globalita - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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GLOBALITA’
Lemma del percorso Gli intellettuali e la pace
L’affondamento del Lusitania e, poco più tardi, l’entrata in guerra degli Stati Uniti, diedero
definitiva evidenza all’immagine della Grande guerra come “guerra mondiale” – anzi come prima
guerra mondiale, a sottolinearne anche sul terreno spaziale il carattere di eccezionalità. La nuova
dimensione spaziale della guerra andava ben oltre il fatto che Stati diversi da quelli europei (Stati
Uniti, Canada, Impero ottomano, Australia, Nuova Zelanda, Cina, Giappone) partecipassero al
conflitto, o che i combattimenti avvenissero contemporaneamente in Europa, Turchia, Caucaso,
Palestina, Mesopotamia, Africa e Cina. Quello che faceva della guerra una guerra autenticamente
mondiale era la consapevolezza che gli esiti di tutti questi scenari erano necessariamente
interconnessi, nel senso che lo stesso schieramento avrebbe vinto o perso dappertutto.
Il rapporto tra guerra e globalità operò in tutti e due i sensi. In un senso, la globalizzazione della
guerra fu semplicementeil riflesso del passaggio già avvenuto nei decenni precedenti a uno scenario
diplomatico e strategico di dimensioni globali, spinto in avanti dagli straordinari progressi dei
trasporti, delle comunicazioni e delle tecnologie militari, simboleggiato anche sul terreno
diplomatico da nuovi segmenti di interdipendenza quali l’alleanza trans-continentale stretta fra
Regno Unito e Giappone nel 1902, e condensato nella retorica già diffusa del passaggio dalla
politica europea allaWeltpolitik (politica mondiale). Nell’altro senso la guerra operò, a propria
volta, come un ulteriore e potentissimo vettore di globalizzazione, mischiando sui campi di battaglia
migliaia di uomini provenienti da tutti i continenti; diffondendo ovunque, in questo modo,
esperienze e memorie comuni (di sofferenza, paura e lutto); facilitando lo slittamento dal vecchio
immaginario nazionale a un nuovo immaginario globale, nutrito di progetti anche istituzionali di
portata universale (quale fu, all’indomani della guerra, la Società delle Nazioni); prima di tutto,
producendo una nozione di pace e di ordine mondiale di dimensioni altrettanto globali, nella quale
non avrebbe più avuto alcun senso la vecchia equiparazione tra pace europea e pace nel mondo.
Perché era proprio questo, almeno visto dall’Europa, il senso storico del passaggio alla
Weltpolitik. Non casualmente, già prima della guerra questo riconoscimento aveva cominciato a
diffondersi di pari passo con i primi segnali della detronizzazione dell’Europa da centro del
mondo.Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, i primi movimenti nazionalisti
avevano fatto la loro comparsa nel mondo coloniale, sebbene quasi sempre su iniziativa di élite
occidentalizzate e su imitazione del lessico politico occidentale; tra il 1898 e il 1902, la guerra
anglo-boera aveva rivelato le debolezze e, a tratti, la vulnerabilità delle truppe coloniali inglesi
mentre, tra il 1904 e il 1905, una potenza asiatica, il Giappone, aveva sconfitto per la prima volta e
con straordinaria portata simbolica un protagonista dell’equilibrio europeo, la Russia; soprattutto, il
pluralismo politico e territoriale dell’Europa aveva già cominciato a essere avvertito come
inadeguato a reggere la sfida di competitori di dimensioni incomparabili quali la Russia e gli Stati
Uniti.
La Prima guerra mondialeacuì drammaticamente questo senso di declino – riassunto,
all’indomani del conflitto, in un’opera-simbolo quale Il tramonto dell’Occidente di Oswald
Spengler. Non soltanto perché fu proprio l’entrata in guerra degli Stati Uniti a decidere
definitivamente le sorti del conflitto. Ma perché, a differenza di tutte le grandi conferenze di pace
dei secoli precedenti, le conferenze di pace di Versailles dell’inverno 1918-19 non furono già più
conferenze propriamente europee. Al contrario, se nel ruolo di nemico vinto sedevano due grandi
potenze europee, Germania e Austria-Ungheria – la seconda delle quali, oltre tutto, era stata un
protagonista assoluto del sistema europeo sin dai suoi esordi – nel ruolo di vincitore per eccellenza
della guerra stava una potenza dichiaratamente estranea al recinto europeo, gli Stati Uniti. Il
rovesciamento non avrebbe potuto essere più radicale. Come avrebbe osservato Carl Schmitt in
un’opera nostalgica come poche altre del mondo pre-bellico, “mentre nei secoli passati erano state
le conferenze europee a determinare l’ordinamento spaziale della terra, nelle conferenze di Parigi
avvenne per la prima volta il contrario: era il mondo che decideva sull’ordinamento spaziale
dell’Europa” 1. Tanto più questo capovolgimento si rifletteva perfettamente anche nei programmi
politici dei due “uomini nuovi” per eccellenza del dopoguerra, Wilson e Lenin. “Per molti versi”,
nota lo storico inglese Geoffrey Barraclough, “l’aspetto più significativo dei programmi di Wilson e
di Lenin era che essi non erano accentrati sull’Europa, ma abbracciavano l’intero mondo; cioè si
appellavano ambedue a tutti i popoli, senza badare a razza o a colore. Entrambi implicavano
l’annullamento del precedente sistema europeo” 2.
In questo modo, la Prima guerra mondiale acceleròla più grande trasformazione dell’ultimo
secolo, almeno dal punto di vista della storia delle relazioni internazionali: la dissoluzione della
centralità europea in una nuova e ancora instabile architettura globale. Tra il 1914 e il 1918, per la
verità, questa catastrofe geopolitica fu soltanto accennata. Nonostante l’estensione “mondiale” delle
operazioni e della posta in gioco della guerra, il conflitto rimase ancora centrato sull’Europa e si
decise interamente sui campi di battaglia europei. Già vent’anni più tardi, nella seconda guerra
mondiale, il peso rispettivo di Europa e Asia-Pacifico risultò più equilibrato. Anche se quello
europeo rimase il teatro principale delle operazioni militari, il teatro del Pacifico cessò di essere,
come era stato ancora nella guerra precedente, un teatro subordinato o una semplice appendice del
primo.Ma fu solo alla conclusione della guerra, con la formazione del sistema internazionale
bipolare e la divisione stessa del continente nelle due sfere di influenza statunitense e sovietica, che
l’Europa perse una volta per tutteil proprio passato ruolo di centro di irraggiamento globale (di
istituzioni così come di conflitti). Sennonchéneppurequesto bastò a cancellare le ultime tracce della
sua centralità. Anche durante la guerra fredda, l’Europa rimase pur sempre il fronte principale dello
scontro, cioè il luogo nel quale si sarebbe combattuta, in caso di guerra, la battaglia decisiva e nel
quale, nel frattempo, non se ne poteva combattere nessuna. Mentre, grazie a ciò, essa poté continuare a percepirsi e a essere percepita come uno spazio separato e, sebbene non più come
protagonista ma come posta in gioco, più importante degli altri.
È soltanto oggi, a cento anni dallo scoppio della Grande guerra e a venticinque ormai dalla fine
della guerra fredda, che il processo di detronizzazione dell’Europa può dirsi a tutti gli effetti
Schmitt, Der Nomos der ErdeimVoelkerrecht des Jus PublicumEuropaeum, Köln 1950; tr. it. Il
Nomosdella Terra, Adelphi, Milano 1991, p. 307.
2Geoffrey Barraclough, An Introduction to Contemporary History, London 1964; trad. it. Guida alla storia
contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 124.
1Carl
compiuto, senza probabilmente che gli Europei siano ancora riusciti ad adattarsi (politicamente,
economicamente e culturalmente) alla loro nuova condizione.Abbracciare l’orizzonte storico di
questa grande trasformazione può aiutare, almeno, a evitare illusioni. Nell’attuale contesto
internazionale “l’Europa si trova in una posizione che, in termini storici, è nuova e unica: l’Europa
non domina né è dominata, non è isolata né è in grado di controllare il mondo. Per la prima volta
nella storia l’Europa è una regione qualunque di un sistema internazionale globale: quando, in
precedenza, essa era solo una fra le tante regioni del mondo (prima del periodo dell’espansione
europea), il mondo era meno interdipendente. Ora il globo è uno solo e l’Europa non ne costituisce
più il centro” 3.
Alessandro ColombR
&XUDWRUHVFLHQWLILFRdel progetto “La Grande Trasformazione 1914-1918”
3
Ole Waever, Modelli e scenari futuri, “Politica Internazionale”, n. 1, gennaio-marzo 1993, pp. 5-27.
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