ANNO 3 - N.7 - Aprile 2016 Testata regolarmente iscritta al Tribunale di Salerno Reg. num. 20 del 12 dicembre 2013
L’Arte delle Muse
Attilio Sofia
Editoriale
N.7
ANNO 3
Aprile 2016
Direttore responsabile
Gabriella Sorrentino
Editore
Fondazione SInAPsi
Rappresentante legale
Attilio Sofia
Comitato di redazione
Alessandra de Robertis
Stefania Lauri
Francesca Porrari
Luca Spagnulo
Progetto grafico
Gaetano Barra
Stampa
Tipografia Fusco
Rivista quadrimestrale anno 3, numero 7
- Aprile 2016 Testata regolarmente iscritta al
Tribunale di Salerno
Reg. n. 20 del 12 dic 2013
[email protected]
www.fondazionesinapsi.it
Hanno collaborato a questo numero:
Attilio Sofia Presidente
Fondazione SInAPsi
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Alfredo Capozzi Insegnante
scuola media
[email protected]
Antonio Celano Musicoterapista
[email protected]
Eleonora di Martino Insegnante
[email protected]
Francesco Panzeri Sound Beam
[email protected]
Gabriella Sorrentino Direttore
responsabile Orione
[email protected]
Giovanna Martinelli Insegnante
del coro Mani Bianchi
[email protected]
Giuseppina Mansi Musicista
[email protected]
Marco Crespi Redattore
ed esperto in didattica della scienza
[email protected]
Paola Magaldi Logopedista specializzata
in voce parlata professionale e artistica,
vocologa artistica
[email protected]
Paolo Falessi Ladri di Carrozzelle
[email protected]
[email protected]
Riccardo Della Ragione Ricercatore Musicoterapista
[email protected]
Ugo Rodolico Musicista
Illogic Trio
[email protected]
La musica nasce con l’uomo: i primi suoni risalgono all’era del Paleolitico; nella civiltà egizia
abbiamo le prime testimonianze musicali.
È nell’antica Grecia che la musica occupa un
ruolo di grande rilievo nella vita sociale e
religiosa; infatti i Greci ritenevano che la musica, letteralmente “Arte delle Muse”, donasse
all’uomo la possibilità di trasformare gli animi
ben oltre i sensi.
Sono poi i Romani ad attribuire alla musica una
componente più popolare; dopo, essa per diversi secoli conserva un significato più strettamente religioso, e solo nel settecento la musica
occidentale si sviluppa basandosi sulla tonalità.
I primi strumenti musicali sono stati quelli “a
percussione”, poi sono comparsi gli strumenti
a fiato, flauto e corno, e successivamente gli
strumenti a corda, come la lira e la cetra.
La musica quindi, è nata e cresciuta con l’uomo: possiamo dire che ha seguito la sua evoluzione biologica; si comprende perciò che gli
strumenti musicali sono diventati col tempo
sempre più sofisticati.
In ogni caso, sempre, la musica ha conservato
nei secoli quelle capacità potremmo definire
magiche; essa molte volte arriva anche dove le
parole non arrivano ed è capace di esprimere
le emozioni più recondite.
Oggi l’arte della musica viene usata anche in
campo medico: infatti la musicoterapia viene
applicata in vari ambiti. Si sono avuti miglioramenti di pazienti in terapie comportamentali, miglioramenti in bambini con difficoltà di
relazione, risvegli da coma profondo; è stato
provato che l’ascolto della musica ha un effetto positivo sul sistema nervoso e agisce anche
come distrazione e, quindi produce un effetto
positivo sulla percezione del dolore.
Sono convinto che gli antichi Greci avessero
ben ragione a ritenere la musica “arte dai
diversi poteri”, rilassanti, ludici, educativi, e soprattutto credo, arte capace, come un filo, di
unire bambini, adulti anche di popoli e lingue
diverse.
La Fondazione
Fondazione SInAPsi è una realtà socio-psico-educativa che offre servizi in favore di
persone nella fascia d’età da zero a diciotto anni con disabilità visiva e plurima.
L’équipe della Fondazione predilige l’approccio psico-educazionale per raggiungere la
famiglia e il suo sistema di relazioni. La metodologia si articola in diverse fasi:
l’osservazione, la consulenza e l’affiancamento a genitori, insegnanti e operatori dei
servizi territoriali. La presa in carico del bambino avviene considerando il contesto di
riferimento per favorire l’inclusione.
AREE
SERVIZI
LABORATORI
• Sociale
• Psicologica
• Pedagogica
• Ortottica
• Educativa
• Tiflologica
• Tecnologie assistive
• Consulenza
• Valutazione
• Diagnosi visiva
• Valutazione visiva funzionale
• Progettazione del piano socio-psico-educativo
• Affiancamento
• Formazione
• Educazione visiva
• Psicologia della percezione e dell’arte
• Gioco condiviso affettività e comunicazione
• Psicoeducativo fratelli
• Training educativo
• Attività espressive per genitori
• Tiflologico
• Tiflo-informatico
CENTRO IN.TER.MEDIA
Fondazione SInAPsi risponde alle esigenze di innovazione tecnologica al servizio della
persona con disabilità con il progetto del centro In.Ter.Media, che dispone di un laboratorio informatico con le più aggiornate tecnologie assistive.
Sommario
6
Linguaggi
Se lo parli… lo suoni
Una proposta metodologica per un approccio verbale allo studio della musica e del ritmo
Ugo Rodolico
8
Psicologia
9
18
--------------------------------------------------------------------------------------------------
L’armonia delle melodie è (anche) una questione di numeri
La costruzione della scala musicale
Marco Crespi
La poltrona AcusticA trasforma il corpo umano
in strumento musicale
Uno strumento per aumentare il proprio potenziale energetico
Riccardo Della Ragione
11
Scuola
Ta ka din - ta ka di na tam
Soundbeam: uno strumento per tutti
Il laboratorio musicale del Centro Ricerca
Arte Musica Spettacolo (CRAMS) di Lecco
Francesco Panzeri
19
Educazione
20
21
--------------------------------------------------------------------------------------------------
Musica Parlata
Un software per musicisti non vedenti
Giuseppina Mansi
Educazione sonora della voce
Il consiglio del logopedista
Paola Magaldi
----------------------------------------------------------------------------------
A tambur battente
Vi racconto come ho spazzato via la
mia timidezza
Antonio Celano
Correlazione tra ritmo e linguaggio
Ugo Rodolico
14
Tecnologie
Territorio
I ladri di carrozzelle: ottimismo e buonumore a
suon di rock
Storia della band che sfida l’indifferenza
Paolo Falessi
16
Tecnologie
17
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
I Fiocchi Canterini
L’esperienza del 1° Circolo Didattico di Scafati
22
I migliori software per gli amanti della musica
Alfredo Capozzi
Musica senza barriere
Il coro delle Mani Bianche
Giovanna Martinelli
23
L’intervista
25
Eventi e attività
Eleonora Di Martino
Fare, studiare o produrre musica
Testimonianze
Quando la musica arriva
Intervista a Massimo Tagliata
Gabriella Sorrentino
Corso di formazione
Teoria e pratica della percezione ottica e tattile di
Opere d’arte
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Progetto
Apprendimento Cooperativo 2016
Se lo parli… lo suoni
Una proposta metodologica per un approccio verbale allo studio della
musica e del ritmo
Ugo Rodolico
Linguaggi
Durante la mia adolescenza ero affetto da balbuzie. La mia sintomatologia non era estremamente grave
ma abbastanza invadente da rendere ogni interrogazione in classe un piccolo inferno. Ricordo che prolungavo
certi suoni o evitavo certe consonanti o intere parole
come stratagemma per mascherare il problema ma non
c’era nulla da fare: prima o poi arrivava il momento delle
estenuanti ripetizioni, dei prolungamenti dei suoni che
somigliavano a versi di foca e delle totali interruzioni che
diventava rapidi preludi di silenzi imbarazzanti. All’epoca
non avrei mai potuto immaginare che vent’anni dopo mi
sarei trovato in classe a scegliere le stesse consonanti o
sillabe più appropriate questa volta non per nascondere
un difetto ma per portare alla luce il senso del ritmo e del
tempo nei miei allievi percussionisti e batteristi. Gli stessi
suoni di parole (detti “foni”) con cui facevo a botte mi
sono oggi indispensabili per insegnare un “altro solfeggio” della musica ai ragazzi che si accostano agli strumenti a percussione nella Scuola Media ad Indirizzo Musicale,
una realtà ormai consolidata da 15 anni nel ciclo didattico
della scuola italiana. La mia esperienza di musicista e
percussionista mi ha convinto di quanto sia forte il legame
tra ritmo, corpo (movimento) e linguaggio (la lingua e i
suoi suoni). In cosa consiste questa relazione?
I Greci descrivevano il ritmo con parole che indicavano
sempre una profonda relazione delle arti temporali con il
movimento. La distinzione fondamentale è sempre stata quella tra arsis e thesis, tra slancio e appoggio. I due
termini sono stati riferiti alla massima elevazione ed al
massimo abbassamento della voce.
Oggi è molto diffusa la teoria secondo la quale prima
che il linguaggio si cristallizzasse in forme e significati
comunemente accettati, esistesse una musilingua che tendeva a mescolare aspetti semantici ai condensati emotivi
propri della musica. Queste osservazioni suggeriscono che
da sempre la musica e in particolare il ritmo é un tutt’uno
con il linguaggio inteso come movimento degli organi
di fonazione i quali hanno il privilegio di emettere grida,
suoni e parole.
Nel secolo scorso Carl Orff, musicista e autore dei Carmina Burana, approfondì didatticamente la potenza ritmica
del linguaggio e dalle sue intuizioni nacque un metodo, lo
Schulwerk, che ancora oggi costituisce un valido strumento didattico nella pedagogia musicale. Il sistema orffiano
affonda le sue radici in una concezione educativa che
riconosce i legami con il linguaggio popolare, con i ritmi
essenziali della vita, con la vita della natura.
Orff parla di musica elementare definendo il concetto:
«Musica elementare non è mai musica sola, essa è collegata a movimento, danza e parola. Il percorso si basa su
cose che ai bambini piace fare come recitare filastrocche,
cantare, danzare, battere ritmi con le mani e con tutto il
corpo. I ritmi sono prodotti in formula di “ostinato” ossia
si ripetono uguali a se stessi: la sovrapposizione di diversi
di essi, eseguiti da differenti strumentisti, creano dei brani
di musica d’insieme».
Orff dice: « […] all’inizio di ogni esercizio musicale, sia
melodico, sia ritmico, c’è un esercizio linguistico».
Egli si rifà perciò alla lingua madre. Dal tradizionale patrimonio delle filastrocche infantili, dalle sentenze popolari, dai proverbi dei contadini egli trae le più semplici forme
e le prime formule di motivi ritmici, e vi scopre il modello
delle prime creazioni melodiche. Dal parallelismo di frasi
parlate e di melodie nascono prima frasi puramente ritmiche e in seguito ritmico-melodiche.
Nella sua tesi sull’ “Orff-Schulwerk” il maestro Marcello
Napoli, con il quale ho collaborato per diversi anni, ha
approfondito il percorso intrapreso da Orff sotto un profilo
neurocognitivo, psicopedagogico, artistico e culturale.
Alcuni suoi spunti si rivelano molto interessanti. Secondo Napoli il metodo indicato da Orff unisce tre elementi:
la parola, il gesto e il suono. Vengono utilizzate alcune
filastrocche associate a movimenti nello spazio (locomotoria) e a movimenti sul corpo (propriocezione) e successivamente adoperate su uno strumentario ritmico-melodico.
Se è vero che il ritmo è, come diceva Platone, ordine nel
movimento (Leggi, 665a) e se, come sostengono oggi
alcuni psicologi della musica, ci si trova di fronte ad un
evento ritmico ogni qual volta si presentino due o più
eventi all’interno di una pulsazione regolare sovraindicata (Sloboda, La mente musicale), è altrettanto vero che
il linguaggio, fatto di parole, ha in sé elementi ritmici da
poter organizzare all’interno di una pulsazione regolare.
Secondo P. Fraisse «In origine, l’uomo non dispone che del
proprio corpo e della propria voce. Non è irragionevole
pensare […] che l’organizzazione neuromuscolare dell’uomo privilegi la ripetizione dei movimenti identici […]».
La psicologia cognitivista sostiene che il linguaggio possiede alcune caratteristiche di intenzionalità che trasformano l’evento verbale in un supporto psicomotorio.
Un esercizio linguistico, come può essere una filastrocca
o uno “scioglilingua”, costituisce un valido prerequisito tecnico di un gesto musicale. Molto spesso, come ho
osservato nelle mie esperienze didattiche, una filastroc-
ca priva di significato, contenente suoni onomatopeici
strettamente riferiti al timbro di un tamburo o ad una
sequenza ritmica particolare, è per il bambino molto più
coinvolgente di una narrazione cadenzata. Questo perché
il ritmo delle parole possiede un fascino puro al di là di
qualsiasi contenuto semantico.
Anche l’aspetto dell’intonazione e dell’accentazione di
un enunciato, contribuisce sia a rafforzare la motivazione
del bambino di fronte ad una filastrocca, sia a creare una
direzione e una struttura sintattica nella filastrocca stessa.
Una filastrocca ritmica avrà quindi al suo interno:
• Una intonazione marcata, quasi esasperata
• Accenti molto forti
• Suoni ben articolati
• Ritmo ben scandito e organizzato
• Ripetitività intrinseca che rinforza e facilità la memoriz
zazione.
La propriocezione rappresenta la seconda tappa dell’apprendimento musicale. Essa costituisce un canale naturale
e immediato in quanto il corpo è contemporaneamente
strumento e strumentista. L’impatto del gesto-suono
(battito delle mani, mani sulle gambe o sul petto, etc.) fa
sì che il ritmo della parola venga tradotto in due modi:
una realizzazione motoria, legata ad un atto volontario,
anche se imitativo; una realizzazione sonora in base alla
quale il suono diventa una conferma ritmica. Mi è capitato
spesso di organizzare in classe quello che ormai spopola
in internet come “body percussion” una composizione per
parti del corpo percosse in vario modo e organizzate in un
ensemble di “strumentisti” di se stessi. Il suono, infine, si
presenta come la “ cartina di tornasole” di un percorso
verbale e motorio. Napoli dice che “ […] occorre partire da
un assunto: il suono nasce dal movimento. Detto questo
la considerazione successiva è che, nel momento in cui noi
percepiamo un suono, nel nostro sistema uditivo avviene
un movimento…”.
Questo è quanto accade in presenza di ogni singola
stimolazione sonora. È facilmente intuibile, ora, il perché,
in determinate circostanze, il nostro corpo sembri non
riuscire a controllarsi quando percepisce sonorità accattivanti e coinvolgenti, come ad esempio alcuni ritmi tribali
eseguiti sui tamburi, oppure alcuni ritmi latino-americani.
Questa descritta è la stretta relazione che si crea tra
il fenomeno sonoro e la risposta motoria viene definita
(dalle varie correnti di psicologi e neuro-fisiologi) “Isomorfismo”. In altre parole, l’onda sonora che si crea nel
nostro sistema uditivo causa una diretta ricostruzione di
se stessa dal punto di vista neuro-muscolare. Se proponiamo, ad esempio, ad un gruppo di bambini di muoversi su
di una stimolazione ritmica verbale scandendo la parola
“takète”, vedremo un gruppo di piccoli robot scattare in
modo meccanico. Reazione opposta si avrebbe se tutto
avvenisse sotto induzione verbale con la parola “maluma”, in questo ultimo caso i movimenti diverrebbero
rotondi, sinuosi e controllati.
La psicologia del ritmo ci dice che, in determinate condizioni di successioni di eventi sonori, tutte le stimolazioni
ritmiche sono percepite come se fossero raggruppate e la
ripetizione di questi gruppi dà luogo alla percezione del
ritmo.
Se in un ambiente silenzioso ascoltiamo i rintocchi della
lancetta di un orologio, noi li percepiamo raggruppati a
due o a tre, più raramente a quattro (tant’è vero che si
dice in genere: “Il tic-tac di un orologio” identificando un
gruppo di due elementi con due parole diverse), anche se
la sequenza dei rintocchi è perfettamente regolare; non
c’è nessun fattore legato alla serie di rintocchi che determini un qualsiasi raggruppamento: si parla in questo caso
di ritmizzazione soggettiva.
Accadono poi due eventi altrettanto soggettivi legati
al raggruppamento percepito. Prima di tutto l’intervallo
fra due gruppi successivi appare più lungo di quello fra
gli elementi del gruppo (quando c’è uguaglianza fisica);
in secondo luogo il primo elemento del gruppo sembra
più accentuato degli altri. La ritmizzazione sarebbe stata
oggettiva se un intervallo periodico più lungo degli altri
avesse creato una pausa o se un elemento su due o su tre,
fosse stato realmente accentuato.
La mia idea parte da qui: rielaborare nuovi sistemi di
comprensione e traduzione del segno musicale (scrittura) tenendo presente la stretta relazione esistente tra
ritmo, corpo e linguaggio. Per avvicinare un bambino
all’esecuzione di figure musicali, di ritmi e rudimenti per
tamburo non si può partire subito né un approccio visivo
allo spartito musicale né ad una decodificazione di tipo
matematico e divisivo; credo piuttosto che una lunga fase
di apprendimento debba essere centrata sull’esperienza
pratica di cose che al bambino piace fare come scandire
uno scioglilingua sempre più complesso e sempre più
veloce. Presupposti teorici ed esperienza mi hanno portato
a credere che l’utilizzo del linguaggio nella pratica ritmica
aiuti a rafforzare la ritmizzazione soggettiva rendendola
oggettiva.
L’armonia delle melodie è (anche) una questione di numeri
La costruzione della scala musicale
Marco Crespi
La poltrona AcusticA trasforma il corpo
umano in strumento musicale
Uno strumento per aumentare il proprio potenziale energetico
Riccardo Della Ragione
Linguaggi
Cosa ci sia di matematico nella musica è facile comprenderlo, anche per chi matematico non è. Ci sono le frazioni
che indicano la durata, i tempi, il ritmo. Sono strutture matematiche che ogni giovane o vecchio musicista -o di chi
vorrebbe esserlo, come il sottoscritto- deve affrontare. Poi
c’è la parte matematica, legata alla fisica, che ci descrive
i suoni, le frequenze, le intensità. Poi c’è il pentagramma,
quasi un piano cartesiano con le sue regole e i suoi assi.
E così via. Andando avanti si possono trovare migliaia di
ponti tra queste due arti. Più o meno sottili, più o meno
complicati. Ma la cosa più affascinante del legame tra
matematica e musica è la costruzione della scala musicale.
E ci si può anche giocare: con le mani, un po’ di pazienza,
legno e chiodi.
Questa storia che vi racconto inizia da Pitagora per arrivare fino al 1500, al signor Zarlino.
Prima di tutto vi getto in pasto una formula. A me piace
questa formula e possiamo dire che tutto inizia da qui,
anche se i primi che l’hanno usata non la conoscevano. E’
una formula matematica che ci parla di fisica. Eccovela,
poi la spiego:
In questa formula abbiamo la T che
rappresenta la tensione della corda,il
Þ che è la densità della corda quindi
dipende dal materiale con cui è fatta- e
S è la sua sezione. L, infine, è la lunghezza della corda tra i due sostegni.
Se pensiamo alla chitarra la L è la distanza tra il capotasto
e il ponte.
Quindi data una lunghezza e scelto il materiale posso
agire sulla tensione per accordare sulla nota che desidero.
Possiamo però anche ragionare in modo diverso. Abbiamo
una corda e la fissiamo ai due estremi di un supporto di
legno. Questi punti simulano il capotasto e il ponte della
chitarra. La corda è ben tesa, ha una lunghezza x tra i due
punti e toccandola vibra con una determinata frequenza.
Quella sarà la nostra nota. Per ora non ci interessa
sapere quale sia. Sappiamo che in una scala musicale la
frequenza di una nota è la metà della stessa nota, un’ottava superiore.
Per esempio se prendiamo il La del diapason sappiamo
che la sua frequenza è di 440 Hz, quindi il La dell’ottava
superiore -il successivo La sulla tastiera di un pianoforte,
sarà di 880 Hz. Come vediamo dalla formula per raddoppiare la frequenza basta dimezzare la lunghezza. Per
dividere l’ottava in note, e quindi in frazioni della corda,
sono stati usati tantissimi metodi. Ci hanno provato cinesi,
Psicologia
giapponesi e in parallelo la scuola di Pitagora. Lo strumento utilizzato era proprio quello che abbiamo descritto:
un monocordo. Alla fine fu Gioseffo Zarlino, nel 1558, che
riuscì a definire quali erano queste frazioni e costruì quella
che si chiama la scala naturale.
Nota Lunghezza della corda
Do1
Re8/9
Mi 4/5
Fa 3/4
Sol 2/3
La 3/5
Si
8/15
Do 1/2
Cosa vuol dire questa tabella? Se abbiamo una corda
lunga 1, intonata sul Do e schiacciamo nel punto che la
divide in 3/4 e ¼, otteniamo dalla parte lunga il Fa e dalla
parte corta il Do di due ottave superiori (essendo 1/4 della
lunghezza base). Se premiamo poi la corda esattamente in
mezzo, pizzicando una qualsiasi delle due metà otterremo
un altro Do di un’ottava superiore.
Nel disegno qui sotto è indicata la posizione dei punti di
pressione, la frazione che rappresenta la parte destra della
corda -in rosso alcuni esempi
della parte sinistra- e la nota
corrispondente.
Ovviamente con lo stesso
strumento possiamo giocare
in vari modi. Possiamo trovare
tutte le ottave di una stessa nota
dividendo con frazioni (1/2)n.
Ovvero dividendo la corda a 1/2,
1/4 , 1/8… Oppure possiamo
costruire scale diverse, con distanze (e quindi frazioni)
diverse tra le varie note. Forse non sarà proprio intonata
come quella che si usa di solito ma poco importa, l’importante è sperimentare.
Poi alla fine arrivò Bach, che sistemò bene la scala risolvendo alcuni problemi lasciati aperti dalla scala naturale.
Ma questa è un’altra storia.
Per approfondimenti:
N. Chiriano. Pitagora e la musica. Alice & Bob dicembre
2009;15: 32-36.
N. Chiriano. Il restauro della scala. Il “temperino” di
Bach. Alice & Bob dicembre 2010; 16: 17-22.
“Noi esseri umani, come specie, siamo creature Musicali
non meno che linguistiche, e questo aspetto della nostra
natura assume molte forme diverse… A questo approccio
strutturale, in larga misura inconscio, si aggiunge poi una
reazione emozionale spesso intensa e profonda.” (Oliver
Sacks)
Sono molte le ricerche fatte che rivelano che quando il
cervello non riceve input da una modalità sensoriale è in
grado di riorganizzarsi per sostenere e potenziare gli altri
sensi.
Altre ricerche hanno confermato che le persone non
vedenti dalla nascita, nei loro sogni, visualizzano le immagini proprio come
noi, seppur non ne La poltrona AcusticA
abbiano mai avuto
esperienza.
Nell’ambito di una
proposta musicoterapeutica, il suono e
la musica possono
aprire canali comunicativi, incrementare la creatività,
sviluppare capacità
relazionali, aiutare
ad elaborare vissuti.
La persona non
vedente, anche
quello che non ha
ricevuto un’educazione musicale,
ha comunque una
propria esperienza
di vita che tramite la musica viene risvegliata, prende forma e crea emozioni che evocano delle immagini tramite:
la conoscenza di canti; il ricordo di eventi sonori per lui
significativi; la ninna nanna ascoltata quando era bambino; , le pratiche sociali inerenti la musica come il ballo, le
serenate, i cantastorie, gli strumenti musicali.
Questo bagaglio musicale che la persona si porta dentro
diventa materiale su cui lavora il musicoterapeuta/musicoterapista. Ogni persona è dunque una persona ricca di
potenzialità da attivare, di speranze da alimentare, e di
desideri da rispettare.
La musicoterapia ha come obiettivo primario quello di
valorizzare tutte le funzionalità residue dell’essere umano:
la musica diventa così un mezzo per prendersi cura, in un
modo nuovo, delle persone non vedenti.
La musica può rasserenare l’animo, risvegliare la forza di
volontà, stimolare la concentrazione, migliorare le funzioni
intellettive, stimolando al contempo la creatività.
Esiste una correlazione diretta tra musica, cuore e
sistema circolatorio: la musica è un pacemaker naturale,
cosicché a seconda della sua velocità il cuore stesso si
adatta, aumentando o diminuendo le pulsazioni.
La musica rilassante favorisce la forza e l’elasticità
muscolare: la tensione dei muscoli diminuisce, liberando la
pressione esercitata a carico delle articolazioni.
Si riscontrano effetti anche a livello della temperatura
corporea: la musica rilassante favorisce l’abbassamento
termico, mentre musica
compulsiva ne favorisce
un incremento.
Una strutturata forma
ritmica delle vibrazioni
proposte riveste un ben
preciso significato.
La capacità ritmica è
primariamente radicata
nel corpo: alcune funzioni fisiologiche, come
il battito cardiaco o la
frequenza respiratoria,
sono infatti caratterizzate da un funzionamento ritmico.
Sul legame tra suono
e movimento recenti ricerche hanno dimostrato la stretta interconnessione tra area motoria e uditiva e hanno dato avvio a
una serie di studi molto proficui sull’utilizzo del ritmo nella
riabilitazione dei disturbi del movimento (ad es. Morbo di
Parkinson, aprassia, emiparesi).
Negli ultimi 10 anni infatti, sta prendendo corpo anche
un nuovo utilizzo della musica in ambito terapeutico, si
tratta di una nuova disciplina che somministra la musica
in senso fisico-vibrazionale.
Sappiamo tutti che la musica viene usata in senso
terapeutico con la disciplina della musicoterapia, non tutti
però sanno che la musica, oltre ad avere un’azione emotiva, ha una funzione anche fisiologica sull’essere umano.
Il suono, o più precisamente l’onda sonora, è in grado
di attraversare i corpi fisici e tramite la vibrazione sonora,
Ta ka din - ta ka di na tam
Correlazione tra ritmo e linguaggio
Ugo Rodolico
Psicologia
induce un movimento all’oggetto che investe, detto movimento è chiamato effetto di risonanza.
La terapia vibro-acustica, tramite l’effetto di risonanza, agisce su tutte le fasce muscolari e sulle connessioni
nervose riequilibrando le tensioni e donando una migliore
reattività.
Il concetto scientifico che sta alla base è che le vibrazioni sonore percepite dal corpo fanno sì che il suono si
trasformi in energia.
È come se il corpo umano ricevendo delle vibrazioni
sonore venisse esposto a una sorta di “massaggio interno”, che lo rivitalizza, producendo energia per la messa in
movimento dei tessuti coinvolti dalle vibrazioni sonore.
Molti sono gli strumenti che vengono utilizzati a questo
scopo. I più conosciuti sono le campane Tibetane o i Djiridoo. Nel mercato della stimolazione sonora e sensoriale
esistono anche dei lettini sonori e poltrone di vario genere.
Io vi accennerò ad un modello che spicca per la sua versatilità e capacità terapeutica.
Si tratta della poltrona sonora “AcusticA”.
La tecnologia utilizzata nella poltrona “AcusticA” è stata
scoperta e brevettata grazie agli studi di un’equipe medico scientifica. Questo brevetto ad oggi risulta essere la
migliore soluzione nella conversione del suono in vibrazione, delle informazioni armoniche e delle frequenze sonore
presenti nella musica.
La sperimentazione su numerosi utenti e lo studio
incrociato dei dati con altri ricercatori, hanno consentito la
messa a punto definitiva della poltrona sonora “AcusticA”.
Costruita come uno strumento musicale, artigianalmente
e interamente in legno, si presenta con superfici curve ed
arrotondate, priva di angolazioni nette a 90°.
La forma della poltrona è stata concepita imitando quella di una chitarra classica ma adeguandola alla struttura
del corpo umano seguendo la postura della famosa Chaise
longue disegnata da Le Corbusier.
La poltrona “AcusticA” funge da cassa armonica senza
l’utilizzo di altoparlanti e subwoofer.
È un vero e proprio strumento musicale per far suonare
il corpo, il suono viene trasformato in impulso fisico da
apparecchiature professionali capaci di coprire uno spettro
di frequenza compreso tra 20 e 20.000 Hz.
In funzione dei suoni, dei ritmi e delle melodie, il corpo
entra in risonanza con la struttura e tramite la conduzione
ossea, beneficia di un massaggio che coinvolge le fasce
muscolari e tutte le terminazioni nervose del corpo.
Scuola
“AcusticA” è uno strumento ideato per far entrare in
risonanza ogni cellula del corpo in relazione alle frequenze
sonore tramite la trasformazione fisica del suono.
Chi riassume con un’analisi acuta questo fenomeno è
il prof. Leipp del laboratorio di acustica dell’Università di
Parigi: “Il corpo dell’uomo nell’ambito del proprio codice
di comunicazione interno, attraverso ritmi e vibrazioni
proprie, crea forme musicali, come una vera e propria
emanazione di se stesso”.
Come dice Denis Gaita: “Il simbolo musicale diventa
un sogno che trasforma. Le note in movimento sul corpo
ricordano al corpo stesso che la musica fa tacere i pensieri
logici e risveglia le esperienze affettive “tracciate sul corpo prima del linguaggio verbale”.
Nelle culture musicali extraeuropee, come quella araba,
turca e indiana, l’organizzazione del ritmo segue formule
“additive”: con questo termine si vuole indicare il fatto
che in queste musiche sono presenti dei patterns ricorrenti, il cui modulo temporale che si ripete non costituisce
una durata da dividere necessariamente in parti uguali
(come la battuta occidentale), ma un gruppo di elementi
più lunghi e più corti, come dei segmenti temporali o modi
ritmici che si ripresentano ciclicamente e che ricordano i
piedi ritmici della poesia greca.
Nella musica araba, ad esempio, esistono numerosi
modi ritmici (circa un centinaio) che possono avere durate,
in termini di “unità temporali” , da 2 fino a 176. I suoni
che costituiscono questi modi sono due e hanno uguale
durata; essi sono chiamati con sillabe onomatopeiche:
“dumm” (D) e “takk” (T). Il primo si ottiene percuotendo
la pelle dei tamburi a cornice arabi al centro, il secondo vicino al bordo. La cosa che qui ci interessa è che la sillabazione, oltre ad avere un carattere imitativo dei timbri dei
tamburi, serve principalmente ai musicisti per memorizzare ed eseguire i frammenti ritmici attraverso la pronuncia
verbale che non è casuale ma finalizzata a ricreare, con
un’articolazione fonetica adeguata, il movimento ritmico,
nella maniera più fedele possibile: tanto è vero che, per
rendere l’articolazione più fluente e darle anche una direzione e un senso, il “dumm” che segue immediatamente
(cioè con una suddivisione più stretta) un altro “dumm” si
chiama “mah” e il “takk” immediatamente successivo ad
un altro “takk” si dice “kah”:
Figura 1. Masmudi
In figura 1 è riportato un pattern ritmico arabo detto
masmudi con relativa notazione occidentale. I suoni sono
indicati dalle lettere D (dumm) e T (takk, pronuncia “tec”)
mentre i silenzi sono rappresentati dai trattini. Suoni e
silenzi sono temporalmente equidistanti. Qui di seguito
riporto una variazione del ritmo precedente con un raddoppio del “takk” che diventa “kah” (pronuncia “ca”); la
nuova unità risultante sarà “takkah” (“tecca”):
Figura 2. Variazione Masmudi
Ulteriori analogie in merito ad un’organizzazione additiva del ritmo appaiono tra la tradizione arabo-turca e
quella indiana, quest’ultima ancora più antica, complessa
e varia.
Il sistema metrico indiano è sintetizzato nel termine
“tala”.
Ogni tala, inteso come complessa struttura ritmica, caratterizza un brano e ricorre al suo interno conferendogli
unità e contribuendo a organizzarlo formalmente.
I tala non solo possono essere molto più lunghi delle
nostre battute, ma si caratterizzano anche per una peculiare suddivisione interna, che vede la somma di raggruppamenti non tutti uguali.
Come avviene per la cultura araba anche la ritmica
indiana si fonda sull’uso di un sistema di sillabazione
peraltro più complesso di quello mediorientale, le cui sequenze verbali, come abbiamo già detto, non solo hanno
un carattere onomatopeico, ma sono strettamente legate
ai frammenti ritmici che rappresentano e hanno il compito
di rafforzarne la fluidità e di conferirgli un senso e una
struttura.
Figura 3. Alcuni pattern su una struttura di 32 pulsazioni
(adi tala)
In figura 3 notiamo la presenza di gruppi ritmici formati
da elementi associati a sillabe diverse; anche qui i silenzi
sono indicati dai trattini. Nella terza battuta, per esempio,
un gruppo di tre pulsazioni seguita da un silenzio è scandito con la sequenza “ta ka din-”. Nella quinta battuta e
fino all’ottava si susseguono gruppi da cinque pulsazioni
identificate da altrettante sillabe diverse “ta ka di na tam” che si collocano a cavallo di battuta.
Isoliamo il gruppo da cinque “ta ka di na tam-” e scopriamo un’analogia con un rudimento per tamburo della
tradizione percussiva occidentale: “il rullo a cinque colpi”:
Scuola
Figura 4. Rudimento “rullo a cinque”
Il rullo a cinque è un frammento ritmico suonato sul
tamburo ed è formato da cinque colpi di cui l’ultimo è accentuato. L’idea è quella imparare tutti i rudimenti memorizzandoli come sequenze verbali che identifichino unità
ritmiche autonome, esistenti a prescindere dalla notazione
divisionale o suddivisionale (le griglie della battuta musicale occidentale) e indipendentemente da una pulsazione
di riferimento sovraordinata (cioè gli accenti metrici della
battuta: il diffuso “one, two, three, four” del batterista
prima di cominciare un brano).
Imparare a scandire la sequenza sillabica “ta ka di na
tam-“ ci permette, prima di tutto, di fissare il frammento
ritmico-verbale. Solo in un secondo momento il frammento potrà essere individuato e collocato in vari modi
che dipendono dalla suddivisione di riferimento e dalla
pulsazione di riferimento (il tempo): possiamo avere
suddivisioni larghe e strette ovvero più veloci e più lente,
ma il gruppo ritmico e la sua sequenza verbale restano
sostanzialmente gli stessi.
Le lettere tra parentesi quadre rappresentano la pronuncia dei foni quelle tra stanghette rappresentano i fonemi
cioè le unità minime del linguaggio: “ta” [t][a] è formata
da una consonante dentale sorda (non risuona nelle cavità
nasali) e da una vocale di massima apertura: la lingua fa
una decisa resistenza contro l’arcata dei denti superiori
(occlusiva) producendo un suono deciso che grazie all’
apertura della /a/ suggerisce l’attacco, l’inizio, l’accento.
“ka” [k][a] (pronuncia come “casa”) è formata da una
consonante velare sorda occlusiva cioè che non risuona
nelle cavità nasali (la “c” dura) e la /a/ aperta: essa si articola con la radice della lingua contro l’estremo limite del
velo palatino duro, ottenendo così un arresto del fiato; il
velo palatino poi si alza di scatto, dopo una momentanea
contrazione.
L’articolazione di questa sillaba è in una direzione opposta a quella precedente; le due articolazioni potrebbero
essere considerate antagoniste, come se la seconda fosse
la continuazione speculare della prima.
- “di” [d][i] è formata da una consonante dentale sorda occlusiva con l’attacco leggermente più in alto della
/t/ nella zona iniziale del palato duro (alveolo) e da una
vocale anteriore chiusa la [i] . Notiamo che su questa terza
sillaba l’articolazione fonetica comincia a tornare indietro
(cioè in avanti verso il palato duro), verso l’inizio.
- “na” [n][a] è dentale sonora perché risuona nelle cavità
nasali: il punto di attacco è come quello della [d] e la vicinanza tra le due (sorda-sonora) suggerisce una chiusura di
fraseggio ritmico “tam”[t][a][m] è formata dalla “t” che
è consonante dentale (stesso attacco della sillaba “ta”)
ma con l’aggiunta della [m] che è bilabiale sonora nasale,
Figura 5. Diverse “basi di scansione” del rullo a cinque
si articola con una lieve resistenza dei bordi interni delle
In figura 5 constatiamo che il rullo a 5 assume diverse
labbra e risuona ampiamente nella cavità nasale.
scansioni (dalla semiminima alla biscroma) ma è sem Uno spartito ritmico prima di essere letto può essere
pre indicato dalla sequenza “ta-ka-di-na-tam”. I trattini
“parlato” e memorizzato attraverso una serie di combinariportati nei primi due esempi (A e B) stanno ad indicare
zioni sillabiche che formano una mappa mnemonica.
le pause musicali, i silenzi. Negli esempi C e D non ho
Ma ancora meglio sarebbe andar a scovare delle corririportato i trattini perché, aumentando la velocità nella
scansione sillabica, accade che l’ultima sillaba, formata da spondenze tra i ritmi delle poesie italiane e i frammenti
due consonanti con una vocale al centro, assorbe il valore ritmici percussivi. Il vero poeta conosce bene il dilemma
corrispondente, che si fa via via più piccolo; l’ultima sillaba di scegliere le parole adatte in base al loro suono , al loro
ritmo e al loro colore. Tutta la poesia è un ricercare il ritmo
“tam”, essendo più lunga delle altre quattro, suggerisce
anche l’accentuazione. L’utilizzo di diverse sillabe e la loro giusto, il più fluente, il più unitario il più musicale appunto.
La parola, i foni, le sillabe, le frasi hanno una sonorità,
pronuncia suggerisce una direzione nell’articolazione e
una ritmicità che va scovata, raffinata, levigata. Nel moquindi, successivamente, nel gesto e nel fraseggio.
mento in cui la parola si distanzia dalla sua “musicalità”,
Analizziamo la pronuncia e l’articolazione delle sillabe
perde la sua caratteristica ritmico-melodica e diventa proutilizzate che nascono a loro volta dai “foni” (suoni).
sa ma solo in parte... Quando la parola torna nella poesia,
torna nella musica.
Si capisce dalla corrispondenza tra segni musicali e
grafemi (fonemi) che il solfeggio divisivo è solo un “calco” limitato delle potenzialità ritmiche della parola pura.
Il linguaggio (che è una forma di movimento: nasce dall’
articolazione fonetica dei muscoli della bocca) rafforza il
ritmo e viceversa e, come abbiamo visto nelle millenarie
culture musicali indoeuropee che hanno avuto un rapporto dicontinuità con la civiltà greca e quindi europea,
il linguaggio funge da veicolo del
ritmo perché lo rende fluido ma
anche da strategia mnemonica
per la memorizzazione di gruppi
ritmici. Si può quindi pensare ad
una triade e chiamarla “PAROLA
—> GESTO —> SUONO” (Napoli M.,
Psicopedagogia della metologia
Orff- Schulwerk).
Questa triade è reversibile e la
si può leggere al contrario come
“SUONO —> GESTO —> PAROLA”.
Da questa considerazione deriva
una possibilità interdisciplinare che
si traduce nella possibilità di entrare nei versi della poesia italiana, di
possederli veramente a partire dal
loro suono: imparare il suono e il
ritmo degli endecasillabi (il verso
“principe” della nostra poesia) con
l’obiettivo ulteriore di trasformare
i versi in clavi ritmiche cioè chiavi di lettura del ritmo da
suonare sugli strumenti a percussione.
Viceversa il musicista che si confronta con cellule
ritmiche non semplici potrebbe sfruttare le articolazioni
fonetiche (o i versi della poesie) come tavolozze mnemoniche per avere una maggiore sicurezza nell’ improvvisare.
Con in mente questi presupposti ho scritto lo spartito
ritmico dell’ “Infinito” di Giacomo Leopardi (fig. 8) ricavato dagli accenti di ogni verso (l’italiano è una lingua
intensiva), dal ritmo sintattico (cioè dalle unità di senso
compiuto), dai segni di interpunzione (virgole, punti...),
dalla quantità di sillabe e lettere (prosodia), dalle cesure
(l’endecasillabo si divide in quinari e settenari o viceversa
e lì spesso ci sono pause), dai sintagmi lessicali (cioè dalle
unità strutturali di frase che si attraggono) e infine da
un confronto di letture di quattro grandi artisti (e di ciò
che di queste letture riuscivo a sentire più mio): Vittorio
Gassman, Carmelo Bene, Enrico Papa e Arnaldo Foà. Solo
i segni di tempo sono orientativi e rimandano al solfeggio
classico che ha la necessità di organizzare matematicamente il ritmo (impoverendolo).
Nonostante il Leopardi abbia utilizzato endecasillabi
sciolti il ritmo di questa poesia eccezionale rappresenta un
unico respiro che va ben al di là della divisione in versi: il
ritmo è appunto infinito, scorre al di là di barriere convenzionali (il poeta supera sia la
metrica che la forma: è un sonetto
ma non è un sonetto).
È interessante notare come un
musicista che ha a che fare con la
lettura ritmica può memorizzare
subito il testo e il canto leggendo
solo la musica.
Viceversa un lettore a digiuno di
ritmica può entrare in confidenza
con figure complesse che vengono
di solito insegnate in una sorta di
progressione di apprendimento
molto discutibile.
La parola è memoria del ritmo (e
del movimento), il ritmo (movimento) è memoria della parola.
È incredibile notare come, trasformando in segno ritmico
(i simboli delle note) ogni sillaba
o raggruppamento sillabico, le
figure ritmiche che ne derivano seguono il significato e la
parafrasi del testo, infittendosi e incalzando, per esempio,
dal verso 8 in poi: “E come il vento odo stormir tra queste
piante” quasi come a voler sottolineare la velocità e il
rumore del vento (un meccanismo questo simile al procedimento che nel 500 si chiamava madrigalismo ma era
sempre un processo contrario che andava dalla musica
alla parola e non viceversa determinando quella tirannia
della parola sulla musica: al contrario, sono un tutt’uno!
E Leopardi lo sapeva bene!), per andare a rallentare e
quasi scomparire nell’ultimo verso: il naufragare è appunto lento e la parola “nau-fra-gar” codificata ritmicamente
in una terzina di crome suggerisce la quiete, il fermarsi, il
rallentare, il perdersi.
I ladri di carrozzelle: ottimismo e buonumore a suon di rock
Storia della band che sfida l’indifferenza
Paolo Falessi
Territorio
I ladri di carrozzelle sono una band composta in gran
parte da artisti con disabilità che hanno festeggiato da
poco il loro venticinquesimo anno di attività mantenendo
inalterato lo spirito che da sempre li anima: divertirsi e
divertire proponendo un mix vincente di leggerezza, ottimismo e buonumore condito da tanta ironia e amore per
la musica che propone di vivere la diversità come valore e
non come problema.
Tutto cominciò nel 1989, quando un gruppo di amici,
costretti in carrozzina da una malattia genetica, decisero di dar vita ad un sogno apparentemente impossibile:
formare un gruppo musicale. Attraverso le proprie canzoni
e s’impegna per realizzarli. I Ladri esprimono il proprio
talento esibendosi sui palcoscenici di tutta la penisola,
mostrando con naturalezza la loro particolarità e sorprendendo il pubblico con l’energia che mettono in scena. Un
unico progetto, tante formazioni
Purtroppo i fondatori della band, tutti affetti da una
patologia genetica progressiva, devono inesorabilmente
lasciare l’attività musicale, ma il progetto non si ferma.
Da gruppo musicale l’esperienza si trasforma in laboratorio musicale aperto a ogni forma di fragilità sia fisica
sia psichica e psichiatrica. Attualmente si tratta di una
formazione multiforme, che varia, si evolve e si spezzetta
Concerto dei Ladri in Svizzera
dando il meglio di loro stessi, divertendosi e divertendo,
ma soprattutto emozionando puntualmente la platea.
Come dice uno dei cantanti, Lorenzo, non vedente: «Le
emozioni non si vedono con gli occhi ma si sentono con
il cuore». E proprio al cuore del pubblico arriva la forza
della band che sul palco comunica un’energia inaspettata
e coinvolgente. Ogni anno i Ladri girano l’Italia in lungo e
in largo, con qualche puntata anche all’estero per suonare
dovunque vengono invitati; recentemente hanno avuto il
piacere e l’onore di suonare di fronte al Presidente della
Repubblica On. Mattarella e la Presidente della Camera
On. Boldrini, mentre non si ferma una delle attività preferite della band: suonare nelle scuole di ogni ordine e grado
per incontrare gli studenti e proporre loro un differente
punto di vista sulle diverse abilità. Parallelamente si sta lavorando al nuovo disco che sarà pronto per l’estate e sarà
presentato durante il tour estivo: una ventina di canzoni
inedite e non per raccontare in musica una bella storia.
Attualmente i ladri di carrozzelle sono un’attività
laboratoriale della Cooperativa Arcobaleno di Frascati che
coinvolge una ventina di persone con disabilità, numero
in costante aumento, come quello dei volontari che li
accompagnano ed assistono nelle loro necessità. L’integrazione tra le persone è uno dei punti di forza di questa
esperienza unica, senza retorica o approcci paternalistici:
chi vuole divertirsi e dare una mano è il benvenuto chi
Pubblico al concerto dei Ladri
la band lanciò una vera e propria sfida all’indifferenza, ai
luoghi comuni e ai pregiudizi opponendosi fermamente al
concetto di normalità.
Accettare e superare i propri limiti, sorridere ironizzando
sul mondo e soprattutto cambiare prospettiva, trasformando la paura in coraggio ed il disagio in risorsa, sono infatti
le idee sentite e tradotte in musica dalla band che vuole
promuovere un’immagine nuova delle diverse abilità, fatta
di integrazione, competenza e professionalità condite da
ottimismo e sacrificio.
I sogni non conoscono ostacoli, sono il lusso di chi ci crede
mettendo in scena non semplici concerti, bensì spettacoli
multimediali che affrontano tematiche sociali e culturali
non necessariamente legate al mondo della disabilità. Un
repertorio scanzonato e coinvolgente che spiazza il pubblico costringendolo o saltare, ballare e cantare tutti insieme.
Un repertorio e una formazione che cambia per consentire la presenza dell’ idea Ladri di carrozzelle all’interno
delle situazioni più diverse, dall’aula magna della scuola,
al pub, al teatro… Così, di volta in volta il numero dei
musicisti può cambiare… ma il vero numero, i Ladri di
Carrozzelle lo fanno sul palco, ogni volta che si esibiscono,
vuole piangersi addosso, disabile o no, può rimanersene
a casa. Un ultimo pensiero va ai volontari e alle famiglie
che supportano e sopportano i ladri tutto l’anno con un
entusiasmo e una disponibilità esemplare.
Per ulteriori informazioni: www.ladri.com
Gianluca con la Presidente della Camera dei deputati Boldrini
I Fiocchi Canterini
L’esperienza del 1 Circolo Didattico di Scafati
Fare, studiare o produrre musica
I migliori software per gli amanti della musica
Eleonora Di Martino
Alfredo Capozzi
Territorio
Oggi è cresciuta l’attenzione ai diritti universali e alla
realizzazione delle aspirazioni di ogni persona anche con
bisogni educativi speciali e con disabilità, nonché all’accoglienza di tutti nella società. Creare Inclusione in un
contesto scolastico richiede prassi sempre nuove, soluzioni
originali, adattate ai singoli bambini e ai contesti, dal
punto di vista didattico-pedagogico, comunicativo e relazionale. La musica può essere considerata un linguaggio
universale, una forma di arte espressiva, ma anche strumento socializzante soprattutto per i bambini che presentano “Bisogni Equo Sostenibili”.
Nel libro “La musica è un tutto. Etica ed estetica”, il
famoso pianista e direttore d’orchestra Daniel Barenboim
ci consegna alcune interessanti riflessioni: «Un brano
musicale è un tutto organico, dove ogni aspetto si relaziona all’altro. La musica non può essere smembrata nei
suoi elementi costitutivi; non può esistere melodia senza
ritmo, melodia senza armonia, armonia senza ritmo e così
via. […] Nel fare musica, se un elemento si disconnette
dagli altri, automaticamente viene meno l’idea di un tutto.
Non appena questo tutto integrato svanisce, il pezzo non
può più essere considerato musica nel senso più pieno e
profondo del termine».
Un brano musicale rappresenta la metafora ideale per
esplicitare l’idea di inclusione che si intende realizzare al
1° Circolo Didattico di Scafati, un’idea di relazioni e scambi indispensabili e non facoltativi, dove l’altro è membro
costruttore paritetico di bellezza, dove la diversità crea
armonia, dove il singolo è funzionale al gruppo, dove se
un bambino si “disconnette” dagli altri viene meno l’idea
del tutto, dove per realizzare la comunità si tiene conto
del singolo e dove l’idea di “società equa” si intende
esportare all’esterno per contaminare la vita vera!
Il coro per l’inclusione “I Fiocchi Canterini” è nato
pensando al coinvolgimento di tutti gli alunni con Bisogni
Educativi Speciali e/o Complessi, o semplicemente Bisogni
che fossero pensati in virtù di una progettualità che desse
loro una risposta adeguata.
Creare, naturalmente, un gruppo che fosse eterogeneo
anche per età e che si sviluppasse su uno “scaffolding”
modellabile al contesto, un ambiente dove il “social learning” permettesse di realizzare quell’energia che solo le
emozioni possono produrre; i coristi, infatti, danno vita ad
un organismo nuovo che stabilisce un equilibrio proprio,
che ha una propria timbrica, che respira sincronizzando i
respiri, che diffonde armonicamente vibrazioni, trasmette
emozioni, sentimenti, bellezza.
Tecnologie
Gli alunni coinvolti sono scelti in base al loro interesse e
alla loro voglia di provare, è accertato che l’essere stonati
non rappresenta un limite, ma il più delle volte significa
semplicemente che non si è abituati a cantare, soprattutto
con gli altri. È importante ribadire che “Intonati non si
nasce, si diventa, bisogna avere la pazienza di attendere”.
I coristi scelti in tutte le classi della scuola primaria, sono
67 e partecipano per il terzo anno a questo “progetto di
vita”, avendo un obiettivo comune cioè quello di realizzare un “contesto” da generalizzare. L’importanza che si
promuove non è il prodotto finale, ma il percorso entro il
quale i bambini maturano quei comportamenti autentici,
entro il quale si realizzano situazioni sorprendenti, dove
l’alunno in difficoltà fa da mentore o sostiene l’altro. Il
contesto del macro-gruppo, dove ci sono alcuni compagni
“collaudati”, diventa una sorta di piccola comunità, e
dove si ridefiniscono identità, ruoli e dinamiche, per cui
allargando il contesto cambia anche la visione del singolo
di percepire e di percepirsi.
Il coro dei Fiocchi Canterini ha realizzato due manifestazioni natalizie e un intervento rappresentativo del Circolo
Didattico alla rassegna sul risparmio energetico, promossa
dal Comune di Scafati , in programma per il prossimo
11 aprile ci sarà uno spettacolo: ”Dedicato a …”, con lo
scopo di raccogliere fondi per l’organizzazione umanitaria
internazionale CBM Italia, che si occupa della prevenzione
e cura della cecità e disabilità evitabile nei paesi del Sud
del mondo.
Le possibilità per una persona di studiare musica oggi
sono pressoché illimitate grazie ai tanti software e applicativi disponibili. Anche per le persone non vedenti
abbiamo le stesse opportunità?
L’avvento degli smartphone e dei tablet ha dischiuso un
potenziale enorme non solo per gli sviluppatori di software, ma anche per gli utenti alla ricerca del gadget tecnologico più immediato e facile da usare. Resta il fatto, però,
che sia la piattaforma Windows che quella OSX restano
le più appetibili se si vuole avere garanzia di stabilità e
comodità d’uso. Questo vale per chi a fronte di un sistema
meno trasportabile, hanno a disposizione software molto
più potenti e performanti, ma anche per le persone non
vedenti che, grazie al consolidato Jaws ma anche all’italianissimo NVDA, hanno garanzie di una sintesi vocale più
efficace rispetto alla controparte mobile. Inoltre, la tastiera
del computer resta ancora il mezzo più efficace per l’inserimento dei comandi se rapportato alla gestione tattile e
vocale di un dispositivo tascabile. Infine, se consideriamo
seppur solo numericamente, i software a disposizione per
tali dispositivi fissi, ecco che l’ago della bilancia si sposta
inesorabilmente verso i computer desktop e i notebook.
Premesso ciò, vediamo quali possano essere alcune delle
risorse a disposizione della persona non vedente per fare,
studiare o produrre musica, elencandone alcune delle più
importanti e recenti:
Music4VIP: ovvero Music for visually impaired peoples (studi musicali per persone con disabilità visiva). Un
consorzio di Paesi Europei (Italia, Francia, Regno Unito, Polonia), finanziati dalla Comunità Europea, che hanno sviluppato la piattaforma omonima per consentire al disabile
visivo un approccio alla musica più semplice rispetto alla
notazione Braille. Ad alcuni degli stessi partner coinvolti
nel progetto Music4VIP, fanno capo anche altri precedenti
progetti come PLAY, eBRASS e CONTRAPUNCTUS. Progetti
questi con i quali, a partire dal 2002, si sono sviluppate e
proposte altre soluzioni funzionali allo studio della musica
(sito web: www.music4vip.org).
BME2: Braille Music Editor versione 2. Sviluppato dalla
Arca Progetti, società di Verona, anch’essa partner del
consorzio sopra descritto, è probabilmente il software più
efficace per chi vuole scrivere musica in autonomia (sito
web: www.veia.it).
Dancing Dots (USA): dal 1992 propone, principalmente con il software GOODFEEL, una efficace soluzione per
convertire la musica stampata in formato Braille, in modo
accurato ed automatico, oltre ad avere l’opportunità,
tramite JAWS, di poter gestire le partiture con la voce.
Dancing Dots è anche partner di sviluppo di CakeTalking,
un software che si integra a Cakewalk Sonar per poterlo
usare tramite sintesi vocale. Sonar è una DAW, ovvero un
software per la produzione audio professionale. Attenzione però: CakeTalking è compatibile fino alla versione 8.5
di Sonar, ma non con le più recenti versioni serie X1, X2 ed
X3 (sito web: www.dancingdots.com).
Musica Parlata: è un personalissimo progetto che vedrà la luce durante questo 2016. Si tratta di un completo
sistema metodologico, a cui fa capo anche il software MPPlayer, sviluppato su presupposti completamente differenti
da quelli sopra indicati. Musica Parlata, infatti, integra
una nuova sintesi vocale, chiamata Dizione Musicale, che
accompagna tanto lo studente quanto l’appassionato di
musica ad utilizzare originali contenuti musicali del tutto
nuovi e coinvolgenti. Per maggiori particolari, vi rimando
alla lettura dell’articolo di Giuseppina Mansi, presente su
questo stesso numero di Orione. Per inciso, Musica Parlata
consentirà la fruizione di qualsiasi genere musicale, sia
classico che moderno, senza distinzione di strumenti che
l’utente potrebbe già saper suonare o vorrebbe imparare
(sito web: www.musicaparlata.it).
Buona musica a tutti!
Soundbeam: uno strumento per tutti
Il laboratorio musicale del Centro Ricerca
Arte Musica Spettacolo (CRAMS) di Lecco
Musica Parlata
Un software per musicisti non vedenti
Francesco Panzeri
Giuseppina Mansi
Tecnologie
Il laboratorio con il Soundbeam® è valutato molto più
che positivo. I ragazzi in principio molto titubanti e curiosi
nei confronti del nuovo strumento, nel corso del tempo
hanno imparato a conoscerne le potenzialità e hanno
saputo così integrarsi tra loro e raggiungere un notevole
benessere psicologico. Hanno imparato a gestire le loro
paure, a relazionarsi fra loro in maniera non competitiva
ma collaborando e dimostrando interesse e passione verso
il nuovo. Hanno saputo esprimere i loro pareri personali e
confrontarsi fra loro in maniera pacifica e civile.” (testimonianza di un educatore)
Dal 2005 il C.R.A.M.S. (Centro Ricerca Arte Musica Spettacolo) di Lecco, che nelle sue molteplici attività utilizza
l’arte, specialmente la musica, per connettere il mondo
della disabilità al normale contesto sociale, collabora con
il musicista David Jackson, interessato alla tematica della
disabilità ed impegnato nello studio degli aspetti riabilitativi ed espressivi attraverso l’uso del SOUNDBEAM.
Il Soundbeam è un rilevatore di movimento, il cui funzionamento è simile a quello di un radar: i suoi sensori
proiettano nello spazio un fascio di ultrasuoni che, incontrando un ostacolo, rimbalzano indietro alla sorgente. In
questo modo i movimenti corporei, compiuti all’interno
del raggio, vengono intercettati e tradotti in segnali Midi,
a seconda della direzione e della velocità dell’oggetto in
movimento (nel nostro caso, una mano, un piede, la testa,
ecc.) e quindi trasformati in suoni.
Il Soundbeam è stato utilizzato positivamente nei
bambini con gravi problemi di comprensione e disabilità nell’apprendimento e i migliori benefici sono stati
riscontrati con bambini e adulti affetti da una varietà di
sindromi come autismo, ADHD (Attention Deficit Hiperactivity Disorder), demenza, sindrome di Down, sindrome
di Rett, depressione, Alzheimer. Questi soggetti, inseriti
normalmente in un contesto terapeutico e di cura, vedono
fortemente limitate le proprie capacità ludico espressive.
Il Soundbeam, invece, crea un’interazione con il mondo
esterno, soprattutto con persone normodotate, difficile
da ottenere nei soggetti con una grave forma di disabilità. Infatti, coloro che sono stati coinvolti nell’utilizzo
del Soundbeam hanno imparato ad ascoltarsi, esprimersi
tramite la composizione di suoni e con delle espressioni
facciali rivelatorie hanno mostrato una risonanza estetica.
Tuttavia il risultato più importante è che le persone hanno
cominciato a esplorare, esprimere e comunicare i loro
sentimenti; inoltre sono diventati più consapevoli di sé e
Tecnologie
del mondo circostante, incominciando a sviluppare così i
rapporti interpersonali mostrando la loro forma artistica
interiore.
Questi risultati sono stati ottenuti nei laboratori che
il C.R.A.M.S. ha realizzato con i principali centri e Associazioni del territorio lombardo e della Svizzera, che si
occupano di disabilità. Tutte queste esperienze si sono
consolidate nel progetto Interreg Il raggio del suono,
2007 -2013, di cui il C.R.A.M.S. era capofila, ottenendo un
importante riconoscimento nell’ambito del Programma di
Cooperazione Transfrontaliera Italia-Svizzera. Nel progetto
Interreg, tramite una ricerca tecnologica, si è arrivata alla
creazione di nuovi ausili; è stata condotta, altresì, una
ricerca scientifica che ha approfondito la tematica della
musica connessa con il mondo della disabilità. Tutto ciò
ha portato alla creazione di una rete di istituti e centri
specializzati, che sono stati coinvolti, in primo luogo, nella
formazione dei loro operatori e, successivamente, nel
coinvolgimento di parte delle persone disabili, che si erano
interfacciati con il Soundbeam, per la realizzazione di due
grandiose performance musicali (The House that Cried e
Twinkle). In essi musicisti e cantanti professionisti hanno
avuto modo di misurarsi con il Soundbeam utillizzato dalle
persone con disabilità (www.soundbeam.it), arrivando così
a ottenere i positivi risultati sopraelencati.
Al progetto Il raggio del suono è seguito il progetto
Crysalis tuttora in corso con l’obiettivo di sviluppare
ulteriormente le tematiche e gli aspetti portati avanti nel
progetto Interreg.
In definitiva le esperienze sviluppate con l’utilizzo del
Soundbeam ci portano a considerare ancora di più l’arte
come motore di trasformazione sociale condiviso.
Atrezzatura completa del Soundbeam,composta da:
Sensori,Tavolette ,Pc e tastiera.
Come è noto, per uno studente di musica non vedente
è difficile, se non impossibile, avere una comprensione
immediata di una partitura, che per poter essere suonata,
deve essere prima di tutto letta a frammenti e memorizzata. Sono una musicista non vedente che ha voluto intraprendere gli studi di pianoforte al conservatorio con tutto
ciò che ne consegue, soprattutto i tempi da rispettare per
poter dare gli esami nelle giuste sessioni.
Le difficoltà sono aumentate soprattutto nell’ultimo periodo di studio, cioè quello più avanzato. Spesso, purtroppo, le partiture in Braille risultavano irreperibili e dovevo
accontentarmi di ciò che era presente nei vari cataloghi
delle biblioteche, o richiedere una trascrizione personale
per la quale potevano trascorrere mesi.
Negli ultimi anni, la trascrizione in Braille delle partiture ha registrato un sensibile aumento, ma soprattutto
nell’ambito della musica corale e moderna, si registra
ancora una forte carenza.
Per far fronte alle scadenze temporali, la persona non
vedente deve sobbarcarsi una grossa mole di lavoro
mnemonico oltre che tecnico, oltre alla possibilità più che
concreta di non trovare le partiture trascritte in Braille di
cui ha bisogno.
La partitura Braille, poi, risente della assoluta impossibilità della verticalizzazione nella scrittura musicale,
cosa che ai vedenti garantisce, attraverso la presenza del
pentagramma, una immediatezza nel comprendere le
caratteristiche essenziali della partitura.
Per tutti questi motivi appena esposti, è evidente che
affinare l’ascolto, è fondamentale. Un ascolto consapevole
dovrebbe essere una prerogativa di tutti i musicisti, visto
che la musica ha una valenza soprattutto uditiva. L’ascolto, quindi, per uno studente non vedente, può essere
considerato alla stessa stregua della lettura a prima vista,
se l’orecchio è predisposto e successivamente ben allenato. In questo contesto si inserisce Musica Parlata, una
metodologia di studio ideata dal Prof. Alfredo Capozzi.
Musica parlata si avvale di un software da scaricare
e installare sul proprio pc (MP Player) e di tracce audio
programmate appositamente con tutte le informazioni
riguardanti la partitura. Il software si installa facilmente e
interagisce senza problemi con i principali screen readers
utilizzati, come NVDA e JAWS.
I brani di Musica Parlata, sono compilati per essere riprodotti dal player. La particolarità di questa metodologia è
nelle tracce audio, che vengono realizzate da musicisti veri,
con la relativa registrazione di strumenti acustici reali. Ciò, abbastanza spesso, non avviene neanche nei metodi
di studio creati per i normodotati.
Accanto alle tracce strumentali, sono presenti anche
tracce vocali che cantano la partitura indicando le note da
eseguire con relativa durata, intensità, ed interpretazione
dei fraseggi. Le tracce vocali, chiamate Dizione Musicale,
sono riprodotte in modo sincronizzato con quelle strumentali e come per le altre possono essere attivate o spente a
piacimento.
Il player, attraverso la tastiera del PC, permette in modo
semplice di isolare le singole tracce, creare frammenti dei
brani ponendoli in loop. Consente anche di rallentare o
velocizzare il brano, di salvare le impostazioni e di riprenderlo da dove lo si abbandona per continuarne lo studio in
seguito.
Musica Parlata non intende sostituirsi al Braille, ma
affiancarlo. L’apprendimento del Braille, e nello specifico
della notazione musicale, resta un elemento fondamentale
per lo studio.
Questa metodologia può appassionare un ragazzino allo
studio della musica, fornendogli un approccio quasi ludico,
oltre ad un ben più importante sprone nel perfezionare
il proprio ascolto. Musica Parlata può ancora essere un
incentivo per persone che hanno abbandonato gli studi
musicali, ma che desiderano riprenderli in modo più leggero. Musica Parlata permette di avere una comprensione
immediata del brano che si sta studiando.
Affidate all’orecchio la lettura a prima vista fornendo in
un unico ascolto tutte le informazioni necessarie al corretto studio di una partitura.
Il player di Musica Parlata, i brani musicali e tutti i
materiali informativi, saranno presto a disposizione degli
utenti interessati su www.musicaparlata.it, sito ancora in
costruzione, ma di prossima apertura.
Educazione sonora della voce
Il consiglio del logopedista
A tambur battente
Vi racconto come ho spazzato via la mia timidezza
Paola Magaldi
Antonio Celano
Educazione
Educazione
Svolgo la mia professione di logopedista principalmente
nell’ambito della produzione e riabilitazione della voce
parlata, professionale e artistica.
Le patologie della voce possono interessare la voce parlata e in quel caso si definiscono disfonie, mentre le difficoltà, sempre patologiche, nello specifico del canto prendono
il nome di disodie.
In virtù di questo, la musica intesa come suono, sia
perché principale attrice nella voce parlata, sia perché è
il “tappeto” su cui il cantante cammina con la sua voce,
sono sempre immersa in essa e da essa traggo spunti per
il lavoro riabilitativo.
La voce acusticamente è il suono prodotto dalla vibrazione delle corde vocali messe in moto dalla corrente
aerea in espirazione.
Questo suono viene modulato timbricamente nelle
cavità di risonanza dando alla voce le peculiarità che poi
permettono all’ascoltatore di distinguere una voce dall’altra.
Il messaggio musicale viene veicolato dall’energia sonora e i parametri della musica sono:
• Frequenza;
• Natura delle vibrazioni sonore;
• Intensità;
• Timbro e colore;
• Tempo.
Parametri che sono assolutamente sovrapponibili a
quelli che definiscono la voce.
Inoltre, il ritmo e la melodia, elementi costitutivi della
musica sono presenti nel linguaggio e nella voce nei caratteri sovrasegmentali, nella prosodia, nell’intonazione.
Senza addentrarsi nel campo della patologia, può succedere che alterandosi anche solo uno di questi parametri o
qualità si alteri una parte della produzione vocale, innescando un circolo vizioso che procede verso un’alterazione
vocale sia nella voce parlata che in quella prodotta artisticamente nello specifico del canto.
La prassi logopedica è di solito concentrata sulla produzione vocale a livello laringeo e sovraglottico ad opera
delle cavità di risonanza, ma la voce è il prodotto di un
intero corpo non solo di una parte di esso, quello stesso
corpo che agisce poi nel mondo, si muove, vive.
La voce, inoltre, anche nella sua produzione artistica,
non può essere disgiunta dalle emozioni e la correlazione
voce/emozioni è ampia ed articolata.
Spesso, basta ascoltare solo la voce per capire lo stato
d’animo della persona con cui dialoghiamo e ancor più
spesso non c’è aderenza tra il contenuto del messaggio
verbale e la voce con cui viene formulato, svelando un’incongruenza che può avere varie motivazioni.
A mio avviso, tutto questo è musica, certo, non nell’accezione tradizionale, ma se pensiamo alla voce e al
linguaggio è costituito da pause, variazioni di frequenza, variazioni di intensità, il colore e la latimbrica che
si modificano, proprio come se stessimo suonando uno
strumento. In realtà è proprio così, perché il cantante cantando suona il proprio strumento, che a differenza degli
altri musicisti, è all’interno del suo corpo e parte del suo
sé corporeo ed emozionale, e in virtù di questo, molto più
esposto ad usura e traumi.
Nella mia pratica logopedica la sovrapposizione voce/
musica non è quasi mai chiara alle persone che si rivolgono a me per il recupero vocale, ed è mio personale pensiero credere che se ci fosse una maggiore educazione alla
musica e all’ascolto le problematiche di voce sarebbero
quantitativamente meno numerose e qualitativamente
importanti.
Paradossalmente questa similitudine tra la voce e la musica non è chiara nemmeno a chi fa un uso professionale
della voce, cantanti e attori.
Esercitare all’ascolto e al riconoscimento dei parametri
musicali è un deterrente in più nell’educazione all’uso
della voce e nella risoluzione dei quadri patologici a essa
collegati, oltre a rendere il programma terapeutico molto
più interessante, piacevole e istruttivo.
All’interno del percorso abilitativo e riabilitativo logopedico legato alla voce, si possono proporre attività come:
• separazione silenzio/sonorità;
• separazione suono continuo/suono impulsivo;
• separazione suono/rumore;
• separazione tra le sonorità continue e le sonorità con
tinue con una interruzione regolare;
• riconoscimento delle diversità timbriche a parità di fre
quenza e intensità;
• riconoscimento dinamiche di altezza;
• riconoscimento dinamiche di intensità.
Questa educazione fornisce e amplia una maggiore
coordinazione uditivo-motoria, maggiore capacità nella
discriminazione figura- sfondo, permette al soggetto di
adeguare i parametri della voce a seconda dell’utilizzo e
dell’ambiente in modo efficace ed efficiente, ed è un buon
allenamento propriocettivo che aiuta, spesso, ad individuare i primi campanelli di una patologia vocale.
Ero un bambino timido e quando un adulto mi rivolgeva
la parola riuscivo a stento a dire sì oppure no.
Giocavo con altri bambini ma con una strana paura che
mi pestassero i piedi e mi sbattessero a terra.
Avevo incubi e un sogno ricorrente: cadere da un letto
altissimo. Vennero altri sogni in cui cominciai a volare nella mia stanza, sulla piazza del mio paese, sui dirupi anche
con cadute improvvise.
Poi comparvero in casa scatole e scatoloni di tutti i tipi e
cominciai a percuoterli da solo ed in compagnia.
Uno zio mi regalò una batteria giocattolo e cominciai ad
organizzare il mio percuotere.
Mio padre (musicante polistrumentista e macchiettista)
mi comprò la prima batteria.
Mio fratello alla fisarmonica guidava le esecuzioni e io
di quattro anni lo seguivo con cura; il suo suonare mi dava
fiducia e mi trascinò col liscio e le canzonette napoletane
anni 50 e 60.
Quel bambino timido stava cercando, esplorando un
mondo affascinante con poca tecnica e tanta emozione in
gola; suonava anche in pubblico e spesso controvoglia per
l’eccessiva attenzione che gli spettatori davano a quei due
piccoli che riuscivano a far ballare e intrattenere simpaticamente.
Una volta, intervistato su di un palco da un noto presentatore televisivo, alla prima domanda scoppiai a piangere
e suonai in lacrime tutto il pezzo successivo coi fotografi
addosso che riprendevano la strana esibizione.
Quel bambino ha smesso di piangere, gli scatoloni della
sua infanzia si sono trasformati in un ricco strumentario
fatto di decine di tamburi e percussioni di tutti i tipi che
accompagnano il suo lavoro di animatore musicale e di
formatore.
Ha fatto incontri significativi e bellissimi grazie a suoni
e rumori che lo hanno sedotto e inseguito per tanti anni.
Musica acerba, ruspante, imperfetta, popolare.
Musica da ballo, funzionale, a volte rituale, in anni in cui
sposalizi, battesimi, cresime erano ancora eventi comunitari e non solo familiari.
Musica senza studio.
Studi d’altro tipo son poi venuti, perché quel ragazzo
timido aveva altre curiosità e ha incontrato la disabilità
in persone assai vicine, decidendo che con quelle persone
si poteva far musica: relazioni in musica, autobiografia e
carta d’identità musicale, produzioni originali, improvvisazioni canore, ascolto, gioco…e che musica!
Non quella esibizionistica e narcisistica che caratteriz-
za spesso il professionista concertista ma musica altra,
dell’altro che si aspetta non solo emozioni ma un aiuto
concreto nel suo percorso di crescita.
Studiare musicoterapia ha sollecitato ulteriori interessi
non per fare il terapeuta ma per navigare meglio tra i
suoni e imparare a pensare attraverso suoni, immagini e
movimento.
Quei tamburi hanno viaggiato e fatto incontri importanti. Le pelli di quei tamburi hanno toccato, sfiorato, graffiato tante persone in difficoltà ed hanno accolto la gioia, la
sofferenza, il sudore e le lacrime di chi tenta una qualche
forma di comunicazione, un contatto autentico.
La nostra pelle, confine con l’esterno e la pelle dei tamburi territorio da esplorare da solo e con altri.
Pelle a pelle, un suono profondo che ti scuote, ti anima e
insegue una relazione anch’essa profonda.
Risonanza cercata con sofferenza, a volte in solitudine.
Quel bambino nascosto dietro i tamburi mi guarda da
lontano e non più in lacrime mi dice …Meno male che c’è
musica a questo mondo!
Musica senza barriere
Quando la musica arriva
Il coro delle Mani Bianche
Intervista a Massimo Tagliata
Giovanna Martinelli
Gabriella Sorrentino
Testimonianze
La storia del nostro coro
delle Mani Bianche inizia
circa 6 anni fa. Giovanna
Marini, fondatrice della
Scuola Popolare di Musica
di Testaccio, dopo essere
stata al premio Nonino nel
Friuli, rimase af-fascinata da
Naybeth Garcia e dal suo
gruppo di ragazzi e quelli
del Firuli che muovevano le
mani a suon di musica.
Tornando a Roma, Giovanna ci invitò ad intraprendere quel cammino che
oggi ci ha portato ad un grande risultato. La nostra scuola
è stata da sempre aperta a tutti, nessun limite di età, di
stato e di origine.
Quale miglior progetto quindi di un coro che desse
la possibilità a tutti, ma proprio a tutti, di godere della
musica?
L’origine delle “Manos Blancas” è da ricercare in Venezuela dove nel 1975 José Abreu crea uno dei più grandi
modelli di educazione musicale: “El Sistema”.
La musica, ottimo vettore educativo, diventa così accessibile a tutti anche e soprattutto a quei ragazzi e bambini
che non se la possono permettere.
Poco dopo nasce Educacion Especial per includere nel
programma anche i ragazzi di-sabili e sordi. Grazie all’esperienza di Jhonny Gomez e Naybeth Garcia, fondatori
della prima ver-sione del coro Manos Blancas, è cresciuto
come un progetto destinato a tradurre in lingua dei segni
le trascrizioni canore. Chi ha difficoltà di comunicazione
perciò è in grado di trasmettere l’emozione della musica
attraverso i segni.
Il nostro coro delle mani bianche nasce da un corso
sperimentale di coro integrato nel quale i ra-gazzi cantano
insieme ad altri che disegnano una coreografia gestuale
ispirata alla lingua dei segni (LIS).
È dedicato ai ragazzi disabili con deficit sensoriali, sindrome di Down, Dgs, con ritardi cognitivi e disagi sociali.
La nostra non è terapia, ma una vera e propria attività
musicale dove Il metodo Dalcroze e la LIS si intrecciano
aiutando, con il movimento, lo sviluppo della consapevolezza corporea.
Attraverso il movimento arriviamo alla musica renden-
L’intervista
dola accessibile a chiunque, abbattendo le barriere della
disabilità.
L’approccio emotivo e istintivo è di grande importanza,
dalla spontaneità si arriva
poi all’analisi e alla comprensione dei parametri
musicali e allo sviluppo delle
proprie capacità di movimento, di libera espressione, di
osservazione e di imitazione.
La nostra di-dattica prevede anche lo studio delle
scale musicali, delle campane sonore e dei canti segnati.
In ogni lezione un interprete
LIS ci aiuta con i ragazzi più
bisognosi e nelle traduzioni
dei canti.
Attualmente sono circa 15
gli elementi presenti nel coro.
Quattro ci seguono degli inizi gli altri sono i nuovi arrivati.
Facciamo e abbiamo fatto in passato molti concerti ed
esibizioni in vari contesti.
Le performance sono una parte molto importante della
nostra attività.
Mettono alla prova i ragazzi e li rendono più attenti e
motivati. Lo spirito del gruppo viene rinforzato e arricchito
facendo da stimolo per le famiglie che partecipano.
Non ci sono costi di iscrizione per i ragazzi, il nostro è un
nucleo de El sistema non finanziato e a lavorarci siamo tre
insegnanti e l’interprete Lis.
I ragazzi del coro Mani Bianche impegnati nelle attività di laboratorio
Massimo Tagliata
In un piovoso pomeriggio di
febbraio, chiamo la mia amica
Simona e le chiedo di accompagnarmi a Bologna per l’intervista a Massimo Tagliata.
Sì, proprio lui, il tipino siciliano
di nascita ma emiliano di
adozione, che suona il pianoforte, la fisarmonica con Biagio
Antonacci, e fa il produttore.
Massimo ha iniziato a fare musica perché la musica ad
un certo punto è arrivata, forse per caso, nella sua vita.
Anzi, è lei che lo ha scelto.
Nell’estate del 1986, a soli tredici anni, accetta un contratto per 90 serate con un’orchestra di liscio.
«Devo tantissimo a mia madre e a mio padre, sono loro
che mi hanno invogliato e supportato sin da giovanissimo». Inizia così il suo racconto, affiancato dal primo ricordo all’inizio della carriera: «Non fui preso al conservatorio:
mi dissero che avevo scarsa musicalità. In realtà era un
modo per dirmi che non avrebbero inserito una cattedra
con un insegnamento speciale. Poi dopo mi sono tolto la
soddisfazione di lavorare con i conservatori italiani.»
Perché suoni?
«Perché ti accorgi che la musica ti da tutto senza chiederti niente in cambio. Ti chiede solo di esserci. L’arte ti
arriva perché ti arriva. Anche le parole. Le canzoni, la
musica. Ti arrivano».
La musica abbatte le barriere?
«Io credo che le barriere vengano abbattute con la
conoscenza, lo studio, la competenza.
Approfondire i generi musicali che interessano e quelli
che non si conoscono è un buon modo per ampliare gli
orizzonti».
Come si fa a essere un buon musicista?
«Io non credo che il fatto che non ci vedi ti aiuti a diventare un musicista migliore. La cecità non c’entra nulla.
Ci sono questioni caratteriali che sono fondamentali
per saper fare una cosa e farla bene. Bisogna studiare, c’è
bisogno di competenza, di impegno, di sacrificio.
Bisogna spendere il proprio tempo per se stessi prima
dell’attesa del risultato, e non solo in funzione del risultato. Ci scontriamo con un mondo non preparato alla
velocità con cui va. Ci sono differenze nell’approccio alle
cose».
Il mondo della musica è flessibile alla diversità?
«Ho sempre trovato una grossa accoglienza nel mondo
della musica e dell’arte in generale.
L’ambiente della musica è sempre riuscito ad abbattere abbastanza bene le barriere. Il mondo dell’arte è più
predisposto alla diversità: “non è uguale ma mi piace, è
diverso ma va bene”.
Altre discipline hanno ancora da imparare dal mondo
musicale e artistico. L’etichetta conta, ma fino a un certo
punto».
Come si lavora su se stessi?
«Ti accorgi a un certo punto che hai delle paure di vita e
pensi che siano legate alla tua disabilità o a quello che la
tua disabilità pensi che ti abbia lasciato in eredità a livello
di insicurezza.
Poi scopri che non è vero, che queste paure le hanno
tutti. Tutti abbiamo paura di non farcela, tutti abbiamo
paura di non aver fatto la cosa giusta… anche tu, non ti
sei mai chiesta se avevi imboccato la strada giusta? Non
bisogna convincersi che questo tipo di problemi derivi dal
fatto che non ci vedi».
A parlar con te mi sembra che sia tutto semplice. Hai
paura di qualcosa?
«Non è semplice. È che le cose si possono fare. Non ho
paure legate alla mia condizione, perché ho fatto pace col
fatto di non vederci.
Io sono quello che sono oggi anche perché non ci vedo.
Non dico che questa sia diventata la mia forza ma è
sicuramente una parte di me.
Questo mi ha messo il sereno. L’accettazione della realtà
è fondamentale. Inoltre, bisogna imparare a gestire i propri sensi con consapevolezza.
Questo è un lavoro per chi non vede -ma è difficile
anche per chi ci vede (ndr)».
Quante difficoltà ci sono nel mondo di oggi?
«Purtroppo ci scontriamo con un mondo che non è per
niente preparato alla velocità con cui va.
Ci sono delle differenze talmente grandi tra le sensibilità delle persone che spesso è agghiacciante.
Vedere quanta differenza c’è nell’approccio alle cose. Se
apriamo quella porta e fermiamo una ragazza di 30 anni,
non penserebbe mai di partire da 600 km per venire a
fare un’intervista qui, capisci?
Sono visioni diverse di come uno pensa di volersi arricchire, di come pensa di poter farsi migliore.
Quando tu fai un lavoro e non sai perché lo stai facendo. Questa è la cosa più grave. Capisci?»
L’intervista
Qual è il consiglio che dai ai ragazzi di oggi?
«Mantenere una parte di sé semplice, facile.
Non avere la vista è sicuramente un problema, ma se lo
viviamo più grande di quanto non lo sia, ne creiamo tanti
altri. La fortuna di avere molti mezzi di comunicazione in
casa non li fa uscire. I ragazzi parlano con mezzo mondo ma non c’è un rapporto di vicinanza, di contatto, di
prossimità fisica. Vedo nei ragazzi che non vedono un po’
di paura verso la realtà. Smitizzate le cose e sdrammatizzatele. Uscite, toccate, conoscete, annusate. Vivete!»
Io sono arrivata nello studio di Massimo grazie ad un
amico di un mio amico, Angelo, una cosa tipo quelle
catene di persone che sembrano infinite e non sai dove
iniziano e dove finiscono.
Una coincidenza del tutto fortuita, ma che mi ha confermato ancora una volta che il mio lavoro è bello perché
produce ricchezza -sia ben chiaro, non quella intesa nel
senso capitalistico del termine.
Quella ricchezza che deriva dalle relazioni, dai contatti
tra le persone, dall’impagabile forza di una persona che
ti racconta la sua storia, scavalcando le distanze spaziotemporali.
Eventi e attività
1 Corso di formazione
Teoria e pratica della percezione ottica e tattile di
Opere d’arte
Loretta Secchi aiuta Giuliana a vedere con le mani il bassorilievo che riproduce il dipinto di Guido Reni “Atalanta e
Ippomene”
Insegnanti e gli operatori al corso di formazione tenuto da Loretta Secchi.
Eventi e attività
2 Progetto
Apprendimento Cooperativo 2016
È partito il progetto di ricerca-azione con metodologia di
cooperative learning presso il I Circolo Didattico di Scafati
per l’anno 2016.
Le classi interessate son una sezione della scuola dell’infanzia del plesso Mariconda e una Prima classe della
Scuola Primaria del plesso Capoluogo.
Il progetto si realizza attraverso un Protocollo d’intesa
stipulato tra la Fondazione Sinapsi, l’Università del Salento
e il I Circolo di Scafati.
Il gruppo che ha partecipato al corso di scultura con Felice Tagliaferri, sessione pratica
Insegnanti e operatori che modellano la creta con le indicazioni di Felice Tagliaferri.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista
del bisonte e quella musica distante diventò
sempre più forte chiusi gli occhi per tre volte,
mi ritrovai ancora lì chiesi a mio nonno:
«È solo un sogno?», mio nonno disse «Si»
(Fabrizio de Andrè)
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