace di Brest Litowsk nel 191898 è quello di civilizzare delle popolazioni considerate simili tra loro e che attendevano ansiose la Kultur tedesca.99 Tra il settembre del 1915 fino a tutto il 1918 l’avanzata dell’esercito tedesco, dopo la disfatta delle truppe dello zar e gli accordi coi bolscevichi, verso questi territori è accompagnata da una ferma volontà di sfruttamento. Il Generale Ludendorff, ad esempio, comandante dell’Ober-Kommando Ost responsabile dell’intero fronte baltico per la Germania, arrivando a Kowno, importante città della Lituania, si autoaffida il compito di imporre la Kultur tedesca a popolazioni che considera tutte polacche senza alcuna distinzione e impone, lui di religione luterana, a tutte le chiese di suonare inni alla patria tedesca ogni domenica.100 Appare chiaro che la saldatura tra i generali tedeschi su quel fronte e i baroni baltici è quella di una perfetta sintonia di vedute. Il dominio economico è rafforzato dalla presenza militare e questa saldatura è il prodromo di un nuovo periodo di colonizzazione e di prosperità per l’impero. Il Drang nach Osten, nonostante i pericolosi segnali di crisi dell’esercito rimane al centro del mito e dell’immaginario di queste classi dirigenti.101 Le convulsioni della Russia che si dibatte in questo momento in una feroce guerra civile e la firma della pace separata con la Germania lascia questi territori completamente in mano tedesca ma, nello 96 Relazione al Gen. Cavallero, ASSME, E8, busta 99, fasc.3, pag. 12 Sul ruolo e l’importanza della figura di Federico II Hoenstaufen come “precursore” della potenza imperiale tedesca si veda la biografia di Ernst Kantorowitz, Federico II imperatore, Milano 1991 98 Sull’esame delle vicende della pace di Brest Litowsk si veda la cronaca dei negoziati in Chamberlin, cit., Vol. I, pag. 527 e segg. 99 Cfr. Capitolo I 100 L’episodio è citato in S.Page, pag. 28 101 Già nel 1916 vi era stata la prima crisi militare con la richiesta di un armistizio da parte dell’esercito tedesco poi rientrato con la nomina di Hindenburg e la decisione di intraprendere la guerra sottomarina che provocherà l’intervento americano nel 1917. 97 51 stesso tempo, la crisi dovuta alla fine della guerra e al crollo dei sistemi politici degli Imperi Centrali scatena le reazioni di autonomia e di indipendenza delle popolazioni.102 Tra questi paesi, la Lettonia è sicuramente quello più sensibile ai richiami rivoluzionari che provengono da Pietrogrado. Tra le regioni baltiche, come abbiamo già visto considerando gli avvenimenti precedenti alla guerra di liberazione, è la provincia in cui lo sviluppo industriale e commerciale ha raggiunto livelli di vita tra i più alti di tutto l’impero russo. Grazie all’enorme volume dei traffici commerciali dovuti al porto di Riga, la sua stratificazione sociale è composta da una solida borghesia urbana e da uno sviluppato proletariato industriale. Va sottolineato inoltre che il legame culturale e politico tra l’impero russo e i lettoni è più stretto di quello delle altre province baltiche.103 Vi è stata, con la russificazione forzata della seconda metà del XIX secolo e a differenza della Lituania, un avvicinamento alla cultura russa da parte di una popolazione che aveva subito da sempre la tirannia economica e culturale tedesca e ciò aveva prodotto una circolazione di nuove idee con la possibilità per molti intellettuali di avvicinarsi all’impero russo come una possibile alternativa allo stato di prostrazione delle popolazioni lettoni generate dal pugno di ferro dei Baltes. Dopo il 1905 il progressista russo Zalesky poteva scrivere della Lettonia che: “in nessuna parte della Russia trovo un antagonismo di classe così ricco di possibilità di sviluppo come in questa regione sicuramente la più industrializzata dell’impero” 104 Che questo substrato industriale e commerciale sia l’humus in cui matura l’adesione al bolscevismo di buona parte della popolazione lettone durante il 1917 non deve farci però dimenticare che una buona parte di questa adesione è dovuta anche alla ricerca di una alternativa politica alla tenaglia formata dalla nobiltà tedesca e dal potere imperiale zarista e che tale adesione si configura sempre come una sintesi tra indipendenza nazionale e rivoluzione sociale.105 Il 1919 che si apre con il crollo dell’impero tedesco e l’infuriare della guerra civile russa fa intravedere la possibilità di creare finalmente in Lettonia, nel vuoto delle due vere potenze che da secoli dominano quel mare, un governo indipendente che viene favorito sia dai bolscevichi, nel tentativo di riguadagnare al comunismo internazionale una regione strategica per la nascente Unione Sovietica, sia dall’Intesa che vede nella formazione di un governo indipendente lettone ma antibolscevico la possibilità di creare per la prima volta una egemonia franco-inglese in quella regione. Questi due obiettivi corrono in questi mesi su binari paralleli. La missione internazionale alleata, soprattutto grazie all’impegno inglese, agisce da contrappeso e da strumento militare al governo di Ulmanis antibolscevico e antitedesco, che aveva proclamato l’indipendenza della Lettonia il 18 novembre del 1918, mentre l’Unione Sovietica contribuisce alla formazione dei Soviet lettoni anche grazie alla presenza di una èlite rivoluzionaria locale che aveva contribuito non poco al successo della rivoluzione di novembre a Pietrogrado. Sostenendo in modo completo il corso rivoluzionario della Lettonia. Partendo dal porto di Riga i bolscevichi russi intravedono così la possibilità di sovietizzare l’intero baltico. I rappresentanti del Soviet lettone si sentono quindi veri protagonisti della rivoluzione anche in termini militari e la linea politica che esprimono è quella di una relazione con l’Unione Sovietica simile a quella degli altri territori che in questo momento stanno sperimentando l’esperienza comunista come l’Ungheria o la Baviera. Vi è l’idea che guida questa azione di trasformare il rapporto con la Russia in una unione basata sulla solidarietà del proletariato internazionale in nome dei principi del comunismo ma con una base giuridica che caratterizzi una alleanza di due stati 102 Cfr. Capitolo I Moltissimi lettoni, durante l’occupazione tedesca, emigreranno in Russia mantenendo contemporaneamente i legami con la madre patria e svolgendo un opera di collegamento tra i sovietici e i partiti socialisti in Lettonia. Cfr. S. Page, cit. pag. 62 e segg. 104 In S. Page, cit. pag. 17 105 Di notevole interesse su questo elemento cruciale della storia del bolscevismo per paesi come la Lettonia è la disamina della sintesi condotta da Lenin su questo punto tra rivoluzione e liberazione nazionale dove i due termini sono collegati all’emancipazione dall’Impero Russo. cfr. Page, cit., pag. 57. 103 52 indipendenti. Ambedue le componenti quella espressa da Ulmanis e quella dei Soviet hanno ben chiaro però che la parola d’ordine dell’autonomia nazionale è la chiave di volta per ottenere il necessario consenso per mantenere il potere. La dichiarazione di indipendenza della Livonia, della Curlandia e della Latgallia106 già poche settimane dopo, il 18 gennaio, vedeva a Riga la creazione della repubblica dei Soviet lettone e l’immediato collegamento con le truppe bolsceviche lettoni operanti in territorio russo. Il processo di sovietizzazione nella zona di territorio controllata dai comunisti lettoni è quindi molto simile a quello avvenuto in Russia durante il 1918 e le repressioni e la spoliazione delle proprietà così come la repressione e le esecuzioni di massa dei prigionieri politici avvengono con la medesima intensità. Nella situazione di crisi, diciamo “ufficiale”, della Germania e della Russia si inseriscono nello scacchiere militare, anche la formazione di eserciti con a capo generali dell’ex impero zarista i quali, anch’essi, vogliono raccogliere forze per contrastare l’avanzata bolscevica. L’Intesa osserva attentamente la vicenda di queste formazioni perché rappresentano comunque forze in contrapposizione al potere di Mosca anche se il loro disegno politico di riformare l’antico impero russo è diametralmente opposto alla crescita e al consolidamento dei governi indipendenti degli stati appena formatisi con le dichiarazioni di indipendenza. Il nodo politico a cui l’Intesa deve trovare risposta rimane quindi quello di come conciliare l’obiettivo di fermare l’avanzata e il consolidamento del regime bolscevico anche attraverso queste formazioni e, contemporaneamente, sviluppare questi governi appena nati che rappresentano la sola concreta alternativa al dominio tedesco o russo sul baltico. Il dilemma non è semplice: l’ascendente politico che l’Intesa ha nei confronti dei governi Lettoni ma anche Estoni e Finlandesi genera la fiducia che le truppe alleate interverranno nel momento in cui si verificherà un attacco a questi stati non solo da parte dei bolscevichi ma anche dei russi “bianchi”. Contemporaneamente però l’Intesa non ha alcuna intenzione di utilizzare forze militari in questo quadrante e si affida a quelle stesse truppe controrivoluzionarie allo scopo di fermare i bolscevichi. Fino alla nomina di Trotzki a capo dell’Armata Rossa queste formazioni hanno infatti guadagnato terreno e hanno costituito veri e propri stati all’interno dell’Impero da cui sperano di arrivare a Mosca e a Pietrogrado e mettere così fine all’avventura della repubblica dei Soviet. Scorrendo le relazioni che il Comitato Militare Alleato fornisce ai decisori della Conferenza della Pace a Parigi nel 1919 si nota come, oltre ad alcune imprecisioni, viene costruita una lista di tutte queste forze, degli stati nazionali e dei generali zaristi, genericamente classificate come “bianche” senza che vi sia una vera distinzione tra scopi, obiettivi e composizione delle stesse.107 In questi mesi il quadro generale non è assolutamente stabile né sul terreno dello scontro né tantomeno nelle informazioni in possesso degli Alleati. Tra la fine del 1918 e i primi mesi del 1919 106 Il governo Ulmanis che dichiara l’indipendenza viene immediatamente riconosciuto de facto dalle potenze dell’Intesa e inizia il suo lavoro politico sotto la protezione delle navi inglesi e della missione del colonnello inglese Cough. 107 La relazione Cavallero sulla situazione generale del Baltico, in ASSME, E8, busta 99, fasc.7, presumibilmente dell’ottobre 1919 considera, per la Lettonia, il governo Neeva, (non Needva come scrive Cavallero), come un governo socialista moderato sostenuto dai baroni baltici e non come un governo fantoccio in mano alle truppe tedesche di Von der Goltz e, ancora, Cavallero parla di un governo della Russia Occidentale come presieduto dal generale Biskupski e non da Bermondt Avaloff come è in realtà. Di tale fantomatico governo della Russia Occidentale egli riferisce di come l’indipendenza lettone: “è anche minacciata da forze germano-russe (...) che la combatte in nome dell’unità russa” in realtà le forze germano-russe di cui parla Cavallero sono le stesse del generale Von der Goltz divenute russe per sottrarsi al controllo del governo tedesco. A queste imprecisioni dovute alla confusione di informazioni fa però da contrasto l’idea generale della relazione che affida alle forze controrivoluzionarie bianche di Judenitch il ruolo di sostegno per marciare su Pietrogrado ed abbattere il bolscevismo ignorando che le forze di Bermondt sono collegate all’esercito di Judenitch e sono poi le stesse truppe tedesche che hanno già abbattuto il governo Ulmanis e quindi più che minacciato l’indipendenza lettone. Nella relazione di accompagnamento sulle notizie militari e politiche sulla Russia e la Siberia che fa da allegato alla relazione (fascicolo 1) si mettono insieme come forze antibolsceviche sia le truppe Lettoni ed Estoni che quelle della Landeswehr tedesca dimenticando che queste formazioni in realtà perseguono obiettivi diversi e che nel corso del ‘19 verranno a confliggersi duramente. 53 i bolscevichi registrano infatti sconfitte e vittorie e perdono il controllo di gran parte del territorio russo in Ucraina, in Siberia, nella zona di Odessa e nella Russia nord-orientale mentre le armate “bianche” anche per la loro incapacità di concepire un disegno alternativo al semplice ritorno allo zarismo vedono il loro formarsi e distruggersi militarmente in maniera altrettanto rapida.108 Resta comunque il fatto che nelle zone in cui queste formazioni agiscono ed esercitano la loro influenza si determinano veri e propri cambiamenti di scenari politici e militari in cui l’obiettivo di restaurare il vecchio impero diventa, volta a volta, difesa strenua dai bolscevichi, tentativo di conquistare potere sui territori baltici, magari alleandosi con altre truppe occupanti aventi diversi fini, oppure semplice ricerca di profitto personale per assicurarsi vantaggi di tipo economico. Gli avvenimenti militari in Livonia e Curlandia sino al maggio 1919 Naturalmente tutti questi elementi devono essere declinati per la situazione specifica del territorio della Curlandia e della Livonia nella seconda metà del ’19 ma, tenendo presenti queste forze in campo, è possibile ricostruire il filo degli avvenimenti che hanno cambiato, forse in maniera definitiva, lo scenario politico di queste regioni. La fine della guerra e le condizioni di armistizio hanno fatto intervenire, ad opera delle decisioni dell’Intesa, le forze tedesche a presidiare il baltico, decisioni che risulteranno gravide di conseguenze. Gli Alleati, nel novembre del 1918, chiedono alle truppe tedesche che occupavano quei territori di non smobilitarsi al fine di creare una forza che potesse opporsi all’avanzata delle truppe bolsceviche e, successivamente, nel maggio del 1919, ordineranno perentoriamente al governo tedesco di ritirare queste truppe per farle rifluire verso la Prussia orientale. L’intervallo tra queste due opposte decisioni permetterà la creazione di una crisi politico-militare decisiva per la storia della Lettonia. E’ tra queste due differenti strategie dell’Intesa il nodo su cui dobbiamo inquadrare l’intera vicenda poiché la prima, formulata sulla base del XII articolo dell’armistizio permetterà lo sviluppo della nuova conquista baltica ad opera delle truppe del generale tedesco Von der Goltz, il secondo, sulla base del medesimo articolo e della firma del Trattato di Pace, opererà affinché tutte le truppe tedesche presenti in questa regione defluiranno verso la Germania liberando così questi paesi aprendoli all’indipendenza. Il tono opposto di queste due strategie è dominato dall’obiettivo di contenere le truppe bolsceviche e questo riguarda certamente le potenze occidentali europee ma anche il governo tedesco. Aver spinto quindi i governi indipendenti della Lettonia o dell’Estonia nelle braccia di forze bianche o di vere e proprie truppe di conquista tedesche è conseguenza diretta del tentativo di fermare l’avanzata bolscevica seguendo un modello finlandese poco utile in questo contesto. Nel caso della Lettonia, l’ambiguità di questa impostazione sta proprio nella lettura della clausola XII dell'Armistizio del novembre 1918. Essa faceva riferimento, naturalmente, al ritiro delle truppe tedesche che occupavano i territori del Baltico ma, al secondo capoverso affermava: “tutte le truppe tedesche che si trovano attualmente nei territori che facevano parte prima della guerra dell'impero russo dovranno rientrare come le altre al di là delle frontiere tedesche, definite e stabilite dagli Alleati nel momento in cui gli Alleati giudicheranno utile questo ritiro tenuto conto della situazione interna di questi territori.109 108 Su questa vicenda si veda Chamberlin, cit. vol. II pag.506, Si veda l'Allegato 5 della Relazione del gen. Cavallero dell'ottobre 1919 cit. Questa posizione degli Alleati è stata sottolineata anche da MacMillan: “Come misura provvisoria, gli Alleati diedero istruzioni al governo tedesco perchè lasciasse nel Baltico le sue truppe anche dopo l'armistizio. Una procedura alquanto umiliante la definì Balfour ma senza apparenti alternative a sua volta causa di una serie di interventi specifici. L'Alto Comando tedesco, invece, ne era ben lieto in quanto né i militari né i nazionalisti tedeschi intendevano rinunciare alle conquiste baltiche che vedevano come una barriera frapposta ai bolscevichi e alla minaccia slava. (...) Le terre baltiche, rese sacre dal sangue dei Cavalieri teutonici che per esse avevano combattuto secoli prima, costituivano inoltre una sorta di ridotta nella quale la Germania avrebbe potuto riorganizzarsi contro gli alleati” M.McMillan, cit., pag. 289. 109 54 Ed è su questa ambiguità che tra il novembre 1918 e il maggio 1919 i tedeschi hanno il tempo di innescare grazie a quei fattori di conflitto tra governo repubblicano e comandi militari un vero e proprio processo politico di riconquista di queste regioni. Non si tratta soltanto di un riconquista del territorio lettone contro i Soviet di Riga poiché le modalità con cui venne effettuata riprendono, per grandi linee, un piano di colonizzazione già progettato da Ludendorff nel 1918 e interrotto solo dalla fine del conflitto. Questo piano si troverà in perfetta continuità anche con l’azione che tra il maggio e il novembre del 1919 le truppe germano-russe di Bermondt svilupperanno: crearsi una base territoriale in Lettonia e, una volta stabilito un coordinamento con il generale zarista Judenitch, portare l’attacco a Pietrogrado per sconfiggere i bolscevichi.110 Questa strategia imponeva da parte delle truppe tedesche una vera e propria stabilizzazione nella zona baltica e non, come pensavano gli Alleati, ad un contenimento dei bolscevichi ed è sulla base di questa sottile distinzione che i tedeschi impongono la forza militare delle loro truppe con successo. Questo progetto è anche favorito anche dalla precaria situazione del governo provvisorio lettone che, senza una propria forza militare adeguata e privo di mezzi economici, vedeva ormai buona parte del suo territorio occupato e dominato dalle forze comuniste. L’accordo del dicembre del 1918 tra Ulmanis e le armate tedesche di stanza in Curlandia per garantire la riconquista delle frontiere e con compiti di sorveglianza interna e di polizia che viene raggiunto sulla base di una fiducia nel nuovo corso repubblicano in Germania di cui si è fatto cenno nel Capitolo I, sarà invece la leva con cui i tedeschi in questo momento trasformeranno truppe miste di volontari per la liberazione di quelle regioni in armate di conquista.111 Partendo così nella fase iniziale della formazione di queste truppe volontarie da alcune agenzie di reclutamento per le forze militari antibolsceviche che si erano già aperte in Svezia112 vi fu, grazie a quell’accordo, una vera e propria diffusione di queste agenzie di reclutamento in tutto il territorio tedesco il cui più importante centro fu a Berlino, l’Anwerbestelle Baltenland che giunse a: “una propaganda intensiva [in cui] il governo prussiano invitava i giovani a ‘cercare fortuna in Lettonia e a chiedere un ingaggio che gli avrebbe assicurato più tardi il possesso di terre e i diritti di cittadinanza’”113 Questa modalità di reclutamento e di rincorsa verso l’est provocò quello che il ministro della difesa del governo repubblicano tedesco Noske ha chiamato “la febbre baltica” che: “aveva preso migliaia di individui in Germania provocando un afflusso di volontari che fu 110 Jacques Benoist -Méchin, Histoire de l’Armèe Allemande, Parigi, s.d.[ma 1954], vol. II, pag. 44 Fu fimata una convenzione il 7 dicembre 1918, quindi dopo l’armistizio tra Germania e Intesa, tra il governo tedesco e la Lettonia in cui viene creata una Landeswehr germano-baltica su base volontaria composta da 18 compagnie lettoni, 3 batterie di artiglieria lettoni, 7 compagnie tedesche, 2 batterie di artiglieria tedesche e una compagnia russa. Questo esercito – recita la convensione - sarà composto in unità omogenee per nazionalità e il governo lettone indicherà il comandante in capo. A questa convenzione il 29 dicembre 1918 viene accluso un addendum che prevedeva, tra l’altro, la garanzia della nazionalità lettone a chi, dopo un periodo di combattimento di almeno quattro settimane, avesse combattuto contro i bolscevichi. Il testo dell’intera convenzione e dell’addendum in Du Parquet, L’aventure allemande in Lettonie, Paris, 1926, pagg. 55 e seguenti. Si veda comunque il testo della convenzione anche in ASSME, busta 98. fasc.7 Annexe 1. Il volume di Du Parquet rappresenta la più completa relazione delle operazioni militari sul baltico dal marzo al dicembre 1919. Comandante della missione militare alleata a Riga e sincero ammiratore del Generale Niessel, la sua memoria ricostruisce, giorno per giorno, l’intera vicenda militare con la riproduzione di numerosi documenti originali. Nonostante il tono antitedesco e in favore della Lettonia indipendente rimane comunque un documento prezioso che ci permette di ricostruire lo svolgimento dell’intera azione e va quindi coordinato con la ricostruzione della commissione interalleata per il controllo delle truppe tedesche comandata dallo stesso Niessel. Ne faremo quindi un uso continuo in queste pagine cercando di trovare riscontri utili per l’analisi documentale delle fonti italiane di quella missione. Vi sono naturalmente molti riscontri fattuali anche in studi più recenti ma nessuno, compreso fonti inglesi o tedesche, contiene così in dettaglio la sequenza degli avvenimenti. Su questi elementi cfr. anche S.Page, pagg.144-145. 112 ibidem 113 Benoist Méchin, cit. pag. 19 111 55 impossibile da fermare e nessuno ebbe il coraggio di dire loro che forse i sogni coltivati non si sarebbero realizzati.”114 I tedeschi sanno che in questo momento sono l’unica forza in grado di interporsi ai bolscevichi e sanno anche che sono l’unica forza militare in grado di far valere la loro capacità di manovra nei confronti delle truppe male armate e poco preparate dei governi indipendenti. Rimane grave, a nostro avviso, che l’ufficialità della firma di una convenzione che lega i risultati militari affidati ai tedeschi e il governo lettone in carica sia comunque avvenuta su suggerimento di una nazione dell’intesa, l’Inghilterra, la quale accettando in un primo momento il disegno politico di Winnig non si pone particolari problemi a mettere sullo stesso piano quell’accordo politico e il cambiamento che sta avvenendo al vertice delle truppe volontarie tedesche. E’ questo l’errore che gli Alleati commettono: confondono il progetto politico della Repubblica di Weimar costruito da Winnig ed alimentato dagli accordi tedesco-lettoni con le forze tedesche che, in questo momento, sono i principali nemici di quel disegno. Questo atteggiamento dell’Intesa è spiegabile solo con l’illusione che si possa ancora una volta mantenere un governo indipendente e filoalleato al potere servendosi delle armi tedesche contro i bolscevichi.115 Ma la Lettonia è uno dei perni centrali della strategia delle forze militariste tedesche che sono disposte ad entrare in conflitto anche con il governo di Weimar pur di assicurarsi il controllo politico e militare della regione. Queste armate di volontari, di freikorps, di contadini tedeschi con il miraggio della terra baltica avrebbero potuto forse risultare una massa di manovra utile agli interessi dell’Intesa se si fosse, da parte Alleata, fermato il tentativo dei baroni baltici di nominare comandante in capo della Landeswehr il perfetto continuatore del piano politico-militare di Ludendorff e della casta militare tedesca e cioè il generale Rüdiger Von der Goltz.116 Il generale tedesco che aveva combattuto i bolscevichi in Finlandia e aveva respinto in Slesia un tentativo di invasione del territorio tedesco da parte delle truppe ceche in uno scritto del giugno 1920 riassume il suo piano politico-militare per il baltico: “Io mi accorsi allora che tutte le mie richieste avanzate al governo lettone sarebbero state considerate da questo come atti di debolezza e che a quell’epoca con l’approvazione dell’Intesa, questo governo aveva già cominciato la sua battaglia contro la Germania. Io pensavo a proteggere lo stato prussiano e mi inquietava l’avvenire pieno di minacce rivolto alla Deutschtum. Perché io non potevo allora lavorare per inserire nelle province di frontiera con la Russia dove mancava una qualunque forma di intelligenza, dei buoni contadini tedeschi che potevano lavorare ad arricchire quella terra? Così facendo nelle regioni attualmente occupate e poi in quelle liberate molte persone senza un avvenire ma soprattutto i nostri soldati avrebbero potuto trovare del lavoro e del pane. La Russia non avrebbe potuto, così come prima della guerra, mettere alcun ostacolo a questo progetto. Ma io avevo quattro nemici da combattere: l’armata bolscevica, il Consiglio dei soldati 114 Benoist Mèchin, pag. 39. Che il processo di formazione di queste truppe volontarie sia più complesso e variegato di si è già detto nel Capitolo I. Rimane comunque importante considerare quanto l’agiografia dei freikorps trasmise dopo la fine della campagna baltica. Di tale messaggio il testimone più importante è sicuramente Von Salomon: “Noi eravamo folli e sapevamo di esserlo. Noi sapevamo che saremmo caduti per la collera di tutte quelle persone che attorniavano le nostre coorti temerarie. La nostra follia non era che una orgogliosa ostinazione. Ma noi eravamo pronti a sopportarne tutte le conseguenze” Ernst Von Salomon, I Proscritti, cit. in Benoist. Pag.37. Sulla formazione del mito tedesco per il Baltico si veda il bel volume di Vejas Gabriel Liulevicius, The German Mith of the East, cit., in particolare le pagg. 130-170. 115 Sul ruolo della marina inglese nelle vicende della Lettonia si veda Von Rauch, The Baltic States the year of independence 1917-1940, London 1974 116 Si tratta di un errore tipico che gli Alleati commettono considerando le azioni tedesche. Si crede infatti che vi sia un monolitismo assoluto tra il governo politico in carica e gli attori operativi sul terreno e che questa coerenza in Germania sia più accentuata che in qualunque altro paese. Le spaccature e le divisioni politiche sono invece profonde, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, ed averle ignorate contribuì alla sconfitta di quelle componenti democratiche tedesche che vedevano nelle forze militari di destra e in quelle rivoluzionarie di sinistra i nemici più pericolosi della Germania. 56 dell’esercito a Libau sostenuto dai radicali tedeschi, il governo lettone germanofobo e mezzo bolscevico e l’Intesa. Io avevo deciso di combattere l’uno dopo l’altro e ho sbagliato a non marciare subito contro i bolscevichi ma comunque ho cominciato insieme l’offensiva contro gli altri tre”117 Von der Goltz sembra quindi l’unico che, riprendendo sotto tutt’altro tono l’idea della conquista coloniale baltica, oltre ad una generica idea di resistenza al bolscevismo ha un preciso progetto politico. Si tratta, rinverdendo la tradizione tedesca dei principi feudali baltici, di proseguire l’opera di colonizzazione di queste terre ma soprattutto di dare una speranza concreta a quell’idea di stato autoritario militare prussiano che trova nell’espansione ad est un motivo di rinascita. Coerente con questa impostazione i primi atti del Generale a capo della Landeswehr del baltico sono quelli di mettere fine al Consiglio dei soldati tedeschi di Libau e di procedere ad una riorganizzazione delle truppe che nella loro composizione e nel loro reclutamento avevano manifestato molte debolezze dovuto anche allo spontaneismo dei gruppi di volontari che affluivano da tutto il territorio tedesco. Come abbiamo visto, non si tratta dell’esercito regolare tedesco, la Reichswehr, che il governo repubblicano e Noske come ministro della difesa ha ricostruito epurando i vertici militari sconfitti che dopo il crollo del novembre 1918 si è ritirato o si è decomposto, in Curlandia; ora sono raccolti qui un insieme di forze militari eterogenee anche negli obiettivi e nelle motivazioni pronte però ad eseguire quel sogno di conquista immaginato da Von der Goltz. Che queste armate abbiano un appoggio dalle forze militari regolari della Prussia Orientale è indubbio. Lo stesso Marietti ne è consapevole quando scrive a Cavallero parlando della delegazione tedesca della missione internazionale: “i membri della delegazione eseguirono questa resistenza [al ritiro delle truppe] appoggiati da una parte ad Eberhardt e compagni, dall’altra alle autorità civili e militari della Prussia orientale, ricorrendo ad ogni forma di doppiezza, di cavilli ed anche di menzogna. Smascherati, ripigliavano imperturbati, tanto che noi spesso ci domandavamo, tra il serio ed il faceto, se non ci prendevano per degli imbecilli”118 Più difficile stabilire invece quale fosse l’atteggiamento del governo tedesco rispetto a queste formazioni e al loro progetto. Vero è che il ministro Noske vide nella “febbre baltica” anche un utile strumento per allontanare dal territorio tedesco formazioni molto pericolose per la stabilità interna del paese e dello stesso esercito119. Nonostante egli facesse continuo uso di appelli al ritiro delle truppe tedesche e offrisse all’Intesa grande collaborazione in tutta la vicenda, negli ambienti ministeriali a Berlino si sostenne sempre la tesi che le questioni relative alle forze tedesche sul baltico erano affare interno alla Lettonia e che nessun intervento tedesco fosse dovuto per riportare all’ordine queste formazioni militari nonostante ne avessero ufficialmente il controllo. La storiografia e la memorialistica di queste vicende ha sempre oscillato su questo punto. I francesi, sia Du Parquet che Niessel, sono convinti della integrale collusione del governo tedesco con quello della Prussia orientale e con le armate baltiche, i tedeschi videro invece nell’operazione di Von der Goltz una fatale decisione dell’Intesa che nella ricerca di forze anticomuniste e tradendo le premesse politiche con cui i volontari tedeschi furono inviati nel baltico generarono le premesse per l’intera avventura e, di conseguenza, nessuna responsabilità poteva essere addossata al governo repubblicano di Weimar che non era in grado di fermare né politicamente né operativamente quella decisione. La missione internazionale alleata per il ritiro delle truppe è però un interessante osservatorio per comprendere questo problema vista la stretta collaborazione tra alleati e tedeschi nel mettere fine alla vicenda e le fonti italiane su questo punto sono più problematiche e complesse che le attribuzioni di colpa fatte all’uno o all’altro fronte. Marietti, pur condividendo interamente sia la 117 Von der Goltz in Du Parquet, cit., pag. 28. Relazione a Cavallero, cit. pag. 13 119 “I socialisti scoprirono questo come: “un mezzo per purgare la Germania di tutti gli elementi turbolenti e indesiderabili che continuano ad infestare città e campagne” cit. in Benoist Mèchin, pag. 19 118 57 visione strategica che le scelte operative di Niessel, avrà un sguardo molto più razionale nel definire e isolare i problemi e, partendo da questa impostazione, sarà quindi possibile contribuire a meglio inquadrare il ruolo del governo repubblicano tedesco. Con la creazione di una Armee Oberkommando Nord e la sua nomina a comandante in capo, Von der Goltz aveva coerentemente ai suoi disegni la necessità di trovare nei feudatari tedeschi e non negli accordi col governo Ulmanis, i garanti dell’operazione di distribuzione delle terre di cui il generale aveva parlato nelle sue annotazioni del 1920. Che questa curiosa maniera di condurre truppe tedesche ufficialmente sconfitte su fronti antibolscevichi con l’avallo delle potenze alleate Von der Goltz lo aveva sperimentato con successo comandando nel 1917 una speciale Divisione del Baltico che aveva respinto i russi a Helsingfors (Helsinki) unendosi ai reggimenti antibolsevichi del generale finlandese “bianco” Mannerheim. L’esercito che avanza contro i comunisti lettoni nel febbraio-marzo del ’19, si richiama a quella struttura “finlandese”. E’ infatti composto dalla prima divisione di riserva della Guardia tedesca mentre la Divisione di ferro forma il centro dello schieramento è costituito dai volontari tedeschi e dai battaglioni lettoni del colonnello Ballod. Alla sinistra dello schieramento Von der Goltz inserisce quella creazione politico-militare generata dagli accordi tra Winnig, gli Inglesi ed Ulmanis che viene denominata Landeswehr baltica. L’avanzata tedesca durata sino al giugno dello stesso anno è poderosa. (cfr. carta 1) Partendo dal fronte che comprendeva Libau, Mourajevo e Kowno in territorio lituano, tra marzo e aprile Von der Goltz riconquista le linee ferroviarie di Mitau e Schawli sino a giungere alle porte di Riga. In questa avanzata rapidissima espone però la popolazione a rappresaglie ferocissime da parte dei bolscevichi: “prima di evacuare Mitau hanno riunito nella corte della cittadella una parte degli ostaggi – uomini, donne, bambini – che erano stati imprigionati nel gennaio del 1919, li hanno uccisi a colpi di granata lanciati nel gruppo poi hanno attaccato ai loro cavalli tutti gli ostaggi ancor vivi e li hanno trascinati nella neve da Mitau a Riga. La strada era striata da lunghe scie di sangue e le fosse comuni erano riempite di cadaveri con le braccia e le gambe distrutte. Ad alcuni avevano anche cavato gli occhi e avevano tagliato il naso, le orecchie e la lingua”120 Come ha scritto uno storico riferendosi alla guerra civile russa: “esempi di atrocità da parte dei Bianchi e dei Rossi si potrebbero citare all'infinito: solamente uno spirito settario potrebbe negare che la guerra civile che seguì la rivoluzione russa venne condotta da ambo i lati con straordinaria ferocia. I più crudeli episodi della guerra civile inglese del secolo XVII o della guerra civile americana appaiono un nulla di fronte alla condotta praticata normalmente dalle due parti.”121 120 Benoist Mèchin, pag. 21-22 W.H.Chamberlin, Storia della Rivoluzione Russa, cit. Vol. II, pag. 113. Il generale Niessel ebbe a fare un paragone simile considerando il comportamento delle truppe tedesche in ritirata peggiore di quello che generarono i massacri della guerra dei trent’anni. La stessa osservazione viene fatta da Marietti nei suoi rapporti a Cavallero. 121 58 Avanzata dell’esercito di Von der Goltz in Livonia e Curlandia122 Mentre il governo di Ulmanis e l’Intesa pensano però ad una liberazione dell’intero territorio dagli elementi filobolscevici, il generale tedesco ha in mente soprattutto di stabilizzare il suo potere nella regione e cominciare a costruire una solida testa di ponte che comporta il cambiamento della guida politica in Lettonia. Il caso militare che scatena la crisi è l’arresto di tutto lo stato maggiore della armata lettone, 550 ufficiali, da parte del corpo franco tedesco comandato da von Pfeiffer. Ulmanis immediatamente protesta con l’alto comando delle operazioni per l’imprigionamento di tutta la componente lettone della Landeswehr e, anche se non ordinato direttamente da Von der Goltz, questa vicenda da l’occasione per accusare il governo lettone di minacciare la sicurezza delle armate tedesche e il pretesto per esautorare il governo Ulmanis che troverà rifugio, insieme a tutto il suo governo, presso la nave inglese Saratov. Nonostante le proteste dell’Intesa di reintegrare Ulmanis nei suoi poteri, Von der Goltz nomina il 27 di aprile un governo presieduto dal pastore protestante Needra che si rivelerà una testa di legno nelle mani del generale. Gli inglesi chiedono allora immediatamente la testa del comandante Von Pfeiffer ma gli viene risposto che, per farlo, bisognerebbe mettersi contro tutti i suoi uomini; in alternativa la missione inglese chiede che sia nominato al suo posto il barone Von Meunteffel. La risposta secca è che essendo quest’ultimo di nazionalità lettone non può essere considerato responsabile di condotta criminale contro il proprio governo. Gli inglesi si rivolgono quindi a Berlino protestando vivacemente e chiedendo la destituzione di Von der Goltz. Berlino risponde che il generale non ha avuto alcun ruolo all’interno del putsch e che ha agito come da istruzioni impartite dall’Oberkommando Nord. I tedeschi, con sarcasmo, aggiungono che è sotto consiglio inglese che Ulmanis aveva accettato la collaborazione delle forze 122 Benoist Mèchin, cit. pag. 21 59 tedesche ma, se questo dovesse comportare problemi, i tedeschi sono pronti al ritiro lasciando all’Intesa di proteggere la Lettonia e la Lituania dai bolscevichi.123 Il secondo e il terzo obiettivo di Von der Goltz sono quindi raggiunti. Dopo la riorganizzazione dell’esercito effettuata in febbraio, la fine del governo Ulmanis contro le decisioni dell’Intesa e la sfida lanciata agli Alleati di trovare le forze per contrastare nella regione, i bolscevichi mettono la situazione sia politica che militare a suo favore. Il comandante in capo può concentrare i suoi sforzi per combatterli e penetrare in Estonia rafforzando ancora di più il suo progetto di riscatto tedesco sul baltico. Avere ora un governo favorevole alle sue manovre favorisce anche l’instaurazione di un terrore bianco nelle zone occupate con l’esecuzione sommaria di tutti i lettoni coinvolti nel precedente regime. A Mitau vengono fucilati 500 prigionieri delle forze tedesco-baltiche; a Tukkum ne sono fucilati 200 e 150 a Dunamunde sul golfo di Riga. Viene proclamato lo stato di assedio nella capitale con l’ordine di arrestare tutti quelli che avrebbero dato rifugio ai bolscevichi o presunti tali: “I lettoni accusano i signori stranieri di voler ristabilire la loro dittatura medioevale. I balti accusano i lettoni di essere ormai infetti dal virus rivoluzionario. Si assiste così a delle scene di una crudeltà inaudita. Ogni volta che i lettoni possono avere la meglio di uno di loro lo bruciano vivo o lo crocifiggono ad un albero dopo avergli cavato gli occhi. I campi sono pieni di cadaveri nudi e mutilati ed alcuni hanno il basso ventre squarciato e riempito di pietre. I balti rispondono con le esecuzioni di massa. Tutte le passioni accumulate nel corso dei secoli sembrano liberarsi attraverso la luce degli incendi e il rantolo degli agonizzanti”124 Gli Alleati cominciano finalmente a comprendere, dopo qualche mese, che il sistema militare messo in piedi dai tedeschi sta portando esattamente nella direzione opposta ai loro obiettivi. Viene quindi convocato Ulmanis per poter ottenere una rapida evacuazione delle truppe germaniche dal Baltico ma il presidente del consiglio fa osservare che non esiste una armata lettone in grado di garantire la sicurezza del paese e che sarebbe necessario un governo di coalizione, quindi anche con i partiti di sinistra, per poter raggiungere quel livello di consenso tale da garantire un appoggio contro le truppe tedesche. Nel frattempo, il 23 di giugno, vi è stata la firma del Trattato di Pace da parte della Germania che comporta ufficialmente la fine delle condizioni di armistizio e anche la fine de jure del dominio tedesco sui territori della Curlandia e della Livonia. Al consenso popolare verso l’Intesa che scaturisce dalla notizia segue lo sbarco a Libau dei militari alleati e del presidente Ulmanis che riprende così la guida del paese, Needra viene arrestato e il governo favorevole all’Intesa riprende a Riga il controllo della situazione. E’ il primo atto ufficiale di conflitto contro le truppe tedesche sino a questo momento. E’ un atto comunque formale perché né i lettoni né gli Alleati sono in grado di controllare le forze che hanno scatenato mesi prima. Le truppe tedesche sono però già penetrate in Estonia con l’obiettivo di unirsi alle forze antibolsceviche russe e conquistare Pietrogrado, il quarto e ultimo obiettivo di Von der Goltz. Tra il 21 e il 24 giugno le truppe della Landeswehr vengono fermate dagli Estoni mentre l’esercito lettone contemporaneamente subisce, il 27 dello stesso mese, un attacco delle truppe bolsceviche125. Questo fronte, troppo vasto da contenere, porta l’esercito Estone a respingere i tedeschi sino alle porte di Riga e la vittoria di questi ultimi sancisce la prima battuta di arresto di Von der Goltz.126 Dai consiglieri inglesi e americani viene suggerito allora ad Ulmanis di concedere agli Estoni libero 123 Benoist Mèchin, pag. 25 Benoist Mèchin, pag. 28 125 Questo farà propendere la memorialistica della vicenda verso l’idea che vi sia una collusione dei tedeschi coi bolscevichi per motivare la loro presenza e la loro conquista militare. Che vi fossero però infiltrati dei russi tra la popolazione civile lettone è indubbio e le notizie di spostamenti e indebolimenti dei fronti molto semplici da fornire per favorire attacchi dall’una o dall’altra parte ma questo non significa necessariamente che vi fossero collusioni tra i due schieramenti. 126 E’ la battaglia di Cesis citata nel Capitolo I, per una descrizione minuta dell’andamento militare di questa sconfitta si veda http://pygmy-wars.50megs.com/history/latvia/latviaintro.html. La descrizione della sconfitta tedesca è narrata anche da Von Salomon ne I Proscritti, cit. pag. 127. 124 60 passaggio per distruggere gli avanzi dell’esercito tedesco ma questo comporterebbe, in prospettiva, un nuovo conflitto possibile tra Estoni e Lettoni. Ulmanis si rifiuta e, a richiesta dei tedeschi, viene deciso un armistizio con gli Estoni siglato il 3 luglio a Strassenhof in cui si stabilisce che tutte le truppe tedesche lascino immediatamente la zona di Riga insieme alla Landeswehr mentre gli Estoni non sarebbero avanzati al di là del fronte segnato a quella data.127 Questo episodio comporta però, in chi segue le vicende baltiche a Parigi, il segnale chiaro del disegno finale dei tedeschi. Sino a quel momento le truppe tedesco-lettoni si sono impegnate a giustificare la loro azione come derivata dall’obiettivo di raggiungere il fronte bolscevico a nord ma l’incursione in Estonia lasciando alle armate lettoni di Bellod il compito di impegnarsi contro i russi, per tentare di guadagnare il controllo di tutta la costa baltica da Libau a Riga sino a Reval (Tallin) mostra il disegno coloniale di Von der Goltz che cerca il modo di formare uno stato unico di queste regioni per poi congiungersi con le truppe bianche di Judenitch e coi finlandesi. Nel giro di pochissimi mesi l’espansione delle armate tedesche e della Landeswehr balto-tedesca è però terminata con la sconfitta contro gli Estoni e la ritirata sino a Riga e la firma del trattato di pace con la Germania e il ristabilimento di un governo favorevole agli Alleati in Lettonia insieme all’armistizio con gli Estoni segna così il raggiungimento del punto più alto della parabola del generale che da qui in poi segnerà il suo declino. L’intervento dell’Intesa e le reazioni tedesche Solo in questo momento in cui si manifesta chiaramente la macchina militare messa in piedi dalle truppe volontarie tedesche mira non solo ad eliminare i bolscevichi ma anche tutte le tracce di un governo filoalleato, la Conferenza di Pace a Parigi si anima e nei mesi tra maggio e ottobre dispiegherà tutta la sua influenza per garantirsi in maniera definitiva l’evacuazione delle truppe tedesche da quelle regioni.128 Lo svolgimento diplomatico e documentale di questa azione ci è stato conservato negli Archivi dello Stato Maggiore sia sotto forma di comunicazioni ufficiali, sia sotto forma di memorandum di cui la Relazione Cavallero è, forse, il documento più interessante. A Parigi intanto nella riunione plenaria del 23 di maggio del 1919 si afferma che ormai: “i tedeschi approfittano dell’antagonismo tra Balti e Lettoni per dominare Libau e la Lettonia. (….) I tedeschi cercano di stabilirsi in maniera permanente nel paese e non si preoccupano minimamente di recare offese dirette alle truppe alleate. (…) A Libau delle truppe tedesche hanno dichiarato che declinano qualunque responsabilità degli atti di indisciplina ai quali i soldati tedeschi si potrebbero abbandonare alla vista di militari alleati in uniforme. (…) la conclusione del comandante della divisione navale francese chiede l’invio pronto dei mezzi necessari in materiale e in personale per formare un esercito (nazionale) lettone forte. La forma di un esercito nazionale permetterà di assicurare l’ordine nel paese ed esigere l’evacuazione delle truppe tedesche in cui il loro mantenimento tende a considerare ormai le province baltiche sotto l’egemonia del nostro nemico.”129 Questa allarmata analisi porta alla decisione di mantenere l’invio di cibo e generi di prima necessità alle province baltiche e che lo stanziamento permanente di truppe tedesche in Lituania e in Lettonia 127 Benoist cit., pag. 35, Il documento è anche in ASSME, busta 101, fasc.10 In un interessante documento che riproduce il testo di una risposta di Foch a Wackendorf del comando tedesco si afferma che: “il governo francese intende restare completamente estraneo all’operazione di truppe tedesche su Riga nè autorizzarla nè favorirla in alcuna maniera se dovesse essere intrapresa da queste truppe. Tuttavia per ragioni di umanità il revitaillement di Riga, dopo la liberazione e il ristabilimento dell’ordine non potrà essere rifiutato.” ASSME, busta . Fasc. Annexe 2. Probablimente la nota si riferisce alla presa di Riga da parte di Von der Goltz nella sua avanzata verso nord ma mette in luce come, ancora a maggio del ‘19, non vi fosse alcuna percezione di pericolo da parte alleata. 129 Nota del 23 maggio del meeting della Conferenza della Pace citato in David Hunter Miller, My Diary at the Conference of Paris , cit., vol. XVI pag. 362 e segg. 128 61 è un fatto esecrabile e non può continuare a lungo. Non vi è però alcuna decisione di trasportare truppe alleate nelle province baltiche, la sola alternativa indicata è quella di organizzare tutto quanto sia possibile per ottenere dalle forze nazionali della Lettonia e dell’Estonia e dal concorso di volontari esterni il raggiungimento di questo obiettivo Lo stesso trattato di Pace firmato dai tedeschi all’art. 433 ribadisce ancora una volta che: “tutte le truppe tedesche che si trovano attualmente in questi territori dovranno tornare all’interno delle frontiere tedesche nel momento in cui i governi delle principali potenze alleate e associate giudicheranno propizio rispetto alla situazione di questi territori.”130 Si torna quindi a ribadire, anche nel Trattati, che non vi è un ultimatum perentorio alla scadenza ma si rilascia indeterminato il momento di ordinare tale ritiro che infatti avviene il 13 giugno nella seduta della Conferenza della Pace in cui viene richiesto al Maresciallo Foch di ordinare ai tedeschi: “Di fermare qualunque avanzata verso l’Estonia. 1 - di evacuare Libau e Lindau e di completare l’evacuazione di tutti i territori che prima della guerra facevano parte della Russia e ciò secondo i termini dell’armistizio; 2 - che le forze nazionali locali delle province baltiche siano appoggiate con rifornimenti di equipaggiamenti, armi, munizioni, abiti e generi alimentari; 3 - che i rappresentanti militari a Versailles esprimano il loro parere circa il genere di rifornimenti che dovrebbero essere inviati e da chi”131 La decisione viene finalmente consegnata al comandante supremo delle forze alleate che immediatamente intima lo sgombero al governo tedesco. E’ interessante notare che nella relazione preparatoria alla decisione del 13 giugno si manifesti di nuovo e in maniera puntuale il conflitto tra le varie nazioni che partecipano alla Conferenza. Nel determinare le modalità di evacuazione vi è una indicativa doppia dizione da suggerire eventualmente ai Capi di Stato sulle modalità di evacuazione delle truppe tedesche. Nella proposta si da infatti il testo in una versione inglese che afferma: “[trasmettere l'ordine ai tedeschi] di evacuare immediatamente Libau e Vindau e di completare il più rapidamente possibile l'evacuazione di tutti i territori che erano prima della guerra parte dell'Impero Russo secondo le determinazioni della clausola XII dell'Armistizio.” Nella versione francese, americana ed italiana si legge invece: “[trasmettere l'ordine ai tedeschi] “di evacuare conformemente alle prescrizioni della clausola XII dell'Armistizio immediatamente Libau e Vindau fino al distretto di Augustovo, Suvelki, Grodno, parte del distretto di Seini ad Ovest del fiume Osernahanja (Marycha) e il più rapidamente possibile i territori che facevano parte prima della guerra dell'Impero Russo con riserva che detta evacuazione debba comunque iniziare immediatamente.”132 Questa discrasia delle versioni, pur comportando una sostanziale intesa nella formulazione della eliminazione delle truppe tedesche dal teatro baltico, vedono gli inglesi sostenere l'eliminazione delle truppe in maniera completa in Lettonia e Lituania con una azione contemporanea, mentre americani, francesi ed italiani, oltre a questa azione, cercano di eliminare le truppe in un’area più vasta comprendente comprendente anche i territori russi. Più interessante la posizione italo-francostatunitense che non crede ad una facile evacuazione delle truppe tedesche da quei territori senza estendere l’azione alleata anche alle truppe russe bianche presenti nella regione paventando probabilmente un pericolo di alleanza tra tedeschi e russi controrivoluzionari; più decisa e pragmatica quella inglese che non cerca una soluzione generale ma a contenere nella maniera più rapida possibile l’espansione tedesca contro i porti lettoni: “Fu a questo punto che i negoziatori fino 130 ASSME, Relazione Cavallero, cit. all. 18 Relazione Cavallero, cit. allegato 9, e il testo è anche in Miller, cit. vol. XVI. In realtà la decisione ha visto già i rappresentanti militari fornire indicazioni al Consiglio Supremo di Guerra e a questo proposito: “la Francia ha inviato o è in procinto di inviare missioni in Lituania o in Lettonia. La Gran Bretagna ha inviato una squadra a Libau unitamente a importante materiale da guerra (armi e munizioni). Gli Stati Uniti d’America hanno già inviato una certa quantità di approvvigionamenti nella Latvia. I rappresentanti militari consigliavano altresì di coordinare l’azione attraverso la delega ad un paese e di “esigere dai germanici il rimpatrio dalla Germania dei prigionieri nati nelle province Baltiche a fine di facilitare la costituzione di contingenti nazionali mobilitati” Relazione Cavallero - Allegato 6. 132 Relazione Cavallero, allegato 8, cit. 131 62 a quel momento poco attenti alla situazione baltica cominciarono ad entrare in agitazione: 'Dato il caos che regna al momento in quelle zone è ben strano che i tedeschi si stiano adoperando per mantenervi la propria influenza e il proprio dominio impedendo la formazione di eserciti locali e costringendo i paesi da loro occupati a contare solo sul loro aiuto concreto contro l'invasione bolscevica”133 Fermando un attimo la sequenza degli avvenimenti viene da chiedersi a questo punto quanto questa decisione ottenga l’appoggio del governo repubblicano tedesco. La questione non è di poco conto poiché la ritirata delle truppe deve avvenire nel suo territorio e quindi la Reichswehr deve appoggiare innanzitutto l’azione di ritiro accogliendo e sorvegliando i reparti che giungono dalle province baltiche affluendo in una regione, la Prussia Orientale, da dove provengono in massima parte quelle classi di comandanti ostili al governo di Berlino e che hanno, da subito, appoggiato l’avventura di Von der Goltz. I passi ufficiali testimoniano l’impegno formale del governo tedesco al ritiro. In un opuscolo conservatoci e intitolato L’evacuazione delle truppe tedesche dal Baltico134 vengono ordinate cronologicamente le comunicazioni ufficiali tra il governo tedesco e gli Alleati e, in una nota del 28 giugno 1919, Nudant, capo della Commissione Interalleata per l’Armistizio da Spa in Belgio ingiunge ai tedeschi di rispettare la nota decisa a Parigi il 13. In agosto però le truppe tedesche rifiutano di ritirarsi. Il comandante tedesco della Divisione di Ferro, Bischof ricorda che: “il governo lettone aveva concluso con il governo tedesco una convenzione che conteneva una serie di promesse fatte in riconoscimento ai servizi resi dalle truppe tedesche delle province baltiche. Per le conclusioni dell’ignominioso trattato di pace il governo tedesco ha annullato questa convenzione. Ma a causa di questo ha ripreso per conto suo a prendere impegni che risultano completamente contrari all’interesse delle truppe. (…) Io esigo quindi dal governo tedesco delle istruzioni formali su questi punti: 1) siano tenuti a disposizione degli ufficiali, dei sottufficiali e dei soldati almeno il 30% dei posti nelle brigate della Reichswehr che dovranno essere riformate nelle città; 2) sia garantita la stessa percentuale anche nelle forze di sicurezza e di polizia e nelle milizie che saranno formate; 3) sia mantenuta l’unità della Divisione in modo che sia assicurato l’avvenire dei suoi componenti.135 La risposta negativa di Bischof all’intimazione del ritiro viene accompagnata da una nota di Von der Goltz del 3 settembre che ricorda come: “una parte molto grande delle truppe non vuole lasciare la Lettonia prima che sia assicurato il suo avvenire, un’altra parte, ugualmente numerosa, esige che il governo insista di nuovo energicamente presso l’Intesa e presso il Governo lettone al fine di far rispettare i patti relativi alla cittadinanza e alle concessioni di colonizzazione che aveva stipulato. (…) Come proposta alternativa per il governo tedesco potrebbe egli adoperarsi con i mezzi necessari a disposizione affinché si possa permettere ai soldati loro il passaggio al servizio dell’armata russa.”136 133 McMillan, cit. pagg. 289/290 In ASSME, E8, Busta 99, fasc. 1 135 ibidem, cit. annexe 10 136 ibidem. La proposta di Von der Goltz è insieme provocatoria e, in fondo, disperata. Egli non ha intenzione di disobbedire agli ordini del governo tedesco ed infatti si dimetterà in settembre garantendo formalmente allo stesso il rispetto formale delle direttive dell’Intesa e il tentativo di far diventare russi i soldati tedeschi è sicuramente il frutto di un sogno di gloria ormai tramontato e trasformato, nella sua rigida logica militare, in un azzardo tra il donchisciottismo e la logica del rien ne va plus. Dopo la sconfitta contro gli Estoni egli si rende conto che anche una vittoria di un fantomatico esercito “bianco” russo-tedesco non ha alcuna possibilità di resistere all’interno del quadro internazionale che si sta delineando. Complessa figura quella di Von der Goltz, visto dalle sue truppe come l’unico in grado di dare voce all’odio radicale che i volontari tedeschi provano per la classe dirigente tedesca della repubblica di Weimar che li ha abbandonati in questo luogo selvaggio. La sua figura ricorda Mr. Kurtz, il protagonista del racconto Cuore di tenebra di Conrad: “Per questo affermo che Kurtz era un uomo notevole. Aveva qualcosa da dire. Lo disse. Dato che ho sbirciato anch'io al di là della sponda, comprendo meglio il significato del suo sguardo che non riusciva a scorgere la 134 63 La guerra di liberazione lettone La proposta inoltrata da Von der Goltz non è una semplice boutade. In realtà la Landswehr baltica aveva al suo interno una componente di nazionalità russa controrivoluzionaria comandata dal colonnello Leval il quale si dichiarò leale al governo Ulmanis ma al cui interno, come in tutte questi eserciti “bianchi”, vi erano militari delle più diverse provenienze. Il colonnello Leval comincia, nel mese di luglio, a ritirare le proprie truppe via mare per congiungersi con l’armata di Judenitsch a Nerval ma un gruppo di questi, a lungo residenti nei campi di prigionia tedeschi, si rifiuta e questo distaccamento russo è comandato da Virgolitsch e da Bermondt. In settembre il generale Von der Goltz si dimette da comandante in capo dell’Oberkommando Nord e lo consegna al colonnello Bermondt e questa è l’ultima carta giocata dal generale tedesco per mantenere intatta la forza militare che aveva creato. Egli dipende ufficialmente dal governo tedesco di cui esegue fedelmente gli ordini ma, contemporaneamente, sa che di fronte alle dichiarazioni ufficiali dell’Intesa non vi è alcuna intenzione di trasformare queste minacce in realtà e quindi, giocando d’astuzia, passa il suo esercito in mano ai comandanti russi dell’armata. Il giorno dopo al comandante della missione militare francese a Riga si presenta dunque: “un uomo ancora giovane (…) vestito con un lungo cappotto militare e un berretto di pelliccia all’uso circasso, con addosso tutto un arsenale di scimitarre, pugnali, pistole, cartucciere a tracolla che ci offrì di prendere con lui il the”137 Bermondt assicura che il gruppo russo vuole congiungersi all’esercito di Judenitch per marciare contro Pietrogrado ed ha un incontro con lui per chiarire le modalità di trasferimento e viene accompagnato, per questo colloquio, dal colonnello tedesco Von Preussen. Ai colloqui non fu mai presente un ufficiale alleato e il dubbio che in realtà Judenitch e Bermondt avessero concordato la permanenza dell’esercito del colonnello nella regione è molto probabile. In questo modo il generale russo poteva contare su una retroguardia fedele alle sue operazioni verso il fronte orientale. Il 28 settembre il Generale Nudant capo della Commissione Interalleata per l’Armistizio da Parigi ingiunge al Presidente della medesima Commissione tedesca con sede a Berlino che: “i governi alleati si rifiutano di ammettere che il Governo Tedesco possa, per declinare ogni sua responsabilità, nascondersi dietro l’impotenza che dichiara di avere per imporre l’obbedienza alle sue truppe baltiche. Invita quindi il governo tedesco a procedere senza alcun ritardo all’evacuazione delle forze militari. (…) Il governo tedesco dovrà ugualmente senza ulteriori ritardi prendere tutte le misure necessarie per far rientrare nei confini previsti dal trattato di pace tutti i tedeschi che hanno preso servizio, dopo la smobilitazione, nei corpi russi organizzati in quelle province e imporre il divieto di continuare a farlo”138 Il quotidiano francese “Le Temps” del 6 ottobre riporta per intero la risposta del governo tedesco: “Il governo tedesco deve protestare con grande energia contro le misure di rigore menzionate nella nota del maresciallo Foch che minaccia di rinnovare il blocco e di azzerare le importazioni di fiamma della candela, ma era grande abbastanza da abbracciare l'universo intero, abbastanza aperto da penetrare tutti i cuori che pulsano nella tenebra.” 137 Du Parquet, cit. pag. 147. E’ interessante riportare i brevissimi profili che il generale Marietti traccia del colonnello e di alcuni dei suoi collaboratori: “Bermondt: soprannominato principe di Avaloff, famiglia assai insignificante del Caucaso. Dopo la rivoluzione ha servito in Ucraina sotto la rada centrale. Dopo la caduta dell’ataman è evacuato in Germania, con altri 2000 ufficiali, nel campo di Salgwede, donde allaccia relazioni coi gruppi russi germanofili di Berlino. Si pone a capo delle truppe germano-russe; emette moneta propria (stampata in Germania), sulla quale pare abbia lucrato enormemente. Uomo di circa 40 anni, energico, squilibrato, dedito alle donne, morfinomane. Colonnello Cesnokoff: “capo della cancelleria personale di Bermondt. Uomo abile, trafficante, opportunista. Colonnello Dolonski: comandante del reggimento di cavalleria: germanofilo, rozzo, bevitore. Colonnello Virgolitch: ultimamente fu presso l’ataman di Kiev, donde fu evacuato a Salgwede, donde passò a Mitau provvisto di grosse somme avute a Berlino. Manca di carattere, fortemente alcolizzato; senza simpatie politiche manifeste; attualmente in cerca di un compratore.” Giovanni Marietti, Appunti e impressioni sugli Stati del Baltico, ASSME, E8, Busta 99, fasc.3, pagg. 64-68 138 Relazione Cavallero cit., allegato 10 64 derrate alimentari. (…) Ma al fine di dare agli alleati e agli associati la possibilità di convincersi della gravità eccezionale del loro intervento, il governo tedesco li prega di cominciare a discutere con lui per prendere delle misure adatte al caso. A questo proposito, propone la rapida formazione di una commissione composta da rappresentanti tedeschi e da rappresentanti alleati e associati. Secondo le intenzioni del governo tedesco l’obiettivo della commissione sarà quello, dopo un esame della situazione di prendere tutte le misure per una evacuazione rapida delle truppe e di sorvegliare e assicurare l’esecuzione perché questa evacuazione sia rapida.”139 Nel frattempo l’intera armata tedesca, 50.000 uomini, chiede la nazionalità russa e passa agli ordini di Bermondt. Il colonnello dichiara se stesso Presidente di una fantomatica “Repubblica russa dell’Ovest” e da questo momento le truppe tedesche diverranno truppe russo-germaniche con il nome di “Armata dei volontari dell’Ovest” sotto il comando del capitano russo Sievert e di un ufficiale tedesco di nome Wagner. La soluzione prospettata da Von der Goltz diviene quindi realtà: i soldati tedeschi sono ora, coerentemente con l’accordo tedesco-lituano del dicembre, volontari a difesa della Curlandia dagli attacchi bolscevichi, essendo cittadini russi sono ormai sciolti da ogni vincolo con la madre patria e possono continuare il progetto di conquista che il generale tedesco segue dal suo “ufficio” a Mitau. Terminati però fondi e aiuti economici dalla Germania ci si chiede come questa nuova armata germano-russa possa mantenersi. Il colonnello Du Parquet parla, nelle sue memorie, di un accordo tra Bermondt e la banca J.P. Morgan in cui viene concesso un prestito di 300 milioni di marchi al colonnello, con garanzia di tutte le proprietà mobiliari e immobiliari del territorio controllato dal Governo della Russia Occidentale, da restituire con un tasso di interesse piuttosto modesto nel momento in cui il Governo potrà emettere obbligazioni di cui la banca si riserverà una percentuale. Viene concesso, inoltre, alla J.P.Morgan di aprire filiali sul territorio e di garantirsi il monopolio degli investimenti per la ricostruzione edilizia e delle industrie.140 Il programma militare di Bermondt viene allora deciso in una conferenza degli ufficiali comandanti il 1 ottobre. Era necessario attaccare e prendere Riga per eliminare il governo Ulmanis e dichiarare la Lettonia provincia russa assegnando ad una parte dell’armata lo stesso compito in Estonia. Nei progetti della nuova armata russo-tedesca questi paesi non avrebbero dovuto avere un proprio esercito e sarebbero stati sotto il controllo russo garantendo dal punto di vista politico all’aristocrazia germano-baltica i suoi privilegi feudali.141 La strategia di Bermondt fu allora quella di provocare le truppe lettoni fedeli al governo ma di non attaccarle direttamente in modo da creare un incidente ed avere così il pretesto per la conquista della capitale. Le truppe dell’armata germano-russa destinate a questa ultima battaglia erano composte da un primo corpo d’armata denominato Keller, un secondo corpo di armata denominato Virgolitsch, dalla Divisione di Ferro e dalla Legione tedesca.142 139 ASSME, E8, Busta 99, fasc.1 Du Parquet, cit. pagg. 159-160. E’ difficile credere che una banca americana abbia finanziato l’impresa di un avventuriero descritto come un morfinomane anche se lo stesso Marietti parla di un interesse commerciale molto forte della delegazione inglese e americana per il baltico: “i rapporti miei con la delegazione inglese furono sempre cordiali, ma molto riservati, anche perché non conosco la lingua inglese: i rimanenti ufficiali della delegazione lavoravano molto a tavolino, non certo intorno ad argomenti relativi allo sgombro delle province baltiche” Relazione a Cavallero del 20 gennaio, cit. pag. 10. Resta comunque il fatto che Du Parquet parla di questi documenti, li descrive ma non li riproduce come in molte parti del suo libro fa con altri documenti di cui è a conoscenza. Il dubbio comunque di un investimento così rischioso rimane, così come rimane il problema di comprendere in che modo le armate bianche controrivoluzionarie e lo stesso Bermondt furono finanziate per la sua impresa. Si tratta in generale di una ricerca ancora non approfondita ma che varrebbe davvero la pena intraprendere. 141 Du Parquet, cit. pag. 155 142 Du Parquet, cit. pag. 164-166. Le truppe descritte dal colonnello Du Parquet sono le stesse che dovranno poi passare il confine tedesco sotto la sorveglianza della missione internazionale di Niessel. Vale quindi la pena cercare di ricostruire il dettaglio di componenti dell’armata. L’armata Keller comprende due battaglioni russi e uno tedesco ed è di stanza a sul fronte da Riga a Mitau e controlla quindi il centro dello schieramento; l’armata Virgolitsch composto da truppe tedesche con artiglieria e cavalleria è, insieme al corpo franco di Rieckoff ,sul fronte verso Schawli-Radwziliski e quindi al centro del paese; la Divisione di Ferro, comandata da Bishoff, che rappresenta il gruppo di truppe più 140 65 L’8 ottobre Bermondt emette un proclama in cui dichiara pubblicamente le sue intenzioni: “Come rappresentante del potere russo ho preso il 21 di agosto dopo la partenza delle truppe tedesche [sic] la direzione e la protezione del territorio lettone. Faccio sapere a tutti gli abitanti che non permetterò più in avvenire di turbare l’ordine pubblico e di portare attacchi a persone o cose chiunque ne sia il possessore. (…) Invito la popolazione a sostenermi con tutte le loro forze nella mia impresa e a non ascoltare i suggerimenti del nemico della libertà e della Kultur. (…) In tutti i territori lettoni da me occupati prenderò tutte le disposizioni utili a che la popolazione disponga di se stessa come meglio crede.”143 La reazione della popolazione lettone fu invece quella di una mobilitazione generale in cui tutti i cittadini, giovani e vecchi, anche con armamenti di fortuna, si misero a disposizione del governo lettone e del suo nuovo comandante in capo, il generale Bellod, che faceva parte sino a quel momento della Landeswehr incaricata di sorvegliare ad est il fronte russo. Gli Estoni inviarono un treno blindato da Reval (Tallin) per la difesa di Riga e le truppe inglesi imbarcate al porto lanciarono lo stato di allerta generale in attesa dell’attacco. Il 9 ottobre il governo lettone invia al Maresciallo Foch la sua protesta: “contro l’attacco perfido dei tedeschi e ci appelliamo al mondo intero e agli alleati di venire in soccorso alla Lettonia per garantire la sua esistenza.”144 Le truppe di Bermondt avanzano invece rapidamente verso Riga e giungono fino alla periferia della città e il 10 di ottobre occupano la riva sinistra del fiume Duna per lanciare der lezte Sieg come ebbe a dire Von der Goltz a proposito di questo assalto alla capitale. I Lettoni sono praticamente battuti, senza artiglieria e senza postazioni di mitragliatrici vedono avanzare le truppe sin dentro la città mentre la marina alleata assiste dal porto al bombardamento dei palazzo del governo e dei vari ministeri della città. L’ammiraglio inglese Cowan dalle navi intima allora a Bermondt di evacuare immediatamente la foce del fiume e il 13 apre il fuoco contro le truppe germano-russe provocando il loro arresto; il 3 di novembre i Lettoni, dopo aver raggruppato tutte le forze disponibili dal nord e dall’est del paese cominciano a respingere le truppe di Bermondt verso sud e con una lenta avanzata l’intero schieramento comincia a ritirarsi dalla linea del fronte presso Riga e tra il 10 e il 13 di novembre comincia la disfatta delle truppe germano-russe incalzate dai lettoni. Lo schema delle direzioni del ritiro delle truppe e la situazione dei fronti è riportato, per comodità, nella tavola 2. numeroso con tre reggimenti, artiglieria leggera e cavalleria è di stanza a Mitau in connessione con l’armata Keller; la legione tedesca il gruppo von Plehwe con due reggimenti della guardia insieme al freikorps di Weickmann è Eckau; Friedrichstadt mentre il gruppo di von Plehwe è al porto di Libau. Sostanzialmente l’intero sud del paese è controllato dalle truppe di Bermondt lasciando ai lettoni il compito, ad est, di sorvegliare anche il fronte con i russi. Questo schieramento così dettagliato ci permette di comprendere non solo l’assedio portato al governo e all’esercito lettone ma anche il flusso di ritorno delle truppe stesse dopo la loro sconfitta a Riga. 143 Du Parquet, cit. pag. 168. Il simbolo del nuovo esercito di Belmondt di cui si fregiano le uniformi di tutte le fogge è la croce ortodossa bianca in campo nero e il motto è “Dio e la Russia”. 144 ibidem 66 Tavola 2 - Movimento di ritiro delle truppe germano-russe dal fronte – novembre 1919 A novembre, a sud, ha intanto preso posizione a Tallin, dietro il confine lituano la missione internazionale composta dagli alleati e dai militari tedeschi e questo insediamento avviene contemporaneamente alla controffensiva lituana a nord e ad est del paese che sarà il vero motore di spinta delle truppe tedesche verso il ritorno in patria. La Missione interalleata per il ritiro delle truppe Il generale Niessel a proposito della missione che dal mese di novembre aveva avuto l’incarico di presiedere ebbe a considerare, in un suo scritto successivo,: “noi non avevamo dunque che da assicurare l’evacuazione solo con i nostri mezzi che erano nulli”145 145 Prefazione al volume di Du Parquet cit pagg. I-V. Il generale Henri Albert Niessel nato il 24 ottobre a Parigi era un veterano della guerra coloniale francese e aveva partecipato alle campagne in Algeria, Tunisia e Marocco. Nel 1915 è comandante di una brigata di fanteria ed è nominato generale il 18 aprile del 1918. Ferito una prima volta nel ‘14 subì una intossicazione da gas nel giugno del 1918 e fu nominato, nello stesso anno, comandante della Legione d’onore. Morì a Parigi nel 1955. La stima di Marietti per il generale Niessel è assoluta, derivata anche dal fatto che lo stesso Marietti aveva a lungo studiato le vicende militari marocchine durante la crisi di Agadir, cfr. Capitolo III. Di lui annota nel rapporto a Cavallero: “giovane comandante di corpo d’armata da due anni, è uomo dotato di qualità veramente superiori. Coltissimo e studioso, scrittore autorevole di cose militari, conosce perfettamente le lingue tedesca e russa: questa conoscenza gli permise, durante le difficili discussioni a mezzo d’interprete, di guadagnare quel tanto di tempo necessario per preparare le risposte, in modo da mettere, anche grazie alla geniale prontezza, in iscacco l’avversario. (…) Nel complesso il gen. Niessel è, per me, un presidente ideale di commissione interalleata, che abbia a trattare affari non interessanti vitalmente le Potenze rappresentate: in quest’ultimo caso potrebbe essere un avversario formidabile” Relazione a Cavallero, cit. pagg. 5 -7,. Con la consueta capacità di sintesi Marietti conferma la statura di un militare che 67 L’affermazione necessita di alcune spiegazioni e soprattutto del contesto non solo militare, già descritto, ma politico e diplomatico in cui viene ad operare. La nullità non è infatti semplicemente la mancanza di mezzi militari per garantire il ritiro ma sono i rapporti con il governo tedesco che gli Alleati in questo momento instaurano a provocare una serie di difficoltà. Accanto a questo vi fu inoltre la necessità, da parte dei componenti la missione, di costruire una vera e propria azione diplomatica per arrestare le truppe lettoni le quali, prese dall’entusiasmo della vittoria, misero in serio pericolo il ritiro ordinato delle truppe attraverso il territorio lituano sino al confine prussiano. Isolati per la totale mancanza di comunicazione in un territorio straniero, la sede delle operazioni fu prevalentemente Tallin allora ancora facente parte della Prussia Orientale, incapaci di comprendere cosa stesse succedendo a nord, a centinaia di km di distanza verso il fronte di Riga, e con in mano semplicemente la assicurazione del governo tedesco di una collaborazione a riportare le truppe indietro senza alcun mezzo di dissuasione che non fossero i componenti tedeschi della missione; i rappresentanti alleati completarono il ritiro delle truppe tedesche dal baltico in due mesi anche se, come ha scritto Marietti,: “l’opera della delegazione tedesca avrebbe dovuto essere quella di una cooperazione con noi, ma era evidente che in realtà sarebbe stata di resistenza sempre quando non fosse nell’interesse germanico di acconsentire. Cooperazione avemmo per lo sgombro delle truppe, che effettivamente il governo voleva; ma quanto al modo di sgombro e soprattutto al materiale da lasciare o da consegnare, la resistenza fu accanita e non vinta che quando se ne interessò personalmente il cancelliere.”146 I rapporti tra Alleati e Governo tedesco in questo momento sono molto tesi. Le risposte fornite alle ripetute ingiunzioni di ritiro delle truppe hanno avuto risposte tecniche o evasive. Tra l’ottobre e il novembre del ‘19 si moltiplicano i messaggi di ferma intenzione da parte degli Alleati di trovare tutti i mezzi possibili per ritirare le truppe. Contemporaneamente quindi alle notizie degli attacchi di Bermondt a Riga si alza il livello della pressione diplomatica verso il governo tedesco. Il 10 ottobre Foch chiede ai tedeschi: “il generale Von der Goltz ha agito contrariamente alle sue istruzioni? Se è così, perché la sua insubordinazione non è stata punita con un congedo formale o con qualunque altra forma? A meno che il governo tedesco non fornisca su questo delle spiegazioni accettabili che quelle che ha dato sino ad ora gli alleati devono ammettere che il governo tedesco non ha fatto nulla di quello che era in suo potere per ritirare le truppe tedesche dal Baltico”147 La risposta tedesca giunge ufficialmente il 16 ottobre. Wachendorf, rappresentante tedesco nella commissione per il disarmo, afferma che il governo tedesco: “ha severamente vietato ai soldati tedeschi di arruolarsi nelle formazioni russe e a rotto tutte le relazioni con quelli che lo hanno fatto nonostante il divieto. Non si trova tra le truppe di occupazione russe del Baltico alcun soldato tedesco sul quale il governo abbia ancora qualche autorità”148 La risposta tedesca è non solo ambigua ma molto pericolosa. Sostanzialmente il governo tedesco ritiene, attraverso gli appelli fatti alla fine di settembre, di aver adempiuto al suo dovere di richiamare le truppe tedesche in patria. Ha anche nominato il comandante Eberhardt al posto di Von der Goltz con l’incarico di procedere alla raccolta e allo sgombero ma, contemporaneamente, ricorda che per i soldati tedeschi che hanno “tradito” e sono fuori dal controllo tedesco nulla si può fare se non dichiararli disertori. E’anche vero però che gli Alleati sanno che alla fine di ottobre la grande consistenza delle truppe di Bermondt è tedesca e poiché il governo tedesco non si ritiene tradusse in francese l’intera Conferenza di Pace della guerra russo-giapponese e che si interessò in maniera competente ed originale della nascita e dell’uso dell’aviazione nell’esercito (La Maitrise de l’Air, Paris, 1928). Delle vicende della missione internazionale, oltre alla Prefazione citata, scrisse nel 1935 un volume intitolato L’èvacuation des pays baltique par les Allemandes: contribution à l’etude de la mentalità allemande, Paris 1935 in cui si dichiara fortemente convinto che vi fu un finanziamento del governo tedesco ai bolscevichi per garantire quel disordine in grado di mantenere l’occupazione dei tedeschi sul baltico e farne una loro colonia. 146 Relazione a Cavallero, cit. pag. 13 147 ASSME, Relazione Cavallero, allegato 13 148 ibidem, allegato 14 68 responsabile del loro comportamento si viene a mettere la missione internazionale di controllo in serio pericolo poiché le truppe che devono ritirarsi potrebbero non rispondere agli ordini. Accanto a questi elementi di difficoltà, gli Alleati inviano una missione internazionale non considerando il morale di quelle truppe. Del progetto politico militare di Von der Goltz149 ne sono, d’altro canto, pienamente informati attraverso le missioni internazionali alleate sul territorio e in particolare quella di Riga dove il suo comandante riferisce la situazione direttamente al Ministero della Guerra a Parigi e conoscono inoltre la situazione che tra luglio e settembre ha trasformato questi uomini in potenziali delinquenti ma che sono pur sempre soldati tedeschi per di più volontari e che condividono un disegno coloniale a spese dei Lettoni, degli Estoni e dei Lituani. La missione ha quindi in questo momento semplicemente l’assicurazione di una collaborazione da parte di un governo che dichiara di non poter avere quella capacità di comando necessaria a convincere le truppe al ritiro. La controffensiva lettone sarà allora l’elemento chiave della fine dell’avventura tedesca sul Baltico ma, alla data di insediamento della commissione e alla sua partenza, le truppe germano-russe di Bermondt sono all’offensiva e quindi ben lungi dal ritirarsi. La missione riceve dal Consiglio Supremo della Conferenza istruzioni in cui si ricorda che: “il governo tedesco è il solo responsabile dell’esecuzione dell’evacuazione” e quindi essa dovrà: a) prendere conoscenza presso il governo a Berlino delle misure che si intendono adottare per regolare le condizioni dell’evacuazione; b) ricevere le istruzioni impartite ai comandanti tedeschi delle regioni del baltico; c) dare suggerimenti ai militari tedeschi per assicurare l’esecuzione dell’operazione.”150 L’evacuazione dovrà poi essere non solo dei soldati dell’esercito tedesco ma anche di tutti quelli che sono passati come volontari al comando di Bermondt.151 E’ quindi una evacuazione etnica in cui qualunque tedesco dovrà lasciare il Baltico e il medesimo controllo dovrà essere effettuato anche per il materiale che deve essere lasciato sul posto potendo le truppe riportare solo la loro dotazione in armi e mezzi.152 Si tratta, per Parigi, di una semplice missione di assistenza al governo tedesco mentre si trasformerà, viste le condizioni sul terreno, in una vera operazione diplomatica di grande livello di cui le relazioni di Marietti alla delegazione italiana per la Pace, ne sono un resoconto dettagliato. La missione ha come prima tappa il raggiungimento di Berlino dove giunge l’8 novembre per prendere contatto con la delegazione tedesca incaricata dell’evacuazione e il presidente Niessel richiede la dislocazione dei comandi, la quantità delle truppe e i dati sui depositi delle munizioni e dei viveri. Domanda inoltre, come è logico attendersi, la situazione dei treni e delle linee che dovranno attraversare due paesi, Lettonia e Lituania, visto che i tedeschi si sono rifiutati di evacuare via mare dal porto di Libau. La questione del numero e delle cifre dei soldati tedeschi non sarà mai risolta. “Noi non abbiamo – scrive Marietti – mai potuto controllare nulla; ci hanno fornito dati e cifre forse veritieri e fors’anche falsi, ma controllo reale non si è avuto mai. A parte le minacce a mano armata, si 149 Questa ineluttabilità della sconfitta crediamo sia nella coscienza del generale tedesco già da maggio quando deve rassegnare le dimissioni e consegnare le sue truppe a Bermondt. Si tratta a nostro avviso di un ultimo tentativo, der letzte stand, prima della fine del suo progetto. E’ difficile non pensare che proprio questa consapevolezza abbia poi spinto Von der Goltz, vista la controffensiva estone e lettone, di aiutare a rinunciare all’impresa e a ritirarsi. 150 Relazione Cavallero, allegato 16 151 ibidem 152 ibidem. La commissione, oltre a Niessel e a Marietti è composta dal colonnello inglese Turner: “Fin dal principio – scrive Marietti a Cavallero – della missione apparve manifesto che il gen. Turner aveva, oltre a quello comune alla commissione anche un altro incarico. Durante il viaggio apprendevamo che, finito il nostro compito, egli si sarebbe recato a Riga per assumere la direzione superiore delle varie missioni inglesi dislocate nelle province baltiche.” Gli altri due rappresentanti sono il tenente colonnello americano Cheney: “persona molto distinta, certamente intelligente ed assennata; le sue osservazioni sono piene di acume e di equilibrio, ma improntate a quella rigida mentalità americana così diversa dalla mentalità europea e che, quindi, difficilmente comprende a fondo i nostri problemi. Del delegato giapponese Takeda, Marietti scrive: “L’azione di lui è stata completamente passiva; della questione baltica credo che in fondo gli importasse ben poco” Le considerazioni di Marietti sono in Relazione a Cavallero, cit. pag. 10-.11 69 incontravano ad ogni passo negative, dichiarazioni di impotenza a fornire i dati richiesti e, ultima risorsa, lo sdegno per la nostra insistenza in nome dell’onore tedesco”153 Non è illogica questa incapacità di produrre cifre precise da parte dei tedeschi vista la dichiarata irresponsabilità del governo tedesco di tenere conto dei volontari distribuiti nelle varie compagini militari ma per tutta la durata della missione- Questa mancanza di un riscontro preciso dei dati aleggerà continuamente sino a far ritenere ai componenti della missione che non vi fosse una necessità impellente di avere un rigoroso conteggio delle truppe poiché di questo numero era responsabile solo il governo tedesco che aveva espresso più volte la volontà di chiudere una volta per tutte la vicenda baltica. Marietti scrive infatti che le modalità di rientro sono state sostanzialmente gestite dai tedeschi: “la partenza delle truppe è avvenuta secondo il volere dell’Intesa e forse anche perché era nei desideri del governo tedesco attuale, ma è avvenuta come e quando i tedeschi hanno voluto, non come e quando richiedeva la commissione.”154 Se, a posteriori, la memorialistica francese sull’episodio tenderà a fare confusione tra le posizioni del governo tedesco e le intenzioni dilatorie dei militari responsabili del ritiro accusando il governo tedesco di connivenze e ritardi e nonostante lo stesso Marietti non faccia affidamento sulle capacità tecniche e organizzative dei tedeschi è giusto notare che, per lui, esiste una reale volontà del governo a far rientrare le truppe prescindendo dalla loro appartenenza o meno all’esercito regolare altrimenti non si spiegherebbe - afferma il generale italiano - la rapidità con la quale il ritiro avvenne senza che la missione potesse intervenire in modo concreto. Si consideri inoltre che lo stesso ritiro fu rapido ed ordinato e che le stesse truppe tedesche si ribellarono agli ordini di Ebehrard addirittura attentando alla sua vita.155 Risolta la questione della numerosità delle truppe vi era il problema dei mezzi di trasporto necessari al rientro che vengono quantificati in un numero di sei treni giornalieri e di trasporti via mare. Il generale Niessel, nei colloqui a Berlino, chiede inoltre la chiusura di tutti i centri di reclutamento volontario e di propaganda (Anwerbestelle Baltenland) e in questa richiesta da prova della sua sagacia poiché il flusso in entrata di altre truppe tedesche mentre avveniva il ritiro fu costante: infatti i Freikorps del barone Hans von Manteuffel entrarono dalla Prussia Orientale quasi a ritirata finita per gettarsi addosso alle truppe lettoni in avanzata. L’assoluta mancanza di controllo da parte degli alleati permise quindi ai tedeschi di gestire ambedue i flussi lasciando poco spazio alla commissione per rilevare infrazioni che, del resto, una volta rilevate avrebbero potuto solamente informarne il governo tedesco il quale avrebbe dovuto chiederne conto ai responsabili sul terreno rallentando in modo fatale le operazioni di sgombero. Ci penseranno invece i lettoni a garantire una fuoriuscita quasi completa degli elementi tedeschi: “Il lavoro della Commissione interalleata fu il completamento dell’armata lettone o, per parlare più esattamente e riportando le parole esatte del generale Niessel, il lavoro dell’armata lettone è stato di grande utilità e di grande ausilio alla Commissione interalleata per portare a buon fine il compito che le era stato assegnato”156 Intanto la commissione continua a raccogliere informazioni sulle truppe e incontra sempre a Berlino i rappresentanti dei governi della Lettonia, della Lituania e dell’Estonia per chiedere notizie sulla 153 Marietti Relazione alla Delegazione Italiana per la Pace (d’ora in poi RDIP) 8 gennaio 1920, ASSME, E8, busta 98 fasc.3, pag. 4. In realtà viene fornita una stima delle truppe presenti sul terreno al momento della nomina della commissione da fonte lettone ed estone in cui le cifre sono assolutamente discordi nella distribuzione ma che in totale assommano a circa 50.000 uomini che è la cifra riportata anche da Du Parquet. La maggiore consistenza è della Divisione di Ferro con circa 15.000 uomini per i lettoni mentre sono 8.000 per gli estoni e del corpo di Bermondt che assomma a 12.000 uomini per i lettoni mentre sono 9.000 per gli estoni. Interessante anche la distribuzione degli ufficiali che vede nel corpo Bermondt la maggioranza di militari tedeschi al comando mentre il corpo Virgolitch ha la maggioranza di ufficiali russi. Relazione Cavallero, cit. Allegato 2. Le relazioni di Marietti sono 11 e coprono l’intero arco cronologico della missione dall’8 novembre 1919 al 20 gennaio 1920 e sono interamente conservate insieme agli allegati dei verbali della commissione e al diario della missione in ASSME E8, busta 98 fasc. 3. 154 RDIP 8 gennaio, cit. pag. 5 155 L’episodio, ricordato da Marietti, è narrato dallo stesso Von Salomon, 156 Du Parquet, cit. pag. 209 70 situazione militare e, al termine del loro lavoro preliminare, verranno ricevuti dal ministro della difesa tedesco Noske che assicura la protezione del governo entro i confini della Repubblica. Niessel fa però cortesemente osservare che: “la responsabilità del governo tedesco si estende anche sui tedeschi delle truppe tedesche e germano-russe e che i delegati tedeschi presso la Commissione dovranno avere pieni poteri per disporre ed ordinare non soltanto alle autorità tedesche entro i confini dello stato, ma anche ai comandanti tedeschi oltre confine”157. Gentile ma chiaro ed infatti il Consiglio dei Ministri tedesco si riunirà l’11 novembre per decretare ai rappresentanti tedeschi questo potere. Dopo questa prima schermaglia la commissione si trasferisce a Tilsitt dove il 12 riceve il governatore della Prussia Orientale Winnig e, nei giorni successivi, il generale Eberhard incaricato di rilevare l’alto comando tedesco sul Baltico che comunica alla missione le intenzioni di Bermondt il quale propone a sua volta alla Commissione Alleata una soluzione politica alla vicenda che viene semplicemente ignorata.158 Da Eberhard arrivano finalmente i primi dati precisi di censimento delle truppe: “le forze tedesche sgombrate sono circa 15.000 di cui 5.000 o 6.000 ancora isolati, i tedeschi delle formazioni russe ed autonome ammontano a 40.000 uomini tra cui 10.000 russi e un numero imprecisato (tra 5 e 10.000) lettoni.”159 Queste cifre citate da Marietti nei suoi rapporti trovano riscontro anche dalle fonti estoni e lettoni e dai riferimenti che ne fa Du Parquet danno insieme anche la misura della responsabilità che Eberhard si prende sottoponendole alla Missione poiché l’incarico conferito ai tedeschi è proprio quello di riscontrare se queste truppe passeranno tutte effettivamente il confine. In realtà Marietti fa notare che: “stando alle cifre tedesche (poiché un controllo da parte alleata non fu mai possibile) e tenuto conto che, prima della Divisione di Ferro sarebbero stati sgombrati 16.000 tedeschi ed alcune migliaia di russi, non si arriva ad un totale di 30.000 uomini, molto inferiore a quello ritenuto esistente al principio di ottobre secondo le varie fonti, anche volendo valutare alte le perdite subite nei combattimenti del novembre. (…) Ciò non ha importanza. L’importante è che lo sgombro sia avvenuto, come è piaciuto ai Tedeschi e mai come richiedeva la Commissione, ma è avvenuto.”160 Alcuni fatti nuovi intervengono in queste settimane i quali cominciano ad orientare la vicenda di questa Missione in senso positivo. Innanzitutto il 17 novembre Bermondt decide di sottomettere il suo comando al generale Eberhardt e il controllo di tutta la compagine militare, russa, tedesca e, diciamo così, russo-tedesca, finisce sotto il controllo del principale interlocutore degli Alleati. Il secondo fatto, meno positivo in un certo senso, è che le truppe lettoni esaltate dalla vittoria a Riga cominciano ad incalzare i tedeschi che affluiscono verso il confine in maniera cospicua. I due fatti sono in qualche modo collegati anche se più che l’influenza di Eberhard va considerata la decisione di chiudere la vicenda da parte dei generali prussiani e in particolare di Von der Goltz. Risulta difficile pensare ad una semplice obbedienza alla volontà della Reichswehr di smobilitare le truppe anche perché la consapevolezza della sconfitta non fu omogenea su tutto il fronte di occupazione tedesco e lasciò molte truppe in pieno assetto di guerra e perfettamente operative.161 L’entusiasmo lettone è invece il vero pericolo per una ritirata ordinata ed è per questo motivo che Niessel si rivolge a Du Parquet a Riga perché scongiuri i lettoni di interrompere questi assalti per 157 RDIP, 8 novembre 1919, pag. 6 Si propone, in sostanza, una garanzia di mantenimento alle formazioni di Bermondt delle basi di Riga, Libau e Rejitza, il disarmo dell’esercito lettone e il mantenimento delle truppe tedesche combattenti sul fronte occidentale. RDIP 26 novembre. C’è da immaginare i sorrisi tra i militari alleati alle richieste presentate dal Presidente della “Repubblica Russa dell’Ovest”. 159 ibidem, pag. 2 160 RDIP, 15 dicembre pag. 2. Marietti ci da esattamente il clima di questo ritiro nel momento in cui gli alleati decisero di effettuare dei riscontri numerici: “Nessun controllo è stato possibile ai treni di truppe; quando lo si è tentato, erano insulti, minacce o piazzamento muto di mitragliatrici; nessun controllo ai treni di materiale, che filavano senza fermarsi attraverso le stazioni ove erano i controlli” RDIP, 15 dicembre. 161 Si veda su questo la testimonianza di Von Salomon ne I Proscritti, cit., pag. 129 158 71 permettere uno sgombero ordinato162 mentre i lituani vista la enorme presenza di truppe nemiche sul suo territorio cominciano ad assaltare i convogli interrompendo le linee ferroviarie che dal nord li trasportano verso Tilsitt. La missione è infilata ora in un complesso problema come sinteticamente lo descrive Marietti: “Si spera in tal modo di arrestare il movimento incalzante lettone, di evitare una completa disgregazione dei tedeschi, di tenere tranquilli i lituani, di calmare l’agitazione della popolazione civile della Prussia orientale, che appare preoccupata della sorte dei connazionali al di là delle frontiere e vorrebbe vedere le truppe tedesche della Prussia avanzare al soccorso dei fratelli”163 Diciamo che in questo momento vengono al pettine tutte le difficoltà precedentemente osservate di questa operazione ed è solo grazie al coordinamento tra il comando francese a Riga e il generale Niessel che si evitano incidenti tali da pregiudicare la missione. Grazie agli sforzi diplomatici dei due ufficiali francesi viene concessa dallo Stato Maggiore lettone una tregua di 24 ore alle armate tedesche a partire dal 24 novembre ma nel frattempo le truppe lettoni hanno tutto il tempo di incalzare sempre di più i tedeschi verso il confine lituano per arrivare rapidamente ai depositi di munizioni e di viveri dell’esercito tedesco e, come era logico immaginarsi, questi ultimi si abbandonano a feroci rappresaglie incendiando tutto quello che si trovano davanti: “ripartita da Riga la commissione è giunta il 23 a Mitau ove ha visitato brevemente gli edifici saccheggiati ed incendiati dal distaccamento Rossbach e particolarmente il castello (costruito nel 1758) sistematicamente incendiato, come pure il Museo ed il Ginnasio contenenti rispettivamente biblioteche di 20.000 e 50.000 volumi, tra cui manoscritti di gran pregio anche italiani.”164 Mentre i lettoni incalzano le truppe, i lituani hanno occupato le stazioni ferroviarie e la Commissione deve inviare suoi rappresentanti insieme a rappresentanti del governo per impedire che si interrompano le linee creando così dei colli di bottiglia nel flusso di rientro dei tedeschi. Marietti nelle relazioni, in realtà, adombra che il vero motivo di questa foga vendicativa non sia poi dettata solo dal senso di indipendenza e amor di patria. L’intero arsenale in termini di viveri e di beni materiali è stato razziato dalle truppe tedesche. Saccheggi e spoliazione delle città e dei villaggi sono la regola: “Tali atti sono stati compiuti su vastissima scala (il bestiame equino e bovino è stato quasi completamente asportato) e richiedono senza dubbio indennità in denaro ed in natura (questo specialmente pel bestiame, senza di che l’agricoltura è rovinata)”165 In questo processo distruttivo gli eserciti lettone e lituano puntano a loro volta al saccheggio degli arsenali militari delle armate e quindi cercano in tutti i modi di fermare i convogli per poter prendere armi e munizioni. Il problema di questa operazione, Marietti se ne rende immediatamente conto ricevendo le truppe al confine tedesco, è che l’esercito tedesco in ritirata non è l’armata di Napoleone dopo la rotta della Beresina, è ancora un esercito efficiente ed armato e molto più numeroso dei contingenti lituani o lettoni che lo premono. Il pericolo di una possibile ripresa delle ostilità comporterebbe una dispersione delle truppe sul terreno e la ritirata si trasformerebbe in una lotta senza quartiere. La soluzione trovata dal generale Niessel è di creare delle forze di interdizione tra le truppe. Con l’accordo dei tedeschi e dei civili vengono inseriti dei battaglioni lituani che durante il passaggio delle truppe tedesche permettano la liberazione di eventuali occupazione dei binari. Il prezzo da pagare è però la liberazione di prigionieri tedeschi catturati dai lituani nei giorni precedenti ma l’espediente alla fine sembra funzionare e viene quindi garantito il deflusso delle truppe perché l’esercito lituano controlla che le truppe lettoni non oltrepassino il confine. Alla fine di novembre con la consegna del comando a Ebehrard della Divisione di Ferro e del Gruppo Siewert a Libau cessano quasi completamente le ostilità e comincia l’ultimo afflusso di truppe tedesche verso la Lituania. L’aver in precedenza consultato il governo lituano, che ha ricevuto la commissione ai 162 Du Parquet riferisce dei suoi numerosi tentativi presso lo stato maggiore lettone e presso il governo per evitare il problema immaginato da Niessel anche se a lui pare molto difficile fermare dei soldati che sino a qualche settimana prima erano certi di morire per mano tedesca. 163 RDIP, 14 novembre 164 RDIP, 29 dicembre, cfr. su questo anche Du Parquet, cit. pag. 204 165 RDIP, 15 dicembre 72 primi di novembre, e avendo negoziato coi tedeschi la sistemazione delle truppe lituane in funzione di intercettori gli obiettivi della Missione di raggiungere un ordinato ritiro viene raggiunto e nel caos di quei mesi il risultato è di gran lunga superiore alle aspettative. Che le minacce di un intervento tedesco fossero costantemente presenti durante tutta l’operazione di rientro lo testimonia la posizione del comando tedesco della Prussia orientale il quale informato delle difficoltà in cui si trova la Missione interalleata comunica al governo lituano con una scadenza molto ravvicinata la sua volontà di voler inviare truppe della Reichswehr al fine di cercare di salvaguardare l’incolumità delle truppe in ritirata. Come giustamente annota Marietti: “il ristretto limite di tempo concesso e l’ora stessa della comunicazione stanno a dimostrare che si mira a giustificare l’invio di truppe con la mancata risposta del Governo lituano”166. Di fronte a questa indebita ingerenza, il generale Niessel non solo protesta per la decisione del comando di Königsberg di interferire su questioni di competenza degli ufficiali tedeschi che compongono la missione ma egli stesso si impegna, per il governo lituano, a garantire l’ordine e la sicurezza. Il 30 di novembre il deflusso diviene regolare e Marietti nota correttamente quello che il Consiglio Supremo aveva ignorato a Parigi e cioè la disperazione e il morale dei soldati che si stanno ritirando: “l’evacuazione costituisce una grande umiliazione per la Germania ed il crollo di speranze lungamente nutrite e di un lavoro di anni, è prudente rimanere dubbiosi e vigili sino all’ultimo.”167 Il clima di tensione non è generato solo dalla disperazione ma anche quello dalla rabbia delle truppe tedesche che, senza aver combattuto, sono stati costretti a cedere le armi di fronte al nemico. E’ da immaginare quindi che la sensazione di Marietti di una progressiva riorganizzazione delle forze tedesche al di qua del confine sia più di un sospetto. Nei suoi rapporti riferisce infatti che il 30 novembre Von der Goltz è a Königsberg provvisto di circa 40 milioni di marchi e che sia presente nella stessa città il comandante Plehwe il quale ha abbandonato le proprie truppe che si stanno ritirando e soprattutto che il treno con le truppe della Reichswehr inviato dal comando prussiano in Lituania è ancora presente in quel territorio: “di tutto questo si trae l’impressione che, sebbene in genere l’opinione pubblica tedesca sembri desiderare la soluzione di questa grossa questione ed il governo dell’impero si adoperi, almeno apparentemente, pel raggiungimento dello stesso scopo, pure qualche cosa si complotti per evitare ed almeno ritardare il fatto definitivo. Accetterà la Divisione di Ferro di rimpatriare? (…) Le truppe rimpatriate si raccoglieranno sotto Von der Goltz od altri per ritentare l’avventura? I convegni di Königsberg sembrano indicarlo e, per evitare questo, la Commissione pretende che le truppe vengano avviate lontano dalla Prussia orientale”168 I sospetti di Marietti che sono poi gli stessi della intera missione spinge Niessel ad inviare un telegramma a Parigi dove si richiede di minacciare la Germania di ritorsioni attraverso l’intervento delle truppe polacche e minacciare una ripresa delle ostilità da parte delle truppe lituane e lettoni se i tedeschi non ritireranno queste formazioni militari dal baltico. Vi è da dire che un azione diretta verso Parigi non può essere dettata solo da voci o da semplici sensazioni personali dei componenti la Missione. Evidentemente la minaccia di una ricostruzione dell’armata tedesca con l’intenzione di marciare su Berlino viene considerata fondata.169 Di questo Marietti avverte il 4 dicembre la rappresentanza italiana di un possibile colpo di stato reazionario che ha come epicentro la Prussia orientale in cui la vecchia classe militare ha ancora un ruolo 166 RDIP, 26 novembre, pag. 2 RDIP, 30 novembre, pag. 2 168 ibidem, pag. 3 169 Si veda tutta la corrispondenza in RDIP 30 novembre e allegati. La risposta di Foch al telegramma di Niessel è immediata dando istruzioni affinché la commissione faccia tutti passi per mettere in atto le minacce scritte nel telegramma poiché un nuovo intervento della Conferenza della Pace farebbe perdere solo tempo prezioso. La proposta finale inviata con un telegramma ai comandi delle missioni alleate a Riga e a Kowno oltre che ai capi delle forze armate tedesche, finlandesi e polacche ha il fine di mettere in guardia i lituani di eventuali manovre tedesche di infiltrarsi presso le truppe bolsceviche per giustificare una eventuale reazione tedesca ed chiedere aiuto alle forze polacche non spostando truppe dal fronte russo mantenendo una stretta sorveglianza alle linee ferroviarie interne. 167 73 centrale.170 Nel rapporto classificato “riservatissimo personale” Marietti riferisce anche la fonte delle sue informazioni rappresentate dall’ammiraglio Hopman della delegazione tedesca: “Hopman ha esposto che il governo non intende dare amnistia ai capi delle truppe tedesche ribelli; che egli, per facilitare l’evacuazione delle Province baltiche, ha promesso tale amnistia. Le truppe stanno per entrare in Germania e l’arresto dei capi avrebbe per conseguenza la rivolta di una parte della popolazione tedesca. Di qui la necessità di conferire col governo, non che l’opportunità che vi si recasse pure la commissione”171 Questo elemento che segna la distanza e la spaccatura tra il governo di Berlino e la situazione creata in Prussia può innescare una tensione che potrebbe risultare incontrollata. Marietti conclude il suo rapporto segnalando che: “sembra fondatamente che numerose forze della Reichswehr all’interno [della regione prussiana] siano d’accordo con la Divisione di Ferro per concorrere al movimento rivoluzionario, che non si può, coi dati qui posseduti, dire se avrà un carattere piuttosto spartachista che monarchico” e, in una sua notazione autografa in calce al rapporto: “sia chiaro che, con atti terroristici e con la proposta partenza per Berlino, si è cercato di impedire alla Commissione di venire a sapere quanto accade qui”172 Marietti informa quindi Bencivenga che la proposta di Hopman potrebbe essere anche una trappola tesa alla Commissione in modo da allontanarla e permettere di avere mano libera nella organizzazione di truppe per marciare su Berlino. Tutto questo ci da il clima in cui la presenza delle truppe in armi in territorio prussiano non sia una semplice ritirata ma che le manovre dell’esercito tedesco contro il governo repubblicano hanno una loro coerenza e rappresentano una minaccia reale per la stabilità politica tedesca. La stessa indeterminatezza del colore politico di questa possibile rivolta, spartachista o monarchica, ci informa anche di come questi disegni abbiano più l’obiettivo di abbattere il governo che un disegno politico definito. La risposta di Bencivenga da Berlino a Parigi ancora l’8 dicembre, è perentoria: “la Missione Niessel, forse in seguito ad inesatte notizie fornite da informatori francesi (e non sempre essi si sono dimostrati obiettivi), è incorsa in grossolani errori di valutazione: confondendo episodi parziali, del tutto locali, con la preparazione ipotetica di un colpo di stato in Germania, confondendo ancora la ribellione militare di alcuni comandanti con una ipotetica rivolta reazionaria sostenuta dalla Reichswehr” 173 Il 15 dicembre la missione internazionale dichiara che l’obiettivo contenuto nell’incarico è raggiunto e lo sgombro delle truppe ormai completato: “Nessuna delle eventualità catastrofiche, affacciate dalla delegazione tedesca o comunicate confidenzialmente, si è verificata. Nessuno dei temuti moti bolscevichi in Lituania e Lettonia, dove regna perfetta tranquillità, turbata soltanto dalle bande armate. Per conseguenza, a meno di un improvviso colpo di scena della Divisione di Ferro e delle autorità militari della Prussia orientale (che non troverebbe però il Governo di Berlino impreparato), è verosimile che anche la Divisione di ferro prta per le località di scioglimento (Danzica, Stade, Hammerstein). Per la Deutsche Legion sono previste Stralsund, Schwinemunde, Oppel, Krekow, Stolp, Stade.”174 170 La risposta del Generale Bencivenga a Berlino esclude che si possa avere un tentativo di colpo di stato in un momento in cui la Germania dipende totalmente in termini di risorse economiche e di egemonia militare dall’Intesa. Eppure, vista dal Baltico, questa eventualità forse era più concreta di quanto si immaginasse a Parigi o a Berlino o a Londra. Lo stesso Marietti ricorda come la Prussia è divenuto ormai uno stato nello stato ed è pericolosamente abituata ad avventure di questo genere. La risposta di Bencivenga è in RDIP, 4 dicembre, Allegato. 171 RDIP, 6 dicembre 1919 172 ibidem 173 ibidem Che le preoccupazioni di un colpo di mano delle truppe tedesche non fossero così campate in aria lo si può vedere quando le stesse truppe di ritorno dal baltico decisero di effettuare sul serio un colpo di stato comandato dal ministro degli esteri Kapp. Si veda Von Salomon ne I Proscritti, cit., pag. 142 174 RDIP, 15 dicembre, pag. 6 “questa lotta per la consegna del materiale a lituani e lettoni non ha certo grande importanza nel quadro generale delle questioni europee, ma è importante per ciò che potrà avvenire in futuro ed è per ciò che ho creduto opportuno trattarne in questa relazione. RDIP, 8 gennaio pag. 4 74 La commissione effettuerà ancora un viaggio a Riga e poi a Kowno al fine di controllare insieme ai rappresentanti dei governi nazionali lo stato delle operazioni per rientrare a Berlino alla fine di dicembre dove la attende il secondo, non meno facile compito, quello cioè di trattare la restituzione dei beni sottratti nelle zone occupate dalle truppe tedesche. La questione delle razzie tedesche e dei risarcimenti conseguenti vede la missione investita di una particolare responsabilità nei confronti degli stati colpiti poiché il prestigio dell’Intesa presso di loro si gioca sulla capacità di costringere il governo tedesco a riconoscere, con i fatti, l’avvenuta presenza di questi governi e l’occasione di richiesta del risarcimento dei danni è una prima opportunità da non vanificare anche se, su questo punto, l’atteggiamento del governo tedesco è fortemente oppositivo: “prima di partire per Riga il 16 dicembre, la Commissione ha ricevuto una nota della delegazione germanica, secondo la quale il governo germanico rimette in discussione la cessione gratuita del materiale da guerra ai Lituani ed ai Lettoni. Tale cessione gratuita era stata chiesta in compenso della neutralità delle forze lituane e lettoni durante l’evacuazione delle truppe tedesche ed accettate per iscritto dal Governo tedesco. Per trattare su tale cessione vennero mandati a Berlino alcuni ufficiali alleati (…) nulla è stato concluso per quanto riguarda la Lettonia a motivo della rottura delle relazioni diplomatiche tra i due stati ”175 L’episodio che causa la rottura tra governo lettone e tedesco è la richiesta, da parte dei lettoni, il 19 novembre di avere una risposta ufficiale richiesta a Berlino riguardo al controllo tedesco dell’armata germano-russa chiedendo inoltre una formale risposta alla questione se il generale Eberhardt fosse effettivamente il comandante in capo di tutte le forze tedesche presenti sul territorio. Ad una positiva e banale risposta affermativa del governo tedesco si faceva notare, nella comunicazione, che i lettoni avevano ricevuto una richiesta di armistizio da parte delle truppe tedesche e germano-russe in occasione della ritirata e per questo motivo il governo tedesco riteneva che a fortiori vi fosse un precedente stato di guerra per giustificare quella richiesta e quindi si opponeva ad ottemperare richieste di uno stato dichiaratosi ostile.176 In realtà la richiesta di armistizio era stata proposta dalla Commissione per evitare la rotta dell’esercito tedesco ma ora il governo tedesco la utilizzava per far saltare l’accordo raggiunto citato da Marietti. I tedeschi hanno messo così in serio imbarazzo la Commissione poiché la responsabilità di aver fatto quella richiesta era avvenuta con l’esposizione personale di Niessel e, a ragione, i lettoni potevano sentirsi in qualche modo traditi e ingannati da comportamento dei tedeschi ma, ancor più, degli Alleati.177 Da qui la volontà fermissima manifestata da tutti i membri della missione internazionale di rimanere a Berlino sino a conclusione della vicenda e intraprendere un braccio di ferro col governo tedesco sino alla conclusione positiva della vicenda: “esistono o non esistono gli attriti tra le varie autorità e le difficoltà materiali, l’impressione nostra è che tutti qui abbiano un solo recondito pensiero: veder partire la commissione e fare quello che loro talenta. E’ per questo che la commissione, a malgrado del desideri di andarsene, ha deciso di non muovere fino a quando non abbia visto almeno l’inizio della consegna e che, con telegramma di ieri, ha chiesto al Consiglio Supremo l’autorizzazione a dichiarare al governo tedesco che non verranno tolte le misure di repressione fino a consegna avvenuta del materiale.”178 Il 5 gennaio il generale Niessel dopo un colloquio con il cancelliere Bauer giunge ad ottenere la consegna del materiale confiscato ai Lettoni e ai Lituani pur dichiarando che questo lavoro: “è 175 RDIP, 29 dicembre pag. 1 Cfr. Du Parquet, pag. 201 177 Il governo lettone aveva chiesto espressamente alla missione di intervenire presso il governo tedesco a garanzia di quelle restituzioni, cfr. Marietti RDIP, 29 dicembre: “il malumore traeva origine dall’arresto, imposto dalla Commissione, alle operazioni militari lettoni; essi ignoravano, e vi era forse chi aveva interesse lasciarlo ignorare, che la ragione dell’imposizione stava nella necessità assoluta di non dare alcun pretesto alle truppe germano-russe di arrestare la loro ritirata e di fermare le truppe tedesche pronte a passare i confini della Prussia Orientale per andare in soccorso dei loro fratelli minacciati” 178 RDIP, 8 gennaio pag. 3 176 75 ostacolato da tutte queste autorità militari e tecniche, le quali si valgono della loro particolare competenza per opporsi o creare ritardi, che egli è stato lieto di apprendere le lagnanze nostre contro le autorità militari della Prussia orientale, che ci hanno mentito costantemente ed hanno tenuto lui all’oscuro della verità vera.”179 A metà gennaio dopo aver espletato quest’ultimo compito, finalmente la missione rientra a Parigi da Berlino dove: “il soggiorno (…) non è così gradevole da desiderarne un prolungamento.”180 La missione internazionale ha raggiunto così tutti o compiti assegnati ed ha soprattutto testato, per la prima volta, i rapporti con il nuovo governo tedesco e, nonostante le considerazioni finali negative di Marietti che trovano riscontro anche nelle testimonianze francesi della vicenda non può non emergere un atteggiamento di collaborazione ambigua del governo tedesco ad onorare gli accordi di pace. Risulta però chiaramente dalla documentazione una volontà del governo di Weimnar di concludere questa vicenda testimoniata anche dal fatto che non può essere stata solo la pressione militare lettone a costringere il ritiro dei tedeschi, come afferma Du Parquet, nè tantomeno questo obiettivo poteva essere raggiunto solo dall’azione concreta di una missione che non aveva mezzi per garantire quel risultato. Come dato generale possiamo quindi considerare il governo Bauer e molte delle componenti delle forze armate tedesche favorevoli a quel ritiro anche perché sicure di evitare ritorsioni al Paese attraverso le sanzioni da parte dell’Intesa che avrebbero sicuramente sollevato l’opinione pubblica tedesca contro di loro; tuttavia è vero che buona parte della classe militare e del governo locale della Prussia orientale fu un ostacolo concreto alla fine dell’avventura baltica di Von der Goltz e che la missione si trovò, in molti passaggi chiave, a dover prendere decisioni azzardate come nel caso della richiesta di armistizio alla Lettonia per impedire il fallimento della ritirata. Da missione tecnica, ma con moltissimi aspetti politici come abbiamo visto, in questo particolare episodio si possono leggere in maniera trasparente non solo la difficoltà di uscire da un ambiguo rapporto con i tedeschi da parte dell’Intesa nell’ utilizzare le sue forze militari per obiettivi politici diversi ma anche la fragilità di un governo come quello repubblicano di mantenere un equilibrio molto precario tra tutte le componenti della società tedesca in quel momento. Marietti ha contribuito con le sue memorie a puntualizzare questa atmosfera lasciandoci una cronaca sintetica e chiara del “tempo confuso” di quei mesi. E questo ci ha permesso di tracciare un quadro più complesso di una semplice ritirata di truppe evidenziando temi e problemi che saranno nei mesi successivi altrettanti punti difficili da affrontare in quelle regioni. Come scrive al generale Cavallero, non senza una punta di immodestia, che questo gli fu facile: “in quanto mi trovai tra la passione francese (si tenga presente che, per la prima volta, un generale francese in territorio prussiano si trovava nella posizione di dare ordini ad autorità militari tedesche), l’interesse inglese (che è fortemente impegnato laggiù) e la dommatica rigidità americana. Ebbi spesso buon gioco; parecchie volte il generale francese venne da me per consiglio, ed ho la convinzione di aver fatto bene la mia parte”.181 Che la sua parte l’abbia condotta con evidente successo lo testimonia anche il fatto che nel 1921 troviamo Marietti come componente italiano della Commissione della Società delle Nazioni per la riduzione degli armamenti182 e che prenderà successivamente il posto del generale Cavallero nella Commissione militare Alleata da dove osserverà da esperto, negli anni tra il ‘23 e il ‘24, la crisi dell’invasione lituana di Memel. 179 RDIP, 12 gennaio, pag. 3 RDIP, 8 gennaio, pag. 1 181 Relazione a Cavallero, pag. 15 non mancano certo, in questa relazione conclusiva, le rimostranze dell’essere stato “paracadutato” in questa non semplice missione: “più soddisfatto sarei, se maggiormente avessi potuto fare, se – cioè – non mi fossi trovato del tutto isolato. Di fronte a missioni complete in personale ed in mezzi, composta di uomini maturi e preparati, io mi sono trovato assolutamente solo, cioè con due tenenti, uno dei quali, con parecchie buone doti, ma ricco d’inesperienza, non rappresentava che un segretario; l’altro, quando aveva provveduto alle quattro necessità materiali della missione, aveva dato quanto poteva”. 182 Archivio Storico della Società delle Nazioni, Commissione militare tecnica per gli Armamenti, vol, 18/01 180 76 Capitolo III – Il generale Marietti e le sue Osservazioni sul Baltico Quasi a ridosso della fine del primo conflitto mondiale è possibile, osservando le vicende politiche e sociali del confine orientale europeo, comprendere quali problemi e questioni sollevò il principio di autodeterminazione dei popoli. Proclamato da Wilson come il punto centrale della sistemazione della Conferenza della Pace ha trovato però in queste regioni una serie di nodi che furono solo sommariamente discussi dai vincitori nella capitale francese e ancor più sommariamente risolti.183 Come ha sostenuto una storica inglese a proposito delle regioni a nord-est della Germania: “nel 1919 una mappa dell'estremità orientale del Baltico sarebbe stata costellata da molteplici punti di domanda. Solo la Finlandia, a nord, era riuscita a crearsi una sorta di precaria indipendenza dalla Russia dopo una feroce guerra civile tra bianchi e rossi. La conferenza di pace la riconobbe nella primavera del 1919. Più a sud, estoni, lettoni e lituani avevano cercato di rendersi indipendenti dalla Russia, ma si erano trovati di fronte il problema dell'occupazione tedesca, nonché quello delle minoranze tedesche o russe presenti al loro interno. Non esistevano confini certi né governi costituiti, e ciò che non era stato distrutto dai russi nella loro ritirata era stato requisito dai tedeschi. Russi bianchi, bolscevichi rossi, anarchici verdi, baroni baltici, corsari tedeschi, eserciti nazionali allo stato embrionale, semplici banditi si erano riversati su quelle terre per poi rifluire con il ritmo alterno delle maree.”184 Marietti, dopo aver condotto a termine la missione e relazionato a Cavallero il suo andamento e la sua conclusione acclude all’ultimo rapporto del 20 gennaio un documento intitolato Appunti ed impressioni su gli stati del Baltico rimasto sinora inedito185. L'interesse per questo documento era già stato rilevato da Antonello Biagini che ne aveva riportato dei brani e lo aveva commentato in un saggio intitolato Alle origini dell’indipendenza baltica nell’età contemporanea.186 Nel sottolineare la qualità di osservatore di Marietti, Biagini ha messo in luce un testimone di quegli avvenimenti estremamente accurato nel riportare cifre e dati della situazione economica e politica delle regioni in cui opera, molto attento alla suddivisione delle componenti etniche delle regioni baltiche, dotato anche di una certa comprensione del ruolo dell’Italia, del tutto marginale in quelle zone, e proprio per questo motivo in grado di comprendere e descrivere invece l’insieme delle manovre che altre nazioni come l’Inghilterra e la Francia stavano sviluppando seguendo i loro particolari interessi. Il rappresentante italiano di quella missione non era del tutto nuovo ad analizzare problemi e situazioni militari inserendole in un contesto politico e sforzandosi di trovare le ragioni anche più vaste di una singola operazione bellica. Militare di carriera, nato il 20 ottobre 1871 a Torino e allievo, già nel 1879, della Regia Accademia di Artiglieria e Genio di Torino diviene tenente nel 1894 e assegnato, nel 1898, ad incarichi fuori dai confini nazionali sull’isola di Creta e nel mar Egeo come truppa del Corpo interalleato. In questo periodo subisce anche una messa agli arresti per “abuso di autorità” e mandato al carcere militare di Alessandria. Le accuse contro di lui vengono dichiarate insussistenti dal Tribunale Militare e quindi può rientrare in servizio sino a divenire Comandante di una batteria di artiglieria nel 1907 e, con il grado di Maggiore di Fanteria, viene nominato Comandante del gruppo di artiglieria da campagna di stanza a Novara nel 1915. In questi anni precedenti il conflitto, nel 1909, pubblica, da capitano di artiglieria presso lo Stato Maggiore, 183 Il termine “compromesso” ricorre spesso nei documenti e nei commenti alle soluzioni trovate. cfr. Marietti a proposito del problema dell’Alta Slesia: “come si sia potuto credere che, in una zona (...) intimamente frammischiata di Tedeschi e Polacchi, il plebiscito per Comune avrebbe condotto ad una soluzione accettabile (...) la si spiega soltanto e parzialmente pensando che la soluzione prescelta fu uno dei soliti compromessi (...) tra la volontà della Francia di fiaccare la Germania e di rafforzare la Polonia e la volontà opposta dell’Inghilterra; Wilson vi fece intervenire la sua ricetta, buona per tutti i mali, dell’autodecisione.”Giovanni Marietti, Il Trattato di Versailles e la sua esecuzione, in “Nuova Antologia” 16 settembre 1929, ripubblicato in estratto da Bestetti e Tumminelli, Roma 1929, pag. 10 184 Margaret Mc Millan, cit., pag. 288 185 Il testo viene integralmente riprodotto nell’Appendice 186 cfr. Bibliografia 77 un volume intitolato Politica ed armi al Marocco, in cui espone la vicenda militare della occupazione francese e spagnola della regione nordafricana negli anni tra il 1906 e il 1908 ma premette a questa descrizione una serie di considerazioni più generali sul Marocco di ordine geografico-territoriale analizzando anche problemi di tipo diplomatico. Come scrive nella introduzione a questo volume: “nel preparare i materiali per tale studio, mi accorsi che gli avvenimenti militari erano assai più strettamente legati di quanto non supponessi dapprima agli avvenimenti politici, che contemporaneamente si venivano svolgendo; avvenimenti che appassionarono grandemente l'opinione pubblica e che in qualche momento parve mettessero in pericolo la pace d'Europa. E vidi pure che su questi avvenimenti nulla esisteva ancora, che valesse a darne una idea sufficientemente chiara. (...) E pensando che in simili lotte tutti hanno la possibilità ed anche il dovere di combattere (..) mi pare che della questione marocchina non si debba troppo disinteressare l'Italia la quale pochi anni addietro ebbe già in quel paese posizione quasi preponderante”187 Per lui, militare di carriera e tecnico in una specialità che in questi anni vede una costante evoluzione vi è costante l’interesse per il quadro internazionale delle forze in campo e delle conseguenze che queste forze possono determinare per chiarire meglio i problemi militari. Nella descrizione delle varie posizioni assunte dagli Stati per la crisi marocchina ritiene infatti che: “come potenza del mediterraneo l'Italia non può disinteressarsi di ciò che avviene alle porte di questo mare e per effetto delle alleanze e delle amicizie essa entra in prima linea nelle discussioni e nelle controversie”188 Attento a non uscire dal singolo problema strategico il suo fine non è mai quello di definire dettagli e particolari che possano servire allo specialista, ma di quell’atteggiamento conserva sempre il tenore. Rappresentare freddamente i fatti, sine ira ac studio, al di là della propaganda politica e degli interessi di parte tende a far credere di essere semplicemente uno specialista. In realtà i suoi scritti non partono mai dal singolo problema esaminato ma si spingono preliminarmente a dare un quadro il più possibile esatto del contesto in cui l’avvenimento si colloca. Marietti è un tecnico quindi ma non un cronista. Sa esattamente posizionare gli elementi politici e militari in equilibrio soprattutto quando si deve scrivere delle difficoltà strategiche ed operative incontrate dall’esercito italiano. Questa attitudine non passa inosservata se nel 1918 alla fine della prima guerra mondiale diviene direttore della Scuola Ufficiali mobilitati e il 3 febbraio del 1919 entra a far parte del Corpo di occupazione interalleato di Fiume. In uno scritto posteriore alla guerra, nel 1934, egli documenta come testimone della prima fase del conflitto mondiale della profonda trasformazione che l'artiglieria ha contribuito a generare nelle strategie militari sino ad allora elaborate. L'uso massivo dell’artiglieria pesante e leggera ha infatti messo in profonda difficoltà le truppe combattenti sui fronti italiani del nord-est: “le artiglierie nemiche continuavano invece a rimanere introvabili e quando con eroismo e slancio mirabili le nostre fanterie muovevano all'assalto delle posizioni nemiche sconvolte e quasi raggiunte si scatenava dinanzi ad esse il tiro di sbarramento immediato e preciso. E quando l'ondata riusciva ad attraversare la zona battuta era il tiro di repressione altrettanto preciso ed implacabile che s'abbatteva su di esse. In tal modo il risultato di tanti sforzi era scarso o addirittura nullo.”189 Come dirà in due scritti tecnici, del ’14 e del ’16, le artiglierie sono la vera novità del conflitto: “si considerò come una rivelazione inaspettata l'assoluta e decisiva importanza dell'artiglieria campale: 187 Giovanni Marietti, Politica ed Armi al Marocco, Torino 1909, pagg 3-4. Sulla vicenda marocchina egli tornerà l’anno successivo con un breve scritto intitolato, La Guerra spagnola nel Marocco, Roma, 1910, in cui gli avvenimenti militari della conquista spagnola di alcuni territori della regione sono collegati ai disordini popolari che si ebbero in Spagna alla notizia dell’intervento militare. 188 ibidem, pag. 44 189 Giovanni Marietti, Fra Terra e Mare. Il contributo della Marina all’Esercito dal giugno all’ottobre del 1915, Roma 1934, pag. 32 78 in realtà non si confermò altra cosa che l'assoluto bisogno della cooperazione tra le varie armi.”190 E questa collaborazione è di nuovo ribadita nella operazione intrapresa dallo stesso Marietti tra esercito e marina nel fornire artiglieria quando nessuno nello Stato Maggiore aveva previsto quanto il volume di fuoco di questa nuova arma fosse strategico nella fase iniziale del conflitto dove tutti pensavano invece ad una guerra rapida e di movimento. E’ interessante in questo caso la descrizione che egli fa dei due stati maggiori, esercito e marina, coinvolti in questa nuova ed originale operazione. L’esperienza creativa di una collaborazione tra stati maggiori, esercito e marina, fornisce a Marietti una visione più ampia del singolo specialista che organizza il proprio comando senza fornire delle soluzioni operative che possano in qualche modo allontanare le truppe dal pericolo. Nel caso descritto è l’intuizione di eliminare i cannoni dalle navi leggere e di trasportarli in montagna per creare le prime unità di sbarramento contro gli austriaci a fornire l’occasione di descrivere lo stato di inimicizia e di mancanza di comunicazione tra marina ed esercito ed invece la grande necessità nella guerra moderna di trovare collaborazioni utili a risolvere problemi contingenti. L’esperienza del fronte del nord-est permise quindi a Marietti di riflettere prima degli altri, siamo nel 1915, di come caratteristiche, modalità di approcci e ricerca di soluzioni siano in questo conflitto profondamente differenti da quelli passati e questo tipo di elasticità nei giudizi e nelle considerazioni sulle strategie dei comandanti troveranno luogo in questa serie di scritti che, solo in apparenza, forniscono il materiale di riflessione allo Stato Maggiore. Conoscitore della lingua francese e tedesca, autore di libri di istruzione tecnica ma anche osservatore smaliziato dei difetti e dei limiti della organizzazione politica e militare nei vari conflitti, non è quindi un “osservatore” qualunque l'inviato italiano nel Baltico alla fine del 1919. Il generale di artiglieria ha dietro di sé non solo una esperienza militare ma una conoscenza puntuale delle situazioni critiche e delle maniere più efficaci per affrontarle. La missione in Germania segna però un suo salto di qualità. Da tecnico e stratega militare si trova a dover affrontare problemi politici e diplomatici che la vicenda del baltico rapidamente gli pone sotto gli occhi e la riflessione, a caldo, che ne fa con le sue Osservazioni ci mostra la sua capacità di restituire la complessità della situazione non solo in termini operativi ma anche sociali e culturali. Possiamo perciò dire che questo documento non rappresenta un elemento isolato ed estemporaneo della sua attività ma si iscrive tra i saggi di osservazione e di considerazioni personali allo stesso titolo della produzione pubblicata precedentemente e riprende tutti gli interessi considerati: l’attenzione alla disamina dei fatti, il collegamento con gli avvenimenti politici e l’interesse al quadro delle alleanze possibili. Mentre le osservazioni sulla crisi marocchina sono però legate al ruolo esterno all'Italia e quelle relative al conflitto sono soprattutto determinate dai nuovi problemi strategici che lo vedono subito orientato a nuove soluzioni tattiche, il documento sui paesi baltici è lo sguardo di un protagonista in prima persona di una operazione completamente nuova come una missione bilaterale internazionale191 e in questa veste egli si interroga anche sul nuovo ruolo che l'Italia da potenza vincitrice deve avere per la formazione di una politica internazionale nata dai trattati di pace anche in regioni non particolarmente vicine agli stretti interessi nazionali: “io penso che forse un militare è meglio d'ogni altro in condizioni di giudicare e di apprezzare in campi estranei alla propria missione perchè egli in quei campi non ha preconcetti e soprattutto non ha interessi materiali da far valere o da sviluppare”.192 In questo ruolo di osservatore diplomatico-militare verrà nominato nel 1920 Capo Ufficio Militare presso la Sezione Italiana alla Conferenza degli Ambasciatori di Parigi al posto del gen. Cavallero e divenuto nel 1923 Generale di Brigata assumerà incarichi a Parigi nella Commissione interalleata sugli armamenti della Società delle Nazioni da dove seguirà la vicenda dell’occupazione lituana di Memel. Il 16 febbraio 1927 viene messo in Aspettativa sino al dicembre dello stesso anno quando, a 190 ibidem Sulle caratteristiche originali della missione per il ritiro delle truppe tedesche, cfr. Capitolo II 192 Giovanni Marietti, Appunti ed impressioni su gli Stati del Baltico, ASSME, E8, busta 99, fasc. 3, pag. 2, d’ora in poi citato come Appunti. 191 79 soli 56 anni, viene messo in congedo. La sua uscita dalla scena diplomatico-militare dura sino al 1940 anno della morte avvenuta a Torino. Questo periodo vedrà la pubblicazione del suo libro più importante, una biografia del Maresciallo d’Italia Armando Diaz nel 1933 e uno scritto del 1936 sul ruolo italiano durante il primo conflitto mondiale. Osservatore della situazione militare e della garanzia degli obiettivi finali della missione interalleata sul baltico, Marietti si rende quindi conto del suo nuovo ruolo di vero e proprio documentarista della situazione politica e sociale e proprio per questo rivendica a se stesso il compito di una nuova figura che, sino a questo momento, non aveva preso piede nel variegato mondo che si agita a latere dell’attuazione del Trattato di Versailles, quella cioè del tecnico esperto che riesce a fotografare il quadro politico e sociale non prescindendo dalle proprie convinzioni personali: “se dal campo particolare ci si solleva al campo generale della situazione europea si scorge tutta l'importanza di questi nuovi e malfermi stati che dal baltico al mar nero si interpongono oggi tra l'Europa centrale e il caos russo. Per parte mia ho la convinzione assoluta che questi stati rappresentino la chiave di volta dell'odierna costruzione europea”193 Gli stati baltici sono, per lui, il nodo in cui si scontrano almeno tre grandi fattori che sono politici prima che militari: il primo è rappresentato dall'importanza e dal ruolo che, a dispetto di potenze come la Francia o l'Inghilterra, assume la Germania in queste regioni. Marietti osserva che dal fronte orientale si vede una Germania non sconfitta come pare agli Alleati sul fronte occidentale; anzi, in queste regioni, la Germania mantiene il controllo culturale, politico e anche militare di quelle zone e la Prussia orientale rappresenta un centro di potere e di consenso ancora molto forte. Un secondo fattore di questo nodo è rappresentato dagli interessi particolari delle potenze europee alleate. Marietti scorge nel baltico, sin dal 1919, lo sfaldarsi progressivo dell'alleanza sugli interessi nazionali. Dileguatosi l'intervento americano dopo la Conferenza della pace, il conflitto tra i francesi favorevoli alla formazione di una grande Polonia e gli inglesi attenti soprattutto all'egemonia sui traffici marittimi della regione viene lucidamente descritta: “le missioni francesi lavorano accanitamente per contrastare l'opera di quelle inglesi lo si sente più che non lo si veda poiché i rapporti reciproci esteriori sono più che cordiali.”194 Il terzo nodo è infine la decisione di formare in queste regioni di quei territori “liberi” che per il generale vengono utilizzati più per non risolvere i problemi che per sviluppare una nuova politica. La vicenda del territorio di Memel ai confini tra Polonia e Lituania sarà infatti il risultato di un compromesso che lascerà intatti i problemi sociali e politici della regione. 195 Marietti tornerà su tutte queste analisi in uno scritto del 1929, Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, dove soffermandosi sulla questione di Memel, descrive la situazione del territorio occupato dai Lituani e traccia un giudizio politico molto preciso sulla vicenda: “la sovranità del territorio di Memel è attribuita alla Lituania ma con regime di autonomia e con l’obbligo di garantire alla Polonia la libertà di transito marittimo, fluviale e terrestre. Lo statuto elaborato a Parigi venne accettato e messo in vigore. Così finì, mentre con maggiore sollecitudine e con minore preoccupazione di urtare la Polonia si sarebbe potuta evitare, l’avventura di Memel, la quale però rivelò essere questa città uno dei tanti punti nevralgici esistenti nell’Europa nord-orientale”196 L’intero scritto su Versailles riassume in poche pagine un quadro generale che comprende e sintetizza allargandosi alla politica europea tutti gli elementi che abbiamo descritto: analisi politicomilitari, individuazione dei nodi diplomatici e considerazioni sulle strategie delle potenze in gioco. Lo scritto sulla pace di Versailles concentra la sua attenzione sulla situazione in Alta Slesia ma nel considerare questa ennesima vicenda di compromessi e di difficoltà a poter sostenere operativamente quella risoluzione egli richiama in modo puntuale i problemi che già aveva elaborato negli anni precedenti: “Il problema dell’Alta Slesia venne male impostato nel 1919 e, non 193 ibidem Appunti, pag. 59 195 Cfr. Capitolo IV 196 Giovanni Marietti, Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, cit., pag. 9 194 80 essendosi voluto rivederne i dati di base, male risolto nel 1921. Gli ottimisti o, per meglio dire, i beneficiari e gli amici di questi dicono che occorre dar tempo al tempo e lasciar cicatrizzare le ferite. Ma siccome nell’età nostra è il fattore economico che comanda il problema politico e non viceversa, si può esser certi che la questione dell’Alta Slesia sia definitivamente chiusa?”197 Riguardo alla situazione economico-politica dei paesi baltici il prodromo di questo scritto è da ritrovare nell’obiettivo che Marietti si è dato oltre quello di seguire operativamente il ritiro delle truppe tedesche. Nella relazione a Cavallero del 20 gennaio ricorda che uno dei suoi obiettivi era: “nel percorrere regioni, a me finora del tutto sconosciute e non troppo note a molti miei connazionali, raccogliere la maggior possibile quantità di dati. In particolare due questioni mi interessavano: quella agraria, che in Lettonia e in Lituania assume una fisionomia particolare (…) [e] quella del bolscevismo, che in Lettonia ha avuto applicazione pratica nei primi mesi del 1919 ed è tuttora latente.”198 Poiché l’interlocutore è il Comando Alleato a Parigi possiamo ipotizzare che questo documento sia la implicita risposta alla documentazione che il rappresentante italiano nella Commissione Militare a Parigi gli ha fornito solo pochi giorni prima della missione. E’ come se Marietti avesse in animo di confermare o smentire le considerazioni svolte in quella documentazione e argomentasse con un proprio lavoro alcuni punti chiave che erano rimasti in ombra nella documentazione degli Alleati a Parigi. Il fatto che la questione agraria e la questione del bolscevismo assumano per lui grande importanza va visto soprattutto in rapporto alle notizie raccolte e proposte al Consiglio Supremo della Conferenza e quindi rappresenta un approfondimento di cui tener conto nelle future decisioni di queste regioni. Nella documentazione che il Comando Alleato fornisce a Marietti, oltre che una serie di opuscoli a stampa, vi è una lunga relazione scritta da Cavallero in merito alla situazione dei paesi baltici. La relazione è senza data ma, dalla serie degli allegati contenuti e dei documenti riprodotti in questi allegati, è possibile fissare un termine ad quem nell'ottobre del 1919 immediatamente a ridosso della partenza di Marietti per Berlino. Come termine a quo possiamo invece ritenere che l’intera vicenda del baltico risulta evidente agli Alleati almeno a partire dal novembre 1918 anche se il problema del ritiro delle truppe tedesche diviene cogente solo nell’estate del 1919. L'attenzione a questa relazione va posta soprattutto per chiarirel'insieme delle informazioni a disposizione degli Alleati e quanto essi fossero coscienti dei problemi all’origine delle tensioni in questa regione. Possiamo dire che per Marietti, del tutto nuovo a questa esperienza essi formano il contesto di partenza entro cui la Missione interalleata dovrà operare. Possiamo quindi avere da questa documentazione due importanti punti di vista: il primo è quello militare sulle forze in campo e sull'atteggiamento di Parigi rispetto a queste forze, il secondo è invece la serie delle soluzioni possibili prospettate ai decisori politici che di lì a poco dovranno affrontare il problema dei rapporti tra Polonia e Lituania e soprattutto la creazione della Lettonia indipendente. Cavallero, che è l’estensore di questa relazione, fornisce a Marietti la situazione politica dei paesi dichiaratisi antibolscevichi: della Finlandia, del Principato dei Paesi Baltici formato dall'Estonia, dalla Livonia e dalla Curlandia, del Principato di Lituania, del Regno di Polonia e della repubblica Ucraina. Accanto a queste realtà statali vi sono inoltre una serie di realtà territoriali e politiche nate dal disfacimento dell'impero zarista e che per Cavallero rappresentano in maniera quasi parallela il quadro politico di cui tener presente la situazione per contenere il regime dei soviet. In questa descrizione vengono citati il Governo della Russia Settentrionale, la Repubblica della Russia Bianca, della Tauride, dei Cosacchi del Don, dei Cosacchi del Kuban, del Caucaso, della Georgia, dell'Azerbadjan, del Kazan, di Samara, dei Tartari e Bashkiri e del Turkestan. Vi è poi, più distante, la descrizione della situazione siberiana con la separazione ormai dalla Russia e la formazione di governi di Omsk, di Tomsk degli Urali, della Siberia autonoma, di Vladivostok.199 197 ibidem, pag. 13 RDIP 20 gennaio, pag. 15 199 Consiglio Sup. di Guerra, Notizie Militari-politiche sulla Russia e Siberia, luglio 1919, ASSME, Busta 98, pag. 3 198 81 E’ interessante sottolineare come tale documentazione riprenda e riconsideri i punti di forza e di debolezza della repubblica dei soviet e quindi consideri come centrale questo problema per il futuro equilibrio europeo. La preoccupazione principale degli Alleati è che ormai la situazione russa va progressivamente stabilizzandosi verso la vittoria bolscevica. La progressiva e sempre più organizzata espansione dell'armata rossa comandata da Trotski sta riuscendo a dominare e distruggere le formazioni politiche “bianche” anche per la difficoltà di un coordinamento tra queste e la diffidenza delle popolazioni coinvolte le quali vedono come alternativa al comunismo una semplice riproposizione del vecchio impero zarista senza un interesse alla soluzione dei problemi legati alla condizione contadina e alla sistemazione della questione della proprietà. La relazione di Cavallero descrive quindi i cambiamenti intervenuti tra il maggio e l'ottobre del 1919 nel baltico. Sull'Estonia si afferma, a proposito degli avvenimenti del giugno 1919, che: “giova tenere presente che l'Estonia, preoccupata degli avvenimenti svolgentesi in Curlandia per parte delle forze tedesche o germano russe, che in questi ultimi tempi hanno attaccato i Lettoni, ha dovuto distrarre alcune sue forze dal fronte orientale per accorrere in aiuto dei lettoni: tale preoccupazione è tanto più giustificata in quanto che, come è noto, gli estoni dovettero già nel giugno scorso prendere le armi contro le truppe di Von Der Goltz e contro la Landerwher baltica che per motivi ancora non bene conosciuti avevano attaccato improvvisamente alle spalle le forze estoni-lettoni, interrompendo la ferrovia Riga-Pskow”200 L’impostazione della relazione è quindi quella di conteggiare quante siano le forze che contrastino l’Armata rossa nel baltico. I motivi non conosciuti dell’attacco delle truppe estoni e lettoni da parte dei tedeschi segnalano che, sino a questo momento, le ragioni politiche del disegno tedesco in queste regioni viene ritenuto secondario o marginale rispetto al presupposto che sia i tedeschi che le truppe estoni e lettoni combattano per lo stesso fine e cioè respingere le armate russe il più lontano possibile dai confini. Solo a partire dall’ottobre le truppe tedesche divengono un reale e concreto pericolo per lo svolgimento delle azioni alleate: “in Lettonia e in Lituania si trovavano le truppe del VI corpo tedesco, agli ordini del generale Von Der Goltz. Questi svolse colà una intensa azione politica a favore della Germania, ostacolando la costituzione delle forze locali, cercando in ogni modo di indebolire i governi aventi tendenze intesofile e soprattutto organizzando, sotto il nome di Landerwher baltica, una milizia di carattere prettamente tedesco. In tale opera il Generale Von der Goltz fu sempre validamente appoggiato dall'elemento tedesco, numeroso specie in Curlandia, e dai baroni baltici, che colà spadroneggiano e che sono pressoché tutti di origine tedesca o almeno legati al governo di Berlino.”201 La fonte italiana appare, nella ricostruzione di questi avvenimenti, del tutto precisa. I non precisati motivi degli attacchi lettoni ed estoni alle truppe tedesco-russe segnalano l'iniziale laissez faire operato dagli Alleati nei confronti delle popolazioni baltiche per la ricerca di un equilibrio politico che le porti all’indipendenza anche alleandosi o trattando con le truppe volontarie tedesche presenti sul territorio. L’obiettivo è infatti quello di contenere la revanche bolscevica e non di decidere in modo chiaro su quali forze contare per garantire l’indipendenza degli stati baltici. Dopo le comunicazioni della missione comandata dal colonnello Cough che riferisce invece l'evolversi della situazione verso la decisione da parte tedesca di formare un proprio stato coloniale sul baltico, gli Alleati comprendono tra il marzo e il maggio 1919, del ruolo centrale che le truppe tedesche stanno assumendo in questo quadrante per favorire l’egemonia tedesca e il ritorno al potere dei baroni feudali. Solo a questo punto avviene il cambio repentino di strategia alleata con l’appoggio alle truppe nazionali e le dichiarazioni della Conferenza di Parigi contro il Governo tedesco di mancato ritiro delle sue truppe sul Baltico con la pressione a cui viene sottoposta la Germania attraverso la 200 Relazione Cavallero, cit., pag. 5 Uno degli elementi più importanti per definire il quadro generale entro cui si muove la missione è l’analisi dei documenti prodotti in questo periodo dalla Commissione militare a Parigi che prepara i dossier da sottoporre alle decisioni della Conferenza della Pace su questo fronte. Questa commissione militare era formata dai Generali Belin e Lanxate per la Francia, Sekville e Hope per l'Inghilterra Bliss e Knapp per gli Stati Uniti e dal generale Cavallero per l'Italia. 201 Relazione cit., pag. 10 82 minaccia di un rinnovo del blocco navale che costringerà il Governo Waachendor a numerosi appelli alle truppe tedesche di stanza sul Baltico a ritirarsi per evitare la minaccia della fame per le popolazioni residenti in Germania. Nessun accenno viene fatto né alla trattativa tedesco-lettone che ha portato alla formazione della Landeswehr baltica, né viene spiegato nella relazione la complessità dei rapporti che sono, sino a quel momento, intervenuti tra le forze alleate e il governo tedesco. Da questa esposizione appare quindi che, mentre gli Alleati stanno elaborando le loro informazioni con l'intento di favorire tutte le forze antibolsceviche, truppe nazionali lettoni, estoni, lituane, truppe volontarie tedesche, truppe russe controrivoluzionarie, gli inglesi con la missione del colonnello Cough dislocata sul fronte riescano a sapere prima degli altri i diversi obiettivi delle forze in campo le quali sotto la bandiera dell’antibolscevismo stanno operando in realtà per ottenere vantaggi anche contro le direttive dell’Intesa. Si comprende pertanto l'urgenza da parte di Lloyd George di procedere speditamente all'applicazione integrale della clausola XII dell'Armistizio eliminando le truppe tedesche dal teatro di guerra anche agendo contro la prudenza di chi, non avendo chiara conoscenza delle forze in gioco, ritiene ancora i tedeschi in grado di essere utili a formare quello sbarramento contro le mire bolsceviche come era avvenuto con l’avanzata verso Riga nel marzo del 1919. Non è un caso che, nella primavera del 1919, l'Ammiragliato britannico aveva scritto al Foreign Office che: “l'opera degli ufficiali di marina britannici nel Baltico risulterebbe molto facilitata se essi venissero informati della politica che sono chiamati a sostenere”202. Prima degli altri gli inglesi capiscono che continuare ad appoggiare le truppe tedesche e le truppe bianche significa mettere in serio pericolo la formazione degli stati indipendenti così come delineati dagli accordi di Parigi ma soprattutto risulta difficile comprendere come si possano politicamente sostenere la possibilità di contenere il bolscevismo con forze militari che apertamente contrastano quel disegno. Nel chiarire questa ambiguità di fondo della Relazione possiamo osservare tre elementi che vengono giudicati problematici dall’estensore. Il primo è rappresentato dalla volontà dell’esercito Estone di sancire l'indipendenza nazionale del territorio con un governo favorevole all'Intesa ma richiedendo una alleanza contro le forze bolsceviche e soprattutto contro le forze tedesche presenti sul territorio. Contemporaneamente però si segnala che il governo estone non ha alcuna intenzione di sottostare agli ordini delle truppe russe controrivoluzionarie perché queste continuano a proclamare il successivo assorbimento ad un futuro impero russo: “è probabile che il governo estone, comprendendo la necessità di uno sforzo unico contro i bolscevichi, si accontenterà di una semplice dichiarazione di Koltchak che prometta di rispettare l'indipendenza dell'Estonia, se essa verrà riconosciuta dall'Intesa”203 Il secondo elemento riguarda, come abbiamo visto, la Lettonia in cui la situazione si è rivelata un vero fallimento politico-militare per gli obiettivi dell'Intesa. I bolscevichi hanno infatti occupato la capitale Riga approfittando del ripiegamento delle truppe tedesche instaurando una repubblica dei soviet ma questo ha comportato la formazione di un governo lettone provvisorio a Libau che ha la necessità delle truppe tedesche per poter pensare ad una liberazione dalle truppe russe. Il terzo riguarda i rapporti con i tedeschi in Lituania. Tutto il territorio lituano è stato interamente occupato dai tedeschi sin dal novembre del 1918 e quindi non ha subito come l'Estonia e la Lettonia il ritorno delle truppe bolsceviche ma, allo stesso tempo, non ha potuto realizzare in questo periodo un governo che possa nettamente dichiarasi a favore degli Alleati. La Lituania è quindi stretta tra una presenza militare tedesca e un governo provvisorio: “di tendenze nettamente germanofile, ma esistente più di nome che di fatto”204 che però dichiara aperta ostilità ai polacchi. Questa ostilità è quindi abilmente sfruttata dai bolscevichi russi con la promessa fatta ai Lituani della formazione di una Repubblica dei Soviet della Lituania e della Bielorussia con capitale Vilnius. 202 in MacMillan, cit., pag. 289 Relazione Cavallero, cit., pag. 11 204 ibidem, cit. pag. 12 203 83 Nelle descrizioni politiche riportate si vede chiaramente che il leitmotiv che percorre la relazione di Cavallero è rappresentato dalla ricognizione delle forze in grado di contrastare l'elemento bolscevico. Se è vero quindi che il ritiro delle truppe tedesche dalle zone baltiche era ben presente agli Alleati sin dall'armistizio del novembre 1918 sino alla primavera del 1919 esso appare subordinato alla soluzione di ottenere l’indipendenza degli stati baltici solo al fine di contenere l’espansione bolscevica nelle stesse regioni. Le osservazioni di Marietti che riguardano la strategia alleata di opposizione al “caos russo”, come egli lo definisce, è la risposta a quella impostazione fornita dai documenti che ha letto prima di arrivare nei paesi baltici e ne rappresenta l’implicita risposta. Egli giunge in quelle regioni avendo chiaro che l’interesse alleato è di cercare una soluzione al problema dell’espansione comunista e che l’indipendenza dei paesi baltici è subordinata a tale fine ma tale problema non può essere, per lui, disgiunto dalle considerazioni sugli aspetti sociali, economici e culturali che i nuovi stati indipendenti del baltico devono affrontare. A differenza dei decisori politici di Parigi lo scritto di Marietti si concentra quindi sulla situazione reale e sulla possibilità che l’indipendenza senza la soluzione delle questioni entro cui i nuovi governi dovranno operare è solo un fragile diaframma all’espansione comunista e anche l’obiettivo della “difesa dal bolscevismo” diventa una parola astratta. Marietti disgiunge quindi le questioni operative e militari da questi problemi e accanto ai rapporti dettagliati sull’operato della missione sente l’esigenza di integrare le considerazioni politiche di Cavallero con qualcosa di più approfondito che fornisca uno strumento utile ai decisori nella stabilizzazione di quei governi nazionali che sta con grande determinazione sostenendo. La tesi di fondo degli Appunti che è poi la ragione per cui egli approva in modo totale l’operato del Generale Niessel, è che nessuno di questi stati, da solo, è in grado di potersi contrapporre alle due potenze che hanno dominato questa parte d’Europa: la Germania e la Russia. Oggi l’Intesa è riuscita ad incunearsi in questo dominio favorendo la nascita di queste realtà nazionali ma le antiche potenze si potranno risollevare in futuro e quindi rimettere in gioco in qualunque momento questa presenza. Marietti propone quindi come disegno politico futuro, una volta eliminata la presenza tedesca, di creare una federazione di questi stati e gli Alleati dovrebbero favorire in ogni modo questa formazione spingendo tutti questi governi alla creazione di una reciproca autodifesa negoziando l’appoggio dell’Intesa solo se si otterrà questo obiettivo. Egli giunge persino a prospettare una possibile federazione all’interno di una Russia non bolscevica: “se la Russia si riordinerà in uno stato federativo od in una federazione di stati, sorgerà il problema se convenga comprendervi gli stati baltici per sottrarli alla cupidigia germanica. Oggi come oggi, questi sono problemi prematuri, mentre è impellente il problema di dare agli stati baltici la vitalità necessaria per resistere alla pressione bolscevica, non soltanto nell'interesse loro, ma nell’interesse dell'Europa.” 205 Appare chiaro che per Marietti l’unica possibilità di vita politica autonoma per questi stati è la loro costituzione in federazione che nella fase di creazione degli stati indipendenti aveva conosciuto una stagione di consenso poiché i rapporti tra Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia sono solidali ed hanno come obiettivo il distacco dai due Imperi. E’ stato firmato un patto tra di loro di mutua difesa e anche nelle vicende relative al ritiro delle truppe tedesche questa concertazione di interessi è risultata essere uno dei motivi politici ha permesso quel successo. Può essere, quella di Marietti, una ipotesi assai improbabile di legame ad una Russia che ha sconfitto i bolscevichi ma può anche configurarsi una federazione di stati baltici, allargata a Polonia e Finlandia, che, con l’aiuto dell’Intesa, può creare una unità territoriale vasta e solida che si interponga alle mire espansionistiche di una Germania e di una Russia che prima o poi usciranno dal loro stato di crisi militare e politica. Occorre, da parte dell’Intesa avere un quadro realistico delle forze in campo e soprattutto considerare che: “rigenerata la Germania, ricostituita la Russia, non potranno gli Stati baltici sussistere come stati cuscinetto: o saranno assorbiti, o verranno schiacciati a malgrado del loro 205 Appunti, cit. pag. 3 84 sentimento nazionale. E' doloroso dover dir questo dopo di avere ammirato questo sentimento nazionale, dopo di avere auspicato loro la migliore delle fortune nel nome del principio di nazionalità, che fu la base della rigenerazione d'Italia. Ma anche questo è fatale, anche se incontrerà resistenze ostinate, quali sono da prevedere in popoli che finalmente hanno gustato la libertà e l'indipendenza”206 A questo disegno si oppongono invece gli interessi contrastanti delle potenze Alleate e già le prime crepe sono all’orizzonte. La questione di Vilnius peserà infatti in modo determinante su questa strategia e l’assoluta intransigenza francese nel favorire uno stato polacco egemone e non una federazione di stati liberi sarà lo scoglio su cui si infrangerà questo progetto. Se questo è il primo elemento originale che Marietti pone all’attenzione degli Alleati e che per lui rappresenta la soluzione che concilia sia l’aspetto politico dell’indipendenza che la formazione di uno strumento politico forte destinato a contenere le forze del bolscevismo l’altro elemento che egli considera fondamentale e che, se non risolto, fornisce uno potente strumento alla propagazione di quelle idee è la soluzione della questione agraria nei paesi baltici: “ciò che invece si tratta di spazzar via è il sistema feudale; ciò che si tratta di creare è la cooperazione tra il lavoro e il capitale là, dove si ha ancora la fortuna di avere una numerosa nobiltà che, pur con tutti i gravi difetti che abbiamo visto, ama la terra e vive di essa e per essa costantemente tutto l’anno”207 Il bolscevismo, per Marietti, non si batte quindi solo con la strategia militare né con il favorire solamente alcune soluzioni politiche rispetto ad altre; si tratta invece di concentrarsi sul problema storico di questi paesi che è rappresentato dalla enorme distanza esistente tra la minoranza della popolazione che ha titolo politico per creare uno stato e la sua storia fatta di oppressioni e di prevaricazione da parte di minoranze colonizzatrici le quali per molti secoli hanno schiacciato ogni possibile sviluppo economico, culturale e sociale. Le proposte di Marietti vanno ovviamente confrontate con quelle analisi, non molte in verità, che sono state condotte sin qui sulla condizione economica e sociale dei paesi baltici. Scorrendo i titoli con cui il generale si documenta per compiere le sue osservazioni si trovano testi italiani, francesi e tedeschi sulla storia, le tradizioni e i costumi di queste terre. Si tratta ovviamente di testi anteriori al conflitto ma che servono ad inquadrare, almeno in maniera strutturata, le aggiunte e le nuove osservazioni determinate dai fatti relativi a questo infuocato periodo. In primo luogo Marietti comincia a distinguere questi paesi proprio per il loro tessuto sociale. Discutendo della proprietà agraria vi sono due storie parallele da considerare: quella dell’Estonia e della Lettonia dominata dai baroni baltici di origine tedesca e quella della Lituania iscritta invece nel rapporto con il regno di Polonia che ha rappresentato un fattore di oppressione come per gli altri due ma con modalità del tutto differenti. Osservando la produzione agricola Marietti nota che la produzione di bestiame, soprattutto cavalli, l’uso razionale del patrimonio forestale e l’aumento della produttività per i suolo agricoli possono essere gli elementi di fondo per una crescita economica dopo i disastri prodotti dalla guerra. Il vero nodo è che: “una delle ragioni del basso rendimento delle terre va ricercata nello scarso interesse del contadino a produrre, derivante dal gioco di tariffe praticato dal governo russo. Le tariffe ferroviarie per i grani provenienti dall’interno della Russia, erano così basse che il grano russo veniva in Lituania a costare meno del grano locale; (…) quindi il contadino lituano non aveva interesse che a produrre solo quanto gli occorreva” 208 E’ necessario quindi ricostruire prima che un tessuto produttivo un vero patto sociale che permetta a questi paesi di riattivare una capacità produttiva interna e, per farlo, è necessario mettere mano alla proprietà della terra. In Estonia e in Lettonia vi sono infatti anacronistiche divisioni della proprietà terriera che hanno provocato veri e propri drammi sociali nel corso dei secoli: “Le terre padronali, che per l’Estonia e 206 Appunti, cit. pag. 63 Appunti, cit. pag. 52 208 Appunti, cit. pag. 40 207 85 la Livonia rappresentano 3.200.000 ettari, sono ripartite tra soli 895 proprietari, di modo che ogni proprietario ha in media 3.600 ettari esenti da imposte, senza calcolare il terreno dei contadini”209 Marietti accoglie qui alcune notizie da un volume, pubblicato in italiano di Mihkel Martna sull’Estonia.210 Il volume nella sua parte centrale è la fonte dei dati e delle cifre esposte da Marietti per questo paese in cui è sostenuto che: “per ora non può ancora trattarsi in Estonia di realizzare gl’ideali socialisti, si tratta invece di spazzar via tutti gli avanzi del feudalismo e di aprire la via ad una libera e naturale esplicazione delle forze economiche e sociali. In primo luogo si tratta di dare al popolo la possibilità di esistenza nel proprio paese. (…) Bisogna togliere i vincoli storici che hanno impedito lo sviluppo del popolo Estone.”211 Naturalmente questi vincoli sono rappresentati dai baroni baltici di origine tedesca che, in collusione con i funzionari russi, hanno costituito una struttura fortissima di dominio e di sfruttamento delle popolazioni. Il liberale decreto imperiale russo sull’abolizione della servitù della gleba, ricorda Marietti, in queste regioni si è sviluppato senza che sia stata messa in discussione né la proprietà agricola né i sistemi produttivi. Questo ha trasformato i contadini da servi della gleba a schiavi salariati dei feudatari senza che nessun reale progresso delle loro condizioni si sia verificato. L’obiettivo del ceto nobiliare baltico è stato quindi sempre quello di tenere lontano il popolo estone e lettone dalla scuola, dall’attività professionale, dalla vita amministrativa dei comuni e rappresenta il vero vincolo su cui esercitare una riforma incisiva del sistema produttivo nazionale. La nobiltà baltica ha addirittura servito lo zar fedelmente ricavandone privilegi e monopoli in tutti i settori della vita economica e, dopo l’invasione tedesca, ha riportato in vita addirittura privilegi feudali aboliti con la rivoluzione del 1905. Con la realizzazione dell’indipendenza nazionale questa minoranza è spaventata: “la nobiltà tedesca dell’Estonia capì che il suo gioco era perduto. Malgrado questo cercava di prolungare l’occupazione tedesca nel paese anziché rimettere spontaneamente il potere nella mani dei rappresentanti locali”212 Identica è la condizione della Lettonia, ricordata da Marietti nelle sue Annotazioni e che collima con le analisi di Martna sull’Estonia: “delle terre padronali solo 6.000 ettari sono proprietà diretta di contadini; il resto 1.107.000 ettari è proprietà di 499 latifondisti, con una media di 2.200 ettari ciascuno.”213 Il pericolo bolscevico si annida quindi tra queste cifre e il modo con cui le élite di quei paesi hanno considerato la massa dei contadini asserviti ed esclusi dalla partecipazione politica. In Lettonia: “la democrazia, che assunse il potere, aveva però veduto anche l’esperienza dei Bolscevichi, breve, ma istruttiva. Questi confiscavano, è vero i latifondi e dichiaravano la nobiltà fuori legge; ma la miseria, la rovina ed il disordine erano la conseguenza dei loro sistemi. E ne trassero il convincimento che i loro popoli non siano ancora maturi per la realizzazione degli ideali socialisti, che su questa via è necessario li precedano popoli che hanno raggiunto un più alto grado di evoluzione”214 La questione agraria è quindi dominata nei due paesi baltici da un pericolo enorme: per un verso la disastrosa feudalità porta la classe contadina verso il bolscevismo per altro verso i governi democratici partono dal presupposto che i contadini non siano in grado di poter realizzare immediatamente uno stato democratico e quindi non possano partecipare ad una distribuzione delle terre che permetta un regime cooperativo in grado di migliorare il proprio tenore di vita. Lo stato di abbrutimento in cui questi sono stati gettati per secoli non permette nemmeno di formare una propria classe di governo e il generale italiano individua in questo presupposto il problema. Anche i cosiddetti patrioti estoni o lettoni – afferma - ragionano in maniera nazionalistica ed 209 ibidem, pag. 46 Mihkel Martna, L’Estonia, Gli estoni e la questione estone, Roma, 1919. Martna (1860-1934) di formazione socialista menscevica fu impegnato dopo la rivoluzione del 1905 a favorire in tutti i modi l’indipendenza estone e per questo fu costretto all’esilio sino al 1918. Fu membro della delegazione estera presso la Conferenza della Pace, del governo provvisorio, dell'Assemblea costituente e dei primi cinque parlamenti indipendenti estoni. 211 ibidem, cit. pag. 97 212 ibidem cit. pag. 192 213 Marietti, Appunti, cit. pag. 48-49 214 ibidem, pag. 51 210 86 astratta. Invece di favorire, data la mutata situazione politica, la ricostruzione, insieme alle élite baltiche, di un nuovo e diverso rapporto sociale si abbandonano ad un razzismo al contrario cercando solo di estirpare l’elemento “tedesco” senza sapere bene cosa mettere insieme dopo ed anzi nutrendo una profonda sfiducia in quelle classi sociali che stanno determinando il loro consenso. Egli invece ricorda che i baroni baltici: “non possono essere soppressi”215 e l’insieme sociale creato anche da queste minoranze tedesche, bello o brutto che sia, è un elemento essenziale per lo sviluppo del nuovo paese: “i fanatici del luogo vorrebbero l’espulsione in massa della nobiltà e la confisca delle loro terre. Ma questo non risolverebbe la questione. Condurrebbe ad un frazionamento eccessivo e caotico della proprietà, che determinerebbe l’impoverimento delle terre ed, a breve scadenza, il fiorire della speculazione e dell’usura. Di più andrebbero perduti tesori non disprezzabili: l’esperienza, il metodo, la riserva di capitali, che sono fondamenti del reddito delle terre.”216 Marietti quindi non propone di scagliarsi contro la nobiltà baltica ma di piegarla alle necessità del nuovo paese. Non una conventio ad excludendum sulla base di un nazionalismo etnico del tutto inutile ma la ricerca di un equilibrio nuovo sulla base di una costituzione che garantisca uno sviluppo attraverso le riforme. Marietti individua quindi il veleno del nazionalismo nel cuore stesso dei protagonisti della rinascita nazionale del baltico. Sino a che si ragionerà in termini di esclusione in base ad elementi come l’appartenenza etnica si otterrà solo il risultato di impoverire progressivamente le risorse e le capacità sino a dover poi sottostare ad un ricatto straniero. La russificazione o la germanizzazione forzata che appartiene come eredità storica a questi paesi non deve trasformarsi nella populistica soluzione di una semplice eliminazione di queste componenti della società baltica bensì è nella ricerca di nuovi rapporti economici e sociali la ricetta per non cadere in eccessi estremistici in cui il generale italiano mette il nazionalismo. Gli anni successivi nella vicenda di questi paesi sarà invece orientata proprio nella direzione di un polulismo nazionalista che farà dell’indipendenza un motivo di isolamento e di esclusione e che trasformerà in breve tempo queste nazioni in deboli prede di fronte all’accordo russo-tedesco del 1939. Apparentemente differente sembra essere la situazione politica in Lituania dove la piccola proprietà è molto diffusa e raggiunge quasi il 50% del territorio coltivato con situazioni molto variegate tra regione e regione. Non siamo di fronte quindi al latifondo come struttura di ordinamento sociale ed economico e qui il vero problema è il frazionamento sempre più accentuato della quantità di terra a disposizione di ogni singola famiglia e dove il 53% delle fattorie non supera i 10 ettari. Questo fenomeno ha provocato nel passato l’emigrazione di una buona parte della popolazione lituana soprattutto verso gli Stati Uniti. E’ comunque vero però – ricorda Marietti - che questa diffusione della piccola proprietà fa della Litania un paese più stabile dal punto di vista politico: “la Lituania prima della guerra era paese di feconda produzione agricola ed esportava molti prodotti, specie lino, grano, legna, bestiame, ma essa ha molto sofferto della guerra tanto nella piccola che nella grande proprietà rurale ed il primo compito del Governo per una reale ricostituzione del paese deve partire innanzitutto dal miglioramento delle condizioni agricole di esso.”217 Uno dei problemi che il governo lituano affrontò quasi immediatamente fu di accentuare attraverso la riforma agraria la piccola proprietà contadina proprio per assicurarsi quella base di consenso necessario alla sua continuità ma anche al fine per colpire quei proprietari terrieri polacchi poco fedeli alla nuova dirigenza: “durante la guerra per l’indipendenza il governo promise terra all’esercito dei volontari, proclamò quindi che i contadini senza terra e i piccoli proprietari che avessero servito come volontari nell’esercito dopo la smobilitazione avrebbero avuto la priorità sul possesso delle terre dello Stato.”218 Fu costruito allora un sistema di finanziamento per il rimborso tramite il fisco o verso i grandi proprietari per l’assegnazione delle terre fino al raggiungimento, nel 1930, di una assoluta 215 ibidem, pag. 6 ibidem, pag. 52 217 RDIP 29 dicembre, cit. pag. 16 218 Eidintas, cit, pag. 45 216 87 predominanza della media e piccola proprietà contadina in cui il 30% delle terre era costituito da appezzamenti di 10-20 ettari e dove la maggioranza delle tenute non superava comunque i 50 ettari. Questa riforma, realizzata dal partito Cristiano Democratico, fu però aspramente criticata dai nazionalisti del Tautininkai e da Smetona perché rendeva il sistema agricolo troppo fragile ed esposto alle speculazioni straniere, in realtà questa riforma assicurò alla Lituania un fondamento solido al suo regime politico. Aver costruito quindi senza movimenti violenti un sistema di rimborsi a lungo termine sia per i proprietari terrieri polacchi sia per i contadini nei confronti delle terre pubbliche fu la prima risposta del governo lituano al problema economico ed è quello che Marietti invoca anche per le situazioni, ben più squilibrate, degli altri due stati baltici. Se il problema della proprietà contadina è quindi una prima risposta alla costruzione di uno stato indipendente e che si opponga all’estremismo comunista, il secondo problema strutturale di questi paesi è invece rappresentato dalla loro composizione etnica. Il sistema dell’autodeterminazione proclamato da Wilson ha creato infatti un corollario estremamente pericoloso: la presenza di gruppi etnicamente omogenei determina i confini di uno stato. Questo processo, semplice e facile per i confini occidentali, è una vera e propria iattura per i confini orientali dove il mosaico etnico è estremamente complesso. Marietti fa cenno, nel suo scritto su Versailles, al caso dell’Alta Slesia ma casi simili sono presenti nella formazione della Cecoslovacchia o nel caso della Transilvania. Questa principio diviene addirittura pericoloso e delicato utilizzarlo nei paesi baltici poiché la stagione di dominazione russa e tedesca e i tentativi di colonizzazione operati non hanno permesso la nascita di una classe media che, al di là dell’élite intellettuale, possa fornire uno strumento operativo al funzionamento della macchina statale. Gli stessi membri del governo lettone, ad esempio, da Ulmanis agli altri ministri, hanno tutti una formazione ottenuta all’estero e alla domanda di come si potesse risolvere il problema delle amministrazioni locali in un paese governato dai soli lituani senza l’ausilio della popolazione polacca, il presidente del governo lituano rispondeva che ci sarebbe stato un rientro dei lituani dagli Stati Uniti o dall’Europa garantendo in questo modo una classe istruita per far funzionare il nuovo stato. La soluzione illustrata non rappresenta alcun vantaggio e soprattutto la preferenza di una classe dirigente lituana completamente estranea al paese piuttosto che l’accordo con la popolazione polacca o ebrea che conosce e vive le questioni territoriali. Il principio etnico già a partire da queste dichiarazioni comincia a produrre i suoi effetti deleteri che diverranno palesi quando i lituani cercheranno di governare con risultati fallimentari una regione come quella di Memel dove la presenza nell’amministrazione è occupata largamente dalla popolazione tedesca.219 Quindi il principio di appartenenza etnica crea curiose situazioni di rivendicazione in cui la “guerra dei numeri” sul piano internazionale trova immediata applicazione. Le percentuali di popolazione divengono vere e proprie bandiere per garantirsi in sede internazionale motivazioni giuridiche per la risoluzione di problemi dovuti alla presenza di minoranze all’interno di questi stati sino a divenire l’unico argomento rivendicativo sul piano della legittimità. Il caso della Lettonia è esemplare in questo senso: in un documento presentato alla Conferenza della Pace a favore della sua indipendenza l’argomento principale del governo indipendente è il principio dell’appartenenza etnica: “dal punto di vista nazionale, la Lettonia è un paese molto omogeneo, popolato da una razza ariana purissima e parlante il lettone che, con il lituano rappresenta oggi la grande famiglia delle lingue indoeuropee: la famiglia baltica.”220 Il meccanismo di suddivisione per appartenenza etnica produce all’interno degli stati baltici un vero e proprio conflitto tra le varie componenti che, dovuto anche a motivi economici e culturali, si trasforma a livello ufficiale in una dimenticanza e a volte in una ostilità verso le minoranze presenti in questi paesi. La guida politica dei nuovi stati indipendenti preoccupata di ottenere una sempre maggiore omogeneità etnica crea veri e propri paradossi culturali e sociali. Osservando i tre paesi infatti abbiamo nelle tre etnìe, differenti religioni: i lituani sono cattolici, i 219 220 cfr. Capitolo IV Memoire sur la Latvia presentè par la Delegation lettone a la conference de la paix, pag. 5 88 lettoni per la maggioranza protestanti e gli estoni ortodossi. Frutto delle successive cristianizzazioni forzate ognuno di loro ha preso strade differenti a seconda della loro storia ma al loro interno, per vicinanza e per naturali rapporti di migrazione, vi sono minoranze religiose delle tre differenti confessioni in ogni paese senza contare il grande numero di popolazione di religione ebraica presente soprattutto in Lituania. Questo provoca delle discrasie all’interno dell’equazione etniareligione-lingua che sono semplicemente ignorate dai governi e quindi sottovalutate nel mettere mano alle riforme. Lo slogan fatto proprio da tutte le forze politiche al governo di giungere ad una Lituania solo per i lituani o ad una Lettonia solo per i lettoni, secondo questo dettato, produrrà una fragili in molti casi à politica straordinaria e un problema serio di gestione interna del paese. In un recento studio condotto analizzando la composizione etnica della Lettonia ha sottolineato come questo tipo di politica ha prodotto una forte diminuzione delle èlite techiche. Partendo dal censimento generale, compilato dai russi nel 1897, che rappresenta l’unica base di confronto stabile si ha, nelle province lettoni della Curlandia, Livonia e Latgallia una percentuale di lettoni del 68,3 %, di russi pari al 12,2%, , di tedeschi al 7,1% e di ebrei al 6,4%. Nella successiva statistica del 1920 la percentuale dei lettoni aumenta al 72,8% e quella dei tedeschi diminuisce al 3,6%. Gli effetti dovuti alla guerra ma soprattutto alla riforma agraria porta così ad una progressiva diminuzione dei tedeschi che preferirono emigrare sino a raggiungere nel 1931 il 3%.221 La politica di eliminazione delle feudalità baltiche ha trascinato con se negli anni tra le due guerre anche l’insieme della classe media tedesca che non aveva alcun rapporto con quella nobiltà ma che garantiva al paese una alta competenza tecnica e commerciale che aveva permesso alla Lettonia di divenire, tra le provincie dell’Impero russo, un paese ad alto tenore economico. Trascinare, in nome del principio di indipendenza, questa minoranza fuori dai confini nazionali ha significato una progressiva discesa del reddito medio con un impoverimento generale di tutta la popolazione. Il rischio di politiche astrattamente indipendentiste come questa che non è affatto considerato dai politici che hanno come obiettivo l’indipendenza è quel fenomeno al quale faceva riferimento Marietti nelle sue considerazioni sulla classe feudale baltica. La fuoriuscita dei capitali e dei tecnici anche se di stirpe tedesca una volta esclusi dal progetto di indipendenza nazionale e considerati elemento estraneo del nuovo quadro politico ha prodotto i suoi effetti deleteri. Che queste minoranze non appartengano alla classe dei feudatari oppressori Marietti lo nota quando si accorge, ad esempio, in Estonia “ma il discorso vale anche per la Lettonia” che non tutti i tedeschi sono proprietari terrieri: “1/6 è costituito da banchieri e commercianti della città: i rimanenti 4/6 formano la grande e la piccola borghesia tedesca. La prima vive a fianco della nobiltà e dei grandi commercianti. La seconda è un ceto meschino e ignorante, ciecamente seguace delle classi dominanti, dalle quali però vive completamente separata”222 ed in cui avviene che: “operai tedeschi, o che parlino il tedesco, ve ne sono pochissimi, così che non si può parlare in Estonia di una classe operaia tedesca”223 Queste componenti sociali sono quindi facilmente acquisibili alla causa del nuovo stato indipendente ed estremamente utili per la formazione di una classe media. Tutto questo strato sociale viene invece liquidato semplicemente come appartenente all’etnìa tedesca di cui il governo estone dichiara di non sapere cosa farsene e favorendo in tutti i modi la loro emigrazione.224 Questo problema in Lettonia presenta poi un altro elemento interessante e cioè la composizione etnica tra città e campagna in cui la componente urbana è per quasi il 50% tedesca, ebrea e russa, mentre nelle campagne si ha la quasi totalità degli abitanti di etnìa lettone. Anche questo dato conferma, per Marietti, il problema di questi governi che non possono prescindere dalle minoranze presenti in questi paesi e che lo sforzo non è tanto quello di ignorarle quanto di portarle a 221 Edgars Dunsdorfs, Bevölkerungs- und wirtschaftsprobleme bei der staatsgründung lettlands, in Von der Baltischen provinzen zu den baltischen staaten, Marburg, 1971. vol. I, pag. 317. 222 ibidem, pag 26 223 ibidem, pag. 27 224 Questa progressiva eliminazione di minoranze importanti per lo sviluppo economico è già stato studiato, ad esempio, per la minoranza tedesca in Transilvania. 89 partecipare alla costruzione del nuovo stato:”le tre nazionalità, vivono affatto separate e da ciò soffrono tutte le istituzioni cittadine, poiché ciascuna nazionalità pensa a sé”225 Il caso della Lituania, infine, ha aspetti eclatanti. Su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti solo 2 milioni sono lituani mentre il resto della popolazione sono cittadini russi, tedeschi, ebrei e polacchi. La stessa città di Vilnius, capitale storica della Lituania, è composta in maggioranza da ebrei, polacchi e russi mentre solo nelle campagne si registrano maggioranze di popolazione lituana. Una popolazione urbana e quindi pronta a recepire i cambiamenti e dotata dei quadri intellettuali è composta da etnìe differenti in cui il principio della appartenenza etnica proclamato dai nazionalisti del Tautininkainon può quindi che scoraggiare ad unirsi al nuovo stato. Il caso degli ebrei è sicuramente quello più rilevante. Essi sono presenti in tutti questi territori anche se in Lituania formano davvero una popolazione estremamente rilevante: sono infatti il 13% e in alcuni distretti sono addirittura il 55% del totale della popolazione. Il processo di formazione delle comunità ebraiche nei paesi baltici è oggetto di diversi studi molto recenti. Abituati come siamo ad immaginare le comunità ebraiche nei paesi occidentali come parte integrante delle professioni e delle èlite finanziarie o commerciali difficilmente riusciamo ad immaginare vaste comunità di religione ebraica che nel corso dei secoli, spinte dalla pressione russa e tedesca, hanno creato la loro residenza in queste regioni. Marietti fa notare che: “il loro numero determina, ciò che non accade nei paesi occidentali, l’esistenza di un numeroso proletariato miserabile. Si occupano di tutto, dalla vendita dei prodotti del suolo (…) al commercio di ragazze ebree e non ebree, dai vecchi pantaloni ai libri di preghiere (…) Ciò che è essenzialmente caratteristico si è che gli Ebrei costituiscono una nazionalità a sé, che si manifesta non soltanto nel campo religioso, negli usi e nella foggia del vestire; ma ancora nel campo politico. Essi eleggono i propri rappresentanti nelle cariche amministrative, si associano ad altre nazionalità per riuscire in determinate elezioni ed hanno mandato propri deputati alla Duma”226 Possiamo assimilare la condizione degli ebrei baltici a quelli russi a proposito dei quali uno storico ebreo poteva scrivere: “immaginate una popolazione di milioni di persone di seconda categoria, i poveri ebrei, i quali fanno parte del sottoproletariato, persone senza alcuna radice nella struttura sociale senza una occupazione, senza una regolare capacità di procurarsi da vivere.(…) è significativo che la parola ‘pogrom’ sia una parola di origine russa e che ora sia entrata nel linguaggio corrente.”227 La condizione di minoranza trova in quella appartenente all’ebraismo la sua componente parte più significativa e più emblematica. Nei paesi baltici essi sono la minoranza isolata nei centri urbani così come i lettoni, gli estoni e i lituani sono la popolazione prevalente nelle campagne e il loro grande numero li porta ad essere composti da molti strati sociali in cui sono presenti tutti i livelli di ricchezza e di cultura. La città di Vilnius ha una comunità formatasi alla fine del XIV secolo e nonostante le numerose persecuzioni avenute in età moderna, dagli svedesi, dai polacchi e anche durante la campagna di Napoleone nel 1812, riuscirono a creare una rete di relazioni in molti distretti urbani sino a fare di Vilnius la loro capitale sino a dare i natali al più importante studioso di religione ebraica e rabbino come il Gaon 228 che di questa città divenne 225 Appunti, cit. pag. 32 Appunti, cit. pag. 37, Marietti cita come sua fonte documentaria un autore, Bischof, ovviamente antisemita, ma non si è riusciti a trovare questa fonte. 227 Isaac Deutscher, The Russian revolution and the Jewish Problem, in The non-jewish jew and other essay, New York, 1968, pag. 61-62 228 Eliyahu ben Shlomo Zalman detto il Gaon, operò nel XVIII secolo a Vilnius e quando l’ebraismo Chassidico divenne influente nella sua città natale, il Vilna Gaon, unendo i rabbini ed i capi delle comunità polacche, conosciute col nome di Mitnagdim, prese provvedimenti per tenere sotto controllo l’influenza Chassidica. Nel 1777, a Vilna, fu lanciata una delle prime scomuniche contro lo Chassidismo. Essendo convinto che lo studio della Torah è "la vera vita dell’Ebraismo", e che il suo studio deve essere fatto in maniera scientifica e non solo nel semplice metodo scolastico, il Gaon incoraggiò il suo studente prediletto, Rabbi Chaim Volozhin, a fondare una yeshiva (un collegio) nel quale doveva essere insegnata la letteratura rabbinica. Il collegio venne inaugurato a Volozhin nel 1803, qualche anno dopo la morte del Gaon, e rivoluzionò lo studio della Torah, con conseguente impatto sull’Ebraismo ortodosso. 226 90 l’autorità riconosciuta dell’ebraismo lituano e di tutto il mondo ebraico europeo arrivando a far considerare questa città come la Gerusalemme del baltico. All’interno di questa popolazione di cultura ebraica, data la sua stratificazione sociale, si formano una serie di partiti politici e di associazioni che si collegarono anche ai movimenti culturali e politici non ebrei partecipando attivamente alla vita politica e ai desideri di indipendenza dei lituani. Alcune forme di nazionalismo ebraico e di sionismo si svilupparono a livello teorico proprio in questa città e la classe professionale ebraica fu un supporto decisivo alla lotta per l’indipendenza. Durante l’occupazione tedesca nel ’19 e la prima guerra mondiale subirono numerose persecuzioni ed arresti ma riuscirono ad aprire il loro intervento con contributi originali alle nuove correnti nazionali anche attraverso le loro istituzioni culturali come l’Istituto scientifico ebraico, le scuole i musei e le biblioteche.229 Anche durante il governo dei cristiano democratici in Lituania fu dato larghissimo spazio a queste comunità ebraiche con la formazione di proprie strutture amministrative e giudiziarie e con la creazione di vari movimenti a favore di una comunità ebraica indipendente all’interno dello stato lituano. La ricerca di questo consenso ebbe però un’arresto con l’avvento dei nazionalisti al potere e ancor di più, con il colpo di stato autoritario del 1926.230 Di questa questione nelle dispute politiche e nei conflitti per la appartenenza della città tra Polonia e Lituania non v’è alcuna traccia. In una città in cui la metà della popolazione è rappresentata dalla popolazione ebraica in cui le istituzioni, le scuole, le accademie sono parte integrante della vita cittadina, questa comunità viene ignorata di fronte agli argomenti lituani dell’appartenenza storica della capitale o alle ragioni etniche e di presenza di popolazione polacca avanzata dal governo di varsavia. Ma la cosa ancora più grave è che di questo problema pare non interessarsi nemmeno la comunità internazionale che discute in volumi, documenti, pamphlets della importanza della questione di Vilnius per la pace europea e della soluzione della disputa lituano-polacca e di questa importante componente sociale non fa menzione alcuna. Considerati come esterni e isolati, facenti parte di un'altra nazione non vengono iscritti in alcun dibattito ufficiale e Marietti, adeguandosi a questa impostazione, nota come: “negli stati baltici non si può dire che oggi esista una questione ebraica allo stato acuto (…) certo è però che tale questione sorgerebbe qui pure formidabile il giorno in cui per lo sviluppo delle istituzioni si dovesse venire alla parificazione dei diritti, oppure si pensasse ad una espulsione in massa di gente povera, non vogliosa od incapace di assimilarsi alla civiltà altrui”231 Questi meccanismi mentali che discendono egualmente da quella logica esclusivista di cui la divisione etnica è il portato finale costituisce il problema centrale per le nuove nazioni a cui nessuno tra gli Alleati però fornisce strumenti e approcci diversi: “le missioni americane, camuffate militarmente, si occupano evidentemente di affari. Lo stesso fanno le missioni inglesi, ma le finalità sono del tutto diverse. (…) i maligni dicono che l’Inghilterra mira a crearsi una colonia del Baltico, porta d’accesso e di sbocco verso la Russia. Ho udito affermare che, in cambio di un prestito in denaro, l’Inghilterra ha ottenuto il monopolio della produzione di lino e delle foreste in Lituania, i due maggiori prodotti di esportazione. (…) la Francia vorrebbe opporre un programma di unione alla futura Russia232; programma politico dunque (…) di attuazione futura, opposto ad un programma economico di attuazione immediata.”233 229 Julius Brutzkas, Le passè de Vilna, in Le Ghetto di Vilna, Ginevra 1946 Cfr. Masha Greenbaum, The Jews of Lithuania: a History of a Remarkable Community 1316-1945, Tel Aviv 1995 e anche Celia S.Heller, On the Edge of Destruction, Jews of Poland between the two world war, New York 1977 231 Appunti, pagg.37-38 232 Nel 1919-20 Marietti pensava ancora ad una “liberazione” della Russia dalle forze bolsceviche e l’intero documento è impostato in questo senso come abbiamo visto anche e sopratutto in polemica alle nuove tendenze politiche alleate. Marietti noterà infatti solo nel 1920 che l’atteggiamento degli Alleati è mutato: “rientrato a Parigi proprio nei giorni delle nuove decisioni, ho appreso che l’Intesa aveva stabilito di non più soccorrere di armi gli eserciti antibolscevichi e di passare ad una politica di trattative col governo di Mosca. Questa decisione, che non mi permetto di discutere, a che è precisamente opposta alle mie convinzioni, è l’argomento decisivo, se i precedenti non fossero stati sufficienti, per farmi tacere. Però mantengo le mie convinzioni” Appunti, cit. Pag. 60. Probabilmente è questo dissidio con la nuova politica degli Alleati che porta Marietti a non pubblicare questo documento incentrato come è nella difesa strenua delle 230 91 Marietti, implicitamente, giudica l’attività delle potenze alleate in queste regioni sullo stesso piano delle mire colonizzatrici di Germania e Russia e quindi manifesta numerosi dubbi che i problemi interni ai singoli paesi e i nodi economici, etnici e culturali da affrontare per la stabilità e il futuro politico di queste nazioni possano essere risolti partendo da questi presupposti. Il vero pericolo che avverte con grande lucidità è che: “rigenerata la Germania, ricostituita la Russia, non potranno gli Stati baltici sussistere come stati cuscinetto: o saranno assorbiti, o verranno schiacciati a malgrado del loro sentimento nazionale. E’ doloroso dover dir questo dopo di aver ammirato questo sentimento nazionale, dopo di avere auspicato loro la migliore delle fortune nel nome del principio di nazionalità, che fu la base della rigenerazione d’Italia. Ma anche questo è fatale, anche se incontrerà resistenze ostinate, quali sono da prevedere in popoli che finalmente hanno gustato la libertà e l’indipendenza.”234 Le conclusioni di Marietti sono quindi improntate ad un certo pessimismo visto il quadro generale della situazione descritta anche se, polemicamente, non trae alcuna conclusione dalla sua analisi: “dovrei ora fare apprezzamenti e trarre deduzioni, che vorrebbero poi anche essere previsioni pel futuro. (….) trattandosi di paesi per me ignoti sino a tre mesi addietro, oggi ancora in stato di gestazione con parecchie sages femmes che attendono l’evento, chiusi tra due colossi in convulsione oggi, ma non certo in un domani più o meno remoto.”235 Eppure dall’insieme delle considerazioni che svolge in questo documento tutti i temi trattati costituiscono ancor oggi i problemi politici e storici che si studiano affrontando il tema della indipendenza del Baltico e le deduzioni di Marietti illuminano la loro vicenda successiva. Sarà lui a scrivere infatti che non si potrà non assistere ad un rifluire della popolazione tedesca e quindi ad un acutizzarsi delle mire espansionistiche verso la Germania seguite anche da quelle della Russia. La Germania sarà: “tentata dapprima dalle imprese industriali, perché la via dell’oriente è la sola aperta all’attività ed all’eccesso della popolazione tedesca”236 Si riapre quindi il pericolo dell’accordo germano-russo per la spartizione del baltico, pericolo che le considerazioni fornite da Marietti in questi Appunti presagiscono anche a partire dai comportamenti dell’Intesa nei confronti di queste regioni. Le questioni sociali, i problemi economici e anche i nodi etnici sono semplicemente ignorati dagli Alleati così come lo saranno negli anni successivi dalla comunità internazionale sino alla fine dell’indipendenza di questi stati nel 1939. Rimane, naturalmente, quello di Marietti un contributo alla considerazione di questo nodo geopolitico, come si direbbe oggi, che gli scritti italiani in questo periodo, ma anche in quelli successivi tenderanno ad ignorare interessati più al gioco delle potenze internazionali di cui il baltico è solo una pedina nella scacchiera che alla puntuale analisi storica ed economica che Marietti ha voluto però lasciare nei cassetti degli archivi militari. Appare curioso ma anche molto interessante che l’impostazione metodologica di Marietti contenuta nei suoi scritti a stampa sia stata invece compresa da quei giovani socialisti che negli anni immediatamente dopo la prima guerra mondiale si interrogano e studiano la situazione italiana e internazionale. Non è sfuggito infatti ad un lettore attento di questioni politiche come Angelo Tasca, le considerazioni e le notizie riportate da Marietti nel commentare le conseguenze del Trattato di Versailles individuando nella formazione di quel documento il momento iniziale della sua storia della nascita del fascismo italiano. Nel suo nascita ed avvento del fascismo, Tasca introduce nel nuove nazionalità come forze vitali contro i rivoluzionari di Mosca. Siamo naturalmente nel campo delle ipotesi e il nuovo scenario che si presenterà nel 1921 sul piano internazionale con l’appoggio deciso dell’Intesa al passaggio di Vilnius alla Polonia, la stipula dei Trattati di Pace tra questi paesi e l’Unione Sovietica e, infine, l’ascesa dei partiti nazionalisti specie in Lituania e in Lettonia, fecero forse giudicare i contenuti di questa memoria come obsoleti e non più in grado di dare comprensione al mutato quadro politico. Gli Appunti sul Baltico non verranno citati in nessuno degli scritti posteriori di Marietti anche se sono un prezioso memoriale “a caldo” di quelle regioni. 233 ibidem, cit. pag. 58-59 234 ibidem, cit. pag. 63 235 ibidem, cit. pag. 60 236 ibidemi, cit. pag. 62 92 capitolo relativo a Fiume la cronistoria militare della conquista della città avvenuta il 12 di settembre del 1919. Le fonti di Tasca sono il generale Pittaluga che ne scrive la cronaca sulla “Rivista d'Italia” nel 1923 e le considerazioni che il generale Marietti ne fa su “La Stampa” del 1 settembre 1929.237 Questo utilizzo delle fonti che fu notevolmente accresciuta nella seconda edizione italiana, la prima vide la luce in Francia nel 1939, si basava su un archivio personale in cui Tasca aveva raccolto l'insieme della documentazione relativa agli avvenimenti di cui narra le vicende e certamente non gli era sfuggita la connessione tra le considerazioni di pura cronaca militare e l'insieme delle conseguenze politiche dell'impresa fiumana tipica come abbiamo visto delle osservazioni informate di Marietti238. Questa attività che in veste di rappresentante militare italiano a Parigi, Marietti può seguire quindi da un osservatorio molto informato della situazione internazionale lo porta a rilevare, nel 1929, la peculiarità del ruolo italiano nel conflitto mondiale. In un opuscolo, pubblicato nel 1936 dal titolo La parte dell’Italia nella Grande Guerra239, non solo egli fa una disamina puntuale dell’impegno italiano nello sforzo bellico ma traccia un quadro sia degli avvenimenti che portarono al conflitto sia delle conseguenze politiche del Trattato di pace in maniera critica e disincantata. Le osservazioni, ad esempio, sulla divisione di idee tra classe politica europea e gli stati maggiori alla vigilia dell’intervento è indicativa del tono di tutto lo scritto: “E’ curioso ed interessante notare qui come dagli Alleati si pensasse d’impiegare le forze italiane nel quadro generale della lotta e come la visione fosse giusta nella mente degli uomini politici ed errata in quella dei capi militari. Poincaré, Viviani, Lloyd George pensavano che, provata con l’esperienza l’impossibilità di sfondare la sistemazione difensiva germanica, convenisse agire sulla nuova fronte meridionale (la nostra) non ancora organizzata dal nemico o, meglio ancora, attaccare l’Austria-Ungheria con uno sforzo contemporaneo dell’Italia, della Serbia, della Russia e fors’anco della Romania ancora indecisa e magari della Bulgaria pure indecisa. Vi si opponevano, invece, i generali, invocando il principio della strategia di non disperdere le forze e la convinzione che la vittoria potesse conseguirsi soltanto su quella, ch’essi chiamavano fronte principale.”240 Sui temi del primo conflitto mondiale e del cambiamento strutturale ed organizzativo dell’esercito Marietti ne farà la summa nella sua biografia su Armando Diaz del 1933 in cui tutti questi elementi e le intuizioni strategiche del nuovo Capo di Stato Maggiore si fondono in una analisi politica di grande delicatezza. Egli ci da un saggio di questa sintesi proprio nel capitolo sulla vicenda di Caporetto: “governo d’unione nazionale di nome, ma non di fatto, nessuno avendo in fondo rinunciato alle proprie convinzioni pur facendo sforzi per riuscire utile. Quindi un governo debole, costretto a tener conto delle esigenze dei partiti. Il parlamento ancora per buona parte neutralista nell’intimo. I partiti non inoperosi presso le masse, sforzandosi alcuni di elevarne e sostenerne il morale, ostentando altri indifferenza agendo altri sornionamente, predicando altri addirittura l’odio di classe.”241 La relazione tra politica e situazione militare torna in un nesso strettissimo a cui egli non rinuncia nemmeno nella descrizione delle vicende biografiche del vincitore di Vittorio Veneto. Della qualità originale di questo approccio si accorse, nel 1930, un intellettuale e politico italiano di idee e impostazioni completamente opposte alla sua. Antonio Gramsci nei Quaderni del Carcere, in una nota scriveva a commento dell’articolo di Marietti sulla Nuova Antologia in merito al Trattato di Versailles242: “E’ un riassunto diligente dei principali avvenimenti legati all’esecuzione del 237 Angelo Tasca, Nascita ed avvento del fascismo, Bari 1965, vol. I, pag 84. “La prima edizione italiana, col titolo Nascita ed avvento del Fascismo fu pubblicata in Italia nel 1950. Rispetto alla prima edizione francese, essa era corredata da un ricchissimo apparato di note che, proprio per la sua mole, non era stata inserita in quella edizione alla quale l’editore aveva preferito dare il carattere (…) di un tagliente profilo delle origini del fascismo.” Renzo de Felice, Prefazione, a Tasca cit., pag. X. Sulle analisi politiche di Tasca, primo vero storico ed interprete del fascismo, si vedano le considerazioni di Renzo de Felice in Le interpretazioni del fascismo, Bari 1969, in particolare le pagg. 159-161. 239 Giovanni Marietti, La parte dell’Italia nella grande Guerra, fatti e cifre inconfutabili, Torino, 1936 240 ibidem, cit., pag. 15 241 Giovanni Marietti, Armando Diaz, Milano 1933, pag. 41 242 Si tratta de Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, cit. 238 93 trattato di Versailles, una trama schematica che può essere utile come inizio di una ricostruzione analitica o per fissare le concordanze internazionali agli avvenimenti interni dei vari paesi”243 Gramsci ha colto, e solo lui a nostra notizia, proprio la novità rappresentata dall’impostazione metodologica di Marietti che fa di lui uno degli antesignani della figura dell’osservatore politicomilitare che in anni successivi ha trovato largo spazio nella storia italiana. 243 Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Quaderno 5 (IX) Miscellanea, 1930-1932, Torino, 1975, par. 98. Data la grande amicizia tra Gramsci e Tasca non è improbabile che i due, negli anni torinesi, leggessero gli scritti pubblicati negli anni ‘20 dal generale, probabilmente quelli più interessanti legati alla crisi marocchina. 94 Capitolo IV - La formazione dello stato libero di Memel e l’occupazione lituana244 Nella creazione dei confini nazionali lituani la lotta per la conquista del governo nella regione di Memel rappresenta il secondo fronte di formazione dei confini dello stato nazionale per la Lituania che il governo di Gaulanauskas vede profilarsi all’orizzonte e questo secondo problema corre parallelo ed è strettamente legato alla rivendicazione lituana di Vilnius.245 Aver legato politicamente questi due punti rappresenta, a nostro avviso, il vero nodo della difficile e anche fragile costruzione dello stato lituano. L’insieme degli avvenimenti e delle scelte compiute negli anni tra il 1920 e il 1924 condizioneranno in modo molto forte il successivo sviluppo politico della Lituania indipendente con la crescita, al suo interno, della componente ultranazionalista refrattaria ad ogni tipo di dialogo con la Polonia che la porterà progressivamente all’isolamento politico-internazionale e alla svolta autoritaria del governo di Smetona nel 1926. Si può considerare allora che nella fase di stabilizzazione e lenta conquista dei confini nazionali che vede contrapposte la Lituania alla Polonia, il problema di Memel diviene mezzo di scambio per cercare da parte delle potenze dell’Intesa di dirimere in maniera definitiva anche la questione della città di Vilnius, rivendicata come capitale dai lituani ma ora in mano polacca.246 Naturalmente, come vedremo, gli sforzi dell’Intesa saranno quelli di legare Memel a Vilnius e offrire quindi materia negoziale e di scambio ai governi lituano e polacco. In realtà la conduzione politica di questa vicenda presenta tutti gli aspetti di un compromesso che porterà ad esiti del tutto diversi rispetto a questa intenzione iniziale. Vista in questa prospettiva la questione di Memel parrebbe una specie di copia del problema di Danzica e la Conferenza della Pace di Parigi che aveva puntato alla soluzione di città libere sotto il controllo alleato sopratutto per indebolire Berlino e giungere al controllo dei suoi principali porti sul Baltico portò a scelte strategiche controproducenti intervenendo su un territorio da sempre integrato nella storia e nella cultura tedesche. Importanza e ruolo della “piccola Lituania” Con la pace stipulata dal trattato di Melno nel 1422 il territorio circostante la zona di Memel comprendente le regioni di Tilsit, Labiau, Ragnit, Intersburg e Gumbinnen fu assegnata all’Ordine Teutonico e nei secoli successivi fu assorbita ai domini della Prussia Orientale. Questa regione ha rappresentato per molti secoli un territorio privilegiato in cui sono nati i primi documenti della cultura e della lingua lituana. Nel 1547 fu scritto e pubblicato a Könisgberg il primo catechismo scritto in lingua lituana dal Martynas Mazvydas. Nel 1590 un prete originario della piccola lituania, Jonas Bretkunas, pubblicò la prima traduzione della Bibbia in lituano e nel 1653 Daniel Klein redasse la prima grammatica della stessa lingua.247 Si assiste così a due sviluppi differenti della storia del popolo lituano: il nucleo principale residente nei territori della Lituania legata alla Polonia e poi al dominio zarista e un secondo nucleo presente in questa regione della Prussia Orientale. Nella Lituania unionale, così denominata in forza del trattato di Lublino del 1569 che la legava in modo organico al Regno di Polonia, nel corso del tempo vi fu una progressiva diminuzione dell’influenza della lingua e della cultura lituana dovuta soprattutto alla polonizzazione della sua aristocrazia e alla massiccia presenza del clero cattolico di origine polacca. L’uso del lituano viene qui sempre più relegato al ceto contadino e popolare mentre 244 Abbiamo mantenuto la dizione della località in lingua tedesca, Memel, nonostante il nome lituano, Klaipeda, viene utilizzato da molti studiosi della questione. La scelta è dovuta ai documenti di Marietti che citano la località con il nome tedesco e, di conseguenza, abbiamo uniformato per evitare confusioni, la denominazione a quest’ultima. Naturalmente la scelta è dettata solo da motivi di comodità per il lettore. 245 Cfr. Capitolo I 246 “Memel emerge come vero importante problema per la politica europea (...) perchè la preoccupazione degli Alleati è che la Lituania abbia coordinato la sua politica [di occupazione] con la Germania e con l’Unione Sovietica che considerano questa vicenda l’occasione per riottenere un peso nel quadro europeo” Alfons Eidintas, cit., pag. 98. 247 Si veda Pietro U. Dini, cit, pag,70; Ralph Tuchtenhagen, cit, pag. 60. S. Page, cit., pagg. 5/6 95 il polacco diviene la lingua comunemente utilizzata per le relazioni politiche e per l’insegnamento religioso. Nella regione di Memel assistiamo invece, sotto un più tollerante controllo, ad un rifiorire della cultura e della tradizione letteraria di questa lingua. Sotto il dominio dell’Ordine Teutonico e poi del governo prussiano si ha, per un verso, una formazione scolastica della popolazione lituana nelle scuole e nelle università tedesche con un sempre più diffuso utilizzo della lingua tedesca per le comunicazioni ufficiali e per la vita amministrativa. D’altro canto, soprattutto grazie agli studi filologici che individuano nel lituano una delle chiavi di trasmissione dell’origine sanscrita delle lingue indoeuropee, vi fu durante la seconda metà del XIX secolo, il fiorire di una serie di studi che riscoprirono le tradizioni popolari e la mitologia lituana.248 Le popolazioni residenti non avevano subito, a differenza della Lituania sotto il dominio russo, nessuna repressione della loro lingua e della loro cultura; al contrario si erano completamente assimilate e avevano aderito nella loro quasi totalità alla religione protestante.249 A partire dall’età moderna vi è un continuo scambio di queste realtà linguistiche e culturali differenti che faranno da sfondo alla creazione di una vera e propria rinascita del lituano scritto e parlato. Questa tradizione divenne preziosa sopratutto nel periodo in cui il governo russo, che dominava la Lituania unionale, tenterà di operare una russificazione della provincia sotto il suo controllo. Nel tentativo di realizzare una egemonia sui territori acquisiti nel corso del XVIII secolo, gli zar progettano infatti di trasformare e centralizzare il proprio dominio sul modello politico già sviluppato nel corso dei secoli XVI-XVII dal regno di Svezia. Dopo le conquiste di questi territori da parte di Pietro il Grande sarà la zarina Caterina II a inaugurare questo tentativo che: “ambiva ad unificare i diritti e l’amministrazione dei diversi gruppi sociali dell’impero, al fine di poter meglio sfruttare per l’edificazione dello Stato le diverse risorse umane in esso comprese”250. Questo tipo di influenza del potere imperiale divenne nel corso del tempo una vera e propria russificazione forzata di questi territori e il vertice venne toccato nel 1864, dopo la rivolta nell’anno precedente della nobiltà polacca e lituana contro il dominio zarista, in cui il governatore generale russo di Vilnius, il generale russo Mikhail Nikolaevic Murav’ev, fece deportare ed uccidere molti esponenti del clero e della nobiltà lituana e polacca chiuse le scuole polacche e lituane e perseguitò ogni e qualunque manifestazione di autonomia culturale delle poplazioni. Il governo zarista arrivò financo a vietare la pubblicazione di libri scritti in alfabeto latino e diede l’avvio ad una vera e propria persecuzione contro la chiesa polacco-lituana. I cattolici furono quindi esclusi dalla vita pubblica con l’obiettivo di spegnere ogni possibile segno di autonomia culturale polacca o lituana sui propri domini. Lungi dall’ottenere il risultato sperato, i russi videro invece svilupparsi un acuto movimento di ribellione a questa politica con la creazione di un vero e proprio traffico clandestino di importazione di libri e documenti scritti in lingua e alfabeto lituano provenienti dalla regione di Memel. Questo movimento di resistenza culturale assolse ad: “una funzione primaria per la formazione di un comune sentimento nazionale lituano basato sulla lingua: non soltanto sulla lingua del ceto intellettuale, ma anche su quella della popolazione contadina, che avvertiva l’insegnamento scolastico coatto in lingua russa come un preambolo alla conversione forzata”.251 248 Uno dei più importanti è la raccolta dei miti e della storia lituana che viene raccolta da J. Puzinas in lingua tedesca con il titolo Vorgesichtsforschung und Nationalbewustsein in Lituaen cfr. S. Page, cit. pag. 5 249 In una memoria scritta da un ufficiale svedese e consegnata alla Conferenza degli Ambasciatori dai tedeschi viene descritto il quadro della popolazione della regione: “la maggioranza della popolazione tedesca è incontestabile. Tutta la popolazione parla tedesco e quelli che si dicono lituani si sentono in maggioranza tedeschi. (...) Quale è la civilizzazione tra le due parti della frontiera? [tra Lituania unionale e regione di Memel] è come tra il giorno e la notte”. Osservazioni di L. Af Petersen ufficiale svedese in Archivio della Società delle Nazioni, Documento 22483, Segretariato, scatola 593. 250 Tuchtenhagen, cit. pag. 50 251 ibidem. pag. 76 96 I volumi confiscati dalla polizia russa nel periodo 1891 – 1902 furono circa 172.000 e questo dato fornisce la dimensione della profondità e della diffusione di questa resistenza culturale della popolazione lituana. 252 Nel corso del XIX secolo assistiamo così nella Lituania unionale ad una vera e propria battaglia culturale che vede protagonista sopratutto il clero deciso a contrastare per un verso l’influenza della cultura e della lingua polacca e, per altro verso, ad opporsi alla russificazione condotta in forma estrema almeno sino alla rivoluzione del 1905. Nella zona di Memel avviene, nello stesso periodo, una partecipazione e un interesse della cultura tedesca alla lingua e alla cultura di questa etnìa anche se sempre sottoposta ad un rigido controllo sociale e politico da parte dei prussiani. Subito dopo la caduta dell’Impero Germanico nel 1918, all’indomani della prima incerta formulazione dei problemi legati alla creazione dello stato polacco e di quello lituano vi fu, da parte dei sostenitori di una grande lituania (comprendente cioè la lituania unionale e quella sotto il dominio tedesco), una vera e propria opera di pressione per avviare un distacco di questa regione dalla Prussia Orientale e annetterla al futuro stato nazionale.253 Le motivazioni di questo distacco sono per i nazionalisti lituani sopratutto di ordine etnico. Nella regione di Memel la presenza di una etnìa a maggioranza lituana giustificava, per loro, la separazione di questa striscia di territorio dal Baltico sino all’entroterra del fiume Niemen con una pura e semplice annessione alla Lituania. A questo progetto si opponevano due elementi di difficoltà. Il primo, più legato alle vicende della spartizione territoriale ad opera dell’Intesa nel 1919, era la necessità di creare un accesso al mare ai territori polacchi dell’interno e garantire sul fiume Niemen, di cui Memel è il porto pricipale, una attività commerciale sia dell’economia lituana che di quella polacca garantendo anche un canale commerciale ai territori bielorussi. Il secondo era rappresentato dalla presenza di una componente etnica lituana che, per la differente storia sociale e politica sopra illustrata, ormai viveva in maniera perfettamente armonica con la società e la cultura tedesca. Vale la pena allora osservare le due questioni in dettaglio perchè saranno questi due elementi a favorire, da parte degli alleati la ricerca di una soluzione che trasformasse Memel in una città libera con statuto autonomo e sotto il loro controllo e non, come volevano i lituani, di una pura e semplice annessione del territorio alla Lituania tradizionale. Nel corso della Conferenza della Pace a Parigi fu presentata dai lituani della Prussia Orientale una memoria a Wilson sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli con la quale si rivendicava la propria riunificazione. Questa posizione era sostenuta argomentando che molti nomi della regione fossero di origine lituana e che gli stessi lituani avevano subito una germanizzazione forzata nel corso della loro storia e i 200.000 lituani presenti in quel territorio avrebbero potuto sollevarsi da questo dominio soltanto con l’indipendenza dall’impero tedesco. Questa posizione era anche fortemente caldeggiata dagli immigrati lituani in Europa e, sopratutto, negli Stati Uniti e sostenuto dai gruppi nazionalisti più accesi. Alla Conferenza fu presentata anche una memoria di rivendicazione dello stesso territorio anche dai Polacchi che vedevano nel porto di Memel una componente di una più grande Polonia poichè i tedeschi avevano sottratto storicamente questa regione ai polacco-lituani e ne avevano fatto una componente essenziale del proprio impero rivendicandola come città tedesca. Il ministro degli esteri Dmowski nel memorandum alla Conferenza della Pace del 28 febbraio e del 3 marzo rivendicò questo territorio alla Polonia poichè – affermava – la Lituania è una nazione troppo debole e non in grado di resistere alla pressione tedesca anche in vista di una futura assimilazione della Lituania al nuovo stato polacco. Questa base rivendicativa portò quindi il capo 252 S.Page, cit., pag. 6. I dati della russificazione forzata e l’eliminazione dei libri scritti in alfabeto latino è impressionante: nel 1865 sono pubblicati a Vilnius in lituano cinque libri, nel 1866 sei, nel 1867 cinque, nel 1868 tre, nel 1869 tre; nel 1870 due nel 1871 solamente uno, cfr. Ralph Butler, The new eastern europe, London 1919, pag. 57. Si veda anche Von Rauch, cit., pag. 19 253 I nazionalisti lituani, sopratutto quelli residenti in Svizzera e gli emigrati negli USA vedevano nell’avvicinamento alla Germania per la ricerca di una indipendenza nazionale la nascita della lituania a partire proprio dalla regione di Memel. Cfr. S. Page, cit., pag. 31 97 della delegazione polacca, Paderewski, alla formulazione di una richiesta di creare, in attesa della riunificazione, uno stato indipendente ma federato alla Polonia.254 Le proposte non potevano essere più distanti e, nel 1919, alla discussione della questione a Parigi non vi era ancora stato un riconoscimento ufficiale di uno stato lituano nazionale che avverrà, da parte degli stati dell’Intesa, solo nel 1922. In più, il Trattato di Versailles lasciava mano libera alla soluzione dei confini orientali della Germania con la possibilità quindi di creare soluzioni provvisorie che avrebbero avuto nel corso del tempo una loro definitiva sistemazione. Accanto a queste posizioni degli stati “pretendenti” vi era anche una discrepanza di vedute tra gli stessi alleati sopratutto tra i progetti inglesi e francesi su questo territorio. La posizione inglese sul porto di Memel è infatti quella di tentare di scalzare il sistema commerciale tedesco dal baltico ed utilizzare il porto per penetrare economicamente nelle regioni interne polacche, lituane e bielorusse ma, allo stesso tempo, era favorevole a non creare una espansione polacca troppo forte in quella zona per via degli stretti legami tra Polonia e Francia. I tedeschi, d’altro canto, nel corso dei colloqui di pace, chiesero inizialmente una annessione della regione alla Lituania, convinti di continuare ad avere una egemonia su uno stato considerato molto più debole ma successivamente sostennero l’ipotesi inglese e formularono l’idea della creazione di un protettorato dell’Intesa per la regione con a capo un Alto Commissario inglese come per Danzica. La posizione francese era, invece, del tutto differente. La scarsa convinzione di una possibile sopravvivenza della Lituania come entità politica autonoma ma sopratutto l’appoggio dato alla Polonia per costituire una fascia di salvaguardia che interrompesse i confini tra Russia e Germania faceva propendere per la richiesta polacca di unione federale al nuovo stato polacco anche in vista di una possibile riunificazione della Lituania alla Polonia dovuta sopratutto ai comportamenti filotedeschi dei lituani nel corso della guerra e con l’idea di indebolire militarmente quanto più possibile la Germania. Una nota del Ministero degli Esteri Francese datata 19 settembre del 1918 illustra come si dovesse puntare alla formazione di una Polonia il più forte possibile e inserire in questo progetto anche la Lituania eliminando tutti gli elementi germanofili con la nascita di una unica nazione.255 Queste differenti posizioni portarono così alla formazione di un vero e proprio compromesso rappresentato dall’articolo 99 del Trattato di Versailles, in cui si imponeva alla Germania il distacco di questa regione dal territorio nazionale con la creazione di una città libera sotto il controllo degli Alleati. Si trattò quindi di una soluzione che senza dare una diretta annessione territoriale alla Polonia, lasciava aperta la possibilità di negoziare uno stato unitario e far riemergere quel ducato polacco-lituano in una nuova forma politica con la possibilità, per l’Intesa, di mantenere uno sbocco al mare indipendente e utile per i territori interni polacchi e bielorussi, soluzione vista con favore dagli inglesi. Alle proteste tedesche per questa decisione di una aperta violazione del principio di autodeterminazione per la forte presenza di una popolazione di lingua tedesca, l’Intesa giunse ad una formulazione della soluzione al problema di Memel che presentava comunque diverse ambiguità. Si ammetteva infatti da parte degli Alleati che anche se la città di Memel avesse una maggioranza di popolazione tedesca, l’insieme del territorio considerato fosse abitato da una 254 Questa posizione fu ribadita in maniera perentoria nel 1923 in occasione della definizione del nuovo statuto della città. Il rappresentante polacco alla Società delle Nazioni, M. Skirmunt fece presente che “la Conferenza degli Ambasciatori ha tenuto conto del fatto che che il porto di Memel costituisce lo sbocco naturale e unico di un vasto territorio situato sugli affluenti del fiume Niemen e del Pripot per una superficie di circa 200.000 km quadrati in qui poco più di 150.000 kmq, ossia i tre quarti, appartengono alla Polonia e 50.000 kmq, cioè solo un quarto, alla Lituania” Archivio Storico della Società delle Nazioni, documento 32640, scatola 594. 255 Si veda su questa posizione del Ministero degli Esteri Francese, Isabelle Chandavoine, cit., pag. 30. Il lavoro della Chandavoine risulta la ricostruzione più dettagliata e puntuale della vicenda di Memel a partire dagli anni 20. Basata su fonti del Ministero degli Esteri francese la studiosa franco-lituana si è concentrata sia sullo scenario internazionale che sulle vicende interne nei rapporti tra Lituania e tedeschi e lituani residenti nella regione. 98 popolazione di lingua e origini lituane, accettando quindi la tesi lituana che Memel fosse de jure parte integrante del suo territorio; ma, contemporaneamente, si confermava che il porto di Memel fosse l’unico sbocco al mare per i territori interni alla Lituania e che il solo motivo per cui si propendeva alla creazione di una città libera sotto il controllo alleato era che lo statuto e i confini della Lituania in quel momento non fossero stati ancora definiti.256 E’ interessante notare, a conferma di questa ambiguità, che dopo l’occupazione lituana, la Commissione incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori di redigere un rapporto ufficiale sulla regione ribadisca chiaramente come la motivazione della maggioranza di etnìa lituana sia solo una illusione. Si parla, in quella relazione, di Memel come di: “una città tedesca la più antica della Prussia Orientale che non è mai appartenuta alla Lituania. (...) All’epoca [della conquista della regione da parte dell’Ordine Teutonico] la popolazione del nord era Lettone, quella del Sud lituana. Lituani, Lettoni, antichi Prussiani sono, del resto, fratelli, appartengono tutti alla stessa famiglia baltica. (...) La popolazione del territorio è stata fortemente germanizzata e quella della città è quasi interamente tedesca. Non potrebbe essere altrimenti visto che la frontiera tedesca non è stata eliminata che da cinque anni.”257 La soluzione della città libera presentava poi l’indubbio vantaggio per l’Intesa di controllare alcuni porti strategici del Baltico: dopo Danzica, Memel era il secondo porto sotto controllo degli Alleati in contrapposizione al porto tedesco di Könisgberg e ai porti russi che però soffrivano di blocchi per metà dell’anno dovuti ai geli invernali. Nel varare questa soluzione, del tutto provvisoria secondo la Conferenza della Pace, Parigi, contro l’opinione tedesca, pretese la nomina di un alto commissario francese. Aver tenuto conto però solamente dell’elemento etnico e del ruolo strategico per le potenze dell’Intesa giocato dal porto di Memel e, di conseguenza, aver favorito una nuova entità politica “artificiale” tra Germania, Polonia e Lituania portò a non considerare in maniera approfondita la concreta situazione storica di quella particolare regione. La presenza francese a Memel sarà letta dalle popolazioni tedesche e lituane residenti come il primo passo per la concessione di quel territorio alla Polonia dati i forti legami tra i due paesi. Si viene profilando così una minaccia, avvertita sia dalla Germania che dalla Lituania, che si creino le condizioni politico-militari di una soluzione che nulla ha a che fare con il principio di autodeterminazione proclamato dalla risoluzione della Conferenza di Parigi favorendo uno Stato che non aveva alcun rapporto con la composizione etnica e sociale di quel territorio. Vi è, in più, anche l’obiettivo parallelo, da parte dell’Intesa, di utilizzare questa amministrazione controllata di Memel per eliminare la popolazione tedesca dalla regione cercando di favorire la formazione di una classe dirigente “lituana” che però storicamente non ha mai espresso sue componenti nel governo amministrativo di quel territorio ed è vissuta prevalentemente nelle zone rurali non essendo quindi in grado, in tempi brevi, di sostituire per la conduzione dei servizi e del porto l’amministrazione tedesca. Che il problema fosse però in qualche modo “dimenticato” dalle potenze dell’Intesa possiamo rilevarlo in una comunicazione del 13 agosto 1919 in cui la Missione militare alleata a Berlino segnala alla Missione militare a Parigi la pressione che alcuni cittadini abitanti a Memel stavano compiendo per avviare finalmente il processo politico militare di formazione di quel territorio libero. I Rappresentani del Parlamento provvisorio del territorio di Memel chiedono di essere 256 Cfr. la riproduzione di questa motivazione nel Dossier presentato dal governo Lituano a difesa dell’occupazione di Memel, ora in Archivio della Società delle Nazioni, Documento 31704, scatola 593. Che tale ambiguità fosse ben presente alle potenze alleate si può desumere dalla dichiarazione di Clemencau su questo problema: “In effetti la maggioranza degli abitanti di Memel sono tedeschi ma questo non giustifica il fatto di lasciare l’intero territorio sotto la sovranità tedesca, principalmente perchè il porto di Memel è il solo sbocco sul mare della Lituania.” in Eidintas, cit. pag. 87 257 Dalla relazione del 6 marzo 1923 indirizzata alla Conferenza degli Ambasciatori dalla Commissione straordinaria incaricata di esaminare la nuova situazione a Memel. La commissione era composta da Clinchant, Aloisi, Fry. Ora in Archivio Storico della Società delle Nazioni, Documento 35822. scatola 596. 99 ricevuti a Parigi per sollecitare questo processo. Tra questi rappresentanti vi sono il Consigliere personale del ministro Raubeln, Von Schlenter, il Consigliere del ministro dell’Economia, Suheh, il Segretario dei Sindacati di Memel, Katzis e due proprietari della regione, Poetschulat e Pagalies. Il rapporto che presentano con data 8 agosto ci è stato conservato e da conto della formazione del primo parlamento territoriale di Memel. Von Shlenter, nella sua memoria, ricorda in primo luogo che la formazione del Territorio libero di Memel è totalmente in contrasto con i 14 punti di Wilson che prevedeva il rispetto delle nazionalità e ricorda come le potenze dell’Intesa hanno considerato il territorio come largamente abitato da popolazioni lituane ma – continua Shlenter – “non ci resta che pregare le potenze Alleate ed associate di prendere in considerazione il desiderio della maggioranza della popolazione e di non basare le decisioni sul principio di nazionalità guardando solamente le informazioni provenienti da fonte lituana.”258 Il documento ricorda inoltre che nelle elezioni che hanno portato alla formazione del parlamento provvisorio su un totale di 116 deputati solo 24 erano di nazionalità lituana e che molti di loro, i due proprietari lituani giunti in delegazione a Berlino lo dimostrano, vogliono rimanere legati alla Germania: “Angosciati dall’avvenire, la popolazione ha incaricato [questa] Commissione di fare appello alle potenze Alleate e associate prima di prendere una decisione definitiva di ascoltare e di prendere in considerazione i desideri della maggioranza della popolazione da noi rappresentata. (...) Noi siamo dell’avviso che una consultazione popolare esprimerebbe netto il desiderio della grande maggioranza della popolazione di rimanere legati allo stato tedesco. Se questo non fosse possibile chiediamo allora che la questione della nostra nazionalità sia considerata in maniera indipendente dagli altri Stati vicini in modo da poter continuare a conservare le caratteristiche del nostro territorio e della nostra cultura”259. L’appello espresso dalla Rappresentanza delle popolazioni di Memel presenta, a nostro avviso, due motivi di interesse, il primo è la considerazione che esiste de facto una violazione dei principi di nazionalità e l’appello sottolinea come l’elemento tedesco sia non solo centrale in questo territorio ma goda anche del consenso delle popolazioni lituane presenti; il secondo è l’urgenza della sistemazione di questo territorio poichè gli Alleati vogliono, anche in questo caso, decidere sul territorio di Memel avendo in mente la sistemazione più generale della questione lituana in presenza di pressioni da parte internazionale. Il documento presenta, in un suo passaggio, la conoscenza della decisione da parte dell’Intesa: “di regolare la nostra questione nazionale insieme a quella legata ai territori che facevano parte della regione russo-lituana prima del conflitto. Si arguisce quindi che, nel caso della formazione di uno Stato lituano, ci si propone di farci assorbire da quest’ultimo. E’ per questo che preghiamo le potenze dell’Intesa prima di prendere la decisione di considerare la profonda differenza in termini sociali, culturali, nazionali e linguistici della nostra regione rispetto a quella appartenente alla regione lituana zarista.”260 Questo documento fornisce in maniera immediata tutta la complessità del problema a cui l’Intesa sta per mettere mano. Per un verso la popolazione del territorio di Memel in gran parte di lingua e di cultura tedesca segnala l’aperta violazione dei principi della Conferenza di Pace. In realtà la delegazione degli abitanti di Memel a Berlino ha già tracciato il possibile percorso di questo territorio inquadrandolo nel più vasto quadro delle sistemazioni in ordine alla soluzione del conflitto lituano-polacco. Se, dice Von Schlenter, si ha l’intenzione di compiere una successiva unione alla Lituania di cui il territorio libero è solo una prima fase preparatoria, il problema della nazionalità esploderà in maniera più forte e quindi si creerà un enorme differenza tra questa regione e il resto della Lituania che è totalmente estranea per cultura e tradizione a quella regione. L’insieme di questi elementi che sono stati il fattore scatenante degli avvenimenti del 1923/24 è stato poi di recente approfondito sopratutto per quanto riguarda l’analisi della percezione che la popolazione tedesca e lituana di Memel ebbe della presenza francese e degli Alleati in quel 258 in ASSME, busta. 101 fasc. 12 ibidem 260 ibidem 259 100 particolare momento. Ne emerge un quadro in cui l’alto commissariato alleato provocò la sensazione sia da parte della popolazione tedesca che di quella lituana residente di essere vittima di una colonizzazione. Accanto a questo motivo, tutto interno, vi fu, inoltre, una ostilità e una diffidenza profonda a questa operazione anche da parte dell’Unione Sovietica che vedeva in questa testa di ponte la volontà di creare basi militari per un possibile futuro conflitto contro di lei.261 Che questo atteggiamento “coloniale” fosse non troppo lontano dalla realtà risulta anche dal tentativo francese di fare della città di Memel una città a maggioranza lituana. Questo provocò una reazione degli stessi lituani residenti che vedevano in questo obiettivo la futura annessione del territorio alla Polonia o alla Lituania con una perdita secca del proprio livello economico. Interrompendo i contatti economici con la Germania e i suoi traffici e legandosi a nazioni molto più deboli economicamente il rischio era di veder salvaguardata la propria identità etnica di popolazione non tedesca ma di perdere ogni vantaggio da questa indipendenza. Questo fattore giocherà nella vicenda un ruolo importante poichè i lituani di Memel furono molto più solidali con gli amministratori tedeschi che con la nuova situazione creata dalle pretese “nazionali” lituane o polacche favorite dall’amministrazione alleata. L’Alto commissariato francese e gli avvenumenti tra il 1920 e il 1923 Già nel diario della Missione del 1919-20 il generale Marietti fa ampi cenni al problema del territorio di Memel e del fiume Niemen come di un territorio particolarmente delicato per la presenza tedesca e soprattutto per la decisione da parte delle potenze dell'Intesa nel 1919 di trasformare questo territorio in zona franca sotto il controllo degli Alleati. La questione di Memel è quindi il nodo politico-militare che deve essere tenuto sotto osservazione nelle regioni baltiche e i documenti dell'archivio dello Stato Maggiore presentano, anche su questo problema, una documentazione piuttosto dettagliata. Potremmo così descriverla. Vi è in primo luogo una serie di rapporti del comandante francese, generale Dominique Odry, trasmessi in copia agli alleati e quindi anche allo Stato Maggiore Italiano e, subito dopo l’occupazione lituana della regione nel 1923, l’insieme dei documenti che testimoniano il lungo dibattito a Parigi per l’attribuzione della regione alla Lituania. Di questa parte il documento, forse, più interessante è una relazione richiesta a Marietti dal Ministero della Difesa che fornisce alcune considerazioni di parte italiana sull’intera vicenda e che esamineremo in dettaglio. La documentazione ha un andamento cronologico diseguale ma abbastanza indicativa del susseguirsi degli avvenimenti di cui però dobbiamo richiamare la descrizione nei suoi aspetti politici e militari per inquadrare le fonti italiane e collocarle nella successione degli avvenimenti. I francesi giungono a Memel l’8 febbraio 1920 con un contingente militare comandato da Odry ma la diplomazia francese non ha molta fiducia di questa missione. Si considera questa regione da parte del ministero degli esteri di Parigi solo come uno strumento per incoraggiare la Lituania a unirsi alla Polonia ed utilizzare il porto sul Niemen come un possibile mezzo di scambio.262 Il generale Odry che il 15 febbraio 1920 prende in consegna il comando militare dichiara che: “in qualità di rappresentante delle potenze Alleate ed associate (...) tutte le leggi e i regolamenti in vigore sono mantenuti se non esplicitamente abrogati e se non incompatibili con il nuovo statuto di questi territori”263 In un primo rapporto alla Conferenza degli Ambasciatori, datato 10 marzo 1920, dopo aver ricordato della necessità di ottenere il controllo del territorio, Odry ricorda che: “i Lituani 261 Si veda l’interessante articolo di Alexander Schröder von Christian, Die Entstehung des “Territoire de Memel” und die Pläne der franzosischer Administration (1919-1923) in “Nordest Archiv, Zeitschrift für Regionalgeschichte” - Neue Folge Band X/2001, Nordost –Institut, Lüneburg pag. 45 e seguenti. 262 In Chandavoine, cit., pag. 36 263 Dal discorso iniziale del Generale Odry a Memel del 15 febbraio 1920 in ASSME racc. 101, fasc. 11 101 rivendicano nelle amministrazioni del territorio di Memel una partecipazione attiva che però vedono pochissima popolazione tra i residenti con le capacità necessarie per sostituire gli amministratori tedeschi.” Quello che ci vorrebbe – afferma Odry – sopratutto è di “avere la formazione di una polizia lituana per rendere inefficace la provocazione degli agenti tedeschi”264 In questa situazione di assoluta mancanza di quadri amministrativi lituani si innesta anche la precaria situazione economica del territorio completamente dipendente dai commerci derivanti sopratutto dalla Prussia orientale e quindi, in ultima istanza, dipendente ancora dall’economia tedesca. L’insieme dei quadri tedeschi controlla, in realtà, le ferrovie, il porto, i traffici e l’amministrazione e su questo Odry vede il vero elemento che rende l’attuazione dello statuto di città libera e indipendente dalla Germania sostanzialmente inattuabile. Non possono certo pochi fucilieri francesi fermare per un verso la resistenza passiva dei tedeschi e dei lituani di origine tedesca e, dall’altro, la volontà lituana di annettersi quanto prima l’intero territorio. Nel frattempo durante il periodo iniziale della amministrazione alleata si è costituito un partito denominato “Deutsch-Litauisch Heimatbund” il quale è composto non solo dalla popolazione tedesca ma anche da una gran parte della popolazione lituana il quale, preoccupato di questa degermanizzazione tentata da Odry chiede un plebiscito per regolarizzare il più rapidamente possibile la vita della regione. Questo partito è preoccupato sopratutto di una unificazione con la Lituania e rivendica una autonomia della città sia dall’Impero tedesco che dalla Lituania. Non vi è quindi, da parte della popolazione, nella sua larga maggioranza, una opposizione forte alla presenza francese, vi è invece una costante preoccupazione che la regione possa in questa fase interrompere e veder diminuita la sua importanza economica. E’ per questo motivo che l’insieme dei rapporti di Odry a Parigi nel corso del 1920 non presentano particolari problemi di ordine pubblico e lo stesso generale non veda elementi di tensione tra lituani e tedeschi. La sua testimonianza risulta quindi importante proprio perchè egli stesso osserva il forte legame tra le due componenti etniche della regione. Il generale Odry continua infatti a riferire a Parigi che non vi sono elementi di tensione. Ancora il 20 maggio del 1920 scrive che: “la situazione è assolutamente calma. I lavori agricoli proseguono senza alcuna difficoltà di rapporti tra proprietari filotedeschi e contadini lituani. In città, in seguito alla mancanza di carbone, per alimentare le industrie vi è stato qualche disordine ma contenuti da un servizio di sicurezza contro lo sciopero.”265 Contemporaneamente all’occupazione francese vi è però, oltre alla formazione politica vista precedentemente, la creazione di un partito nazionalista lituano, il “Prusu-lietuviu Susivienijimas” che vuole la annessione pura e semplice alla Lituania. Odry ricorda però alla Conferenza degli Ambasciatori a Parigi che questo gruppo: “non ha alcuna conoscenza dell’Amministrazione nè degli affari pubblici e non non punta che al disordine propizio solo alla soddisfazione di rancori o ambizioni personali”266 Nel giugno del 1920 Odry avverte Parigi che ormai la situazione a Memel si sta avviando verso un dibattito tra queste due formazioni, in vista delle elezioni. In contemporanea con le vittorie bolsceviche in Polonia, il generale ricorda che il partito filotedesco tenta di forzare la mano in vista di una revisione dei Trattati e quindi di un ritorno all’orbita tedesca di Memel, mentre il partito filolituano sta pensando di approfittare della vittoria bolscevica per arrivare ad una formazione nazionale che comprenda il territorio polacco e quello di Memel. E’ necessario – afferma Odry – “bonificare questo stato d’animo e troncare queste agitazioni che rischiano di rendere pericolosa la situazione”.267 Curioso il termine che usa Odry – assainir – bonificare, ed è curioso che tale termine illustri, nel giugno del 1920, la mancanza di consapevolezza che le tensioni nel territorio di Memel siano in realtà più il frutto del contesto internazionale che della situazione interna. Colpisce invero 264 Rapporto numero due del Generale Odry a Memel, ASSME, racc. 101 fasc. 12 Rapporto numero otto del Generale Odry, ibidem 266 In Chandavoine, cit., pag. 38 267 Raporto numero nove del Generale Odry, ASSME, racc. 101 fasc. 12 265 102 che dopo aver ripetuto a Parigi di come la situazione fosse calma e tranquilla in poche settimane egli si renda conto del problema e proponga come soluzione quella di “bonificare” espellendo qualche notabile e qualche presunto comunista dal territorio concludendo che: “queste misure hanno ottenuto un eccellente effetto. Il morale delle popolazioni è visibilmente cambiato e le agitazioni operaie che erano cominciate con uno sciopero non motivato tra i lavoratori del porto e in vista di uno sciopero generale paiono essersi calmate in 48 ore”268 Il metodo seguito da Odry crea allora più disordine di quanto ve ne sia realmente e lo strumento di una mera repressione militare non fa che provocare conflitti tra tedeschi e lituani. Questo atteggiamento poliziesco continua almeno sino all’ottobre del 1920 dove ancora riferisce in un rapporto a Parigi la “raggiunta calma assoluta nella regione”.269 In realtà l’insieme delle tensioni politiche sono nate anche per la sistemazione di alcuni problemi territoriali presso Tilsitt dove i tedeschi vogliono a tutti i costi rientrare in possesso di alcune parti della zona attribuita al territorio di Memel e questo episodio riporta in primo piano la questione principale della sistemazione definitiva del territorio che ormai tutti si aspettano debba essere annesso alla Polonia o alla Lituania. L’unico a non accorgersene, sembra, sia proprio il comandante francese.270 Nel corso del 1921, dopo il controllo militare, è affiancato al generale Odry il nuovo alto commissario per la regione, il prefetto Gabriel Pestiné, il quale sottolinea come alle aspirazioni lituane e tedesche puramente politiche si affianca anche una presenza massiccia della Polonia che, attraverso l’acquisto di terreni, comincia a penetrare la regione. Pestiné non ha alcun dubbio che una tale quantità di denaro abbia dietro di sè il governo di Varsavia. Chieste spiegazioni al delegato di Varsavia, Andrycz, riceve questa risposta: “Noi non abbiamo polacchi a Memel ma ameremmo averli e il miglior modo per veder attribuita questa “terra dorata” alla Polonia è quella di acquistarla”271 I francesi si trovano così a dover seguire gli avvenimenti politici della regione avendo come obiettivo quello di degermanizzarla e favorire l’elemento lituano ma nel 1921 la situazione è ancora del tutto fluida. Non vi sono confini definiti, nè un riconoscimento ufficiale della Lituania e permettere un ingresso polacco nel territorio crea un ulteriore elemento di tensione tra i tedeschi ma, sopratutto, nel governo Lituano che vede ormai chiaramente definito il destino di Memel. L’indulgenza del governo francese nei confronti dei polacchi giungerà infatti sino ad un accordo economico tra Memel e la Polonia nell’aprile del 1922 in cui fu stabilito, con l’avallo delle grandi potenze, la clausola commerciale della Polonia come nazione favorita per lo scambio commerciale. Questa politica francese - è stato osservato – ha avuto la sua parte di responsabilità nella creazione del conflitto polacco-lituano: “ha sostenuto il nazionalismo polacco per un suo tornaconto politico ed è stata incapace di riportarlo ad una giusta moderazione. La Francia ha condotto i lituani a cercare disperatamente l’appoggio di una potenza, quella tedesca, che li aveva sostenuti per quattro anni essendo stata incapace di fornire un appoggio chiaro all’esistenza nazionale lituana”.272 Queste tensioni interne e internazionali vengono ancor più aumentate dal tentativo che, nel 1921, l’Intesa tenta di realizzare cercando di collocare la vicenda di Memel nel gioco dello scambio con Vilnius occupata dai polacchi. Il nodo politico istituzionale di Vilnius è un collante nazionale per il governo Lituano ed è di enorme importanza anche per i suoi equilibri interni. 268 ibidem Rapporto numero diciotto, ASSME, racc. 101 fasc. 12 270 In una nota di Marietti del marzo del 1921 all’Ambasciatore Conte Bonin Longare, il generale esprime parere negativo alla richiesta tedesca di una modifica del confine sul fiume Niemen per includere gli impianti idraulici che servono la città di Tilsitt. Indirettamente la nota ci illustra comunque la continua pressione di tutti gli stati confinanti verso il comando alleato della regione. In ASSME, racc. 101 fasc. 271 Chandavoine, pag. 40 272 Julien Gueslin, Entre illusion et aveuglement: la France face à la question lituanienne (1920-1923), in “Cahiers Lituaniens”, anno 2001, n. 2 pag. 20, vi è da ricordare comunque che anche la Lituania una volta ottenuti alcuni vantaggi politico militari dalla situazione ignorerà completamente questo legame con la Germania procedendo ad una lituanizzazione di tutti i territori da lei controllati. 269 103 Viene incaricato il diplomatico belga Paul Hymans di sondare il governo di Kowno, la capitale provvisoria dello stato lituano e sede del governo in attesa di rientrare a Vilnius, per raggiungere una intesa tra Polonia e Lituania che dia la sovranità del territorio di Memel alla Lituania ma che, contemporaneamente, permetta il traffico commerciale e anche militare sul fiume Niemen ai polacchi. Questa proposta, già fortemente rifiutata dal governo Lituano nel 1919 alla Conferenza di Pace, è la causa dello scacco di questo tentativo. Hymans non ha alcuna intenzione di legare la questione di Memel a quella di Vilnius e tenta di convincere i lituani che la sua proposta diplomatica prevede solo una riavvicinamento morbido tra i due Paesi e che tale riavvicinamento riguardi solo il destino di Memel ma il governo lituano vede in questo tentativo una strada per cercare la possibilità di una riunificazione.273 La relazione strettissima tra i due problemi e l’azione francese a Memel chiaramente filopolacca fa scorgere ai Lituani il pericolo che un eventuale accettazione del piano Hymans porti ad una conseguente accettazione della occupazione straniera della storica capitale dello Stato.274 In questa complessa relazione diplomatica si innesta anche una agitazione della popolazione della regione che richiede a gran voce non l’attribuzione a qualche stato esistente ma: “la creazione del territorio in stato autonomo e indipendente unito alla Germania e alla Lituania da canali commerciali strettissimi. Se questo non fosse possibile si permetta, così come sancito dalle stesse potenze straniere, che i cittadini di Memel possano decidere liberamente il proprio destino.”275 Se questa è la posizione dei tedeschi che riflette l’animo della popolazione a Memel, uno studioso lituano ha ben ricostruito l’eco di fierissima opposizione di tutta la società lituana al tentativo di Hymans di una conciliazione tra i due Paesi: “l’11 settembre 1922 l’intera leadership militare lituana trasmette al governo un memorandum segreto nel quale si esprime la completa insoddisfazione per i negoziati con la Polonia. Alla fine di settembre in una turbolenta discussione sul piano Hymans alla Assemblea Costituente Lituana, l’opposizione esprime completa sfiducia al governo in carica per i tentativi che si stanno effettuando di un riavvicinamento alla Polonia e i partiti di sinistra considerano il piano Hymans un cavallo di Troia per vanificare gli sforzi di una riforma sociale e riconsegnare il paese ai latifondisti polacchi”276 Possiamo osservare quindi che l’azione dell’Intesa e dei francesi in particolare ha raggiunto con questi tentativi il massimo dell’insuccesso politico-diplomatico. Dalla idea iniziale di formare un territorio non germanizzato e pronto a diventare il porto strategico di uno stato unitario lituanopolacco così come era nei disegni di Clemenceau si è giunti alla creazione di una regione sotto controllo militare francese con l’impossibilità di poter garantire un governo di libera città autonoma senza il concorso dei funzionari tedeschi fortemente legati al governo di Berlino e con una tensione molto forte con il governo lituano che vede nelle manovre francesi di riavvicinamento alla Polonia la minaccia di perdere per sempre la propria capitale storica anche per via diplomatica. A questo si aggiunga la peoccupazione di una popolazione lituana solo di origine, ma tedesca di fatto, che vede in tutti questi tentativi una minaccia di impoverimento e di crisi economica dei propri traffici ed è contraria a legarsi con una popolazione lituana di cui non condivide nè passato nè tantomeno interessi e il quadro sembra pronto ad una soluzione di forza che non tarderà a farsi attendere. 273 Che il tentativo diplomatico di Hymans sia fortemente sospetto presso i lituani trova riscontro in un colloquio riservato nel 1924 tra Norman Davis, capo della Commissione di studio per Memel e il rappresentante polacco alla Società delle Nazioni che chiede di partecipare alla discussione sulla sistemazione del territorio. Davis cerca di convincere il delegato polacco a non partecipare poichè: “il problema di Vilnius è chiaramente collegato, per i lituani, alla questione e Memel è, in fondo, il prezzo da pagare per concedere Vilnius alla Polonia.” Archivio Storico della Società delle Nazioni, Documento 34270, scatola 595. 274 “Molti diplomatici francesi erano dell’opinione che la Lituania fosse uno stato artificiale, frutto dell’ambizione di qualche intellettuale germanofilo e del clero lituano antipolacco, Si sperò quindi di mettere fine alle rivalità tra Varsavia e Kowno per creare una entità politica forte, stabile e risolutamente antitedesca” Julien Gueslin, cit. pag. 14 275 Da un articolo pubblicato a Berlino dalla “Vossgazette” cit. in Chandavoine, pag. 46 276 Alfons Eidintas, cit. pag. 83 104 L’occupazione lituana di Memel del 1923 Il punto di svolta per gli avvenimenti di Memel si realizza nel corso del 1922 quando nella regione di Vilnius viene indetta l’elezione della Dieta della città a cui i lituani non partecipano per protesta. Questa elezione vede la vittoria della componente filopolacca che il 20 marzo vota a maggioranza schiacciante l’unione della città con la Polonia. Il modello svizzero o cantonale proposto da Hymans per la soluzione dei problemi dei due territori contesi in una unione federale tra i due stati naufraga completamente e dà mano libera ai Lituani per tentare, in risposta a questa situazione ormai defintiva del destino della capitale lituana, una prova di forza a Memel. La preparazione dell’occupazione militare viene condotta dai Lituani rivolgendosi alle due potenze che hanno interessi ad un rafforzamento del giovane stato lituano e che lo avevano riconosciuto ormai da molto tempo: la Germania e l’Unione Sovietica. L’obiettivo del governo Galvanauskas è quello di creare un incidente internazionale a Memel anche per riaprire la questione di Vilnius. La strategia del capo del governo lituano prevede quindi un appoggio o un non intervento da parte della Germania e dell’Unione Sovietica per poter avere mano libera e tentare il colpo di mano e quindi riproporre sul tavolo degli Alleati l’intero problema dei confini lituani. I tedeschi non sono contrari all’invasione lituana e il 22 febbraio informano il governo di Kowno attraverso il rappresentante diplomatico lituano Viktoras Gailius che la Germania non si opporrà al colpo di mano lituano e il 25 aprile invia il diplomatico Fritz Schönberg che assicura il ministro degli esteri lituano che: “l’annessione di Memel al territorio lituano non incontrerà resistenze da parte tedesca”277 La strategia di Berlino persegue infatti il medesimo obiettivo strategico dei lituani che è quello di favorire in tutti i modi la nascita di uno stato lituano indipendente contro le aspettative dell’Intesa e quindi, pur avendo per mesi rivendicato l’assoluta germanicità della regione, in questo momento i tedeschi colgono la possibilità di ottenere da questa invasione un indirizzo favorevole del governo lituano nei loro confronti e di poter, in un secondo momento, rivendicare un territorio tedesco da togliere ad uno stato molto più debole e isolato internazionalmente. Dopo l’invasione, infatti, i tedeschi reagiranno ufficialmente con una protesta presso le potenze alleate e, contemporaneamente, inizieranno una campagna sia all’interno del territorio di Memel sia sul piano internazionale per contestare alla Lituania l’illegale acquisizione. Per ora, il console tedesco sostiene la decisione che questo territorio sia: “il sacrificio sull’altare dell’amicizia lituanorusso-tedesca”278 L’Unione Sovietica, sin dall’inizio, ha osservato la vicenda di Memel con grande attenzione anche perchè l’occupazione polacca di Vilnius ha ottenuto lo scopo di interrompere il confine tra Germania e Russia con grave danno politico e commerciale per i sovietici. Naturalmente i russi scorgono l’eventualità dell’invasione di Memel non solo come l’occasione per indebolire il potere polacco e impedire il disegno di un forte stato a difesa del bolscevismo come volevano gli Alleati ma sopratutto perchè le buone relazioni con la Lituania, di cui avevano riconosciuti per primi la capitale durante l’invasione della Lituania in occasione della guerra russo-polacca, possano sottrarla a quell’isolamento e gettare quindi un ponte con la Germania. Il 29 novembre 1922 il ministro degli esteri Chicherin incontra a Kowno i rappresentanti del governo lituano e li assicura che l’occupazione di Memel non è contro gli interessi dell’Unione Sovietica e dichiara, cosa più importante, che l’Unione Sovietica non rimarrà passiva ad una eventuale reazione polacca contro la Lituania.279 Se il gioco diplomatico di Kowno è quello di avere una copertura completa da queste due potenze sull’operazione, il secondo passo è capire come effettuarla operativamente visto che la maggioranza dei lituani di Memel non solo si oppongono ad una annessione con questo stato ma paventano ogni 277 Edintas, cit. pag. 92 ibidem pag. 93 279 ibidem 278 105 possibile minaccia alla propria autonomia. A questa difficoltà di ordine interno si aggiunge che il 20 dicembre del ‘22 la Lituania era stata ufficialmente riconosciuta come stato sovrano nonostante la Conferenza degli Ambasciatori avesse comunque negato ogni possibilità di ottenere per quella regione una annessione completa. Questo episodio scatenò gli animi della minoranza lituana favorevole all’annessione e Pestiné scrive a Parigi ricordando che a Memel sino a questo momento: “si è potuto evitare qualunque spargimento di sangue anche con mezzi a disposizione molto deboli ma è utile rammentare che siamo arrivati al momento in cui è impossibile rimandare la decisione per questa regione all’indomani”280 Il governo lituano, in una riunione segreta il 20 novembre 1922, considera che ormai la questione di guadagnare Memel attraverso la via legale facendo pressioni alla Società delle Nazioni è impossibile e che gli Alleati non vorranno mai intervenire in questo territorio per liberarlo dalla loro presenza e, seguendo il consiglio del presidente Smetona, decidono di organizzare una rivolta e incaricano il primo ministro Galvanauskas di trovare una soluzione al problema.281 Le modalità operative decise sono le stesse di quelle messe a punto dal Generale Zeligowski a Vilnius nel 1920: l’introduzione di truppe volontarie lituane sollecitate da un Comitato di Salute Pubblica di lituani residenti a Memel permetterà la creazione di un regime militare in mano ad un governo che sosterrà l’annessione alla Lituania solo in un secondo momento. Tra il 9 e il 16 gennaio del 1923 anche in occasione dell’occupazione francese del territorio della Rhur che fornì un ideale pretesto ai lituani, il gruppo di “volontari” denominati Sauliai accorrono alla richiesta di aiuto del Comitato di Salute Pubblica della Lituania orientale minacciata dalle perscuzioni tedesche. I soldati lituani cambiarono la propria uniforme con abiti civili, passarono il confine e occuparono Memel manu militari. Il prefetto Pestiné si trovò quindi a dover telegrafare immediatamente a Parigi chiedendo rinforzi che gli furono promessi sotto forma di supporto con una nave francese da inviare al porto. Il Comitato di Salute Pubblica, autoproclamatosi governo provvisorio della città, chiede ai soldati francesi di non intervenire dichiarando che non vi è alcuna intenzione di attaccare le truppe dell’Intesa. Viene istaurato un governo provvisorio con a capo Simonaitis che era stato soldato sotto le bandiere tedesche in Francia e in Galizia nel primo conflitto e impone così lo stato di guerra e un nuovo ordinamento. Le fonti italiane che rendono testimonianza delle reazioni immediate degli stati dell’Intesa nella Conferenza degli Ambasciatori sono contenute in due note che l’addetto militare a Parigi, Marietti, compila e trasmette al Ministero della Guerra il primo e il tre febbraio 1923.282 La Conferenza degli Ambasciatori aveva inviato una commissione straordinaria a Memel su indicazione del presidente della Conferenza, Poincarè. La stessa commissione, afferma Marietti, propone in prima battuta la soluzione militare al problema e: “per ristabilire il prestigio delle Grandi Potenze e riparare la violazione fatta al trattato di Versailles occorre l’immediato invio di 2.000 uomini, un gruppo [di artiglieria] da 75, 2 tanks, 2 autoblinde; essa riconosce tuttavia la difficoltà che un’azione militare può comportare”283 Di fronte alla reazione immediata di una buona parte degli abitanti di Memel di resistere a questa prova di forza e di appoggiare il contingente francese, Marietti sottolinea che: “hanno concorso alla difesa della città insieme alla 21^ compagnia francese dei cacciatori a piedi, la polizia di Memel e volontari; senza valore gli elementi lituani: ottimi, afferma il colonnello francese, i cittadini già appartenenti all’ex esercito tedesco”.284 Nel trasmettere il rapporto della commissione speciale Marietti evidenzia che la resistenza militare non solo è possibile ma che vi è l’appoggio della 280 Chandavoine, cit., pag. 64 Eidintas, cit., pag. 91 282 Marietti era stato nominato rappresentante italiano del comando militare alleato a Versailles e in questa veste informa il Ministero della Guerra della situazione diplomatica e politica dell’occupazione. Sulla sua nomina si veda Alessandro Gionfrida, cit, pag. 128. 283 Giovanni Marietti, Rapporto allo Stato Maggiore, ASSME, E8, busta 101, fasc 13. 284 ibidem 281 106 maggioranza della popolazione. In più appare chiaro, sin dal primo momento, che l’occupazione lituana è una manovra del governo di Kowno e che una risposta militare rapida potrebbe mettere fine a questo putsch: “Data la parola al Maresciallo [Foch] questi premette che la Conferenza degli Ambasciatori deve innanzitutto riconoscere che il governo lituano è il solo responsabile della situazione. (...) per avere ragione degli insorti bastano tre battaglioni di forza media e tre batterie da campagna”. 285 Alla prospettata e rapida soluzione militare di ricacciare indietro i lituani, gli ambasciatori europei sostengono la non disponibilità ad offrire truppe per questo intervento. Gli inglesi non ritengono possibile intervenire militarmente per via dell’atteggiamento ambiguo dell’Unione Sovietica in questa vicenda mentre l’Ambasciatore italiano ritiene che un intervento delle truppe italiane in quella regione comporterebbe un viaggio troppo lungo e quindi, data la tempestività dell’azione, il loro uso risulterebbe inutile. Il direttore del Ministero degli Esteri francese Laroche, vista la indecisione dei due governi inglese e italiano, ricorda che il contingente francese è non solo esiguo, esposto agli attacchi e con casi gravi di malattia tra la truppa ma che un intervento militare alleato dovrebbe essere deciso in gran segreto e rapidamente per evitare un danno militare all’esercito francese e agli Alleati sul piano internazionale. Il 2 febbraio - è lo stesso Marietti a scriverne – l’Ambasciatore inglese dichiara che il governo inglese non può inviare truppe per non rompere con il governo di Kowno: “perchè le bande che hanno operato e che operano a Memel non sono alle dipendenze del governo lituano”286 mentre l’Ambasciatore italiano dichiara che il governo non è interessato alle vicende del Baltico e che quindi il problema ha riflesso per la parte italiana solo sull’equilibrio e la pace europei. Il maresciallo Foch deve quindi concludere che: “nè l’Inghilterra nè l’Italia sono disposte ad inviare truppe e che ogni azione militare è da escludere, ma ricorda che nella precedente seduta la Conferenza degli Ambasciatori affermò in modo indubbio la responsabilità del governo lituano”.287 Viene data quindi lettura di un telegramma degli insorti alla Conferenza degli Ambasciatori che intima l’allontanamento delle navi alleate dal porto. Il progetto di soluzione per la questione di Memel è quindi, per le potenze alleate: “la costituzione di Memel in porto libero con possibilità avvenire di unione alla Lituania, e nel passaggio di sovranità dei territori alla Lituania con determinate garanzie di protezione delle minoranze”288 L’analisi che Marietti fa al proprio Ministero è confortata anche da una serie di documenti tra cui un telegramma di Simionatis al Segretario generale della Società delle Nazioni. Simionatis, il comandante in capo del nuovo governo provvisorio, avverte gli alleati con un telegramma che però contiene non solo la richiesta della partenza delle navi alleate al porto ma anche la revoca di Petisné e il ritiro delle truppe francesi avvertendo che un ulteriore sbarco delle truppe sarà considerato atto ostile.289 Si tratta quindi di una richiesta di resa senza condizioni. Le considerazioni riportate da Marietti al Ministero della Guerra sono di particolare interesse perchè descrivono in dettaglio l’atteggiamento inglese all’indomani dell’occupazione che esclude il governo di Kowno dall’insurrezione. Nella ricostruzione della vicenda appare invece chiaro a tutti che il governo lituano è il vero mandante di questa azione di forza. Addirittura lo stratagemma di cambiar d’abito alle truppe lituane prima di entrare a Memel: “può sembrare un comportamento incomprensibile poichè tutti, comprese le truppe internazionali presenti a Kowno, avevano potuto vedere i soldati partire a tempo di marcia”290 Che l’intervento sia interamente guidato dal governo lituano di Kowno era chiaro anche al Maresciallo Foch che lo ricorda all’ambasciatore inglese come appare dal rapporto di Marietti. 285 ibidem ibidem, il corsivo è nostro 287 ibidem 288 ibidem 289 Archivio della Società delle Nazioni, documento 25770, Scatola 593 290 Chandavoine, cit. pag. 66, 286 107 Perchè allora l’Ambasciatore inglese mente sapendo di mentire affermando che non vi è collegamento tra ribelli e governo di Kowno? Questa affermazione, contenuta nelle fonti italiane, potrebbe certo dipendere dalla posizione particolare di Marietti che essendo un militare propende per un intervento armato come soluzione della vicenda e sopratutto dal fatto che egli risulta molto vicino alle posizioni francesi che imputano da sempre alla Lituania un comportamento ambiguo e filotedesco; tuttavia l’argomento adotto alla rinuncia dell’uso della forza da parte dell’ambasciatore inglese ha radici, crediamo, proprio nel contrasto tra inglesi e francesi sul dominio politico di questa regione. Autorizzare l’intervento militare alleato avrebbe avuto in primo luogo la conseguenza di confermare l’Alto commissariato francese nella regione e quindi sottoscrivere implicitamente il progetto di riunificazione lituano-polacca caro a Parigi ma da sempre osteggiato dagli inglesi. Probabilmente questo motivo con, in più, il pericolo paventato da un intervento sovietico nella regione fa declinare ogni intervento militare inglese nella zona e favorire quindi una soluzione politico-diplomatica alla vicenda. In più appare vera l’affermazione inglese del pericolo di un coinvolgimento nella vicenda dell’Unione Sovietica, come riferisce Marietti, sarà questo infatti il vero motivo per cui l’Intesa non sceglierà la soluzione militare. Il timore resta quello di un possibile allargamento del conflitto verso l’Unione Sovietica che ha sempre visto l’intervento alleato nella zona di Memel un minaccioso avamposto militare.291 Le reazioni internazionali all’episodio saranno quindi le più varie e diverse. I francesi videro nella occupazione di Memel una macchinazione tedesca in risposta all’occupazione della Ruhr; i Polacchi ebbero una reazione ambigua poichè la questione fondamentale era, per loro, di risolvere il problema di Vilnius e quindi si affrettarono a dichiarare che non avrebbero agito attendendo la soluzione del conflitto attraverso gli organismi diplomatici e le istituzioni internazionali. Il governo tedesco protestò vivacemente contro l’invasione. I tedeschi convocarono i rappresentanti dei vari paesi per leggere una nota di protesta a questo episodio ma: “dopo questo discorso, Karl Schubert, il rappresentante del governo tedesco, riunì segretamente in un’ altra stanza l’ambasciatore lituano per stappare una bottiglia di champagne.”292 I Sovietici dichiararono il 31 gennaio di riconoscere il governo di Simionaitis e chiesero di inviare un rappresentante sovietico a Memel.293 Fatto che conferma, in qualche modo, l’attenzione dei sovietici ad una soluzione filolituana della vicenda. Il nodo di Memel dopo aver superato indenne questa prova di forza e fallita ogni possibile intesa di inviare un contingente militare alleato, si trasferisce all’azione diplomatica che nei mesi successivi e sino al 1924 dovrà ricucire una situazione difficile con la Lituania ormai convinta di poter esercitare quella pressione che le avrebbe permesso di riconsiderare interamente la partita dei confini e, in particolare, di Vilnius. Il progetto di convenzione La Conferenza degli Ambasciatori riunita a Parigi sotto la presidenza di Poincaré decide, come abbiamo visto, di creare una Commissione di studio per analizzare il problema di Memel e proporre un accordo che, sostanzialmente, si rifà al piano Hymans. Mentre quello però cocludeva con la costituzione di una federazione polacco-lituana e quindi la creazione di un sistema cantonale di città libere comprendenti anche Vilnius e Memel; ora la situazione deve rispondere a nuovi elementi di fatto. L’occupazione lituana di Memel e il plebiscito popolare che assegna Vilnius alla Polonia richiedono una nuova formulazione dell’accordo. La proposta alleata è quindi quella di assegnare la sovranità alla Lituania del territorio ma 291 Chandavoine, cit. pag 72 Si veda anche Alexander Schröder von Christian, cit., pag. 45 Chandavoine, cit. pag. 75 293 Chandavoine, cit., pag 76 292 108 condizionando tale sovranità ad una serie di obblighi di tipo economico e commerciale che possano garantire il traffico commerciale dalla Polonia e dai territori interni. La Commissione di studio ripercorre interamente la storia di Memel e rende chiaro, siamo nel 1923, dopo le decisioni della Conferenza di Pace e del Trattato di Versailles, la storia e le tradizioni di questa regione. La Commissione nel suo rapporto del 6 marzo 1923 dopo aver ricordato che la città e il territorio di Memel non è legato nè per tradizione storica nè per composizione etnica nè per tradizione culturale alla Lituania ribadisce che la soluzione ideale sarebbe quella di lasciare questa città libera con un autonomo statuto e sotto l’alto commissariato degli Alleati, tuttavia: “ci si rende conto che la questione di Memel non può essere regolata in astratto (...) [E’]dovere degli Alleati, che sono i responsabili della decisione del Trattato di Versailles di sorvegliare affinchè il passaggio [alla Lituania] si operi attraverso condizioni che permettano a questo porto di continuare a svolgere il suo importante ruolo alla foce del Niemen”294 Viene quindi proposta una soluzione simile a quella di Danzica in cui l’insieme dei traffici doganali, regolati dalla convenzione del 24 novembre 1922, indica la possibilità di mantenere per la città l’unione doganale con la Lituania ma con una distribuzione dei ricavi dovuti alle tariffe doganali più alto per il centro urbano rispetto alle altre parti della regione. Per la cittadinanza degli abitanti di Memel si propone una sostanziale assimilazione a quella Lituana con l’indicazione dell’origine sul passaporto come per gli abitanti della Galizia e, cosa più importante, si consiglia di non introdurre funzionari lituani per sostituire quelli tedeschi: “l’entrata nell’amministrazione del Territorio di funzionari lituani così come di funzionari tedeschi originari della Germania dovrà essere vietata o quanto meno limitata”295 La Commissione propone in definitiva una versione aggiornata del compromesso già progettato dalla Conferenza della Pace e sopratutto rimette in luce l’ambiguità sin qui seguita per risolvere la questione. Rinunciando alla possibilità di sostituire con funzionari lituani quelli tedeschi residenti a Memel si lascia di fatto la situazione allo status quo ante il distacco dalla Germania e concedendo al porto una serie di privilegi doganali e di transiti liberi dai territori russi e polacchi si limita la sovranità lituana ad un semplice riconoscimento de jure. Che questa posizione sia una banale petizione di principio di quanto già esposto negli anni precedenti diviene chiaro nella seduta della Conferenza degli Ambasciatori del 16 febbraio 1923 che recependo le risultanze della commissione deve prendere una decisione finale su Memel. Le posizioni sono a questo punto sono le medesime: gli inglesi desiderano una soluzione a termine, una soluzione che gli permetta di mantenere la città quel carattere di sovranità provvisoria che garantisca tutti i traffici commerciali dalla Polonia; i francesi sono invece favorevoli ad un riconoscimento totale della sovranità alla Lituania solo se, contemporaneamente, si riconosca ai polacchi la medesima sovranità anche alla capitale Vilnius. Gli italiani propendono per una cessione della sovranità pura e semplice alla Lituania mentre i giapponesi desiderano che la sovranità concessa alla Lituania sia bilanciata da una assemblea eletta a suffragio universale dagli abitanti della campagna a cui viene dato pieno mandato amministrativo alla Lituania per governarli.296 Si viene quindi a creare, di nuovo, la divergenza già vista tra Francia e Inghilterra solamente che, in questa fase, i francesi scoprono le carte, vista la nuova situazione, e tentano di legare insieme il problema di Vilnius con quello di Memel rilanciando in qualche modo una versione modificata del piano Hymans, mentre i britannici continuano a richiedere garanzie commerciali e libertà di traffico. Che la citata posizione italiana, nella ottima ricostruzione della Chandevoine delle decisioni dei vari paesi alla questione sia quella di una sovranità completa alla Lituania sia corretta è indubbio. L’ambasciatore italiano già nella riunione del 31 gennaio, relazionata da Marietti, aveva sostenuto 294 Archivio Storico della Società delle Nazioni, Documento 35822, scatola 596 ibidem 296 Cfr. Chandavoine, cit. pag. 92 295 109 la lontananza degli interessi italiani alla regione.297 E’ pur vero tuttavia che questa posizione discende da un ragionamento e da una serie di considerazioni che possono essere maggiormente documentate dai rapporti che Marietti invia al Ministero della Guerra. Non solo è molto probabile che l’ambasciatore italiano a Parigi lo abbia consultato essendo il rappresentante italiano del comando militare alleato ma anche e sopratutto per la sua esperienza e la conoscenza delle questioni baltiche. Marietti, da Versaillles, invia infatti un promemoria al comandante Galli, con allegati i rapporti diplomatici di Odry e ricorda al suo superiore che: “quantunque il compito del comitato [dei giuristi] sembri dover essere quello di definire lo statuto di Memel, non v’ha dubbio che la questione più importante è quella dell’attribuzione del territorio di Memel”298 In maniera lucida, anche di una situazione che lui ha vissuto di persona nel 1919 nella commissione interalleata, egli fa presente che la posizione di Memel è quella di un territorio governato da secoli dai tedeschi e, a differenza delle proposte viste precedentemete pone Memel come un possibile elemento negoziale in vista della soluzione del problema di Danzica: “ed allora, dal momento che la Vistola è sotto regime internazionale e che la navigazione di essa è controllata dalla Polonia (...) la soluzione radicale sarebbe di dare Memel, con una striscia di territorio lungo la frontiera lituanoprussiana, alla Polonia, e di retrocedere Danzica alla Germania”299 La proposta riflette la sostanziale ostilità di Marietti alla Lituania anche se si rende conto che: “non sono maturi i tempi”300 La posizione di Marietti in questo momento, siamo nel 1922, pare collegare la situazione di Memel a quella di Danzica poichè probabilmente si rende conto che la possibilità di uno scambio tra Memel e Danzica potrebbe diminuire ulteriormente le tensioni tra Germania e Polonia ma sopratutto mettere fine ad una situazione di protettorato alleato su Memel che non ha prodotto risultati apprezzabili. Si tratta comunque di una decisione netta che impone agli Alleati finalmente una riconsiderazione del problema tenendo conto delle forze in campo e non di improbabili conseguenze dovute al desiderio di egemonizzare politicamente quell’area. La proposta di Marietti appare anche provocatoria nei confronti di chi, sino a questo momento e nonostante il prestigio degli Alleati nella vicenda sia notevolmente diminuito, continua a giocare sugli equivoci illudendosi che esista un ideale governo lituano disposto a rispondere in modo puntuale alle indicazioni dell’Intesa. La soluzione di Marietti è però del tutto differente da quella della diplomazia ufficiale il quale risponde, per bocca dell’Ambasciatore italiano a Parigi, che: “la conferenza degli Ambasciatori non potrebbe farsi promotrice, almeno nelle circostanze attuali, di una modificazione dei trattati, e la commissione testè nominata per lo studio dello Statuto di Memel ha un compito ben preciso e determinato.”301 Sarà addirittura Poincarè che il 31 gennaio del 1923 inviterà la stessa Conferenza degli Ambasciatori che aveva rifiutato all’inizio una soluzione internazionale al problema ad essere costretta a trovare una soluzione di fronte all’occupazione militare lituana.302 297 Cfr. supra Generale Marietti, rapporto al Comandante Galli, ASSME, E8, busta. 101, fasc. 13. il corsivo è nostro. 299 Generale Marietti, ibidem. Curiosamente questa posizione di Marietti si avvicina ad una soluzione rinvenuta tra le carte dell’Archivio della Società delle Nazioni. In una lettera del 16 gennaio del 1924 quindi posteriore alla crisi e in pieno dibattito sullo statuto di Memel, Laurens Bannington, diplomatico americano, scrive a Norman Davis capo della commissione di studio su Memel che: “per la Lituania sarebbe tanto impossibile permettere traffici commerciali alla Polonia quanto per gli Stati Uniti permettere ad uno stato straniero di attraversare liberamente il lago Michigan o il fiume Mississipi.” Sarebbe quindi preferibile che si costruisse un canale attraverso il fiume Narev per permettere una connessione tra la Vistola e il Niemen e quindi far rientrare i traffici sul Baltico dalla Polonia attraverso questa nuova via d’acqua. Il diplomatico allega alla lettera anche uno schizzo a matita del progetto. Archivio Storico della Società delle Nazioni, documento 34042 scatola 595. A parte la stravaganza della soluzione (ma ne furono esaminate di più stravaganti) è interessante notare che anche l’atteggiamento americano sulla divisione tra sovranità e controllo del territorio proposta dalla Conferenza degli Ambasciatori risulti del tutto fuori luogo. 300 ibidem 301 Telegramma al Gen. Marietti del 21 ottobre 1922, ASSME, racc.101 fasc.13. 302 Si veda l’allegato numero 1 datato 31 gennaio 1923 che riproduce il telegramma di Poincaré alla Lituania di protesta contro l’invasione, ASSME, racc. 101 fasc. 13. 298 110 Marietti sulla questione di Memel che ha seguito prospettando ambedue le soluzioni: una prima di annessione pura e semplice alla Lituania ed una successiva di utilizzo del territorio in funzione di scambio con la Polonia per diminuire la tensione nell’area registra a questo punto lo stallo descritto dalla Conferenza chiamata a risolvere la questione dell’invasione lituana e lo fa in un rapporto all’Ufficio Operazioni del Ministero della Guerra il 17 febbraio 1923. Tornando sul problema sovranità – libertà di traffico: “e’ da notare – scrive - che, secondo recenti notizie, sembra che forze lituane e polacche si raccolgano nei pressi di Wilna. Ma che a prescindere dai pericoli da questa parte, è prevedibile che la Lituania farà serie opposizioni al concetto dell’autonomia. Ed in realtà, giudicando serenamente, male si accoppiano i due concetti di sovranità lituana e di autonomia in una regione che è anche sbocco della Polonia (fiume Niemen). (....) La Conferenza [degli] Ambasciatori ha voluto prendere una soluzione di compromesso, premente specialmente la Francia in favore della Polonia. L’esperienza dice a che cosa conducono le soluzioni di compromesso. Ma serve l’esperienza a qualche cosa? Vorrei sbagliarmi ma per quel pò di conoscenza dei luoghi, che ho, ritengo che tale soluzione non chiuderà il conflitto.”303 La posizione italiana di una annessione totale alla Lituania del territorio di Memel va quindi esattamente nella direzione indicata da Marietti di una soluzione reale del problema scegliendo tra i due contendenti. Purtroppo tale soluzione è del tutto impossibile visti i gradi di contrasto tra le potenze alleate e anche dalla ostinazione francese e inglese che continuano a proporre le medesime soluzioni anche in un quadro completamente mutato. Intanto la nuova dirigenza lituana a Memel rappresentata dal governo locale di Viktoras Gailius per peggiorare ancora di più il quadro già complesso a livello internazionale, si pose l’obiettivo di una completa lituanizzazione della regione ed entrò immediatamente in contrasto non solo con la popolazione di lingua ed origine tedesca ma anche con le componenti lituane legate ai commerci portuali. Quest’atteggiamento si concretizzò sopratutto con il tentativo di eliminare la struttura amministrativa accusandola di rallentare il processo di assimilazione della nuova provincia alla Lituania. Questo atteggiamento diffidente portò alla crisi economica della regione e allo sciopero del 7 aprile organizzato dai sostenitori dell’autonomia e del ripristino delle libertà limitate dallo stato di guerra imposto dai responsabili dell’occupazione. Queste manifestazioni furono sciolte con la forza nei giorni successivi e mostrarono quanta distanza ci fosse tra il governo lituano e la maggioranza della popolazione, tedesca e lituana. Una serie di appelli furono rivolti direttamente al presidente del consiglio lituano Galvanauskas che dovette ordinare di interrompere il flusso di espulsioni dei funzionari di lingua tedesca da Memel al presidente Gailius. L’accusa di colonizzazione rivolta dai lituani ad altri popoli era ora perseguita con lo stesso comportamento e con gli stessi abusi nei confronti di una comunità trattata con atteggiamenti di superiorità e di repressione della loro identità manifestando un assoluto disinteresse anche della stessa popolazione di etnìa lituana residente. Accanto a questi problemi interni vi era inoltre l’intransigenza manifestata nei confronti degli Alleati che stavano preparando il nuovo statuto della città. Il progetto francese di una limitazione della sovranità lituana per permettere una completa libertà di traffico commerciale alla Polonia veniva, alla fine, concretizzato con l’idea di inserire un rappresentante polacco all’interno dell’amministrazione del porto. La diatriba tra governo di Kowno e la Conferenza degli Ambasciatori è testimoniata dalla serie di documenti e di promemoria che giunsero contemporaneamente alla Società delle Nazioni e che ci lasciano l’impressione di un vero dialogo tra sordi. Quanto più la Conferenza impone una serie di vincoli e di limitazioni all’azione dei lituani tanto più essi trasformano queste limitazioni in elementi di rifiuto e di resistenza alle decisioni prese. L’esempio più rilevante è proprio quello relativo alla contestazione del Trattato di Parigi preparato per regolare la nuova situazione che prevedeva la concessione del transito commerciale ai Polacchi. La Lituania replicò che tale forma era valida solo nelle condizioni di pace e poichè vi era una 303 Marietti, ASSME, racc. 101, fasc. 13 111 situazione di aperta ostilità tra il governo lituano e quello polacco tale concessione era del tutto nulla.304 La crescente ostilità interna della popolazione naturalmente sfociò nella formazione di veri e propri movimenti politici chiaramente filotedeschi che operarono pressioni e proteste nei confronti del governo lituano sino a teorizzare una vera e propria battaglia politico-culturale contro il governo di Kowno che arrivò anche alla rottura completa con le potenze Alleate revocando, con un atto di forza, il presidente del Direttorio responsabile secondo il Trattato di Parigi dell’esecutivo della regione. Questo contrasto interno e internazionale portò alla richiesta di nuove elezioni a Memel che videro una imponente partecipazione: il 95% degli iscritti si recò a votare e queste elezioni si conclusero con la vittoria completa dei partiti filotedeschi che provocò ancora di più le pressioni della Germania a livello internazionale con la richiesta ufficiale di portare il caso davanti alla Società delle Nazioni per palese violazione del principio di autodeterminazione. Il rifiuto della Lituania di un arbitrato internazionale e la richiesta di adire alla Corte internazionale dell’Aia per giudicare queste violazioni al Trattato di Parigi fu, naturalmente, favorita dalla Germania che potè dimostrare quanto ormai il comportamento del governo lituano fosse isolato internazionalmente e occupato ad operare contro gli abitanti della regione i quali avevano manifestato in tutti i modi la loro ostilità alla occupazione. Il giudizio della Corte diede però curiosamente ragione al governo lituano ritenendo legittimo, secondo i trattati, di poter revocare il presidente del Direttorio anche se la Lituania fu accusata di non poter, dal punto di vista legale, giungere allo scioglimento della Dieta indicendo nuove elezioni. Questo giudizio che fu accolto positivamente in Lituania scatenò invece l’ostilità delle popolazioni di Memel. Il “Lietuvos Aidas”, giornale diffuso in lingua lituana a Memel scrisse all’indomani della sentenza della corte: “malgrado la precisione e l’autorità della sentenza della Corte internazionale rimane da credere ormai che i due elementi lituano e tedesco restano irrimediabilmente opposti, l’era dei dibattiti e delle polemiche non sono chiuse e il Reich si tiene pronto per appoggiare le rivendicazione dei suoi antichi abitanti”305 304 Archivio Storico della Società delle Nazioni, scatole 593/594. La raccolta di tutti i documenti inviati anche al Segretario Generale della Società delle Nazioni testimoniano l’enorme conflitto soprattutto sul problema dell’assoluto controllo di tutte le attività commerciali, educative e politiche rivendicate dai lituani e negate dalle potenze alleate. L’intera vicenda è descritta anche in Chandavoine, pagg. 123-155. 305 In Chandavoine, pag. 155. Il territorio tornò in mano tedesca nel 1939 e la propaganda hitleriana fece del ritorno della città all’impero tedesco una vera e propria manifestazione di rinascita del nazionalismo germanico. Vi fu addirittura una cerimonia ufficiale presieduta da Hindenburg che viene considerata quale esempio di quella progressiva nazionalizzazione delle masse operata dai governi tedeschi sin dalla seconda metà del XIX secolo. [inserire citazione da George L. Mosse]. Osservando inoltre alcuni filmati di propaganda nazista sul ritorno di Memel alla Germania non è difficile immaginare quanto autentico consenso ebbe quella iniziativa e quanto, per questo ritorno, non vi fu, a differenza dei Sudati, nessuna protesta a livello internazionale tranne quella, naturalmente, della Lituania. Si veda la documentazione del rientro delle truppe tedesche a Memel nel filmato pubblicato in: http://www.youtube.com/watch?v=PFsfP_5AcQ4. 112 Capitolo V - Conclusioni Possiamo qui brevemente richiamare ciò che emerge dall’analisi della documentazione delle fonti italiane sulle vicende baltiche e quindi tentare una prima sintesi tra la ricostruzione di quelle vicende e il contributo che invece fornisce lo spoglio dei documenti del generale italiano. Possiamo per comodità distinguere due fasi del lavoro di Marietti. Una prima fase che lo accredita presso la Commissione Militare Alleata con la partecipazione alla Missione Internazionale comandata dal generale Niessel e una seconda fase in cui, nominato rappresentante italiano presso quella Commissione, segue gli avvenimenti tra il 1923 e 1924 in Lituania. Come intermezzo tra i due momenti possiamo anche situare le sue osservazioni baltiche scritte a caldo dopo la fine della missione nel gennaio del 1920 ma che saranno di supporto al suo lavoro a Parigi anche nel periodo successivo. Di fronte alla memorialistica francese e tedesca degli avvenimenti legati alla guerra di indipendenza lettone l’atteggiamento di Marietti è quello di una riflessione sui grandi temi e le forze politiche e militari internazionali con cui l’insieme di questi paesi si confronta e quindi il suo lavoro di osservatore e di testimone è piuttosto lontana da una memorialistica intesa come cronaca puntuale dei fatti.306 Sviluppando quella capacità di astrazione dal problema contingente gli scritti di Marietti si proiettano sempre in una prospettiva politica più ampia. Abbiamo già visto come questo habitus intellettuale non sia nato in quei concitati mesi di conflitto ma proviene da una formazione che il militare italiano possiede da tempo. Le sue analisi sulla crisi marocchina e sul nuovo ruolo che le organizzazioni militari sono chiamate ad avere in un quadro strategico completamente mutato ci indicano che quella capacità di analisi deve concentrarsi su considerazioni molto più complesse della cronaca del singolo episodio e prospettare un futuro all’indipendenza politica delle ex provincie zariste e sul ruolo che avranno nell’Europa tra le due guerre. In primo luogo Marietti individua in modo puntuale che i paesi baltici sono un “sistema”. Non è possibile quindi pensare alle singole vicende nazionali pur così diverse nello sviluppo della loro storia passata e recente senza richiamarne l’area geopolitica a cui fanno riferimento. In questo suo concetto di sistema egli vede uno spazio politico unitario formato non solo da Lituania, Lettonia ed Estonia ma anche da Polonia e Finlandia.307 L’insieme di questi paesi è in grado, a suo avviso, di essere in grado di creare una alternativa territoriale e militare che si opponga in primo luogo al caos russo. Di conseguenza la ricerca delle potenze dell’Intesa di operare una divisione di questi paesi in sfere di influenza che già si sviluppa nelle prime discussioni sul destino di queste regioni a Parigi nel 1919 appare per lui del tutto astratta. L’interesse per la grande Polonia da parte francese e quindi il disegno di una nazione federale che comprenda la Lituania che però non crei necessarie relazioni di cooperazione con le altre nazioni baltiche è futile quasi quanto il disegno inglese di considerare di proprio interesse solo i porti baltici di Riga o di Tallin come strumenti di sviluppo del proprio mercato senza interessarsi dell’equilibrio dell’intera regione. Questi paesi sono per Marietti “vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro” come ebbe a scrivere nelle sue Osservazioni e il crescere territorialmente da parte di alcuni o divenire porti franchi su cui l’evoluzione del mercato e dei traffici sia controllato solo nei punti di scambio non li trasforma certo in vasi di ferro. Germania e Russia che in un momento diremo unico della storia di questo territorio sono obbligati per ragioni diverse ad offrire la possibilità di una indipendenza, non saranno in futuro così disponibili a rinunciare a quello che storicamente ritengono un loro preciso dominio. 306 Per la memorialistica francese si veda Du Parquet, cit. e Niessel, cit,; per quella tedesca Von Salomon, cit. e Von der Goltz, cit. Per una descrizione letteraria ma molto documentata si veda Arnold Zweig, La questione del sergente Grisha, Milano 1930. 307 Le medesime considerazioni sono oggi accettate pacificamente sicuramente molto meno nel periodo in cui Marietti le scriveva. 113 Tra il 1939 e il 1944 i paesi baltici subiranno ancora una doppia invasione, tedesca e sovietica, in cui tutte le condizioni di fragilità politica e militare frutto della loro divisione nazionale emergeranno con forza rinnovata e le cui tracce si rinvengono già tra il 1919 e il 1920. Uno storico ha scritto che le regioni baltiche sono in questo momento un paradigma della futura seconda guerra mondiale.308 Le ragioni di questa affermazione sono per lui rinvenibili certamente nell’idea di una Europa frazionata che di fronte ad un accordo tra Russia sovietica e Germania nazista si trova schiacciata senza speranza di opporre resistenza ai disegni di conquista e di spartizione delle grandi potenze. Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia torneranno quindi ad essere oggetto di un accordo di spartizione così come lo furono nel corso del XVIII secolo. Vi sono però anche altre ragioni per dare sostanza a quella immagine: la seconda guerra mondiale replica infatti la prima anche nelle modalità di approccio di queste conquiste nel baltico da parte di tedeschi e russi. Vi è lo stesso atteggiamento “coloniale” da parte dei tedeschi così come negli anni tra il 1915 e il 1917 e, da parte sovietica, il ritorno per le nuove nazioni baltiche ad un regime di provincia dell’Impero negando a Lituania, Lettonia ed Estonia lo status di autonomia inglobandole come nuove repubbliche dell’Unione Sovietica. Lo stesso trattamento non fu riservato invece a Polonia e Finlandia che in questi anni invece raggiungono l’indipendenza nazionale ma che invece permangono nella loro natura di stati sovrani anche dopo la seconda guerra mondiale. La questione delle cause di questo diverso destino possono essere individuate naturalmente nella importanza strategica maggiore per la Russia e anche per la Germania di avere uno sbocco esteso sul baltico e anche dalla dimensione territoriale e di popolazione molto ridotta e quindi meno significativa dal punto di vista del peso politico. Certamente questi elementi giocano come fattori decisivi per la scelta fatta sia dalla Germania che dalla Russia di riportare queste terre a organizzazioni politiche e amministrative che risalgono al XIX secolo piuttosto che confrontarsi con le nuove realtà statali nate alla fine della prima guerra mondiale. In questo quadro la questione più interessante è allora quella relativa al perché questi stati nel corso degli anni tra le due guerre non riescano a raggiungere quel peso per impedire quella spartizione. Quali sono i motivi per cui, perdendosi in derive autoritarie dominate da particolarismi interni e da divisioni e isolamenti internazionali, Lituania, Lettonia ed Estonia favoriranno l’emergere di un antico disegno di conquista che non ha alcuna preoccupazione di eliminare le tracce della loro costituzione in nazioni avvenuta nel 1919. Uno di questi motivi è nel mancato accordo interno con l’insieme di tutti i paesi dell’area baltica. Intendiamo per accordo una mutua cooperazione politica che in alcuni casi, si pensi all’indipendenza finlandese, riuscì a produrre risultati insperati nella direzione della permanenza degli stati nazionali. Eppure nella prima concitata fase della nascita di queste entità statali, la fase che possiamo chiamare delle dichiarazioni di indipendenza, un disegno di accordo e di cooperazione tra questi stati vi fu e fu anche stabilito di creare un tavolo di confronto tra questi paesi e gli altri vicini più interessati alla conservazione e alla normalizzazione di questa situazione: Polonia e Finlandia. Questo progetto fu inoltre favorito dall’Intesa, ad esempio in occasione dell’indipendenza estone, e vide in una mutua cooperazione la strada maestra per creare un contrasto alla presenza germano-russa. Da questa prima fase ci si allontanò però progressivamente nel momento in cui si dovette disegnare sul terreno quello che era stato un semplice progetto cartaceo e in questa realizzazione si riuscì a frantumare quel progetto di unità politica che portò alla successiva spartizione di quei territori. Uno dei progetti più originali dal punto di vista dello scacchiere europeo per la formazione di nuovi stati usciti dalla prima guerra mondiale divenne, in poco tempo, un sistema instabile condannato quindi alla scomparsa e addirittura all’oblio di questa fase di indipendenza nazionale sino al 1991. Molti studi su queste vicende hanno imputato questo destino o alla perdita di importanza strategica per le potenze alleate di queste regioni oppure come un tentativo astratto ben presto riportato alle dure leggi della realtà dalle conquiste tedesche e russe. Vi sono anche però alcuni interpreti di 308 S.Page, cit. pag. VIII 114 queste vicende che hanno sottolineato, come fece Marietti nel 1920, che uno dei punti chiave di quella debolezza è imputabile anche alla perdita di quella visione d’insieme della politica baltica a quella idea del simul stabunt simul cadent che quella opportunità di indipendenza portava nel suo iniziale codice genetico. Per comprendere la perdita di questa impostazione strategica non si può non fare riferimento in primo luogo all’atteggiamento dell’Intesa e a quello che è stato definito il “paradosso baltico”309. Questo mare è stato infatti il luogo in cui si è cercato da parte delle nazioni alleate di sottrarre questi territori all’influenza di Germania e Russia non decidendo mai in modo chiaro tra il fornire appoggio agli eserciti e ai governi nazionali dei tre paesi e il sostegno alle forze militari tedesche e russe e questo per avere a disposizione il maggior numero di eserciti da gettare nella resistenza contro l’espansione dell’Unione Sovietica. Il mantenimento di questa ambiguità politica tra componenti con interessi e disegni politici opposti ha provocato quella frammentazione delle energie necessarie al raggiungimento dei loro obiettivi. Il paradosso sta quindi nel non scegliere in questi anni terribili e violenti tra due strategie chiare: favorire la nascita di spazi nazionali con la formazione di stati indipendenti e tra loro solidali oppure cercare di controllare per favorire il proprio obiettivo le forze militari tedesche, considerandole emanazione della Germania repubblicana, o quelle russe dei generali bianchi della controrivoluzione non comprendendo che il vero fine di queste realtà era rispettivamente quello di ricreare di nuovo uno “spazio tedesco” oppure di ricostruire uno stato russo multinazionale che si richiamasse al vecchio impero zarista. Questo paradosso non dichiarato ufficialmente dall’Intesa che propagandò sempre l’indipendenza nazionale del baltico come obiettivo politico trova invece riscontro nei concreti comportamenti visti nel caso, ad esempio, della guerra di liberazione lettone ma anche nelle vicende della formazione dell’armata volontaria tedesca o nella speranza di utilizzare gli eserciti bianchi come massa di manovra utile per fermare i bolscevichi. Le due impostazioni non furono però vissute in quel momento come distanti ed opposte: gli Alleati considerarono invece le due opzioni come sempre aperte in cui sembra quasi indifferente che lo scenario finale da raggiungere comporti o tre stati nazionali indipendenti o un territorio in cui l’influenza degli Alleati può esercitarsi zona per zona affidandosi ad eserciti russi o tedeschi utilizzati come strumenti per assicurarsene il controllo. Questa ambiguità non sfuggì però alle classi politiche di quelle nazioni che videro in questo comportamento il pericolo di perdere in ogni momento la propria autonomia e spinse gli stessi governi verso politiche di autoaffermazione diffidando dell’appoggio dell’Intesa. Il non scegliere e attendere la serie degli eventi e quindi adeguarsi di volta in volta a favorire i governi nazionali o i disegni militari antisovietici dei russi bianchi e dei tedeschi baltici viene stigmatizzata da Marietti come il vulnus della politica delle potenze alleate sul baltico. Proprio all’inizio della missione il generale italiano può infatti leggere nei documenti che lo devono aiutare a comprendere il quadro che troverà sul terreno che la Missione deve rimanere: “in attesa delle istruzioni politiche che saranno inviate in un secondo tempo dopo la discussione e l'approvazione di queste ultime da parte del Consiglio Supremo”310 Questa difficoltà riemerge anche nella prima riunione dei rappresentanti militari il 5 novembre 1919 al Quai d'Orsay ed egli osserva immediatamente come: “dato il delinearsi di un contrasto tra gli interessi francesi da un lato e quelli americano ed inglese dall'altra, il voto dei delegati italiano e giapponese acquista grande importanza ed è quindi utile sapere la linea di condotta generale da seguire.” Questi punti sono la testimonianza di quella ambiguità strategica che generò successivamente il paradosso: Marietti può annotare nel suo diario la risposta dell’ambasciatore De Martino, 309 310 S,Page, cit. pag.173 Relazione Cavallero, cit. allegato 17 115 emblematica di questa situazione: “ [De Martino] risponde di non prendere partito deciso, ma di navigare fra due acque (cosa non facile quando si tratterà di rispondere con un sì o un no)”311 L’attenzione alla chiarezza dei compiti della Missione attraversata da numerosi contrasti soprattutto tra Francia da un lato e Inghilterra e Stati Uniti dall’altro crediamo sia l’elemento più importante che ci proviene dall’osservazione diretta dei problemi fatta dal rappresentante italiano. Militari e politici tedeschi, governi nazionali baltici, comandanti francesi e rappresentanti militari inglesi cercano di cavalcare tutte le opportunità possibili al fine di raggiungere il proprio fine particolare e i propri vantaggi specifici nessuno riesce però a cogliere che il presupposto necessario a questo darsi da fare è chiarire da subito se l’obiettivo finale sia favorire l’indipendenza nazionale baltica o tenere in vita eserciti e forze per fermare l’avanzata dell’Unione Sovietica. Da questa scelta primaria sarebbe quindi dipesa l’idea di evitare una frammentazione delle azioni militare e politiche che portò all’indipendenza dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania e di costruire una visione d’insieme che tenesse conto del problema di creare il necessario accordo per la difesa comune di quello spazio. La riflessione storica potrà quindi oggi utilizzare queste analisi del generale italiano nel guardare alla direzione di quell’obiettivo che fu una delle alternative sul tappeto nel momento dell’azione e non solo una semplice considerazione teorica a posteriori. Naturalmente non vi è solo la posizione internazionale a giocare a sfavore di questo disegno ma anche il comportamento dei singoli stati baltici ha contribuito non poco a mettere in soffitta un processo politico coordinato. Il caso della Lituania è quindi emblematico sia nelle fasi preliminari della sua dichiarazione di indipendenza sia nei successivi sviluppi politici interni e internazionali e si lega in modo puntuale a queste considerazioni. Le conclusioni di Marietti scritte alla fine della crisi di Memel nel 1924 in cui alla riproposta del sostegno francese alla Polonia afferma che nessuno dei contendenti può avere la speranza di sopravvivere sostenendo singole questioni particolari conferma anche la scelta proposta da parte italiana di scegliere finalmente nella contesa e di assumere da parte delle potenze alleate una posizione più chiara. Attraverso questa prospettiva possiamo osservare meglio anche la pregiudiziale antipolacca della Lituania come un elemento dirimente per lo svolgersi di queste vicende. La sfiducia del generale italiano verso il comportamento nazionalista e miope del governo lituano è certamente il frutto di una risposta sbagliata ai rapporti con la Polonia ma tale scelta è, per lui, in parte da imputare anche al timore dei lituani di ritrovarsi di nuovo sotto il dominio politico di una nazione chiaramente favorita da una delle potenze dell’Intesa. Anche in questo caso le posizioni italiane assumono una diversa connotazione da quelle degli Alleati e richiamano ancora una volta la determinazione e la scelta netta di campo chiesta a gran voce dal rappresentante italiano. La recente storiografia lituana anche in questo caso ha mostrato come la posizione francese e le azioni condotte dal contingente militare a Memel abbiano in qualche modo condizionato i comportamenti del governo lituano che, d’altro canto, non è mai riuscito dalla fine del conflitto sino all’occupazione di Memel a trovare una linea politica che lo facesse uscire dal disastro diplomatico della guerra russo-polacca. Assegnare alla politica francese o agli errori del governo lituano la responsabilità di un comportamento pericoloso o illegittimo non ci deve però far dimenticare che il conflitto polaccolituano è la principale causa del disegno generale di un accordo tra gli stati baltici. In ogni tentativo di riunificazione e di accordo che fu tentato tra Polonia, Lettonia ed Estonia, visto sempre favorevolmente anche dalla Finlandia, naufragò per la resistenza Lituana a creare vincoli stabili tra queste nazioni senza prima aver risolto il problema di Vilnius. Le analisi di Marietti trovano in questa situazione certo un osservatore di parte, la sua sfiducia per il governo lituano è totale, ma contemporaneamente a ciò vi è anche la ribellione di chi vede nella politica filopolacca francese una ostinazione e una incapacità di cogliere sino in fondo che la Lituania è comunque una realtà politica autonoma e trattarla, come fanno i francesi, come semplice appendice federale della Polonia non può che aumentare il risentimento sino a spingere il governo 311 Diario della Missione, cit., pag. 3 116 di Kowno in un angolo da cui non riuscirà più ad uscire. La considerazione di Marietti sul buon senso che se ne sta nascosto per paura del senso comune è l’amara conclusione di chi vede declinare il sogno di uno spazio politico stabile del Baltico ad opera di particolarismi e di chiusure mentali. La situazione internazionale e quindi l’accordo delle grandi potenze per la soluzione di particolari problemi del fronte baltico viene così compiuta dall’Intesa in un quadro politico che ha già di fatto concluso il suo iter di alleanza e si avvia verso la frantumazione successiva. Sin dal 1919 si manifestano infatti quelle tensioni tra Inghilterra, Francia e Stati Uniti che porteranno ad una sottovalutazione reale dei problemi politici nell’area. Questo contrasto giungerà quindi sino ad affidarsi ad alternative politiche e militari viste semplicemente in funzione di opposizione all’espansione sovietica generando quelle tensioni che riporteranno in primo piano il ruolo della Germania. Questo giudizio si innesta quindi in maniera più vasta sugli aspetti della sistemazione elaborata a Versailles soprattutto alla luce dei successivi avvenimenti che impegneranno popoli e formazioni politiche in Europa orientale in una sfibrante opera di alleanze con i paesi che vorranno a tutti i costi partire da una revisione dei vari trattati che avevano, di fatto, cambiato la carta europea: “la dissoluzione dei grandi Imperi plurinazionali, la fine del militarismo prussiano e dell’espansionismo ad esso collegato, avrebbero dovuto aprire una nuova epoca caratterizzata dalla presenza di quelle nazionalità che finalmente diventano soggetti di diritto internazionale con un proprio Stato sovrano, libero e indipendente. Se questo è lo sfondo generale, la tensione ideologica interna alle varie società produce effetti contrastanti e contraddittori, aprendo un periodo di crisi e di instabilità lungo un ventennio. Paradossalmente è proprio a Versailles che si verifica il naufragio di tutti i presupposti ideologici prevalendo, alla fine, la vecchia logica delle grandi potenze ben decise a rimanere tali e lo spirito di crociata - già manifestatosi durante il conflitto - che tende a “punire”, materialmente e moralmente, gli sconfitti ben oltre la naturale logica del rapporto vincitore-vinto.” 312 Il rapporto con il mondo tedesco nella vicenda dell’indipendenza baltica è quindi un altro punto di grande interesse nella documentazione del generale italiano. Per molti anni si è discusso e, in alcuni casi, anche negato il ruolo centrale che ebbe la repubblica di Weimar con le sue debolezze interne e con i suoi conflitti nel determinare le vicende di questa regione. La storiografia di stampo nazionalista lituana, lettone ed estone ha sempre sottolineato che la permanenza delle truppe tedesche fu un semplice strumento di colonizzazione e di dominio e che l’errore commesso sia dai governi nazionali che dalle potenze internazionali fu il permettere a queste truppe di poter agire indisturbate sino al momento in cui si comprese la loro pericolosa attività e i loro disegni politici conservatori contro le nazioni appena formate. Il ruolo della Germania invece è più complesso e più sfumato e sicuramente non è semplicemente rappresentato dalla presenza di un nazionalismo di stampo feudale. Il debole governo di Weimar si trovò a fare i conti invece con una serie di formazioni militari e politiche in opposizione al suo governo che non solo non avevano subito i rovesci del fronte occidentale ma erano state in grado, nei fatti, e in completa assenza di interventi alleati di femare l’espansione bolscevica verso occidente come nel caso della guerra di indipendenza finlandese. Il governo repubblicano tedesco ebbe invece una sua strategia per poter mantenere una egemonia sul baltico e tale strategia comportò una ripresa delle decisioni politiche prese dall’Impero tra il 1915 e il 1917 fornendo ad esse nuovi contenuti e nuove impostazioni. Marietti sottolinea nelle sue Osservazioni come non tutti i baroni baltici tedeschi siano in realtà l’espressione di una feudalità di rapina e spinge alla ricerca di un dialogo tra le popolazioni e questa elite sulla base di nuove condizioni economiche e sociali dovute al mutato quadro politico. Contro l’idea di una cacciata dei tedeschi tout court di cui si faranno scudo molti politici e militari europei la ricerca di un accordo su nuove basi può a suo giudizio ritrovare uno spazio solido anche in funzione antisovietica. Questo disegno, per molti versi, è simile a quello colonialista impostato inizialmente dal governo socialdemocratico tedesco e al tentativo non riuscito di ricondurre la Germania ad esercitare quella 312 Antonello Biagini, Storia dell’Ungheria contemporanea, Milano 2006, pag. 88 117 funzione storica di egemonia sulla regione senza per questo divenire strumento di semplice repressione. La tradizione culturale e storica che lega alla Germania queste popolazioni può divenire un filo rosso per tessere nuovi rapporti. Il fallimento di questa iniziativa e il passaggio del controllo delle truppe baltiche ad elementi ultraconservatori ed estremisti si connette quindi anche in questo caso nella incapacità in quel momento da parte dell’Intesa di creare opportune distinzioni tra le classi politiche tedesche e assegnare ad esse il ruolo del nemico. Marietti sin dal dicembre del 1919 segnala invece a Parigi che le truppe tedesche sconfitte e in ritirata, moralmente frustrate dalla fine dell’avventura baltica ma ancora in forze e capaci di una rivincita sono un pericolo per la stessa repubblica. Le segnalazioni da lui compiute della pericolosità di questi nuclei militari giungono sino ad una segnalazione di un probabile colpo di stato contro Berlino. Uno degli aspetti più interessanti della documentazione della Missione è che tutti i rappresentanti dell’Intesa, e il generale italiano per primo, si rendono conto della forza di questo corpo militare che torna in Prussia Orientale convinto che la Repubblica li abbia traditi dopo aver favorito la loro partecipazione alla guerra di indipendenza baltica. La risposta ufficiale a questo segnale che dovrebbe portare ad una riflessione più attenta delle truppe tedesche che hanno partecipato a questa campagna militare è il disinteresse. La notizia di un possibile colpo di stato viene infatti archiviata come impossibile in quel momento sia per ragioni politiche interne sia per evitare ritorsioni da parte degli Alleati. Eppure non è un caso che nei primi mesi del 1920 una parte di quelle truppe tenterà effettivamente un putsch con a capo l’esponente prussiano Wolfgang Kapp che fu favorito dagli elementi ultranazionalisti tra le cui file vi sono avanguardie del contingente baltico. Non è un caso nemmeno che una componente ancor più piccola di quell’avanguardia sarà protagonista dell’omicidio due anni più tardi del ministro degli esteri repubblicano Walther Rathenau l’esponente politico che forse più degli altri aveva la possibilità di avviare nuovi rapporti tra tedeschi e alleati. Il ruolo che queste truppe ebbero quindi nella successiva vicenda politica interna tedesca possono farci comprendere come le analisi di Marietti furono anche il frutto di quella osservazione puntuale del clima tedesco in Prussia Orientale in quegli anni decisivi. Oggi infatti alcuni studi sul ruolo del baltico nella cultura tedesca del periodo hanno ormai sottolineato il ruolo di queste regioni per la cultura tedesca e la funzione di attrazione non solo militare che queste regioni hanno rappresentato. Le considerazioni fatte da Marietti servono quindi a documentare questo quadro e a costruire una nuova riflessione sul rapporto tra la Germania e le regioni baltiche e più in generale l’atteggiamento critico che lo stesso Marietti fece nelle sue considerazioni posteriori sul Trattato di Versailles.313 All’interno delle riflessioni su Versailles il contributo che la storia di queste regioni e le osservazioni e la documentazione italiana sulla vicenda dell’indipendenza del baltico può quindi integrare la discussione sul rispetto del principio di nazionalità e della sua applicazione da parte delle nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale considerando che il paradosso baltico non appartiene solo alle storie di questo estremo territorio del nord Europa. Il paradosso si iscrive infatti in quella difficoltà di applicazione dei principi sanciti dal Covenant del Tattato di Versailles di diretta ispirazione wilsoniana per i paesi dell’Europa Orientale e al ruolo che ebbe nei primi anni della storia europea dopo il primo conflitto mondiale. Possiamo quindi sostenere che il giudizio generale fornito da uno storico delle regioni balcaniche può facilmente essere esteso, come considerazione su quelle vicende, anche alle altre regioni dell’Europa: “con i trattati parigini, i pacificatori riuscirono a raggiungere soltanto in modo molto imperfetto l’obiettivo che si erano prefissati, cioè di spianare ai piccoli stati di nuova creazione dell’Europa centro e sud orientale la strada verso un’indipendenza duratura mediante un ordinamento generale stabile, costituito dal sistema di Versailles”.314 313 314 Si veda il Capitolo III. Edgar Hosch, Storia dei paesi balcanici, Torino 2005, pag. 195 118 Vi è poi un ultimo elemento da sottolineare e che riguarda essenzialmente la figura di Marietti come risultato di una preparazione e di una formazione della classe militare italiana. Lungi dall’essere un militare che si occupa di alcune missioni in una regione marginale agli interessi italiani egli si trasforma in un intelligente ed acuto osservatore di tutta la realtà di questi paesi e ci fornisce notevole un quadro concettuale per la nostra riflessione. Sulla figura del generale Marietti, anche alla luce delle sue successive pubblicazioni degli anni che vanno dal 1920 al 1930, si ritrova quella figura di osservatore tecnico che offre concreti spunti non solo alla documentazione ma anche alla riflessione successiva sul ruolo che le missioni militari internazionali riuscirono ad esprimere per chiarire temi e problemi offuscati negli anni successivi dalla propaganda politica delle varie nazioni. Paura del comunismo, labilità militare e politica dei confini, peculiarità etniche fanno di queste regioni un interessante osservatorio dove tutti gli elementi di crisi generati dalla pace di Versailles vengono alla luce e confermano l’ipotesi del baltico paradigma della seconda guerra mondiale. I renversement di quella politica vengono qui tutti consumati in pochissimi mesi e l’oblio dei paesi baltici sia dalla politica generale dell’Europa sia dalle convulsioni etniche o nazionalistiche che animeranno gli anni successivi non appare quindi del tutto dominio solo del caso. Essa è frutto di precise scelte compiute nel corso di questi cruciali anni in cui l’insieme dei paesi europei prima per motivi politici di contenimento dei sovietici e poi, per motivi opposti, dovuti alla ricerca di alleati contro il nazismo saranno sacrificati dai paesi democratici occidentali sull’altare di questo riavvicinamento dettato da esigenze di politica internazionale. L’abile politica di riavvicinamento alla germania nazista compiuta da Stalin prima e poi di alleanza con i paesi nemici di Hitler porterà così questi popoli, ancora una volta, molto lontani dalla possibilità di una loro libera collocazione nell’ambito delle nazioni europee. 119 Appendice - Appunti e Osservazioni sugli Stati del baltico 120 APPUNTI ED IMPRESSIONI su GLI STATI DEL BALTICO compilati dal brigadiere generale Giovanni Marietti, delegato italiano nella Commissione militare interalleata per 10 sgombro delle Province Baltiche Novembre 1919 Gennaio1920 121 BIBLIOGRAFIA 1. M. MARTNA "L’Estonia" - Roma, Editore Signorelli 2. CARL MEISSNER "Das schoene Kurland" - Muenchen - Piper 3. URBUSOW "Grundniss der Gesvhichte Livonia,Estonia,und Kurlandia" - Riga, Jonk & Poiiewski 4. V. P0RNETH "Di Letten unter den Deutschen – Hannover - Habn 5. V.ENGEHARDT' "Die Deutschen Ostseeprovinzen Russlands" - Munchen - Muller 6. TORNIUS "Die Baltischen Provinzen” - Leipzig - Teubner 7. BENNO MARQUART "Die Landwirtschaftlichen Verhaltniffe Kurlands" - Berlin - Paul Paren 8. EMILE DOUMERGUE "La Lettonie et la Ba1tique" - Paris - Editions de Foi et Vie 48, Rue de Lille 9. JOHANNES WRONKA “Kurland und Litauen” - Freiburg - Herdersken Verlagshandlung im Breisgau 10. Dr_ GAIGALAT, "Die Litauiech-Baltische Frahe" – Berlin - Verlag der Grenzboten 11. "Lettische revo1ution" – Berlin - Reimer 12. R.WERBELIS·"Russisch-Litauen" - Stuttgart J.Schrader” 13. ASCHMIES "Land und Leute in Litauen"- Breslau - Priebatsch 14. Dr.W.GAIGALAT "Litauen" - Frankfurt a/M. - Frankfurter Verein -sdruckerei, Ver1ag, 122 I – PREMESSA Destinato a far parte della commissione interalleata incaricata dalla Conferenza della Pace di far sgombrare le truppe-germano-russe dalle province baltiche e condotta felicemente a termine l'operazione, penso che possa riuscire utile ed interessante riunire dati ed impressioni sulle regioni, dove ho vissuto per oltre due mesi. Due mesi sono sicuramente insufficenti per poter dire di conoscere a fondo un paese. E per questo é bene dichiarare subito che le impressioni debbono essere soltanto considerate nel senso letterale della parola e rittenute come del tutto personali, per quanto nell'osservare e nell'apprezzare mi sia sforzato di essere obbiettivo. Tuttavia, la condizione, in cui la commissione si è trovata, di dover venire a contatto con capi e con membri dei governi, il desiderio di questi e di molte altre persone di illuminarci sui vari aspetti della situazione, il lavoro intenso a cui per necessità la commissione è stata costretta, tutto ciò ha consentito di vedere molto in breve tempo. Data la precedente dichiarazione di insufficenza, si dovrebbe logicamente dedurre essere inutile esporre impressioni certamente manchevoli e forsanco false. Ma io penso che, forse, un militare è meglio d'ogni altro in condizioni di giudicare e di apprezzare in campi estranei alla propria missione, perché egli in quei campi non ha preconcetti e, soprattutto, non ha interessi materiali da far valere o da sviluppare. In tutta la vasta regione percorsa non ho trovato che un italiano, un maestro di violino di Riga, ed un lituano che parlasse la nostra lingua, l'attuale ministro per gli affari esteri della Lituania. Nessun interesse diretto lega dunque l'Italia agli Stati baltici, vien fatto di dedurre. Certo, nessun interesse economico immediato, sia per ragioni di distanza, sia per ragioni di prodotti, sia per ragioni di concorrenza e di già avvenuto accaparramento. Ma se dal campo particolare ci si solleva al campo generale della situazione europea, si scorge tutta l'importanza di questi nuovi e malfermi Stati che, dal Baltico al Mar Nero, si interpongono oggi all’Europa centrale ed il caos russo. Per parte mia ho la. convinzione assoluta che questi Stati rappresentino la chiave di volta dell'odierna costruzione europea. Se essi resisteranno, v'é la possibilità che l'Europa si salvi dal bolscevismo. Ma da soli essi non possono resistere: Hanno eserciti deboli e finanze più deboli ancora e quindi occorrono loro aiuti d'ogni specie. Per contro hanno un sentimento nazionale molto sviluppato ed inoltre – almeno per quanto riguarda Estonia, Lettonia e Lituania – non hanno contrasti tra loro. Quale possa essere, la loro. sorte futura e quale sorte sia da augurare loro, è diffici1e dire. Se la Russia, in una od in altra forma, ritornerà a stato unitario, essi verranno a trovarsi come il vaso d’argilla tra vasi di ferro. Se la Russia si riordinerà in uno stato federativo od in una federazione di stati, sorgerà il problema se convenga comprendervi gli stati baltici per sottrarli alla cupidigia 123 germanica. Oggi come oggi, questi sono problemi prematuri, mentre è·impellente il problema di dare agli stati baltici la vitalità necessaria per resistere alla pressione bolscevica, non soltanto nell'interesse loro, ma nell’interesse dell'Europa. 124 II - IL PROCESSO STORICO DEGLI STATI BALTICI Senza scendere in particolari, né procedere ad una narrazione storica, è sufficente accennare che le regioni contornanti da sud la parte centrale del Mar Baltico risentirono grandemente l'influenza degli Stati, che via via attraverso i secoli ebbero la prevalenza ne1l'Europa nordorientale: Svezia, Polonia, Russia, Germania. Di questi stati esse divennero dominio diretto; oppure oggetto di aspirazioni, oppure campo di sfruttamento commerciale. Le popolazioni indigene conservarono però - ed è questa una caratteristica essenziale - la loro personalità etnica, manifestantesi soprattutto nella permanenza della rispettiva lingua. Fino al XII secolo queste popolazioni, pur conservando una pressoché selvaggia indipendenza, sono sotto l'influenza svedese. Dal principio del XIII, secolo comincia per l'Estonia e la Lettonia, affacciantisi al Baltico, la conquista dell'Ordine Teutonico; per la Lituania l'attrazione e poi l’assorbimento del confinante regno di Polonia. Per l'Estonia e la Lettonia si gettano così le basi della colonizzazione tedesca e della questione agraria che, nella lotta tra la nobiltà balto-tedesca e la grande maggioranza della popolazione agricola, rappresenta oggi uno dei problemi più gravi. Per la Lituania si gettano invece le basi delle opposte aspirazioni territoriali di essa e della nuova Polonia, che determinano oggi non lievi contrasti e mantengono in armi l'un contro l’altro i due eserciti. Col procedere del tempo le varie nazioni vengono sempre maggiormente, differenziandosi nel grado di civiltà, di sviluppo e di aspirazioni. ESTONIA. Sul finire del XII secolo incomincia la conquista dell'Estonia da parte dei Cavalieri dell'ordine teutonico. Fino allora gli Estoni appaiono come dediti all’agricoltura, alla pesca. alla navigazione ed anche alla pirateria. L'ordine teutonico con i suoi guerrieri e coi suoi frati ebbe a sostenere lunghe e gravi lotte per sottomettere la popolazione indigena e per ridurla a servitù della gleba. Là nobiltà straniera si fece padrona della maggior parte delle terre, amministrandole a sistema feudale fino al principio del secolo XIX, quando nominalmente la Russia largì la liberazione. dei contadini. Di fatto la nobiltà trovò modo di eludere le leggi non soltanto allora, ma anche successivamente e fino ai nostri giorni. Durante la guerra mondiale, occupata l'Estonia dagli eserciti tedeschi e crollato l'impero russo, credette la nobiltà baltica di poter definitivamente riacquistare l'antica potenza; si affrettò ad annullare le poche concessioni, che era stata costretta a fare. Venne finalmente la sconfitta della Germania, la proclamazione dell'indipendenza dell'Estonia ed .il crollo del sogno dei baroni baltici. Questi però non possono essere soppressi; di qui il sorgere del problema della proprietà terriera, che verrà esaminato dopo aver trattato delle condizioni del suolo e della popolazione rurale e dopo di aver parlato della Lettonia, nella quale il problema si presenta sotto identiche forme e che storicamente ha vicende in gran parte comuni. 125 LETTONIA. Pure alla fine del XII secolo la Lettonia è oggetto della conquista per parte dell'ordine teutonico e la storia di essa si può sintetizzare in tre grandi periodi: dal 1200 al 1562 appartiene all'ordine teutonico; dal 1562 al 1795 è ducato germanico sotto l'alta sovranità della Polonia; dal 1795 al 1916 è provincia russa. Particolarmente notevole è il periodo di regno, dal 1642 al 1682, del duca Giacobbe, il quale cementò l'unione delle varie parti del ducato e ne allargò i confini, diede un impulso straordinario alle industrie locali, costruì una flotta commerciale ed una flotta militare, e giunse persino ad avere piccole colonie transoceaniche, come quella alla foce del Gambi in Africa e l'isola Tabago nelle Indie occidentali. Questo fiorente e promettente sviluppo si arrestò per la guerra tra Svezia e Polonia, di cui la Lettonia fu in parte teatro; il duca Giacobbe, sorpreso nel castello di Mitau, fu dagli Svedesi imprigionato nella fortezza di Narva fino alla conclusione della pace di Oliva (1560). Liberato, cercò di ricostruire sulle rovine della guerra; le colonie erano state prese dall'Inghilterra. La guerra della Svezia contro la Russia e la Polonia riaccesasi nel 1700 e durata fino al 1720 riempì di nuove rovine la Lettonia, cosi che il XVIII secolo, e specialmente la prima metà di esso, segna il periodo di maggiore infelicità e miseria. Indebolita l'autorità del principato per inettitudine e per lotte di pretendenti, acquista nuova forza la nobiltà. Il crollo della Polonia portò come conseguenza immediata l'incorporazione della Lettonia alla Russia (1795), la quale le lasciò però, allora, una certa autonomia e consentì la lingua tedesca come lingua ufficiale. La tranquillità permise il rifiorire fino a quando la Lettonia fu di nuovo teatro di una grande guerra nel 1812; gli eserciti alleati di Macdonald e di York combatterono a Bauske e Mitau ed assediarono indarno Riga. Poi ritornò ancora la pace, ma mutò la politica dell'impero russo. L’autonomia a poco a poco dispare e si inizia e si continua quell’opera di russificazione, interrotta dalla rivoluzione del I1905 ed arrestata soltanto dalla grande guerra e che è comune alle attigue provincie di Estonia e di Lituania. LITUANIA. Di assai maggior luce, che non quella dell’Estonia e della Lettonia, brilla la storia della Lituania, che può paragonarsi ad una meteora splendente all'inizio e via via affievolitasi e che spiega come oggi il popolo lituano, di fronte alla possibilità di riaffermarsi, senta fortemente di sé ed a malgrado della propria debolezza costituzionale e sociale, abbia aspirazioni di grandezza. Sino all'XI° secolo la storia del popolo lituano è avvolta nell'oscurità; mentre si rinvennero prove che la Lituania fu abitata nell'etàA della pietra, nessuna traccia si trovò dell'età del bronzo; si scopersero invece tombe dell'età del ferro e numerose monete del tempo da Nerone·ad Aureliano, 126 unitamente a copiosi ornamenti d'ambra, il che indica un commercio, già attivo in quei tempi, della preziosa resina. Durante l’XI° ed il XII° secolo si sviluppa e si c onsolida il principato di Lituania, che lotta vittoriosamente contro i Russi, allarga notevolmente i confini verso la Russia Bianca e la Russia Nera e diviene nel 1235 Granducato indipendente. Nel 1252, dopo che la maggior parte della popolazione era passata al Cristianesimo, la Lituania diventa regno. Ha allora da lottare aspramente, ma col, pieno successo·finale, contro le forze dell'Ordine teutonico. Nel XIV° secolo continuano pure gli ampliamenti territoriali, tanto che i confini vengono spinti fin presso Mosca verso est, fino al Mar Nero verso sud, fino all'odierna Galizia ed ai confini romeni verso ovest. Il periodo dal 1390 al 1430 rappresenta, sotto il regno associato di Jogaila e di suo nipote Witautas, il massimo splendore della Lituania. In unione alla Polonia lotta contro i Tartari; vince a Tannenberg (1410) definitivamente i Cavalieri teutonici, coi quali stipula la pace, che fissa i confini tra Lituania e Prussia orientale rimasti inalterati fino ad oggi e che hanno staccato la piccola Lituania (tra Niemen ed il confine) dalla grande Lituania. Il trattato di Versai1les, portando il confine al Niemen, riunisce di nuovo le due Lituanie. Nel 1386 era però avvenuto un fatto dinastico, che ebbe conseguenze di capitale importanza per l’avvenire della Lituania e della Polonia. Jogaila sposa la giovane regina di Polonia Edvige, abbraccia con gran parte della nobiltà il cristianesimo e prende il nome di Wladislaw. Per evitare la conseguente unione della Lituania alla Polonia, l'imperatore Sigismondo offre a Witautas di assumere da solo la corona di Lituania; ma Witautas muore improvvisamente. Allora si costituisce l"unione della Lituania alla Polonia, unione dapprima semplicemente personale e poi, col trattato di Lublino del 1569, unione effettiva. Il Re di Polonia ha anche il titolo di Granduca di Lituania. Conseguenze principali di ciò furono: la nobiltà lituana ebbe piena uguaglianza di diritti e di privilegi con la nobiltà polacca, il che consentì i matrimoni tra membri delle due nobiltà, l'estendersi della lingua e dei costumi di Polonia ed il prevalere della politica polacca; un unico parlamento della nobiltà, pur conservando ognuno dei due stati le proprie leggi ed il proprio esercito. Anche queste differenziazioni andarono col tempo attenuandosi: la:Podolia, la Volinia e l'Ukraina passarono a far parte della Polonia e col nome di Lituania si intese in seguito soltanto il territorio che, sotto l'impero Russo più tardi comprendeva i 'governatori di Kowno, Vilna, Grodno, Minsk, Mohilew e Vitebsk. 127 Se però la nobi1tà lituana adottò costumi e lingua di Polonia, il popolo rimase fedele alle proprie tradizioni, ed alla propria lingua, così che al modesto ed ignorante agricoltore va il merito di aver custodito il patrimonio spirituale e linguistico. Con la spartizione della Polonia (I772, I793, I795) la Lituania passò a far parte dell’impero russo: il congresso di Vienna ribadì quueta assegnazione ed anche il nome di Lituania venne stlstituito da quello di Province nord-occidentali. La nobiltà baltica. I Cavalieri dell’ordine teutonico misero, come s’é visto, saldo piede in Lettonia ed in Estonia, ma non riuscirono a penetrare a malgrado di ripetuti sforzi, in Lituania. Ciò ha determinato una situazione del tutto diversa nei primi due Stati rispetto al terzo nei riguardi delle condizioni della proprietà terriera e dei rapporti tra proprietari e contadini. Di questa situazione verrà trattato più innanzi, ma conviene ora accennare all'opera della nobiltà baltica per poter rendersi ragione delle condizioni odierne della proprietà e dell'avversione del popolo verso la nobiltà in Lettonia ed Estonia. I Cavalieri teutonici, occupato il paese, vi si installarono in gran numero, togliendo le terre alle comunità ed ai contadini proprietari e riducendo questi ultimi allo stato di servi. Basterebbe questo fatto per spiegare l'astio secolare ed il desiderio oggi, in cui esiste la possibilità, di riavere quanto fu loro tolto. Ma v’è dell’altro. I baroni baltici tolsero non soltanto le terre, nella coltivazione delle quali possono aver portato mezzi e cognizioni non accessibili ai contadini, ma tolsero anche ogni libertà politica. Essi avevano in ogni provincia una Dieta, solo organo delibèrativo per gli interessi regionali e dalla quale erano escluse le altre classi sociali: divenute province russe, il governo di Pietrogrado provvide bensì a limitare i poteri della nobiltà baltica per trasferirli ai funzionari russi, ma concesse sempre una posizione privilegiata alla nobiltà stessa: ad esempio, la nobiltà dell'Estonia, rappresentante il 0.25% dell'intera popolazione, eleggeva per la Duma lo stesso numero di deputati che il popolo. Di conseguenza il governo russo trovava sempre nella nobiltà il migliore alleato. È numerosi membri di questa nobiltà entrarono a servizio della Russia nella Corte, nelle amministrazioni centrali, nell'esercito. Altro mezzo di dominio fu l' ostacolare con ogni mezzo l'istruzione popolare e professionale, che pure, pel desiderio del popolo e per necessità di tempi, doveva essere impartita. Né le cose migliorarono quando la scuola passò in mano russa; divenne lo strumento più possente di snazionalizzazione e di russificazione: gli insegnanti estoni o lettoni venivano inviati in Russia e nelle province baltiche erano chiamati insegnanti russi. 128 La nobiltà baltica, in sostanza, vivendo in mezzo, anzi al di sopra, della popolazione indigena, la sfrutta da secoli in base ai privilegi storici e contrasta sistematicamente, a difesa dell’esistenza propria, ogni aspirazione di libertà, di indipendenza, di sviluppo civile. Quando nel 1917 crollò la potenza imperiale russa, i baroni baltici - che a vero dire avevano nella massima parte combattuto lealmente sotto le bandiere russe contro la Germania - fecero buon viso agli eserciti tedeschi. Videro nella Germania una protettrice dei loro privilegi; questa vide nella nobiltà baltica, originariamente tedesca, lo strumento per l'espansione e l'affermazione verso oriente. Esisteva dunque un programma comune, che si può così riassumere: unire le varie province baltiche in uno stato autonomo; avviare questo verso un'unione personale (ducato baltico retto dal Re di Prussia): secondo la Germania, l'unione reale avrebbe dovuto eseguire; secondo la nobiltà baltica, non si doveva andare oltre l'unione personale, affinché i privilegi di essa fossero mantenuti. L’autorità militare tedesca assecondò subito questo piano con tutta l’irruenza propria dei Tedeschi Che hanno nelle mani il potere. Quel poco di buono, che, ad indebolimento della prepotenza della nobiltà, era stato fatto dal governo russo, venne distrutto: i baroni baltici riebbero tutte le loro funzioni. E per camuffare tutto questo con una veste consona ai tempi, alle antiche diete (da cui il popolo era escluso) si dette il nome di assemblee del paese. Il crollo della Germania fu pure il crollo del sogno della nobiltà baltica. Ma, di fronte allo schiudersi della volontà nazionale d'indipendenza, i baroni si trovano in una situazione difficilissima. Politicamente compromessi, incurabilmente attaccati ai loro antichi privilegi, mal visti dal popolo, dal quale non hanno saputo farsi amare, essi si vedono minacciati financo di un'espulsione in massa. Ad accrescere le difficoltà valse anche il loro contegno in questi ultimi mesi rispetto alle truppe germano-russe rimaste nel paese. Sparita la Russia imperiale, sparita la Germania imperiale, i baroni baltici credettero di vedere nelle truppe di Bermond una nuova forza, a cui chiedere protezione. Disgraziatamente l'indisciplina di queste truppe, i saccheggi, le violenze d'ogni specie non fecero altro che aggiungere esca all'odio della popolazione verso la nobiltà, che le proteggeva. L’immediata conseguenza fu che, appena partite le truppe di Bermond, il governo 1ettone emanò una lunga lista di proscrizione di nobili gravemente compromessi. Durante l'anno d'armistizio, baroni baltici rifugiatisi in Germania non cessarono di agitarsi in senso germanofilo; fallita però l'avventura di Bermond, essi compresero di non aver più nulla da sperare, almeno per ora, dal governo tedesco e fecero dichiarazioni di lealismo verso i governi locali. 129 Alcuni di questi nobili, coi quali la Commissione venne a contatto, espressero chiaramente il loro errore passato e la volontà ,di adoperarsi pel bene del popolo , e della terra. Fu loro caldamente consigliato di seguire questa via. Difatti alle già gravi questioni, che tormentano quei nuovi Stati,. non dovrebbe aggiungersi quella della rivoluzione del sistema agrario. La nobiltà·possiede i capitali necessari per lo sviluppo agricolo ed industriale e che né Stato, né contadini posseggono; possiede inoltre 1'esperienza di secoli. D'altra parte la classe agricola non ha (per colpa della nobiltà, è vero) il grado necessario di sviluppo per procedere ad una socializzazione delle terre. Forse, se la nobiltà comprenderà che l’era delle prepotenze e dei privilegi castali è definitivamente tramontata, sarà possibile un accordo sulla base del pacifico concorso tra capitale e lavoro, con enorme vantaggio dell’agricoltura e del benessere generale. 130 III CENNI GEOGRAFICI Nel trattare degli elementi geografici e, nel capitolo·successivo, degli elementi etnografici verranno considerati come limiti territoriali quelli indicati dai governi attuali:essi non formano oggetto di controversia tra Estonia e Lettonia, tra-Lettonia e Lituania e tra questi due ultimi Stati e la Germania. Forti divergenze esistono invece tra Lituania e Polonia. Per quanto riflette i confini verso est essi non sono ancora definiti a motivo dello stato di guerra coi Bolscevichi, ma non presenteranno difficoltà che per quanto riguarda la Lituania rispetto alla Russia Bianca ed alla Polonia. ESTONIA. Il territorio a popolazione estone comprende: l'antico governatorato di Estonia; la parte settentrionale della Livonia; una parta del governatorato di Pskow fra il confine della Livonia, il lago Pskow ed il fiume Velikaia; una striscia del governatorato di Pietrogrado, cioè la pianura di Luga sulle sponde del Narova e della parte settentrionale del lago Peipus. Fanno inoltre parte dell'Estonia circa 80 tra isole ed isolotti lungo la costa. L'Estonia ha quindi per confini: a nord il golfo di Finlandia; ad ovest il Mar Baltico; verso sud il confine etnografico con la Lettonia è nettissimo, mentre manca, ogni traccia·di confine fisico; la linea di demarcazione etnografica va da Haynasoh sul Baltico per Rujen, Wa1k, Taivola, Pugula al fiume Velikaia ed a1 lago Pskow. Verso est è difficile. tracciare. il confine etnografico, in quanto che isole estoni si spingono molto verso est; le richieste dell' Estonia fissano il confine al fiume Velikaia, ai laghi Pskow e Peipus, al fiume Narova. La superfice complessiva risulta così di circa 60.000 chilometri quadrati (Piemonte, Lombardia, Liguria presi assieme). Non si è potuto avere a disposizione maggior quantità di elementi relativi all’Estonia, non avendo la Commissione visitato tale Stato. LETTONIA. Incastrata tra l'Estonia e la Lituania, la Lettonia ha con la prima la linea di confine sopra accennata e riconosciuta senza contestazione dai rispettivi governi. Parimente verso sud ha con la Lituania una linea di confine etnografico non contestata e che segue in massima parte la linea divisoria tra i cessati governatorati russi di Riga e di Kowno (e cioè una linea che da Polangen sul Baltico va a Skudi, Lyatskows, Jagori, Bauske, Radziviliski, Suveiniski, Novo Aleksandrovsk). Verso est, cioè tra i due confini ora accennati, il confine (non ancora definitivamente stabilito, in quanto che dura la guerra contro i Bolscevichi così da parte lettone come da parte polacca) dovrebbe passare ad ovest di Pitalows, ad est di Resekne ed a sud di 131 Dwinsk, includendo nello stato lettone tutta la Livonia e tutta la Lactigallia. Ad ovest ed in parte a nord il confine è dato dal Mar Baltico. La superfice così racchiusa misura circa 64.000 chilometri quadrati. In Lettonia, al pari che in Estonia, il suolo costituito da formazioni glaciali del quaternario riposanti su scisti del devoniano: quest'ultima roccia appare allo scoperto soltanto in alcune profonde incisioni create dalle correnti fluviali. Le coste sono pure, in massima parte piatte e dunose; soltanto tra i porti di Libau e di Windau scendono sul mare alte e ripide. Parallelamente alla costa occidentale ed al corso della Dwina corrono catene di basse colline (massima quota 200 metri) che, raccordandosi verso sud, comprendono il fertile bassopiano di Mitau; in esse la Windawa, l’Abau;·l’Aa hanno praticato profonde incisioni. Di gran lunga più importante è il fiume Dwina, che atttraversa con direzione da sud-est a nord-ovest l’Estonia sboccando nel golfo di Riga a Dünamünde (60 km a nord di Riga) e separando la Livonia dalla Curlandia. Ha 1024 chilometri di corso ed un'imponente massa di acqua, la quale a nord di 'Riga supera i 1000 metri di larghezza. A motivo di numerose rapide, la Dwina non è navigabile a navi di media portata che nel tratto inferiore; è invece utilizzata dalle caratteristiche struse, zattere che trasportano a valle prodotti d'ogni genere e, giunte a destinazione, vengono disfatte ed il legname venduto per costruzioni. Riga (Dünamünde) è il più importante sbocco sul mare, ma questo gela da dicembre a marzo. Windau e Libau sono gli altri due porti commercia1i, di cui l'ultimo non gela mai. LITUANIA. Verso nord la Lituania confina con la Lettonia nel modo che s'é detto sopra. Verso ovest confina con la Germania per mezzo del fiume Niemen per un certo tratto e quindi secondo la linea tracciata dal trattato di Versailles. Verso sud e verso est tutto è ancora da definire: i Polacchi, che hanno grandi aspirazioni, occuparono buon tratto del territorio voluto dai Lituani: intervenne la Conferenza per la Pace a stabilire una linea di demarcazione, la quale non fu rispettata dalle truppe polacche; intervenne il maresciallo Foch ad imporre una linea d'armistizio, ma neppure questa fu rispettata. Volendo considerare i confini etnografici, si può dire che la Lituania comprende gli antichi governatorati russi di Kowno, Wilna e Suwalki, più la piccola Lituania tra il Niemen e l'antico confine germano-russo. Mentre però tutto il governatorato di Kowno è prettamente lituano, quello di Wilna è lituano soltanto per metà e cioè la zona a nord, ad ovest ed a sud della città di Wilna, mentre il resto è bianco-russo: quello di Suwalki è abitato nei circoli di Suwalki ed Augustovo da Polacchi e Bianco-Russi. Poiché tuttavia le statistiche finora esistenti sono quelle russe, 132 comprendenti cioè gli interi governatorati, le indicazioni, che verranno date in séguito, si debbono intendere date con questa riserva. La superfice dei tre governatorati è di circa 100.000 chilometri quadrati. L'insieme si può considerare come un bassopiano ondulato, che sale leggermente da occidente verso oriente e da nord verso sud. Numerose e non elevate colline (la massima altezza è di 300 metri) accompagnano i corsi d’acqua e contornano numerosi laghi; l'uniformità delle altezze e le forme largamente tondeggianti danno spesso all'insieme l'aspetto di una pianura solcata da profonde valli d'erosione. Le acque sono copiose a motivo specialmente delle abbondanti precipitazioni determinate dal predominio di venti umidi dell’ovest e dall’esistenza di strati rocciosi impermeabili a breve profondità della superfice. Si nota tuttavi una diminuzione, rispetto all’antico, del volume dei corsi d'acqua (letti asciutti in estate) dovuta alla distruzione di boschi. La maggior parte dei fiumi ha orlgIne nelle alture, che sorgono nel governatorato di Wilna ed hanno foce nel Baltico. Il maggior fiume è il Niemen (in tedesco Memel, in lituano Nemunas) che nasce nel governatorato di Minsk, riceve numerosi ed importanti affluenti, che coprono la Lituania come una rete, e si getta nel Kurische Haff. Notevoli sono pure i fiumi Minge e Fenta. Di laghi se ne contano oltre 2000. Centri importanti sono: Wilna, capitale, con 200.000 abitanti; Kowno con 90.000; Suwalki con 25.000, Schawli con 20.000. 133 IV - LE POPOLAZIONI Le tre razze, estone, lettone e lituana sono nettamente distinte tra loro; gli Estoni provengono dal ceppo finnico, mentre Lettoni e Lituani sono probabilmente di origine Indoeuropea: è ad ogni modo da escludere nettamente che si tratti di razze slave, come accade talvolta di udir dire qui in occidente. Le radici di molte parole stanno a dimostrare la comunanza di origine con popoli dell'Europa meridionale (ad esempio in lituano: virò = uomo = vir dei Latini. Valò = evviva = vale dei Latini). Esse costituiscono quindi tre nazioni differenti, che, per necessità politica, economica e di difesa, potranno essere riunite in alleanza od anche in federazione, ma che hanno patrimoni storici e linguistici propri, ai quali tengono molto. ESTONIA - La popolazione comprende 1.700.000 abitanti cosi ripartiti: Estoni 9I% Russi 5% Tedeschi 1.5% altre nazionalità 2.5% I Tedeschi hanno finora avuto parte di assoluta preminenza nella proprietà terriera e nelle cariche pubbliche, politiche ed amministrative, a malgrado della loro minima proporzione. Le cifre ora riportate spiegano quanto lontano dall'ordinamento sociale occidentale sia l'ordinamento estone (e quanto si dice per l'Estonia varrà per la Lettonia); si piegano anche il desiderio intenso ed il bisogno della popolazione indigena di riavere le proprie terre. Ma i 25.000 Tedeschi, che rappresentano l'1.5% della popolazione totale, sono ben lontani dall'essere tutti proprietari. Questi costituiscono appena 1/6 del totale dei Tedeschi; 1/6 è costi tuito da banchieri e commercianti delle città; i rimanenti 4/6 formano la grande e la piccola borghesia tedesca. La prima vive a fianco della nobiltà e dei grandi commercianti. La seconda è un ceto meschino e ignorante, ciecamente seguace delle classi dominanti, dalle quali però vive completamente separata. La nobiltà ha proprie ed esclusive chiese e circoli, d’intrattenimento. I ricchi commercianti hanno le proprie "ghilde”. Nessun rapporto sociale esiste tra classe e classe. Operai tedeschi, o che parlino i1 tedesco, ve ne sono pochissimi, cosi che non si può parlare in Estonia di una classe operaia tedesca. Il contadino costituisce il ceppo ed il :fondamento di tutte le classi Estoni. Originaria delle campagne è la borghesia delle città; i figli di contadini benestanti e di borghesi che hanno potuto procurarsi un'istruzione superiore, formano la classe intellettuale estone, la quale però, pel disagio 134 creatole dalla classe tedesca dominante (perché i posti dell'amministrazione in Estonia erano riservati ai Russi) preferisce trasferirsi in Russia. L'enorme maggioranza della popolazione è formata dai contadini, sebbene in questi ultimi anni l'emigrazione verso i centri urbani ed industriali sia stata molto forte: in breve tempo la popolazione di Reval si è raddoppiata e contava già nel 1906 ben 20.000 operai organizzati. Dei contadini dal 65% al 75% sono braccianti senza terre proprie; della rimanente parte, cioè dei contadini proprietari, la grande maggioranza è oppressa dai debiti, sia per l'acquisto del fondo, sia pel miglioramento di esso. A malgrado del nessun interesse della nobiltà baltica per l'istruzione del popolo, a malgrado che la Russia vietasse le scuole private a lingua estone e poco curasse le proprie, il grado di cultura del popolo è notevole. Il censimento del 1907 rilevava in Estonia soltanto il 3.4% di analfabeti, eccettuati i bambini al di sotto dei 10 anni comprendendo questi si hanno le seguenti cifre di analfabeti: Russi 47% Estoni 19% Tedeschi 13% E ciò è soprattutto merito delle madri, che per tradizione insegnano ai figli la letteratura e la scrittura e tramandano i canti e le rune nazionali: anche prima che l’istruzione di venisse obbligatoria, la Chiesa richiedeva all'atto del fidanzamento che la sposa sapesse leggere. Il 16% degli studenti Estoni è costituito da donne (6% in Germania; 14 % in Svizzera; 24% in Finlandia) LETTONIA Non è stato possibile procurarsi i dati statistici relativi alla Livonia ed alla Lactigallia (cioè al territorio lettone sulla destra della Dwina), in quanto che le pubblicazioni tedesche recenti si occupano esclusivamente della Curlandia, dove più intense erano le aspirazioni di dominio e di annessione. Non è quindi possibile dare la cifra totale della popolazione della .Lettonia. Da un cartogramma annesso ad una conferenza tenuta dal Sig. Doumergue a Parigi nel 1919 si rilevano però i rapporti tra le diverse nazionalità per l'intera Lettonia. Del resto, più che, la cifra assoluta, interessano per i problemi etnici e sociali i rapporti e le percentuali. Si hanno dunque i seguenti dati: Nazionalità nella·campagna per % nella città per % lettone 94.4 46.2 tedesca 2.2 13.2 1 2.1 estone 135 lituana 1 6.2 polacca ---- 5.7 grande russa 0.8 13.2 ebraica 0.5 10.4 diverse 0.1 3 -------- -------- 100 100 In queste cifre è da rilevare: a) la grande sproporzione di tedeschi nella campagna e nelle città, che si spiega col fatto, già visto per l’Estonia, che nelle campagne vivono soltanto i grandi proprietari, mentre nelle città vi sono gli uomini d’affari ed operai in misura maggiore che non in Estonia; b) analoga sproporzione fra gli ebrei, dovuta al fatto, comune dovunque, che gli ebrei sai occupano soltanto di commerci. Occorre inoltre tener conto che la cifra 10.4 data per le città è la media di percentuali singole molto diverse e che vanno crescendo da occidente verso oriente. Cosi ad esempio abbiamo: Libau ebrei 12.3% della popolazione Windau ebrei 16% della popolazione Goldingen ebrei 24.8% della popolazione Mitau ebrei 15.6% della popolazione Riga ebrei 10.3% della popolazione Walk ebrei 33% della popolazione Friedrichstadt ebrei 63% della popolazione Dwlnsk ebrei 55.6% della popolazione Resekne ebrei 60% della popolazione c) più forte sproporzione ancora per i Russi, dovuta soprattutto ai funzionari delle città e poi agli uomini d’affari, mentre nelle campagne la colonizzazione russa è rimasta allo stato di progetto. La densità della popolazione (i dati che seguono si riferiscono alla sola Curlandia) e risalgono al 1897) era di 28 per Km quadrato, assai scarsa se la si confronta ai 120 abitanti per Km quadrato della intera Germania; ai 115 della Prussia; ai 74 della Polonia, è però superiore ai 19 della Russia europea. Di più dal 1863 al 1897 si è avuto un aumento del 17%, ma questo è avvenuto esclusivamente per le città, mentre nelle campagne si è avuta una diminuzione del 2 %. 136 La grande massa della popolazione segue la religione protestante e precisamente si ha: protestanti 72% ebrei 10% ortodossi 4% cattolici 12% altre religioni 2% ---------100 A motivo dei contatti coi popoli contigui, vengono correntemente usate in Lettonia le tre lingue: lettone, russa, tedesca. Ma le tre nazionalità, vivono affatto separate e da ciò soffrono tutte le istituzioni cittadine, poiché ciascuna nazionalità pensa a sè. Gli Ebrei poi per conto loro le proprie associazioni. Merita particolare menzione la città di Riga, che prima della guerra contava circa 500.000 abitanti e che esercita nella vita politica ed economica dell’intera Lettonia un’influenza preponderante. Cinque attacchi o tedeschi o russi e quattro mesi di regime bolscevico al principio del 1919 hanno ucciso ogni vita commerciale, danneggiato numerosi edifizi e ridotto 1° popolazione a meno di 20.000 abitanti. Come ultima lettura le toccò un bombardamento con gas asfissianti, che le artiglierie di Bermond le inflissero senza ragione e per pura malvagità a metà novembre, prima di ritirarsi. La parentesi bolscevica durò dal 3 gennaio fino al 22 maggio 1919. seguendo il movimento di ritirata delle truppe tedesche, le forze bolsceviche occuparono successivamente le città della Lettonia e vi instaurarono la dittatura del proletariato. Nel maggio truppe estoni e lettoni, in unione a truppe tedesche, riuscirono a cacciare i bolscevichi. Ma il danno prodotto da questi ed il disagio creato da cinque anni di guerra hanno determinato un malessere profondo e difficilmente curabile: i partiti estremi soffiano nel fuoco, così che il pericolo di nuove agitazioni a base economica è ancora assai grave. Soltanto la ripresa delle relazioni commerciali con la Russia, ridonando a Riga la funzione di sbocco principale della Russia sul Baltico, potrà scongiurare il pericolo di un ritorno al bolscevismo. LITUANIA. La popolazione dei tre governatorati di Kowno, Wilna e Suwalki conta circa 4.500.000 abitanti, con una densità di 50 per Km quadrato. Di essi, però, soltanto 2.000.000 sono di razza lituana; i rimanenti sono russi, ebrei, polacchi e tedeschi. I Lituani hanno pure una forte emigrazione; e contano 600.000 nell’America del Nord e numerosi sono nell’interno della Russia, in Inghilterra, nelle città lettoni: questi emigrati conservano energicamente il proprio carattere 137 nazionale e l'attaccamento alla madre patria. Tengono moltissimo alla propria lingua. I Russi Bianchi nella Lituania etnografica costituiscono un'insignificante minoranza, mentre se si considerano i tre governatorati, vi entrano per circa 1.000.000 abitanti, dei quali ben 890.000 nel solo governatorato di Wilna. Di questo fatto si dovrà certamente tener conto nel determinare i confini dei nuovi Stati, tanto più che la richiesta capitale lituana Wilna, oggi occupata dai Polacchi, si trova al limite della Lituania etnografica. I Russi si occupano quasi esclusivamente di agricoltura e sono in massima poveri ed ignoranti; manca un medio ceto, che è fra essi rappresentato dai Polacchi. Sono la maggior parte greci-ortodossi. I Grandi Russi costituivano, fino allo scoppio della grande guerra, i funzionari e gli agenti di russificazione. All’avvicinarsi degli eserciti tedeschi sparirono senza lasciar traccia della loro centenaria opera, all’infuori di qualche rovina materiale e morale. Gli Ebrei formano il 135 della popolazione complessiva ed abitano quasi esclusivamente le città, dove quindi la loro percentuale è molto elevata (Kowno 36%; Wllna 41%; Suwalki 55%). Si occupano di commercio, ma pel loro grande numero contano molti poveri e sono costretti ad emigrare in Polonia, dove aumentano il proletariato, ed in America. I Polacchi sono circa 400.000, addensati ,specialmente nel governatorato di Suwalki. Nel resto della Lituania non sono numerosi, ma esercitano notevole influenza per l’unione politica secolare (patto di Lublino, a cui si è accennato ) e per la conseguente prevalenza della nobiltà e dei grandi proprietari, e che soltanto una reazione nazionale iniziata nella seconda metà del secolo XIX cominciò a demolire. Questa reazione di riconquista, basata soprattutto sull’influenza .religiosa, è più viva nel governatorato di Wilna. I Tedeschi costituiscono una proporzione trascurabile (Kowno 1%; Wilna 1%; Suwalki 5%). La popolazione è nella grande maggioranza agricola e questa gode di un certo benessere. Non esistono città molto popolose (Kowno 75.000; Wilna 200.000; Suwalki 50.000). Quindi il pericolo di un bolscevismo indigeno non esiste ed un bolscevismo imposto dall'esterno troverebbe forte resistenza. Gli Ebrei nella vita dei singoli stati Per effetto delle persecuzioni in Russia e dello stato d’inferiorità giuridica e sociale in Germania ed in Austria, gli Ebrei si sono venuti addensando nelle regioni di contatto dal Baltico al Mar Nero. Impediti di acquistar terre e dediti al commercio (quello minuto è quasi esclusivamente nelle loro mani) abitano, per la quasi totalità nelle città ed in queste hanno quartieri proprii. Il loro numero determina,ciò che non accade nei paesi occidentali, l'esistenza di un numeroso proletariato miserabile. Si occupano di tutto, "dalla 138 vendita dei prodotti del suolo (scrive il Bischof) al commercio di ragazze ebree e non ebree, dai vecchi pantaloni ai libri di preghiere". Conoscono la lingua del paese che abitano, ma tra di loro parlano il Jiddisch dialetto misto di ebraico e della lingua indigena locale e quindi variabile da paese a paese. Hanno anche giornali propri. Ciò che è essenzialmente caratteristico si è che gli Ebrei costituiscono una nazionalità a sé, che si manifesta non soltanto nel campo religioso, negli usi e nella foggia di vestire, ma ancora nel campo politico. Essi eleggono i propri rappresentanti nelle cariche amministrative, si associano ad altre nazionalità per riuscire in determinate elezioni ed hanno mandato propri deputati alla Duma. Non solo, ma accampano talvolta pretese straordinarie: nello scorso anno in Polonia, quando si trattò di costituire i poteri statali, gli Ebrei chiesero di avere al parlamento, nella magistratura, nell'esercito, ecc. non soltanto un numero di posti proporzionale al loro numero, ma uguale a quello delle altre nazionalità. Negli Stati baltici non si può dire che esista oggi una questione ebraica allo stato acuto come in Polonia, in Ucraina, in Romenia, perché l'accordo con le altre nazionalità è abbastanza buono. Certo è però che tale questione sorgerebbe qui pure formidabile il giorno, in cui per lo sviluppo delle istituzioni si dovesse venire alla parificazione dei diritti, oppure si pensasse ad una espulsione in massa di gente povera, non vogliosa od incapace di assimilarsi la civiltà altrui e di progredire, fisicamente ed intellettualmente inadatta ai lavori dell’inclinata al lavoro della terra e, quindi, non desiderata dalle nazioni vicine. 139 V - LE CONDIZIONI DELL'AGRICOLTURA E DELL'INDUSTRIA La breve durata della stagione lavorativa e la temperatura mai elevata riducono a pochi i prodotti del suolo grano, avena, orzo, patate, fieno, lino, 1egname, erbaggi, mele. Di questi i soli prodotti di esportazione sono il lino, il legname e l'avena. In Estonia venne dato notevole impulso alle associazioni agricole col compito di istruire i contadini e di migliorare la produzione in tutti i campi: come stimolo si tengono numerose esposizioni di prodotti, assai frequentate da espositori e da visitatori. Accanto a tali associazioni fioriscono: cooperative di consumo fra contadini (115); cooperative di acquisto e di vendita collettiva di merci occorrenti all'agricoltura e di prodotti agricoli (17 con 5.000.000 di rubli all'anno di affari); banche cooperative di credito, (90 con 40.000 soci e 14.000.000 di capitali); banche di credito a mutualità (15 con 170.000.000 di capitali); latterie cooperative (60, che lavorano oltre 60.000.000 di litri di latte); cooperative per lo sfruttamento delle torbiere. In Lettonia (o meglio in Curlandia, per la quale soltanto si hanno dati per la ragione detta sopra) i dati percentuali non possono però variare sensibilmente da quelli dell’intero stato) la ripartizione del suolo secondo le culture è: campi 30% boschi 34% prati e pascoli 28% terre incolte 8% La maggiore ricchezza è data dalle foreste, che però soltanto da 50 a 60 anni, e non dappertutto, vengono razionalmente sfruttate: nel 1911 dai soli due porti di Windau:e di Libau partirono legnami per due milioni di rubli. Anche in Lettonia esistono numerose scuole d’agricoltura, compresa una scuola superiore a Riga, cooperative di produzione, di consumo e di credito. In Lituania la ripartizione del suolo è: campi 40% boschi 25% prati e pascoli 25% terre incolte 10% L’esportazione, assai notevole, ha luogo, essenzialmente per via f1uviale verso la Germania e la Polonia. La coltura è soprattutto estensiva e, soltanto allo scoppio della grande guerra, si iniziava la coltura intensiva. In molti luoghi è ancora in vigore la coltura, del tipo russo del mir, di terre comunali assegnate a turno ai contadini, ma è un sistema che va rapidamente sparendo. 140 Una delle ragioni del basso rendimento delle terre va ricercata nello scarso interesse del contadino a produrre, derivante dal gioco di tariffe praticato dal governo russo. Le tariffe ferroviarie per i grani provenienti dall’interno della Russia, erano così basse, che il grano russo veniva in Lituania a costare meno del grano locale; per l’esportazione esistevano invece dazi elevati; quindi il contadino lituano non aveva interesse che a produrre solo quanto gli occorreva. Venne poi la guerra con le distruzioni, le requisizioni e la sottrazione di braccia e l'agricoltura deperì ancora. Oggi però accenna a riprendere e, certo per mancanza di mezzi d'esportazione, si nota in Lituania un'abbondanza di prodotti agricoli, che impressiona il viaggiatore, che arriva dall'occidente. Il bestiame era, prima della guerra, assai abbondante: per ogni 100 abitanti si avevano 20 cavalli, 35 bovini, 26 ovini, 18 suini. Le requisizioni hanno ora ridotto il paese allo stremo e, se non si provvederà urgentemente a far restituire dalla Germania almeno le migliaia di cavalli e di bovini tolti dalle truppe di Bermond, all'aprirsi della primavera l'agricoltura in Lituania sarà in condizioni gravissime. L'allevamento del bestiame può costituire una vera ricchezza per questa regione, quando si curi l’introduzione a nuovi stalloni (nel 1911 vennero esportati soltanto dal Governatorato di Wilna 45.000 cavalli) e si provveda a buoni impianti frigoriferi fissi e mobili, così da poter macellare le bestie sul posto. Di conseguenza può pure prosperare l'industria del latte, i prodotti del quale avevano già prima: della esportazione in Germania ed in Inghilterra. Lo stesso dicasi per i gallinacei (specialmente oche) e per le uova. Valga per la Lituania quanto si è detto per la Lettonia a proposito delle istituzioni cooperative e di credito. Il patrimonio forestale è andato gradatamente diminuendo da quando i cronisti samogiti vedevano la Lituania tota silvis inumbrata e ciò soprattutto perché 1/3 soltanto de,i. boschi è proprietà demaniale e quindi i rimanenti 2/3 sono soggetti ad irrazionale sfruttamento: il disboscamento ha avuto sviluppo specialmente lungo i corsi d’acqua, facile mezzo di trasporto. Con tutto ciò esistono ancora vaste distese boschive (ad es. la tenuta del Conte Oginski a Retow di 20.000 ettari; quella del barone Lapgirren a Rassein di 15.000 ettari). Nel 1913 se ne esportano 2.200.000 metri cubi in Germania, Inghilterra, Francia, impiegati essenzialmente per pasta di cellulosa, legno da costruzione e traversine di ferrovia. Grandi quantità di legname sono pure impiegate sul posto per costruzione di abitazioni, le quali sono esclusivamente in legno, anche in città. Le industrie esistenti nelle province baltiche sono assai poco sviluppate e si limitano, anche in scarsa misura, a quelle che derivano dall’agricoltura o producono generi d'immediato consumo. 141 Così si contano in Curlandia: 44 fabbriche di alcool 54 fabbriche di birra 10 fabbriche di colori 3 fabbriche di fiammiferi 1 fabbriche di panni 13 fabbriche di macchine 78 fabbriche di mulini 9 fabbriche di segherie di legno 3 fabbriche di vetrerie In Lituania si avevano, nel 1911, 450 opifici con più di 20 operai e che impiegavano in totale 18.000 operai; ma la maggior parte di questi opifici funziona senza forza motrice, si tratta cioè di piccola industria casalinga o bottegaia. Sono però da ricordare: la fabbrica di cioccolata Victoria a Wilna con 500 operai, la vetreria di Nemunek, la fonderia di Kowno con 1000 operai, la fabbrica di macchine Vilija in Wilna, la fabbrica di cementi in Walkiminken. I proprietari sono per lo più ebrei, polacchi, tedeschi, e lettoni, in minimo numero lituani. Il commercio si accentra in Lettonia attorno al grande emporio di Riga ed ai due porti di Libau e di Windau ed è soprattutto commercio di importazione ed esportazione fatto in gran parte da tedeschi e da ebrei. Erano principali prodotti di importazione le macchine d’ogni specie, i manufatti di importazione e le chincaglierie. Oggi ogni prodotto trova immediato collocamento. Il commercio della Lituania si serve dei porti lettoni suaccennati, ed anche di quello di Memel per quanto riflette il movimento transmarino; delle ferrovie e dei corsi d’acqua per quanto riguarda Germania e Polonia. Per il commercio interno sono in uso le fiere, caratteristiche della Russia. Le ferrovie hanno un discreto, specialmente se confrontate con quelle della Russia; ,data l’uniformità del suolo sono di poco costoso rendimento; i Tedeschi durante l’occupazione hanno costruito parecchi tronchi nuovi ed hanno, in Lettonia e in Lituania, ridotto lo scartamento da quello russo a quello normale, ciò che faciliterà anche in avvenire il movimento verso i paesi occidentali. Le strade a fondo artificiale sono molto scarse; in Lituania prima della guerra non ne esistevano che due: la Tauroggen – Mitau (160 Km) e la Kowno-Dwinsk (220 Km). I Tedeschi ne costruirono alcuni tronchi e rassodarono parecchie a fondo naturale. Queste ultime, che rappresentano il comune mezzo di locomozione, sono facili in inverno per le slitte, polverose e faticose nell'estate, impraticabili durante le piogge autunnali ed il disgelo primaverile. 142 I corsi d’acqua ed i canali sono le vere comunicazioni, specialmente commerciali di queste regioni. La Dwina, il Niemen, la Wilija, la Neviaga, la Dubissa e i loro affluenti sono navigabili in vario grado, ma sempre a piccole imbarcazioni e a zattere. Fra i canali importanti e che interessano il commercio internazionale, sono da ricordare: il canale Oginski (il principe Oginski ottenne nel secolo XVIII di farlo scavare a proprie spese, ma fu poi condotto a termine dallo Stato), che collega il Niemen, e precisamente l'affluente di questo Ciara col Prilpet e quindi col Dnieper e per conseguenza mette in comunicazione continua il Baltico col Mar Nero; il canale Augustovo, che unisce il Niemen alla Vistola; il governo russo, allo scopo di avere una via d’acqua indipendente dalla Germania, aveva iniziata la costruzione di una comunicazione Niemen-Mar Baltico, unendo la Dubissa alla Venta, ma i lavori furono interrotti dalla guerra. 143 VI - IL PROBLEMA DELLE TERRE Dopo il problema economico-finanziario, che gli Stati baltici non potranno in nessun modo risolvere da soli, il problema della proprietà terriera è quello di maggiore importanza, specialmente per l'Estonia e la Lettonia. Dalla soluzione, che ad esso verrà data, dipenderanno la prosperità materiale futura e la tranquillità sociale di quei paesi. ln Estonia vige una costituzione agraria assolutamente anacronistica. La terra è divisa in due categorie: terre padronali esenti da imposte e terre dei contadini gravate da imposte. Le statistiche del 1900 danno: terre padronali 60% terre dei contadini 40% Le terre padronali, che per l'Estonia e la Livonia rappresentano 3.200.000 ettari, sono ripartite tra soli 895 proprietari, di modo che ogni proprietario ha in media 3600 ettari esenti da imposte, senta calcolare il terreno dei contadini. Ma parecchi dei proprietari appartengono ad un'unica famiglia, così che il numero delle famiglie latifondiste è di 250 appena. Le terre dei contadini, per un complesso di 2.100.000 ettari, sono suddivise in 60.000 poderi dell’estensione media di 40 ettari, che; data la scarsa fertilità del suolo, non sono talvolta sufficienti per mantenere una famiglia. Gli ukase del 1819 e del 1861 abolirono bensì la servitù della gleba, ma non diedero ai contadini il possesso della terra, che rimase ai baroni. Al rapporto patriarcale tra padrone e servi si sostituì il contratto d’affitto, pagabile in mano d’opera ed in prodotti. Otteneva bensì il contadino il diritto ad acquistare la terra, ma quanti potevano farlo? I contadini hanno inoltre l’obbligo della manutenzione delle strade pubbliche, dello sgombro della neve, del mantenimento delle stazioni di posta a cavalli, delle scuole, delle chiese e delle cancellerie. Queste condizioni ebbero, fra l’altro, la conseguenza dello spopolamento delle campagne non appena la concessione di poter scegliere domicilio e professione permise al contadino di staccarsi dalla terra: in Russia si formarono oltre 300 colonie agricole; molti si trasferirono nelle città, mutando in estone il carattere di queste, che prima era prevalentemente tedesco. Alla vigilia della prima rivoluzione russa (1905) questa nuova borghesia era già in condizioni di muovere alla conquista delle amministrazioni comunali contro la nobiltà balto-tedesca: così Reval fu amministrata da Estoni dal 1904 all’occupazione tedesca del 1918. E quando la rivoluzione estese il diritto elettorale, i tedeschi entrarono nei consigli comunali soltanto grazie al sistema proporzionale. Da quanto si è detto sopra emerge che la fame di terre è grande in Estonia ed a saziarla non basta la messa in valore delle terre incolte, le più povere come produttività, che richiederebbero l'impiego di forti capitali e sono in massima parte nelle mani di latifondisti. 144 Identiche sono le condizioni in Lettonia, dove la terra è cosi ripartita (per le. sola Curlandia): terre padronali 1.113.000 ettari 42% terre dei contadini 1.150.000 ettari 38% terre demaniali 537.000 20% ----------------- -------------- 2.800.000 100% Delle terre padronali, soltanto 6000 ettari sono proprietà diretta di contadini; il resto, 1.107.000 ettari, è proprietà di 499 1atifondisti, con una media di 2200 ettari ciascuno. Negli ultimi anni poi era cominciato in Lettonia un lavoro di espropriazione dei latifondi da parte di banche agrarie dei contadini, così che soltanto l'80% delle terre padrona1i è rimasto in mani tedesche. Ma le banche erano …russe e davano le terre soltanto a contadini venuti dalla Russia. In Lituania il prob1ema agrario è meno grave per due fatti: la maggior proporzione di terre dei contadini e l’origine della nobiltà latifondista che, come si è visto, non è tedesca, ma lituana polonizzata o polacca. Quindi almeno l'odio verso la nobiltà manca, se pure esiste l'inevitabile antagonismo. La ripartizione delle terre è nel seguente rapporto: terre padronali 3.640.000 ettari 38% terre dei contadini 4.785.000 ettari 50% terre demaniali 1.150.000 ettari 12% ----------------------- ----------------- 9.575.000 100% Le condizioni non sono però identiche nei tre governatorati; così la media del 38% di terre padronali si ottiene dalle tre percentuali: Governatorato di Kowno 44% Governatorato di Wi1na 48% Governatorato di Siwalki 22% Di più ben 510 proprietà hanno più di 1000 ettari di estensione, mentre si trova un considerevole sminuzzamento delle terre dei contadini: proprietà maggiori di 20 ettari 22% proprietà da 10 a 20 ettari 35% proprietà da 3 a 10 31% proprietà minori di 3 22% Per conseguenza esiste pure in Lituania la fame di terre e la dimostrazione si ha nella forte emigrazione da parte di un popolo, il quale ha grandemente sviluppati il sentimento di nazionalità e 145 l'attaccamento alla terra, cui ritorna l'emigrato in America, nel sud-Africa od in Inghilterra non appena abbia risparmiato il gruzzolo per comperarsi un pezzo di terra. Come potrà essere risolto questo problema, particolarmente in Estonia ed in Lettonia, dove il latifondo esiste in tutta la gravità di estensione e di privilegi? L'autorità militare tedesca dopo la pace di Brest-Litowsk lo risolse facilmente. Distrutto il governo autonomo che era sorto dopo la cacciata dei Bolscevichi (gennaio 1918), la nobiltà. tedesca fu autorizzata a rappresentare il paese in attesa che il ducato di Estonia, Livonia e Curlandia fosse assunto dal Re di Prussia; adottata la lingua tedesca, soppressa la stampa estone, vietata la corrispondenza privata con l’estero, vietato il movimento di persone all’interno; il contadino ridiventava un puro e semplice servo della gleba. Fortunatamente la vittoria dell’intesa seppellì anche tutto questo. La democrazia,·che assunse il potere, aveva però veduto anche l'esperienza dei Bo1scevichi, breve, ma istruttiva. Questi confiscavano, è vero, i latifondi, a dichiaravano la nobiltà fuori legge; ma la miseria, la rovina ed il disordine erano la conseguenza dei loro sistemi. E ne trassero il convincimento che i loro popoli non siano ancora maturi per la realizzazione degli ideali socialisti, che su questa via è necessario li precedano i popoli che hanno raggiunto un più alto grado di evoluzione. Ma, di fatto, la nobiltà balto-tedesca vive ancora in mezzo al popolo estone e, sebbene oggi si mostri arrendevole per timore di peggio, non ha ancora steso francamente la mano al contadino. Fino a quando le truppe germano-russe di Bermond sono rimaste nella regione, la nobiltà ha sperato di poter forse mantenere almeno in parte i propri privilegi feudali. Ora non può più sperare che nell'imprevisto ed imprevedibile. Perciò è disposta a trattare, con quanta sincerità presente e futura non è dato di sapere. Certo è che la nostra commissione è stata incaricata da gruppo di baroni baltici rifugiati a Berlino di trasmettere al governo lettone una dichiarazione, in cui, riconosciuti i torti del passato, offrivano di trattare per trasformazione del diritto di proprietà. I fanatici del luogo vorrebbero l'espulsione in massa della nobiltà e la confisca delle loro terre. Ma questo non risolverebbe la questione. Condurrebbe ad un frazionamento eccessivo e caotico della proprietà, che determinerebbe l'impoverimento delle terre ed, a breve scadenza, il fiorire della speculazione e dell'usura. Di più andrebbero perduti tesori non disprezzabili: l'esperienza, il metodo, la riserva di capitali, che sono fondamenti del reddito delle terre. Ciò che invece si tratta di spazzar via è il sistema feudale; ciò che si tratta di creare è la cooperazione tra lavoro e capitale là, dove si ha ancora la fortuna di avere una numerosa nobiltà che, pur con tutti difetti che abbiamo visto, ama la terra e vive, di essa e per essa costantemente, tutto l'anno. 146 VII - LE FORZE MILITARI Estonia. Ha 3 divisioni sulla fronte bolscevica, che comprende anche il tratto prima tenuto dal corpo di Judenic. In totale 34.000 uomini, di cui 18.000 di fanteria: abbondanti mitragliatrici; 12 batterie da campagna; 15 batterie pesanti. Armamento, equipaggiamento e vettovagliamento buoni. Addestramento buono. Inghilterra e Francia hanno mandato materiali, ma in misura inadeguata ai bisogni di guerra. Comandante in capo è il generale Leidenerch, assistito dal colonnello inglese Alexander. Fino ai primi di novembre 1919 il settore di Narva era tenuto dal corpo russo di Judenic, che intrapresa un'offensiva mirante alla liberazione di Pietrogrado fu completamente sconfitto dai Bolscevichi. Cause prime dell'insuccesso: mancato accordo con la Finlandia per far concorrere da nord le forze finlandesi; deficentissimo munizionamento ed equipaggiamento; scarsa volontà di combattere nell'elemento russo (il gen. Judenic lamentava la mancanza di ufficiali e ve n'erano 2000 inoperosi a Reval). La ritirata fu un disastro completo ed accompagnata da saccheggi ed atrocità sui prigionieri bolscevichi. Il gen. Judenic cercò di fare accogliere gli avanzi del suo corpo (8000) nell'esercito estone, ma il governo di Reval, a malgrado delle sollecitazioni dell'Intesa, rifiutò, probabilmente per le pretese di comando di Judenic e perché erano in corso le trattative coi Bolscevichi a Dorpat. Judenic si recò allora (18 dicembre) a Riga mentre vi era la Commissione, per ottenere la stessa cosa dai Lettoni. Ma pretendeva il comando di tutte le forze lettoni-russe, la disponibilità di un porto e di una linea ferroviaria, il collocamento di parecchi generali e di molti colonnelli. I Lettoni rifiutarono. In questi ultimi giorni (fine gennaio) si ha notizia del ' suo arresto per parte degli Estoni, mentre stava per partire per Stoccolma. Lettonia. Sgombrato il territorio dalle truppe, germano-russe di Bermondt, vi sono rimasti il solo esercito lettone e la landwehr baltica. L'esercito lettone, rapidamente organizzato ed equipaggiato, a cura di Francia ed Inghilterra, comandato dal colonnello Ballod, ha dimostrato buone qualità durante l’offensiva contro Bermondt e von Eberhardt (novembre 1919), nella quale impiegò due divisioni. Ha attualmente 4 divisioni, di cui 2 sulla fronte bolscevica, 1 nell’interno ed 1 in formazione a Libau. L’esercito lettone, quantunque appena nato, dà un’impressione favorevole di solidità e di serietà come, del resto, tutto quanto l’ordinamento della Lettonia. Le missioni militari francese ed inglese se ne occupano attivamente. Come, ora che è stata conclusa la pace (2 febbraio) tra l’Estonia e Russia bolscevica, possa tenere la fronte e guardarsi il fianco sinistro, è difficile vedere; probabilmente la Lettonia dovrà concludere pace od armistizio. 147 Lituania. Ha un'esercito in via di formazione, mancante di tutto. Lo comanda il generale Liatukas, di scarso valore (esiste un generale Jukowski, generale autentico dell'antico esercito russo e che, nei frequenti contatti con la Commissione ha fatto a tutti ottima impressione; ma è tenuto in disparte, perchè sospetto di russofilia). Tiene un breve tratto di fronte bolscevica, con 4 battaglioni, ma la maggior parte delle forze è inoperosa all’interno. Queste furono a stento trattenute dalla Commissione durante l'evacuazione; anelavano di gettarsi nelle retrovie dei Tedeschi per sete di bottino. La Commissione, come compenso all’inazione, è riuscita a far consegnare dai Tedeschi una notevole quantità di materiale (36 cannoni con munizionamento, 5000 fucili, 300 mitragliatrici; 5 milioni di cartucce, aeroplani, autocarri, esplosivi, ecc.) che, unito a quello abbandonato dai Tedeschi, a quello periodicamente comprato dai Bolscevichi (mediante cessione di animali) ed a quello fornito dall'Intesa, permetterà di mettere insieme qualche cosa. Ma bisogna soprattutto formare i quadri, assolutamente insufficienti sotto ogni riguardo e stimolare l’attività dei soldati, tranquilli per indole. 148 VIII – LE MISSIONI ALLEATE Ve ne sono parecchie e numerose negli Stati baltici. Accenno a quelle vedute, ma non escludo che ve ne siano altre, specialmente inglesi. Ad Helsinsfors v'é il generale francese Etiévant incaricato di coordinare l'azione di tutte le missioni francesi del Baltico. A Riga vi sono: la missione francese retta dal colonnello Duparquet con una ventina d'ufficiali, di cui alcuni anche a Libau ed alcuni impiegati come istruttori nell’esercito: la missione inglese retta dal generale Burth, pure assai numerosa; la missione americana retta dal colonnello Gate, che apparentemente si occupa di prigionieri di guerra e di beneficenza. Nelle acque del Baltico è inoltre la squadra inglese comandata dall'ammiraglio Kowan. Di più, il generale Turner, delegato inglese nella nostra commissione, è rimasto a Riga, come capo di tutte le missioni inglesi (omotetico del generale francese Etiévant). A Kowno vi sono: la missione francese del colonnello Reboul, con una ventina di ufficiali; la missione inglese del colonnello Robinson; un comando d'aviazione inglese; una dozzina d’ufficiali inglesi come istruttori nell'esercito; una missione della croce rossa americana. Le missioni americane, camuffate militarmente, si occupano evidentemente di affari. Lo stesso fanno le missioni inglesi, ma le finalità sono del tutto diverse. L'americano reca la propria merce, la vende e prende merce locale in cambio senza mire lontane. L’inglese tende invece a rendersi economicamente padrone del luogo; perciò, forse, ha. il recondito desiderio che questi Stati non divengano troppo forti e non passino a far parte di una maggiore organizzazione statale (Russia o Germania). I maligni dicono che l'Inghilterra mira a crearsi una colonia del Baltico, porta d'accesso e di sbocco verso la Russia. Ho udito affermare che, in cambio di un prestito in denaro, l’Inghilterra ha ottenuto il monopolio della produzione di lino e delle foreste in Lituania, i due maggiori prodotti d’esportazione. Le missioni francesi lavorano accanitamente per contrastare l'opera di quelle inglesi; lo si sente, più che non lo si veda, poiché i rapporti reciproci esteriori sono cordiali, ma, siccome i mezzi sono molto minori ed i modi non sempre simpatici, non vi riescono. Al programma separatista inglese, la Francia vorrebbe opporre un programma di unione alla futura Russia; programma politico dunque (sebbene con lontane vedute economiche: i 15 miliardi di crediti in Russia da ricuperare) di attuazione futura, opposto ad un programma economico di attuazione immediata. È però da notare negli inglesi una rigidità schematica di idee e di procedimenti, unita ad una serena ignoranza delle reali condizioni politiche e sociali (l'affare e nulla più); negli ufficiali francesi, invece, una profonda conoscenza di tali condizioni accoppiata ad una ottima conoscenza delle lingue ovunque impiegate (tedesco, russo, polacco) 149 Di italiani nessuna traccia. Eppure, visto che l’Italia non può avere mire di alcun genere lassù, e quindi l'opera sua sarebbe disinteressata e perciò apprezzata, pensando alle cordiali accoglienze ricevute, quanto bene potrebbe fare una missione, quanto utile sarebbe un occhio intelligente colà. 150 IX – CONCLUSIONE Negli appunti, che precedono, ho procurato di essere quanto più obbiettivo fosse possibile, di riferire soltanto o cifre o fatti. Dovrei ora fare apprezzamenti e trarre deduzioni, che vorrebbero poi anche essere previsioni pel futuro. Per queste ultime mi guardi il Cielo dal farne, trattandosi di paesi per me ignoti fino a 3 mesi addietro, oggi ancora in istato di gestazione con parecchie sages femmes che attendono l'evento, chiusi fra due colossi in convulsione oggi, ma non certo in un domani più o meno remoto. Di più, quale autorità avrebbero queste previsioni, non solo per l'insufficenza di chi le emette, ma anche per le convinzioni altrui, di solito tanto più recise, quanto meno il problema, a cui si riferiscono, è conosciuto sotto tutti i suoi aspetti? Rientrato a Parigi proprio nei giorni delle nuove decisioni, ho appreso che l'Intesa aveva stabilito di non più soccorrere di armi gli eserciti antibolscevichi e di passare ad una politica di trattative con il governo di Mosca. Questa decisione, che non mi permette di discutere, ma che è precisamente opposta alle mie convinzioni, é l'argomento decisivo, se i precedenti non fossero stati sufficienti, per farmi tacere. Però mantengo le mie convinzioni. Vi sono tuttavia alcune poche idee, che non sono apprezzamenti, ma dati positivi di fatto, su cui nessuno può dissentire e che non posso a meno di fissare a mo' di epilogo. 1) I nuovi Stati dal Baltico al Mar Nero costituiscono oggi (oggi, si noti, non domani) la chiave di volta del sistema europeo contro la minaccia diretta ed operante del bolscevismo. Se la chiave di volta regge, forse l’Europa è salva; se non regge, almeno l'Europa centrale crolla. La si rafforzi, economicamente o militarmente poco importa, ma la si rafforzi, perché com'è oggi non regge, almeno per quanto riguarda gli Stati Baltici e la Polonia. 2) La ricostituzione di quella che fu la Russia imperiale non può avvenire che per formazioni successive: oggi abbiamo i Randstaaten, a cui più tardi si uniranno la Russia Bianca, la Moscovia, ecc. Che forma avrà l'insieme, non importa oggi, ma importa che ciò che si è formato e che esiste, rimanga come fondamento. 3) La Germania è oggi ridotta senza denaro, senza colonie e con le vie dell'occidente sbarrate: possiede invece una fitta popolazione dotata di una poderosa capacità di lavoro. Per seguire, l'indirizzo segnatoli dai propri reggitori, ha trascurato l’agricoltura. Per le difficoltà opposte ad una ripresa vigorosa dell'antica vita industriale essa dovrà rivolgersi ancora all'agricoltura, dapprima all'interno e poi all'estero. Gli Stati baltici offrono vastissime distese di terre non sfruttate intensivamente e scarsamente popolate. Quindi è fatale l'affluire in questi Stati della 151 popolazione tedesca; oggi i Tedeschi ne sono stati cacciati; vi ritorneranno fatalmente in un domani non lontano. Poi verrà la volta della Russia, tentata dapprima dalle imprese industriali, perché la via dell’oriente è la sola aperta all’attività ed all’eccesso della popolazione tedesca. 4) Rigenerata la Germania, ricostituita la Russia, non potranno gli Stati baltici sussistere come stati cuscinetto: o saranno assorbiti, o verranno schiacciati a malgrado del loro sentimento nazionale. E' doloroso dover dir questo dopo di avere ammirato questo sentimento nazionale, dopo di avere auspicato loro la migliore delle fortune nel nome del principio di nazionalità, che fu la base della rigenerazione d'Italia. Ma anche questo è fatale, anche se incontrerà resistenze ostinate, quali sono da prevedere in popoli che finalmente hanno gustato la libertà e l'indipendenza. 152 APPENDICE Note su alcuni Capi dell' armata dell'ovest (da confidenti) Bermondt. (soprannominato principe Avaloff dal casato della madre): famiglia a assai insignificante del Caucaso.. Capitano nel 4° Regg. Ulani di Charkoff. Dopo la rivoluzione ha servito in Ukraina sotto la rada centrale. Prese parte al colpo di stato dell’ataman Skoropatski. Fu uno dei principali rganizzatori dell'armata volontaria del sud (Voroneg), terminata in una dissoluzione completa e con il furto della cassa da parte degli organizzatori: Bermondt era capo del servizio di controspionaggio e del servizio di reclutamento. Dopo la caduta dell'ataman è evacuato in Germania, con altri 2000 ufficiali, nel campo di Salgwede, donde allaccia relazioni coi gruppi russi germanofili di Berlino. Con l’appoggiò di questi ottiene fondi per l'impresa del Baltico. Si pone a capo delle truppe germano-russe; emette moneta propria (stampata in Germania), sulla quale abbia lucrato enormemente. Alla fine dell'avventura va a Berlino, dove pare non sia stato ricevuto da alcuna autorità. Si dice voglia ritirarsi in Svizzera a vivere di rendita. Uomo di circa 40 anni, energico, squilibrato, dedito alle donne, morfinomane. Colonnello Ciaikowski. Capo di S.M. di Bermondt. Servì sotto l'ataman al tempo dell'insurrezione di . Petliura. Evacuato poi a Salzwede. Notoriamente germanofilo. Di una certa intelligente. Colonnello Grigoroff. Quartier mastro generale. Intelligente e zelante. Era forse uno dei pochi capi in buona fede. Colonnello Potoki. Comandante del corpo di Bermondt, dopo che questi prese il comando in capo alla partenza di Von der Goltz. Prigioniero di guerra della Germania a Tanneberg (agosto 1914). Germanofilo accanito, ha dimostrato col suo contegno verso membri della commissione (comandava il primo treno d'evacuazione) grande animosità verso l’Intesa. Generale Altvater. Ispettore d'artiglieria con Bermondt. Antico comandante d'artiglieria della Guardia e del 39° C. d'A. Negli ultimi tempi fomentava una insurrezione contro Bermondt. Senza simpatie spiccate verso la Germania. Uomo comune; indeciso. Colonnello Cesnokoff. Capo della cancelleria personale di Bermondt. Uomo abile, trafficante, opportunista. Generale Benoit. Comandante d'artiglieria. Vecchio cadente, senza interesse ed importanza. 153 Colonnello Dolonski. Comandante del regg. di cavalleria. Germanofilo, rozzo, bevitore. Colonnello Engalhardt. Capo del primo ufficio di Bermondt; d'origine baltica, fratello del ministro delle finanze di Bermondt; colto, intelligente, astuto. Colonnello Deduiline. Incaricato di missioni speciali. (?) Uomo di mondo, ma disorientato. Colonnello Souvaroff. Incaricato di missioni speciali. Fu in missione a Berlino e Varsavia. Fornitore di fondi per l'arruolamento di truppe di Bermondt. Ten.Col. Namiesnik. Comandante di squadroni. V'é da ritenere che fosse presso Bermondt in seguito ad un malinteso e che cercasse un'occasione per andarsene. Colonnello Wirgolic. Comandante del corpo di truppe dal suo nome. Uscito nel 1905 dalla scuola di cavalleria di Elisabethgrad ed assegnato al 4° regg. Ulani di Vladimir. Nel 1909 capo squadrone di gendarmeria a Varsavia. Nel 1910 e 1911 reprime con crudeltà disordini scoppiati in città; è perciò designato a morte dal partito socialista e per ciò trasferito a Radziwiloff. All’inizio della guerra capo dell'ufficio informazioni della 5° Armata (Gurko). Ultimamente fu presso l'Atamon a Kiew, donde fu evacuato a Selzwede, donde passò a Mitau provvisto di grosse somme avute a Berlino. Manca di carattere, fortemente alcoolizzato; senza simpatie politiche manifeste; attualmente in cerca di compratore. Colonnello Wassilief. Capo di S.M. di Wirgolic. In 18 mesi ha tradito cinque organizzazioni, nelle quali si è trovato. Pronto a ricominciare (ha fatto offerte alla Commissione). Colonnello Nikoline. Incaricato di missioni speciali, col titolo di ministro plenipotenziario. Era un semplice gendarme; non conosce lingue straniere; alcolizzato; cucito a fil doppio con Wirgolic. Maggiore Bischof. Comandante della divisione di ferro. Di nazionalità tedesca. Uomo intelligente, energico, militarmente capace. Tiene il comando di 6000 uomini con notevole competenza ed è amato dai dipendenti. Nei rapporti con Berrnondt e Von EbeIrhardt, pur osservando la dipendenza gerarchica, ha tenuto sempre ad essere considerato un vero e proprio comandante di grande unità. 154 Sottotenente Nümberg. Capo dell'ufficio politico di Wirgolic. Intrigante ed astuto all'estremo, aveva relazioni con Bermondt, con Von Wahl presso Judenic, con Biakupsi e Goschtoff a Varsavia. Uomo molto pericoloso. IL BRIGADIERE GENERALE (Giovanni Marietti) 155 INDICE Bibliografia PREMESSA IL PROCESSO STORICO DEGLI STATI BALTICI CENNI GEOGRAFICI LE POPOLAZIONI LE CONDIZIONI DELL'AGRICOLTURA E DELL'INDUSTRIA IL PROBLEMA DELLE TERRE LE FORZE MILITARI LE MISSIONI ALLEATE CONCLUSIONE APPENDICE 156 Bibliografia Scritti di Giovanni Marietti Politica ed Armi in Marocco, Torino 1909 La Guerra spagnola nel Marocco, Roma 1910 Tra navi e batterie costiere, Roma 1913 Considerazioni sull’importanza dell’osservazione del tiro per assicurare la maggiore efficacia di fuoco alle batterie campali e sui mezzi che possono assicurarla od agevolarla, Roma 1914 Concorso delle artiglierie campali leggiere e pesanti nelle operazioni della guerra di fortezza e modo di utilizzare eventualmente per esse la preparazione del tiro compiuta per le artiglierie di medio calibro, Roma 1916 Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, Roma 1929 Il Piano Young e le garanzie per la sua esecuzione, Roma 1930 Armando Diaz, Torino 1933 La parte dell’Italia nella Grande Guerra, Torino 1936 Prima Guerra Mondiale e Rivoluzione d’Ottobre Ministry of Foreign Affairs, Diplomatic correspondance respecting the War published by French Government, The european War, vol. 1, Londra 1914 Eugene Beyens, Germany before the War, Londra 1916 Eric S.Grumbach, Germany’s Annexationist Aims, Londra 1917 William Henry Chamberlin, Storia della Rivoluzione Russa, Torino 1942 Jacques Benoist – Méchine, Histoire de l’Armèe Allemande (1919-1936) Parigi 1954 Edward Hallett Carr, La rivoluzione Bolscevica, Einaudi, Torino 1964 Riccardo Posani, La Grande Guerra, Milano 1968 J.F.N.Bradley, France, Lenin and the Bolsheviks in 1917-1918, « The English Historical Review »,vol. 86, n. 341, ott. 1971, pp. 783-789 Michel Jabara Carley, The Origins of the French Intervention in the Russian Civil War, January-May 1918:a Reappraisal, « The Journal of Modern History »,vol. 48, n. 3, sett. 1976, pp. 413-439 Golo Mann, Storia della Germania moderna 1789-1958, Milano 1978 David E. Kaiser, Germany and the Origins of the First World War, “The Journal of Modern History”, Vol. 55, No. 3. (Sep., 1983), pp. 442-474. 157 Eric J.Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Bologna 1985 Mario Isnenghi, Il mito della prima guerra mondiale, Bologna 1989 Marc Ferro, La grande guerre 1914-1918, Parigi 1990 John Ernest Hobsbawm, Il secolo breve 1914-1991, Milano 1994 Norman Stone, The Eastern Front 1915-1917, Londra 1998 Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, Milano1988 Vejas Gabriel Liulevicius, WarLand on the Eastern Front, Cambridge UK, 2000 Carlos Caballero Jurado, The German Freikorps (1918-1923), Londra 2001 Nigel Thomas, Ramiro Bujeiro, The German Army in World War I (1915-1917), Londra 2004 Id., The German Army in World War I (1917-18), Londra 2004 David Stevenson, La Grande Guerra.Una storia globale, Milano 2004 Ernst Nolte, La Guerra civile Europea1917-1945, Milano 2004 John Keegan, La prèmiere guerre mondiale, Parigi 2005 Antonio Gibelli, L’Officina della Guerra. 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Sei mesi che cambiarono il mondo, Milano 2006 Ernst Nolte, La Repubblica di Weimar. Un’instabile democrazia tra Lenin e Hitler, Milano 2006 Storia e Geografia dei Paesi Baltici Xavier Marmier, Un Etè au bord de la Baltique et de la Mer du Nord, Souvenir de Voyage, Parigi 1856 K.R Kupffer, Baltische Landes Kunde Atlas, Riga 1911 Max Friederichsen, Die Grenzmarken des Europäischen Ruβlands, ihre geographische Eigenart und ihre Bedeutung für den Weltkrieg, Amburgo 1915 British Foreign Office. Historical section Courland, Livonia and Esthonia, Londra 1920 Valentine J. 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[ma 1907] 159 Emile Doumergue, Une petite nationalité en souffrance: les Lettons, Parigi 1917 Emile Doumergue, Les Lettons, Les Provinces Baltiques et le Pangermanisme Prussien en Russie, Parigi, 1918 Wilhelm Gaigalat, La Lituanie, le territoire occupè la population et l’orientation de ses idèes, Ginevra 1918 Mihkel Martna, L’Estonia e la questione estone, Roma 1919 Ralph Butler, The New Eastern Europe, London 1919 Gaston Gaillard, L’Allemagne et le Baltikum, Parigi 1919 Nicola Turchi, Nella Lituania indipendente, Roma 1920; Arved Berg, Latvia and Russia: one Problem of the World-Peace considered, Toronto-Londra 1920 Arthur Ruhl, New Masters of the Baltic, New York 1921 Anonimo, Il problema di Vilna, Genova 1922 Resumè de l’Histoire du Conflit Lituano-Polonais au sujet du territoire de Vilna, Parigi 1922 Ministère des Affaires Etrangères de Lithuanie, Conflit Lithuano-Polonais 15 decembre 1921-18 mai 1922, Kaunas, 1922 Id, Conflit Lithuano-Polonais de 27 janvier au 8 april 1922, Kaunas, 1922 Id. Situation Economique & Financière de la Lithuanie au debut de l’annèe 1922, Kaunas 1922 Lithuanian Information Bureau, The lituanian-polish Dispute, Correspondence between the Council of the League of Nations and the Lithuanian Government Since the second Assembly of the League of Nations 15th december, 1921— 17th july, 1922. With an introductory statement of the facts, Londra 1922 Manfredi Gravina, Lituania, Polonia e Russia ed il nuovo aspetto della controversia per Vilna , Roma 1927; Alessandro Pavolini, L’indipendenza finlandese, Roma 1928 Costantino Camoglio, Lituania Martire, Roma 1929; Lea Meriggi, Il conflitto lituano-polacco e la questione di Vilna, Milano, 1930; E. Sobolevitch, Les Etats Baltes et la Russie sovietique, Paris 1931 Umberto Ademollo, I confini dei nuovi stati baltici: Estonia, Lettonia, Lituania, Roma 1933; Henry de Chambon, Origines et Histoire de la Lettonie, Paris 1933 Id., La Lithuanie Moderne, Paris 1933 Henry de Montfort, Les Nouveaux Etats de la Baltique, Paris 1933 Petras Vileisis, La Lithuanie et le problème de la sècuritè internationale, Paris 1937 Tito Frate, I problemi del Baltico, Roma 1940; 160 Lilio Cialdea, L’espansione Russa nel Baltico, Milano 1940; Dmitrii Fedotoff White , Le triomphe des bolchéviks et la paix de Brest-Litovsk: Souvenirs, 1917-1918 by Général Niessel, “The American Historical Review”, Vol. 46, No. 3 (Apr., 1941), pp. 643-644 Henrikas Rabinavicius, The Fate of the Baltic Nation, « Russian Review », vol. 3, n. 1, Autumn 1943, pp. 34-44 Stanley W. 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I documenti di questo Archivio sono sempre stati citati come ASSME (Archivio Storico Stato Maggiore Esercito). Busta. 98, fascicoli 1-14 Denominato Stati Baltici e Commissione interalleata Fasc. 1 Varie Fasc. 2 Due offese a militari alleati da parte tedesca Fasc. 3 Rapporti Generale Marietti Fasc. 4 Sgombero dei tedeschi dalle province baltiche Fasc. 5 Rapporti della Commissione Fasc. 6 Distacco del Gen. Marietti Fasc. 7 Azioni della Germania sugli Stati Baltici Fasc. 8 Trattativa dei Paesi Baltici con l’URSS Fasc. 9 Questioni sulla Polonia e gli Stati confinanti Fasc. 10 Blocco del Baltico Fasc. 11 Schizzi Fasc. 12 Missione Generale Marietti - logistica Fasc. 13 Commissione per gli Stati baltici Fasc. 14 Generale Niessel Missione per gli Stati baltici Busta 99, fascicoli 1-7 Documentazione per la Missione sul Baltico e Diario della Missione Fasc. 1 Commissione interalleata documenti per la Delegazione – Notizie Militari della Russia e Siberia (a stampa). Fasc. 2 Diario della Commissione Interalleata per lo sgombero delle province baltiche Fasc. 3 Allegati al Diario della Missione; Fasc. 4 Situazione politico militare dei Paesi Baltici 315 Manuale delle ricerche nell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, Roma 2004, Il fondo contiene: “Il materiale relativo alle commissioni interalleate e gli assetti postbellici dell'Albania, Bulgaria, Romania, Grecia, Jugoslavia (sic), Turchia, Montenegro, Russia, Paesi baltici, Polonia, Ungheria, Austria, Germania, Cecoslovacchia, Belgio, Italia” pag. 28 165 Fasc. 5 Situazione militare delle forze presenti sul Baltico Fasc. 6 Notizie politiche e militari (Copia della Relazione Cavallero) Fasc. 7 Relazione del Gen. Cavallero sulla situazione politica e militare. Documentazione del Generale Marietti Busta 100 fascicoli 1-13 Questioni generali della zona del Baltico e Danzica Fasc. 1 Questione di Danzica - Sgombro – Occupazioni Fasc. 2 Danzica - Commissariato della Società delle Nazioni; Fasc. 3 Danzica – Truppe Polacche Fasc. 4 Danzica – Varie Fasc. 5 Danzica – Delimitazione delle frontiere Fasc. 6 Danzica – Materiale Fasc. 7 Danzica – Delimitazione frontiere Fasc. 9 Danzica – Spese di occupazione Fasc. 10 Danzica – Spese di occupazione Fasc. 11 Questione delle isole Aland; Fasc. 12 Documenti sulla frontiera tra Prussia Orientale e Polonia; Fasc. 13 Missione del col. Marchiafava (1921) sui confini tra Germania e Danimarca; Busta 101 fascicoli 1-15 Lituania – Lettonia – Vilnius e occupazione di Memel Fasc. 1 Lituania – Notizie militari e politiche 1919 Fasc. 2 Lituania e materiale della Guerra 1919 Fasc. 3 Lituania Trattato di Pace 1924 Fasc. 4 Lituania- suoi conflitti e situazione economica generale – Opuscoli 1922 Fasc. 5 Lettonia e sgombro della Lettonia 1919 Fasc. 6 Lettonia – Delegazione alla conferenza della Pace e la Latvia 1920 Fasc. 7 Vilna – Opuscoli 1922 Fasc. 8 Wilna e la Questione di Wilna 1924-1926 Fasc. 9 Lituania – Il Governo di Wilna 1919 Fasc. 10 Estonia – Armistizio sul fronte estone 1919 166 Fasc. 11 Memel Riconoscimento – Spese del corpo di occupazione della frontiera- Emissione di buoni – Eventuale occupazione – Rapporti generale Odry (1919-1922) Fasc. 12 Memel e zona del Plebiscito per l’Alta Slesia – Rapporti generale Odry durante l’occupazione alleata di Memel Fasc. 13 Memel e la Questione di Memel 1922-1923 Fasc. 14 Memel – Ratifica della convenzione e spese dell’occupazione 1924-1925 Fasc. 15 Memel – Spese di occupazione per la delimitazione dei confini e amministrazione 1925-1925 Archivi della Società delle Nazioni Viene qui fornita la ricognizione delle buste relative al problema di Memel e dei Paesi Baltici contenuti negli Archivi della Società delle Nazioni. La ricognizione è stata condotta sugli Archivi generali e su quelli del Segretariato della Lega delle Nazioni. Il sistema di classificazione è basato sul Registry File. Ogni documento viene elaborato in un singolo file a cui vengono allegati volta per volta l’insieme delle minute e degli eventuali allegati. Ogni singolo documento viene poi messo in sequenza con altri documenti con altra numerazione e poi iscritto in una sezione. Ogni gruppo di documenti si trova quindi sotto diverse tracce a richiamare l’insieme degli altri documenti di base contenuti nell’archivio. Ogni documento viene poi raccolto in contenitori, tradotti qui con scatole, che permette con l’indice di contenuto di accedere ai documenti sia in senso cronologico che per soggetto. Qui riportiamo l’elenco di tutte le scatole classificate all’interno dell’Archivio che richiamano per argomento generale il Baltico e le questioni baltiche contenuti nell’archivio. Ad una prima, sommaria ricognizione, ogni singolo contenitore contiene una grande quantità di documenti di base che attraverso opportuni richiami possono essere rinvenuti anche in contenitori differenti.316 Elenco scatole relative ai Paesi Baltici 544 548 557 559 559-561 561 562 564 572 574 575-583 583 585 586 586 Estonia German Polish Agreement Baltic States Polish Lithuanian Relation Eastern Carelia Baltic States Status of Memel Situation in Poland Poland and the League Communication with the Poland Peace / Russia and Lithuania Dispute between Lithuania and Poland Peace Treaty between Lithuania and Poland Situation of the Noblesse in Curlandia Lithuania Lithuania and Bielorussia Affairs 316 Per un chiarimento maggiore delle dinamiche dell’Archivio si veda Guides des Archives de la Société des Nations 1919-1946, Genève 2002 167 587 588-589 593-597 599 600-602 602 603 604 617 618 620-623 628 629 1450 1829-31 1839 1851 1852 1858-59 1861 3652 3631 Agreement between French, Poland and Russia Dispute between Lithuania and Poland Memel Affairs Direct Agreement between Poland and Lithuania Difference between Poland and Lithuania International Conference of Genoa Connections with the Letton Government Dispute between Poland and Lithuania Relations between Poland and Lithuania Lithuanian Government Mission of Control in Poland and Lithuania Political situation in Lithuania Relations between Poland and Lithuania Lettonia, Lithuania and Esthonia Administration Relations between Poland and Lithuania Foreign policy of Lettonia Political Situation of Lithuania Danzica-Lithuania-Poland Affaires Memel Dispute Political Situation of Lettonia Memel Dispute Lithuania Status Section du Secretariat Da 54 a 512 526 528 1156-1157 5490 Difference between Poland and Lithuania Memel Dispute Memel Dispute Direction of the Port of Memel Public Transport in Lithuania 168