CONSERVATORIO DI MUSICA “Lorenzo Perosi” - CAMPOBASSO TRIENNIO SPERIMENTALE DI "REPERTORI VOCALI DA CAMERA" ANNO ACCADEMICO 2003-2004 LA SIMBIOSI ARTISTICA DI FRANCESCO PAOLO TOSTI E GABRIELE D’ANNUNZIO NELLE QUATTRO CANZONI D’AMARANTA Elaborato delle materie: Storia della musica dell’Ottocento, Storia della poesia per musica, Armonia e Analisi, Critica del testo musicale, Analisi delle forme poetiche TESINA DI PROFESSORI Libera Stefanelli Barbara Lazotti Piero Niro Luigi Pecchia Elisa Petone INDICE I - Eventi storici II - Le correnti letterarie e musicali III - La Romanza da salotto italiana IV - Tosti, lo stile e l’ispirazione V - D’Annunzio, la personalità la poetica VI - Tosti, D’Annunzio e il cenacolo di Michetti VII - Le “Quattro canzoni d’Amaranta” Canzone n. 1: Lasciami, lascia che io respiri… Canzone n. 2: L’alba separa dalla luce l’ombra Canzone n. 3: In van preghi, in vano aneli Canzone n. 4: Che dici o parola del saggio. Appendice Francesco Paolo Tosti - Notizie biografiche Gabriele D’Annunzio - Notizie biografiche Bibliografia essenziale 2 Capitolo III: La romanza da salotto italiana I n un’epoca in cui i moderni mezzi di comunicazione e di intrattenimento non ancora esistono, la musica, il Quotidiano, la rivista periodica, assumono, tra le altre funzioni, anche quella di creare un’unità di ideali e pensiero ancora poco sentita. La diffusione poi del pianoforte verticale, più accessibile per le tasche dei borghesi e meno ingombrante per il “loro” salotto, più piccolo rispetto a quello della buona aristocrazia, e l’ingresso della musica tra le discipline che formano parte integrante dell’educazione di ogni giovane di buona famiglia, incrementano il consumo e la domanda di musica costruita ad hoc per la nuova classe sociale. La risposta all’evoluzione del costume è la Romanza da salotto, genere amato e vituperato da molti, di cui si tenta, da alcuni anni, da parte di generosi studiosi, un recupero reso difficile dalla critica e dalla storia, che hanno spietatamente cercato di cancellare anche ciò che era degno di essere apprezzato e conservato nel tempo. Tra i più generosi eroi del recupero di un’importante tranche di “storia d’Italia” si segnala Francesco Sanvitale, che in diverse pubblicazioni, ha raccolto il punto di vista di chi, come lui, non ha permesso che la sterile smania di classificazione e generalizzazione di molta critica metta gli occhiali da miope a chi si avvicina alla conoscenza del repertorio vocale da camera italiano. C’è tra gli altri studiosi l’originale penna di Daniele Rubboli1 che citando Pannain e Della Corte scrive: In questo gettare a mare tanti professionisti della musica italiana, il lancio dei salvagente […] è per Tosti, Denza, Tirindelli e Costa salvati appena da quella «nausea 3 che soffoca anche l’ilarità», provocata negli psicologi della neonata critica musicale «da tanta carta stampata». E ancora afferma: Colpevole o innocente l’aria da camera italiana abitava, preferibilmente, i salotti aristocratici e borghesi dove per circa quarantaquattro anni, tra il 1871 e il 1914, fu la colonna sonora dell’Europa Sovrana e quindi anche di un’Italia in cui molto se non tutto era europeo. I salotti italiani non erano certo tutti uguali, c’era il salotto politicoletterario in cui gli intellettuali discutevano i problemi legati alla politica estera di Crispi, al sogno coloniale, oppure i problemi di politica sociale e tra un discorso e l’altro gli astanti si dilettavano con la buona musica di riconosciuti ed apprezzati professionisti della Romanza da salotto, e c’erano i salotti di “buona famiglia” borghese in cui “i buoni figlioli” sfoggiavano, sotto l’occhio attento dei genitori, le grazie e le doti di musicisti dilettanti, nel tentativo di accattivarsi la simpatia di un buon partito e l’opportunità di un matrimonio vantaggioso. Innestata in questo campo d’azione si può dare una prima giustificazione al fatto che le romanze da camera italiane presentano un’eterogeneità di connotati sia dal punto di vista morfologico che dal punto di vista funzionale. Rispetto alla forma molte romanze presentano una linea melodica semplice, condotta per grado congiunto e con assenza di grandi salti intervallari, uno schema armonico ricorrente, una tessitura comoda e poco acuta, un accompagnamento pianistico scarno e di puro sostegno; ma si 1 Daniele Rubboli La romanza da salotto italiana in AA.VV. Tosti a cura di F. Sanvitale EDT 1991 pag. 4 tratta appunto di generalizzazioni, non di caratteri assoluti ed onnicomprensivi. La linearità di questa tipologia di romanze assolve la funzione di soddisfare la richiesta di musica dei numerosi e bravi dilettanti del salotto borghese, colpiti dalla “febbre del canto”. Spesso la scrittura si presenta adattata alle diverse esigenze esecutive proprio perché molti compositori si sono a loro volta formati oltre che nella composizione anche nel canto e scrivono quindi con consapevolezza delle difficoltà tecniche della fonazione. Altra tipologia di romanze presenta, rispetto alla forma ed alle difficoltà tecniche di esecuzione, forti analogie con le arie d’opera che sono riprodotte in formato “mignon” adattate cioè all’ambito salottiero ed eseguite spesso in concerto dagli artisti come intermezzo, come bis ecc. Non a caso molte di queste romanze sono uscite dalla penna dei grandi del melodramma come Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e Giacomo Puccini, per citarne solo alcuni. È possibile individuare degli elementi ricorrenti nelle romanze anche per quanto riguarda il testo e gli argomenti trattati. Il metro che i poeti delle romanze usano con più frequenza, perché di facile uso per la trasposizione in musica, è l’endecasillabo accanto al decasillabo l’ottonario ed il settenario, organizzati, quasi sempre, in strofe tetrastiche o nella tipica forma del sonetto. I poeti della romanza italiana sono molto spesso i poeti minori alcuni sono più semplicemente scrittori o critici, altri sono semplici dilettanti. Manca per la romanza italiana il rapporto con i grandi poeti dell’Ottocento, che sono difficili da mettere in musica; ciò che per il Lied tedesco e la 153. 5 Mélodie francese è consuetudine è invece eccezione per le romanze italiane (sono solo pochi i grandi nomi della letteratura italiana a comparire nei testi delle romanze: D’Annunzio Carducci). Un rapporto poco felice tra musica e testo è il fulcro intorno a cui ruota gran parte della critica negativa del Novecento nei confronti della romanza da camera italiana2 ma anche in questo caso si tratta di generalizzazioni e lo dimostrano le liriche più mature di Luigi Denza, Francesco Paolo Tosti, Adolfo Tirindelli, Enrico De Leva, Stanislao Gastaldon e una consistente quantità di esempi fortunati di autori meno noti, comparsi nella rivista «La musica popolare»3. Il fatto che nell’area tedesca i grandi nomi della musica scrivano sui testi di grandi poeti, (come Goethe, Schiller, Heine, perché hanno alle spalle un substrato ideologico e politico che si esprime nelle forme proprie del Romanticismo), e che, similmente, in Francia si usano i testi dei poeti maledetti, di fama internazionale, non significa che per la carenza di un identica qualità di materiale poetico e di profondità ideologica tutto ciò che è stata la romanza italiana vada cestinato e dimenticato. A dispetto dell’italiana “esterofilia” Daniele Rubboli sostiene: (…) proprio all’estero e in particolare nei Paesi anglosassoni, ma anche di lingua francese o tedesca, i nostri autori hanno raccolto entusiasmanti successi per l’esuberanza di un calore melodico che non appartiene alle tradizioni d’oltralpe.”4 La studiosa Rossana Dalmonte afferma giustamente che: 2 Andrea Della Corte–Guido Pannain, in Storia della musica vol. II parte V UTET Torino 1964 Barbara Lazotti La romanza vocale da camera op. cit. 4 Daniele Rubboli La romanza da salotto italiana in AA. VV. Tosti op. cit. 3 6 (…) mancò da noi la coscienza di trovarsi di fronte ad un genere autonomo, l’attenzione critica alle sue caratteristiche e la volontà di affrancarlo dalla funzione 5 edonistica di genere di consumo.” . Per quanto attiene agli argomenti trattati, si possono enucleare diversi filoni. Una prima tipologia di romanze tratta l’amore nelle sue multiformi espressioni ovvero l’amore puro, sognato, tradito, perduto, l’amore lontano, segreto, malizioso, l’amore materno e l’amore filiale. Sulle modalità di realizzazione e l’autenticità dei sentimenti espressi si è appuntata l’attenzione della critica disfattista che ha pensato di poter affondare la spada fino all’elsa. Non si nega sicuramente la presenza di atteggiamenti di maniera e di composizioni stereotipate, ma se Son gelosa di Rocco Emanuele Pagliara ha commosso Nietzsche fino alle lacrime 6, ed è solo un esempio di decine di altre romanze, c’è da chiedersi perché la critica che sottolinea l’evidenza di ciò che è insulso non riesca invece a percepire l’evidenza di ciò che degno attenzione per la qualità e l’originalità di musica e testo. Accanto al filone amoroso è presente un gruppo di romanze che hanno per protagonisti i poveri, gli orfani, gli sventurati, e ne narrano, con apprensione tutta borghese, le sventurate vicende (famose in questo senso sono rimaste: Lo spazzacamino,La zingara, Il Brigidin;Il poveretto di Verdi). In proposito commenta Rossana Dalmonte: La dimensione più autentica della Romanza si ha quando il componimento musicale dei fatti narrati si colora di amabile tristezza e nostalgia elegiaca per un mondo 5 6 Rossana Dalmonte Voce «Romanza» in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica UTET Daniele Rubboli op. cit. pag. 167 7 migliore. Gli aspetti linguistici dei tipi di R. descritti vengono assommati e potenziati nella letteratura più direttamente influenzata dal gusto melodrammatico, nei «Recitativo e romanza»,[…]il pianoforte abbandona i semplici accompagnamenti arpeggiati e le formule ritmiche ripetitive per lanciarsi in complicate figurazioni nello sforzo di mimare il linguaggio orchestrale: tremoli minacciosi, escursioni velocissime sulla tastiera, controcanti contrappuntistici, ostinati che si oppongono alla linea del canto. Altro carattere da esaminare è il rapporto della romanza con l’elemento popolare in cui la popolarità è data da un anonimo testo dialettale o dalla forma di tradizione popolare o dalla semplicità dell’armonizzazione ma non dalla trascrizione di melodie tradizionali senza una rielaborazione colta 7. Non sempre l’erba del vicino è più verde e non necessariamente la materia più nobile trattata nel Lied e nella Mélodie rendono la romanza italiana un prodotto di serie B; se ci si lascia andare e ci si ricorda che la romanza da camera italiana è figlia di quel particolare momento storico, di un determinato gusto e che rappresenta il necessario anello di congiunzione tra ciò che è stato il melodramma e ciò che doveva diventare poi la musica leggera, si può essere d’accordo con Daniele Rubboli che afferma: Le migliori tra queste pagine, quelle che hanno vinto la prova del tempo-e sono tantehanno infatti bisogno, alla lettura, dell’intelligenza, della sensibilità, della fantasia interpretativa della coppia pianista-cantante […] E la Melodia riaffiora oggi in questo desiderio di riascoltare Francesco Paolo Tosti e tutti gli uomini-musica che, attorno a lui nel tempo, hanno creato questa immensa colonna sonora da gustare, come una cioccolata calda, nell’avvolgente, compiacente, intimità di una casa ospitale.8 7 Rossana Dalmonte Voce «Romanza» in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica UTET e Barbara Lazotti La romanza vocale da camera in Quaderni dell’I. R. TE. M. Roma 1999 pag. 68-69. 8 Daniele Rubboli op. cit. pag. 178. 8 Capitolo V: D’Annunzio, la personalità e la poetica. F in da giovanissimo Gabriele D’Annunzio manifesta vivo interesse ed amore per la musica. Secondo lo studioso Carlo Santoli avrebbe composto una romanza sul pianoforte di casa a soli sette anni9. Per tutta la durata del liceo studia pianoforte, ma ottiene i migliori risultati scolastici studiando il canto. La musica è anche uno degli elementi più importanti presenti in quasi tutte le sue lettere giovanili, soprattutto quelle indirizzate al suo primo amore Giselda Zucconi. Il citato studioso evidenzia che il poeta si riferisce alla musica con grande frequenza; nella maggior parte dei suoi lavori sono presenti allusioni e commenti che evidenziano gusto e sensibilità che vanno al di là del semplice diletto di ascoltatore. Del poeta il musicista e musicologo milanese Adriano Bassi scrive: Leggendo la sua biografia si scopre che la musica ebbe una grande importanza, anche psicologica, dato che nei suoi scritti traspare una profonda concezione estetica del bello musicale. Le teorie di Hanslick vengono ribadite ed arricchite da un costante gusto del pugnare che, per D’Annunzio, doveva essere costantemente presente anche nei momenti lirici. Negli scritti di argomento musicale cercò di riscoprire l’esatta genesi, eliminando dai suoi interessi, compositori troppo leziosi, non esaltando la raffinatezza del suono, bensì la robustezza e la massiccia presenza orchestrale. […] D’Annunzio fu l’ago della bilancia di un mondo musicale in divenire essendo un prezioso collaboratore dei nomi più accreditati del mondo musicale italiano e internazionale. […] sottoporgli i lavori più significativi era un passo obbligatorio, prima della presentazione ufficiale alla stampa.10 9 Carlo Santoli Gabriele D’Annunzio, la musica e i musicisti, Bulzoni Editore pag. 19. Adriano Bassi, Carlo Santoli op. cit. pag. 448. 10 9 Grande è la passione di D’Annunzio per la musica sacra del Seicento e del Settecento; significativo l’episodio, narrato dal poeta, della visita alla chiesa di Santa Maria della Vita, durante un viaggio a Bologna col padre. Mentre visita la chiesa ha la possibilità di apprezzare la bellezza di un mottetto di Palestrina, afferma infatti: In quel punto io nacqui alla musica, ebbi la mia natività nella musica infinita, ebbi nella musica la mia natività e la mia sorte.11 Il poeta abruzzese frequenta i concerti con grande sete di conoscenza e passione, tra i compositori più amati figura Chopin, continuamente presente nel carteggio con la Zucconi. Tra gli strumenti amati dal poeta figurano accanto al pianoforte la chitarra ed il mandolino. Negli anni giovanili il poeta coltiva prevalentemente rapporti con i melodisti (sono circa cinquanta i musicisti che hanno musicato i testi delle liriche di D’Annunzio) ed in particolare con Tosti. Oltre ad essere assiduo frequentatore di concerti e salotti musicali in cui ama ascoltare la musica vocale, si appassiona con fervore alla riscoperta del patrimonio folklorico regionale: Io studio le Canzoni popolari abruzzesi. Che sublimità d’ispirazione, Elda! Che melodie profonde e affascinanti! Non sembrano prodotti dell’uomo, ma voci della stessa Natura! Nessuna parte d’Italia ha Canzoni così belle e così splendidamente musicali; te ne manderò qualcuna. 11 Carlo Santoli Gabriele D’Annunzio, la musica e i musicisti, Bulzoni Editore pag. 27. 10 Ma bisognerebbe sentirle cantare dalle nostre contadine nei tramonti di porpora, nei gialli silenzi del mezzogiorno, nei pleniluni fatati […] Vengono le lacrime agli occhi, il cuore palpita forte in un desiderio ignoto. È la Natura che canta!12 Questo amore per le immagini e le sonorità popolari è presente secondo Santoli nella Ninna Nanna musicata da Tosti in cui sarebbero anticipate alcune cantilene de La figlia di Iorio.13 In un secondo momento, quando i lavori del poeta risentono del Simbolismo francese e quando egli si orienta verso il mito del «superuomo», aderendo più da vicino alle tematiche della filosofia di Nietzsche, preferisce come ambito di espressione della propria produzione artistica il teatro. Nella fase di maturità artistica D’Annunzio inizia pertanto a collaborare con gli operisti (tra i nomi più importanti si ricordano Claude Debussy, Alberto Franchetti, Pietro Mascagni, Italo Montemezzi, Ildebrando Pizzetti, Riccardo Zandonai, Antonio Scontrino, Gian Francesco Malipiero Alfredo Casella, Ottorino Respighi ed altri ancora) ed anche il suo rapporto con la musica cambia. Negli anni il suo interesse per la musica aumenta ed egli si trasforma da erudito musicofilo a consapevole collaboratore di importanti musicisti. La sua consapevolezza va rapportata anche e soprattutto al valore dei propri lavori, perché col tempo egli ama sempre meno rimaneggiare i propri scritti per renderli funzionali alla musica, e fruibili per i compositori. La maggior parte dei musicisti si accostano al Vate con ammirazione e rispetto, diversi tra questi ne apprezzano la sensibilità musicale, alcuni 12 13 Carlo De Matteis Tosti e D’Annunzio, in AA. VV. Tosti op. cit. pag. 132. Carlo Santoli, op. cit. pag. 37. 11 paventano la scarsezza dei propri mezzi musicali davanti alla musicalità della materia poetica dannunziana. Indicativo in questo senso è un parere espresso su D’Annunzio dal compositore Gian Francesco Malipiero. Rievocando le difficoltà nello stabilire i primi contatti per una collaborazione col poeta, così si esprime a proposito delle sue attitudini musicali: [...] Pochi scrittori si sono espressi come lui senza mai cadere in errore: non c’è mai allusione alla musica che non sia la prova evidente della sua musicalità e della sua comprensione14 Interessante è anche la vicenda legata alla genesi della Francesca da Rimini come libretto d’Opera per Riccardo Zandonai. Il compositore in una lettera a Tito Ricordi manifesta il fascino subito dalla tragedia di D’Annunzio, ma ne lamenta allo stesso tempo l’eccessiva lunghezza, afferma infatti: […] avrebbe bisogno di enormi tagli, specialmente in ciò che riguarda la parte politica del soggetto, per lasciare emergere maggiormente il dramma. Lavoro non facile di sfrondatura, al quale dovrebbe accingersi lo stesso D’Annunzio.15 Le parole del Vate sembrano dunque intoccabili, se non dallo stesso autore. Il problema della riduzione del testo è risolto dallo stesso editore Ricordi. Compositore ed editore mostrano la riduzione al poeta che assume 14 Carlo Santoli op. cit. pag. 58. La collaborazione tra i due artisti riguarda la tragedia Sogno d’un tramonto d’autunno. 12 un atteggiamento di cortese distacco: apprezza le modifiche, ma desidera che nella pubblicazione del libretto il nome dell’editore figuri accanto al suo col senso chiarito da Santoli16. Successivamente però il poeta cambia totalmente atteggiamento, quando il compositore, davanti alla difficoltà di musicare il terzo atto invoca un suo intervento risolutivo. Infatti, ascoltata la musica, il poeta afferra al volo il problema e crea in pochissimo tempo una ventina di versi ad hoc. Nonostante il buon successo dell’opera la collaborazione tra i due artisti non avrà seguito. Altra collaborazione, promossa dall’amico pittore Francesco Paolo Michetti, è quella con il compositore Alberto Franchetti, per trarre dalla tragedia La figlia di Iorio un libretto d’opera. Stranamente D’Annunzio decide di compiere in prima persona la riduzione, ma con grande rammarico come si evince da una sua lettera: In questo momento odo muggire l’automobile di Alberto Franchetti il quale viene a supplicarmi di trasmutare in pillolette quaternarie il granito della Majella.17 Il lavoro fu tormentato perché Santoli riferisce che alcune pagine furono riscritte fino a sei volte. Su un punto il poeta si mostra inflessibile: non accetta ed anzi deplora l’omissione di un verso nel secondo atto dell’opera, il compositore prontamente rimedia18. L’opera è terminata dopo un anno. 15 Carlo Santoli op. cit. pag. 76-79. Op. cit. pag. 78. Santoli sostiene che D’Annunzio in questo modo si esime da ogni responsabilità per i tagli fatti da altri, senza il suo consenso e parere. 17 Tom Antongini, Vita segreta di Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori 1938, pag. 481. 18 Carlo Santoli op. cit. pag. 98. 16 13 La stessa tragedia è messa in musica anche da Ildebrando Pizzetti, compositore prediletto da D’Annunzio, a cui il Vate la dona pignus ac monumentum amoris, terminato il periodo contrattuale che sanciva i diritti di Fianchetti sulla stessa. Il poeta inoltre dimostra di essere rimasto poco soddisfatto dei risultati ottenuti dall’“opaco compositore giudaico”che ha musicato la tragedia per primo. 19 Curioso il fatto che ad operare la riduzione della tragedia in libretto è lo stesso compositore, probabilmente perché, come affermano lo studioso Renato Chiesa, ed il critico Fedele D’Amico, il Pizzetti drammaturgo ha una chiara impronta dannunziana. Più sottilmente Fedele D’Amico sostiene che il Pizzetti drammaturgo si rivela più volte dannunziano, mentre il Pizzetti musicista non è dannunziano neanche quando musica un’opera di D’Annunzio, autore da lui preferito. 20L’affinità artistica permette la nascita di molte opere dalla collaborazione dei due, infatti Pizzetti compone sul testo di Fedra, La nave, La Pisanelle, della lirica I Pastori e scrive la Sinfonia del fuoco per il film Cabiria. A proposito del poeta della Fedra Pizzetti afferma: […]poteva essere il più sensibile e più intelligente uditore e giudice di musica che si possa immaginare. Non era, il D’Annunzio che stupendamente ma vanamente fantasticò su la musica di Wagner o su quella di Scriàbine, ma era lo stesso che in quanto uomo ed in quanto poeta sentì ed espresse la profonda poesia della sua propria terra e l’amore per la sua propria terra […] Ascoltava silenzioso, a capo chino: poi chiedeva di riudire, una due magari tre volte. Ma quando infine parlava, non una delle sue parole era senza peso, 19 20 D’Annunzio allude a Franchetti era di religione israelita. Cfr. Carlo Santoli op. cit. pag. 113. 14 senza ragione, senza significato. Dovunque il polso della musica batteva più forte egli infallibilmente sentiva ed avvertiva[…]. 21 Quando Pietro Mascagni collabora con D‘Annunzio per fare del testo della Parisina un’opera, il maestro ha occasione di dire al poeta Tu sai la musica. Per una volta il poeta si mostra quasi modesto e risponde: Avevo una grande disposizione ma, non l’ho mai studiata.22 Il prodotto della collaborazione non porta tuttavia ad un grande risultato: sebbene il testo sia stato concepito dal poeta già come dramma musicale, l’autore non è riuscito ad essere sufficientemente sintetico per le esigenze richieste dall’ambito di destinazione, ed il musicista che è “afferrato dalla bellezza del verso e dalla veemenza della tragedia”, incorre nell’errore di voler musicare tutto, con completa soggezione del musicista al poeta creando così un’opera “ridondante e imponentemente massiccia”.23 D’Annunzio riesce nel tempo ad imporre la sua personalità anche nel campo della musica; l’uomo che vive la vita celebrando l’epopea di se stesso, attraverso le diverse tappe toccate dalla sua poetica, (la musica fa sempre parte del suo essere sia che si parli del Panismo, di Estetismo del Superomismo che del Decadentismo dannunziano) risulta convincente fino al punto di incarnare il mito anche per i musicisti che collaborano, o desiderano collaborare con lui. Sicuramente egli riesce a penetrare con grande attenzione gli effetti della musica, ma quanto egli penetrò l’essenza di essa, nonostante le 21 Carlo Santoli op. cit. pag. 169-170. Carlo Santoli, op. cit. pag. 253. 23 Carlo Santoli, op. cit. pagg. 266-268. 22 15 straordinarie risorse musicali e ritmiche dei suoi versi la pertinenza e la perspicacia delle sue affermazioni, la vivacità e l’attenzione delle critiche musicali degli scritti giornalistici? Nel libro segreto si legge un frammento che tutto sommato contiene affermazioni generiche: Strana cosa l’effetto del Diesis e del bemolle! È meraviglioso che un cambiamento di un mezzo tono, l’introduzione di una terza minore in luogo di una terza maggiore, dia una sensazione inevitabile di tristezza, di malinconia, che il diesis distrugge appena compare. L’Adagio in Bemolle diventa una lamentazione straziante quando si eleva: esprime il più alto dolore…24 Di certo rimane innegabile che il Vate si sente sempre coinvolto in prima persona quando si parla di musica, anche quando ne è in discussione la diffusione e la funzione sociale25. D’Annunzio che sotto il profilo artistico è una della figure più irrequiete e poliedriche di tutti i tempi, rinnova continuamente il suo linguaggio quasi fino alla fine della sua vita. Quando ormai i suoi lavori approdano al teatro dove oltre ad essere musicati sono anche drammatizzati egli può esprimersi in un ambito più consono alla sua personalità ed alla maturità artistica raggiunta. Essendo amante dell’azione e del nuovo egli non torna a 24 Carlo Santoli op. cit. p. 389. Così durante il periodo di Fiume proclama la musica “istituzione religiosa e sociale, come si legge in due paragrafi del «Disegno di un nuovo ordinamento dello Stato libero di Fiume» inclusi nella Carta del Carnaro. Si impegna con fervore nel progetto di Casella e Malipiero riguardante la creazione della Corporazione delle Nuove Musiche, con lo scopo di promuovere ed organizzare concerti di musica contemporanea, creare un coro per far rivivere le musiche antiche (soprattutto quelle di Claudio Monteverdi), ed un’ orchestra e mettere le masse a contatto con la musica. D’Annunzio fa affidamento sul prestigio della sua persona per reperire i fondi necessari alla creazione del progetto e stabilisce un legame con la Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare di cui è protettore. Tra le novità musicali proposte durante cinque anni di attività, suscita un clamoroso scandalo l’esecuzione del Pierrot lunaire del compositore austriaco Arnold Schoenberg. Vedi Carlo Santoli pag. 405-407. 25 16 collaborare con i melodisti, è troppo angusto lo spazio del salotto, per l’eroe di guerra ed il “Superuomo”è tempo di nuovi orizzonti. Tosti percepisce l’evoluzione della poetica dell’amico già nel 1907, sicuramente ne ha avvertito i segni nelle ultime liriche dannunziane musicate ed è probabile che anche per questa ragione le Quattro canzoni d’Amaranta, i poemetti La sera e Consolazione hanno una veste musicale che “in punta di piedi” cerca di superare le soglie del salotto ottocentesco. Capitolo VI: Tosti, D’Annunzio e il cenacolo di Michetti. L eggendo gli scritti di Gabriele D’Annunzio, soprattutto gli articoli in cui egli rievoca i primi soggiorni a Francavilla, nel Convento di Michetti, si è portati ad immaginare il luogo come una specie di oasi di pace dai rustici contorni primitivi, per pochi spiriti eletti, in cui si cerca, di vivificare e conservare, grazie al ritrovato contatto con la natura, le tradizioni e lo spirito primitivo del luogo. Questa specie di recupero delle tradizioni popolari sembra realizzato, almeno nei primi scritti che ne fa D’Annunzio, da parte di una élite di intellettuali, legati dalla comune origine abruzzese, che facendosi interpreti privilegiati della materia popolare della propria terra, la nobilitano, organizzando forme di spettacolarizzazione e la salvano dall’oblio a cui resterebbe consegnata se sopravvivesse solo nella forma orale. 17 Lo studioso Umberto Russo chiarisce ed approfondisce in poche pagine quale sia stata la vera natura del cenacolo e quale funzione esso ebbe non solo nell’ambito strettamente regionale, bensì su un fronte nazionale. 26 Un aspetto molto importante che Russo evidenzia è il fatto che: Nella cittadina era già viva una tradizione di cultura, illustrata tra il Settecento e l’Ottocento da ecclesiastici, magistrati, docenti universitari nativi del luogo che pur svolgendo altrove le loro funzioni, avevano riverberato sull’ambiente un impulso alla crescita civile e all’approfondimento degli studi: su questo abbrivio si formò, all’indomani dell’Unità, un gruppo di intellettuali che, traendo stimolo dal nuovo assetto politico e sociale della nazione, affrontarono con intelligenza e senso di responsabilità il compito di promuovere lo sviluppo della cittadina. La cessione a Michetti del Convento di Francavilla, sostiene Russo, fa parte di un preciso progetto amministrativo di crescita urbanistica, non solo.27 Russo pone l’accento anche sul fatto che intorno al cenacolo si muove un folto gruppo di intellettuali del posto, che coltiva non solo interessi culturali, bensì anche interessi di natura politica. Questi si manifestano sotto forma di collaborazioni estemporanee di componenti del cenacolo con i politici-intellettuali del luogo e sotto forma di candidatura di Michetti alle competizioni amministrative locali e di D’Annunzio come deputato, candidature entrambe sostenute dalla classe dirigente di Francavilla.28 26 Vedi Umberto Russo Il cenacolo F. P. Michetti nel Convento di Francavilla, in AA. VV. Tosti a cura di F. Sanvitale, EDT Torino pagg. 191-201. 27 Nel 1872 il Comune redige un piano di fabbricazione che interessa la zona litoranea per promuovere la costruzione di villini e centri di accoglienza turistica, favorendo così la trasformazione della cittadina da borgo di pescatori a località turistica balneare. 28 Tra i nomi più importanti che si muovono intorno al cenacolo si ricordano il prof. Tommaso Bruni, il notaio Pasquale Trivelli, l’avvocato Francesco Ercole, Teodorico Marino, Filippo Masci docente di Filosofia e Rettore dell’Università di Napoli. Vedi Umberto Russo, op. cit. pag. 193. 18 L’elemento più importante da ricordare è tuttavia il fatto che il cenacolo accoglie ben presto artisti ed intellettuali provenienti da tutta Italia, grazie alla “ospitalità” dell’esponente principale, cioè Michetti.29 Questo fatto contribuisce da un lato a “sprovincializzare” il cenacolo e dall’altro a risvegliare l’interesse per le tradizioni e la cultura di carattere propriamente regionale. Problematica appare anche la definizione data al gruppo di artisti che si riunisce nel Convento: molti studiosi sostengono che quello retto dal famoso «quadrunvirato abruzzese»30, non possa definirsi propriamente cenacolo artistico, in quanto privo di un manifesto programmatico atto ad individuare una poetica comune ai suoi membri, e perché tra i componenti, c’è chi partecipa solo con presenze saltuarie (come nel caso di Tosti). In realtà le attività svolte dai componenti del gruppo e da chi frequenta il Convento sono contrassegnate da consapevolezza, affinità culturali e dal ben individuato scopo di “fare arte”, di “creare” ed il Convento è considerato da tutti luogo deputato alla produzione artistica. Per quanto concerne il manifesto del cenacolo Umberto Russo giustamente afferma che, pur mancando un documento specifico in cui la poetica comune è fissata e conservata, non si può fare a meno di guardare alla figura del poeta di Pescara. In tutti gli scritti di D’Annunzio si possono secondo lo studioso, individuare degli elementi che interpretati estensivamente possono costituire il manifesto del cenacolo: negli scritti giornalistici c’è grande consapevolezza di offrire l’immagine del cenacolo 29 Il Convento ospita Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, Carmelo Errico, Giulio Aristide Sartorio, Ugo Oietti, Adolfo De Bosis, Edmondo De Amicis, Primo Levi ed altri ancora. 30 Tra i quattro il più anziano è Francesco Paolo Tosti, seguito dal pittore Francesco Paolo Michetti e dallo scultore Costantino Barella. Il più giovane è Gabriele D’Annunzio, che ha appena diciassette anni quando il cenacolo comincia ad essere attivo. 19 ad un grande pubblico quindi essi hanno carattere apologetico, mentre negli scritti di altro genere, come per esempio nella dedica a Michetti del Trionfo della Morte, sono contenuti già gli elementi fondanti della futura poetica di D’Annunzio che in un certo senso possono costituire anche il substrato ideale su cui si fondano le attività promosse dal cenacolo. Tornando più da vicino alla simbiosi artistica tra D’Annunzio e Tosti va detto che, al di là della validità o meno delle attività svolte dal gruppo, e della sua consistenza come cenacolo artistico, è proprio in questo clima, in questo fervore artistico che nasce, tra il più giovane ed il più anziano esponente del gruppo, il rapporto umano che negli anni nonostante la lontananza, non fa che crescere e consolidarsi. Il contatto epistolare testimonia quanto fosse intimo e fraterno il legame tra i due artisti: D’Annunzio ricorre all’aiuto di Tosti quando ha bisogno di far introdurre in Inghilterra amici e conoscenti, quando ha bisogno di un’ala protettrice per la Duse31, quando ha bisogno di denaro. L’uno segue i successi dell’altro, l’uno rimpiange l’altro ed entrambi rimpiangono i soggiorni a Francavilla, le riunioni del salotto Tosti in via de’Prefetti a Roma. Tosti conosce il Trionfo della Morte, segue i passi dell’amico scrittore e poeta e sicuramente riesce molto meglio di altri che collaborarono con D’Annunzio, a cogliere gli elementi della poetica nella sua evoluzione, a stabilire quell’empatia che gli permette di non tradire con la sua musica il senso dato dal poeta ai versi32. I frutti più maturi della collaborazione sono 31 Note di Francesco Sanvitale in AA. VV. Tosti pag. 75. Mariano Francesco Paolo Tosti e Gabriele D’Annunzio, in Francesco Paolo Tosti, Romanze su testi di Gabriele D’Annunzio, Ricordi, pag. 12. 32 20 sicuramente le Quattro canzoni d’Amaranta, i Due piccoli notturni, e i poemetti Consolazione e La sera. Il legame tra i due sopravvive perfino alla morte di Tosti. La vedova Berthe scrive da Roma a D’Annunzio mostrandosi preoccupata per la pubblicazione delle ultime opere del defunto marito e il poeta contatta immediatamente l’editore Ricordi. 33 A muovere D’Annunzio probabilmente è lo stesso sentimento che ci mostra il poeta nel 1929, ormai anziano eroe di guerra, con l’occhio offeso, confinato nei fasti del Vittoriale, in lacrime dopo aver riascoltato ‘A vucchella, ben tredici anni dopo la morte di Tosti.34 33 Vedi Emilio Mariano Francesco Paolo Tosti e Gabriele D’Annunzio, in Francesco Paolo Tosti, Romanze su testi di Gabriele D’Annunzio, Ricordi, pag. 13. 34 Carlo De Matteis, Tosti e D’Annunzio, in AA. VV. Tosti op. cit. pag. 137-138. 21