ANNO 3 - N.7 - Aprile 2016 Testata regolarmente iscritta al Tribunale di Salerno Reg. num. 20 del 12 dicembre 2013 L’Arte delle Muse Attilio Sofia Editoriale N.7 ANNO 3 Aprile 2016 Direttore responsabile Gabriella Sorrentino Editore Fondazione SInAPsi Rappresentante legale Attilio Sofia Comitato di redazione Alessandra de Robertis Stefania Lauri Francesca Porrari Luca Spagnulo Progetto grafico Gaetano Barra Stampa Tipografia Fusco Rivista quadrimestrale anno 3, numero 7 - Aprile 2016 Testata regolarmente iscritta al Tribunale di Salerno Reg. n. 20 del 12 dic 2013 [email protected] www.fondazionesinapsi.it Hanno collaborato a questo numero: Attilio Sofia Presidente Fondazione SInAPsi [email protected] Alfredo Capozzi Insegnante scuola media [email protected] Antonio Celano Musicoterapista [email protected] Eleonora di Martino Insegnante [email protected] Francesco Panzeri Sound Beam [email protected] Gabriella Sorrentino Direttore responsabile Orione [email protected] Giovanna Martinelli Insegnante del coro Mani Bianchi [email protected] Giuseppina Mansi Musicista [email protected] Marco Crespi Redattore ed esperto in didattica della scienza [email protected] Paola Magaldi Logopedista specializzata in voce parlata professionale e artistica, vocologa artistica [email protected] Paolo Falessi Ladri di Carrozzelle [email protected] [email protected] Riccardo Della Ragione Ricercatore Musicoterapista [email protected] Ugo Rodolico Musicista Illogic Trio [email protected] La musica nasce con l’uomo: i primi suoni risalgono all’era del Paleolitico; nella civiltà egizia abbiamo le prime testimonianze musicali. È nell’antica Grecia che la musica occupa un ruolo di grande rilievo nella vita sociale e religiosa; infatti i Greci ritenevano che la musica, letteralmente “Arte delle Muse”, donasse all’uomo la possibilità di trasformare gli animi ben oltre i sensi. Sono poi i Romani ad attribuire alla musica una componente più popolare; dopo, essa per diversi secoli conserva un significato più strettamente religioso, e solo nel settecento la musica occidentale si sviluppa basandosi sulla tonalità. I primi strumenti musicali sono stati quelli “a percussione”, poi sono comparsi gli strumenti a fiato, flauto e corno, e successivamente gli strumenti a corda, come la lira e la cetra. La musica quindi, è nata e cresciuta con l’uomo: possiamo dire che ha seguito la sua evoluzione biologica; si comprende perciò che gli strumenti musicali sono diventati col tempo sempre più sofisticati. In ogni caso, sempre, la musica ha conservato nei secoli quelle capacità potremmo definire magiche; essa molte volte arriva anche dove le parole non arrivano ed è capace di esprimere le emozioni più recondite. Oggi l’arte della musica viene usata anche in campo medico: infatti la musicoterapia viene applicata in vari ambiti. Si sono avuti miglioramenti di pazienti in terapie comportamentali, miglioramenti in bambini con difficoltà di relazione, risvegli da coma profondo; è stato provato che l’ascolto della musica ha un effetto positivo sul sistema nervoso e agisce anche come distrazione e, quindi produce un effetto positivo sulla percezione del dolore. Sono convinto che gli antichi Greci avessero ben ragione a ritenere la musica “arte dai diversi poteri”, rilassanti, ludici, educativi, e soprattutto credo, arte capace, come un filo, di unire bambini, adulti anche di popoli e lingue diverse. La Fondazione Fondazione SInAPsi è una realtà socio-psico-educativa che offre servizi in favore di persone nella fascia d’età da zero a diciotto anni con disabilità visiva e plurima. L’équipe della Fondazione predilige l’approccio psico-educazionale per raggiungere la famiglia e il suo sistema di relazioni. La metodologia si articola in diverse fasi: l’osservazione, la consulenza e l’affiancamento a genitori, insegnanti e operatori dei servizi territoriali. La presa in carico del bambino avviene considerando il contesto di riferimento per favorire l’inclusione. AREE SERVIZI LABORATORI • Sociale • Psicologica • Pedagogica • Ortottica • Educativa • Tiflologica • Tecnologie assistive • Consulenza • Valutazione • Diagnosi visiva • Valutazione visiva funzionale • Progettazione del piano socio-psico-educativo • Affiancamento • Formazione • Educazione visiva • Psicologia della percezione e dell’arte • Gioco condiviso affettività e comunicazione • Psicoeducativo fratelli • Training educativo • Attività espressive per genitori • Tiflologico • Tiflo-informatico CENTRO IN.TER.MEDIA Fondazione SInAPsi risponde alle esigenze di innovazione tecnologica al servizio della persona con disabilità con il progetto del centro In.Ter.Media, che dispone di un laboratorio informatico con le più aggiornate tecnologie assistive. Sommario 6 Linguaggi Se lo parli… lo suoni Una proposta metodologica per un approccio verbale allo studio della musica e del ritmo Ugo Rodolico 8 Psicologia 9 18 -------------------------------------------------------------------------------------------------- L’armonia delle melodie è (anche) una questione di numeri La costruzione della scala musicale Marco Crespi La poltrona AcusticA trasforma il corpo umano in strumento musicale Uno strumento per aumentare il proprio potenziale energetico Riccardo Della Ragione 11 Scuola Ta ka din - ta ka di na tam Soundbeam: uno strumento per tutti Il laboratorio musicale del Centro Ricerca Arte Musica Spettacolo (CRAMS) di Lecco Francesco Panzeri 19 Educazione 20 21 -------------------------------------------------------------------------------------------------- Musica Parlata Un software per musicisti non vedenti Giuseppina Mansi Educazione sonora della voce Il consiglio del logopedista Paola Magaldi ---------------------------------------------------------------------------------- A tambur battente Vi racconto come ho spazzato via la mia timidezza Antonio Celano Correlazione tra ritmo e linguaggio Ugo Rodolico 14 Tecnologie Territorio I ladri di carrozzelle: ottimismo e buonumore a suon di rock Storia della band che sfida l’indifferenza Paolo Falessi 16 Tecnologie 17 ------------------------------------------------------------------------------------------------------- I Fiocchi Canterini L’esperienza del 1° Circolo Didattico di Scafati 22 I migliori software per gli amanti della musica Alfredo Capozzi Musica senza barriere Il coro delle Mani Bianche Giovanna Martinelli 23 L’intervista 25 Eventi e attività Eleonora Di Martino Fare, studiare o produrre musica Testimonianze Quando la musica arriva Intervista a Massimo Tagliata Gabriella Sorrentino Corso di formazione Teoria e pratica della percezione ottica e tattile di Opere d’arte ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- Progetto Apprendimento Cooperativo 2016 Se lo parli… lo suoni Una proposta metodologica per un approccio verbale allo studio della musica e del ritmo Ugo Rodolico Linguaggi Durante la mia adolescenza ero affetto da balbuzie. La mia sintomatologia non era estremamente grave ma abbastanza invadente da rendere ogni interrogazione in classe un piccolo inferno. Ricordo che prolungavo certi suoni o evitavo certe consonanti o intere parole come stratagemma per mascherare il problema ma non c’era nulla da fare: prima o poi arrivava il momento delle estenuanti ripetizioni, dei prolungamenti dei suoni che somigliavano a versi di foca e delle totali interruzioni che diventava rapidi preludi di silenzi imbarazzanti. All’epoca non avrei mai potuto immaginare che vent’anni dopo mi sarei trovato in classe a scegliere le stesse consonanti o sillabe più appropriate questa volta non per nascondere un difetto ma per portare alla luce il senso del ritmo e del tempo nei miei allievi percussionisti e batteristi. Gli stessi suoni di parole (detti “foni”) con cui facevo a botte mi sono oggi indispensabili per insegnare un “altro solfeggio” della musica ai ragazzi che si accostano agli strumenti a percussione nella Scuola Media ad Indirizzo Musicale, una realtà ormai consolidata da 15 anni nel ciclo didattico della scuola italiana. La mia esperienza di musicista e percussionista mi ha convinto di quanto sia forte il legame tra ritmo, corpo (movimento) e linguaggio (la lingua e i suoi suoni). In cosa consiste questa relazione? I Greci descrivevano il ritmo con parole che indicavano sempre una profonda relazione delle arti temporali con il movimento. La distinzione fondamentale è sempre stata quella tra arsis e thesis, tra slancio e appoggio. I due termini sono stati riferiti alla massima elevazione ed al massimo abbassamento della voce. Oggi è molto diffusa la teoria secondo la quale prima che il linguaggio si cristallizzasse in forme e significati comunemente accettati, esistesse una musilingua che tendeva a mescolare aspetti semantici ai condensati emotivi propri della musica. Queste osservazioni suggeriscono che da sempre la musica e in particolare il ritmo é un tutt’uno con il linguaggio inteso come movimento degli organi di fonazione i quali hanno il privilegio di emettere grida, suoni e parole. Nel secolo scorso Carl Orff, musicista e autore dei Carmina Burana, approfondì didatticamente la potenza ritmica del linguaggio e dalle sue intuizioni nacque un metodo, lo Schulwerk, che ancora oggi costituisce un valido strumento didattico nella pedagogia musicale. Il sistema orffiano affonda le sue radici in una concezione educativa che riconosce i legami con il linguaggio popolare, con i ritmi essenziali della vita, con la vita della natura. Orff parla di musica elementare definendo il concetto: «Musica elementare non è mai musica sola, essa è collegata a movimento, danza e parola. Il percorso si basa su cose che ai bambini piace fare come recitare filastrocche, cantare, danzare, battere ritmi con le mani e con tutto il corpo. I ritmi sono prodotti in formula di “ostinato” ossia si ripetono uguali a se stessi: la sovrapposizione di diversi di essi, eseguiti da differenti strumentisti, creano dei brani di musica d’insieme». Orff dice: « […] all’inizio di ogni esercizio musicale, sia melodico, sia ritmico, c’è un esercizio linguistico». Egli si rifà perciò alla lingua madre. Dal tradizionale patrimonio delle filastrocche infantili, dalle sentenze popolari, dai proverbi dei contadini egli trae le più semplici forme e le prime formule di motivi ritmici, e vi scopre il modello delle prime creazioni melodiche. Dal parallelismo di frasi parlate e di melodie nascono prima frasi puramente ritmiche e in seguito ritmico-melodiche. Nella sua tesi sull’ “Orff-Schulwerk” il maestro Marcello Napoli, con il quale ho collaborato per diversi anni, ha approfondito il percorso intrapreso da Orff sotto un profilo neurocognitivo, psicopedagogico, artistico e culturale. Alcuni suoi spunti si rivelano molto interessanti. Secondo Napoli il metodo indicato da Orff unisce tre elementi: la parola, il gesto e il suono. Vengono utilizzate alcune filastrocche associate a movimenti nello spazio (locomotoria) e a movimenti sul corpo (propriocezione) e successivamente adoperate su uno strumentario ritmico-melodico. Se è vero che il ritmo è, come diceva Platone, ordine nel movimento (Leggi, 665a) e se, come sostengono oggi alcuni psicologi della musica, ci si trova di fronte ad un evento ritmico ogni qual volta si presentino due o più eventi all’interno di una pulsazione regolare sovraindicata (Sloboda, La mente musicale), è altrettanto vero che il linguaggio, fatto di parole, ha in sé elementi ritmici da poter organizzare all’interno di una pulsazione regolare. Secondo P. Fraisse «In origine, l’uomo non dispone che del proprio corpo e della propria voce. Non è irragionevole pensare […] che l’organizzazione neuromuscolare dell’uomo privilegi la ripetizione dei movimenti identici […]». La psicologia cognitivista sostiene che il linguaggio possiede alcune caratteristiche di intenzionalità che trasformano l’evento verbale in un supporto psicomotorio. Un esercizio linguistico, come può essere una filastrocca o uno “scioglilingua”, costituisce un valido prerequisito tecnico di un gesto musicale. Molto spesso, come ho osservato nelle mie esperienze didattiche, una filastroc- ca priva di significato, contenente suoni onomatopeici strettamente riferiti al timbro di un tamburo o ad una sequenza ritmica particolare, è per il bambino molto più coinvolgente di una narrazione cadenzata. Questo perché il ritmo delle parole possiede un fascino puro al di là di qualsiasi contenuto semantico. Anche l’aspetto dell’intonazione e dell’accentazione di un enunciato, contribuisce sia a rafforzare la motivazione del bambino di fronte ad una filastrocca, sia a creare una direzione e una struttura sintattica nella filastrocca stessa. Una filastrocca ritmica avrà quindi al suo interno: • Una intonazione marcata, quasi esasperata • Accenti molto forti • Suoni ben articolati • Ritmo ben scandito e organizzato • Ripetitività intrinseca che rinforza e facilità la memoriz zazione. La propriocezione rappresenta la seconda tappa dell’apprendimento musicale. Essa costituisce un canale naturale e immediato in quanto il corpo è contemporaneamente strumento e strumentista. L’impatto del gesto-suono (battito delle mani, mani sulle gambe o sul petto, etc.) fa sì che il ritmo della parola venga tradotto in due modi: una realizzazione motoria, legata ad un atto volontario, anche se imitativo; una realizzazione sonora in base alla quale il suono diventa una conferma ritmica. Mi è capitato spesso di organizzare in classe quello che ormai spopola in internet come “body percussion” una composizione per parti del corpo percosse in vario modo e organizzate in un ensemble di “strumentisti” di se stessi. Il suono, infine, si presenta come la “ cartina di tornasole” di un percorso verbale e motorio. Napoli dice che “ […] occorre partire da un assunto: il suono nasce dal movimento. Detto questo la considerazione successiva è che, nel momento in cui noi percepiamo un suono, nel nostro sistema uditivo avviene un movimento…”. Questo è quanto accade in presenza di ogni singola stimolazione sonora. È facilmente intuibile, ora, il perché, in determinate circostanze, il nostro corpo sembri non riuscire a controllarsi quando percepisce sonorità accattivanti e coinvolgenti, come ad esempio alcuni ritmi tribali eseguiti sui tamburi, oppure alcuni ritmi latino-americani. Questa descritta è la stretta relazione che si crea tra il fenomeno sonoro e la risposta motoria viene definita (dalle varie correnti di psicologi e neuro-fisiologi) “Isomorfismo”. In altre parole, l’onda sonora che si crea nel nostro sistema uditivo causa una diretta ricostruzione di se stessa dal punto di vista neuro-muscolare. Se proponiamo, ad esempio, ad un gruppo di bambini di muoversi su di una stimolazione ritmica verbale scandendo la parola “takète”, vedremo un gruppo di piccoli robot scattare in modo meccanico. Reazione opposta si avrebbe se tutto avvenisse sotto induzione verbale con la parola “maluma”, in questo ultimo caso i movimenti diverrebbero rotondi, sinuosi e controllati. La psicologia del ritmo ci dice che, in determinate condizioni di successioni di eventi sonori, tutte le stimolazioni ritmiche sono percepite come se fossero raggruppate e la ripetizione di questi gruppi dà luogo alla percezione del ritmo. Se in un ambiente silenzioso ascoltiamo i rintocchi della lancetta di un orologio, noi li percepiamo raggruppati a due o a tre, più raramente a quattro (tant’è vero che si dice in genere: “Il tic-tac di un orologio” identificando un gruppo di due elementi con due parole diverse), anche se la sequenza dei rintocchi è perfettamente regolare; non c’è nessun fattore legato alla serie di rintocchi che determini un qualsiasi raggruppamento: si parla in questo caso di ritmizzazione soggettiva. Accadono poi due eventi altrettanto soggettivi legati al raggruppamento percepito. Prima di tutto l’intervallo fra due gruppi successivi appare più lungo di quello fra gli elementi del gruppo (quando c’è uguaglianza fisica); in secondo luogo il primo elemento del gruppo sembra più accentuato degli altri. La ritmizzazione sarebbe stata oggettiva se un intervallo periodico più lungo degli altri avesse creato una pausa o se un elemento su due o su tre, fosse stato realmente accentuato. La mia idea parte da qui: rielaborare nuovi sistemi di comprensione e traduzione del segno musicale (scrittura) tenendo presente la stretta relazione esistente tra ritmo, corpo e linguaggio. Per avvicinare un bambino all’esecuzione di figure musicali, di ritmi e rudimenti per tamburo non si può partire subito né un approccio visivo allo spartito musicale né ad una decodificazione di tipo matematico e divisivo; credo piuttosto che una lunga fase di apprendimento debba essere centrata sull’esperienza pratica di cose che al bambino piace fare come scandire uno scioglilingua sempre più complesso e sempre più veloce. Presupposti teorici ed esperienza mi hanno portato a credere che l’utilizzo del linguaggio nella pratica ritmica aiuti a rafforzare la ritmizzazione soggettiva rendendola oggettiva. L’armonia delle melodie è (anche) una questione di numeri La costruzione della scala musicale Marco Crespi La poltrona AcusticA trasforma il corpo umano in strumento musicale Uno strumento per aumentare il proprio potenziale energetico Riccardo Della Ragione Linguaggi Cosa ci sia di matematico nella musica è facile comprenderlo, anche per chi matematico non è. Ci sono le frazioni che indicano la durata, i tempi, il ritmo. Sono strutture matematiche che ogni giovane o vecchio musicista -o di chi vorrebbe esserlo, come il sottoscritto- deve affrontare. Poi c’è la parte matematica, legata alla fisica, che ci descrive i suoni, le frequenze, le intensità. Poi c’è il pentagramma, quasi un piano cartesiano con le sue regole e i suoi assi. E così via. Andando avanti si possono trovare migliaia di ponti tra queste due arti. Più o meno sottili, più o meno complicati. Ma la cosa più affascinante del legame tra matematica e musica è la costruzione della scala musicale. E ci si può anche giocare: con le mani, un po’ di pazienza, legno e chiodi. Questa storia che vi racconto inizia da Pitagora per arrivare fino al 1500, al signor Zarlino. Prima di tutto vi getto in pasto una formula. A me piace questa formula e possiamo dire che tutto inizia da qui, anche se i primi che l’hanno usata non la conoscevano. E’ una formula matematica che ci parla di fisica. Eccovela, poi la spiego: In questa formula abbiamo la T che rappresenta la tensione della corda,il Þ che è la densità della corda quindi dipende dal materiale con cui è fatta- e S è la sua sezione. L, infine, è la lunghezza della corda tra i due sostegni. Se pensiamo alla chitarra la L è la distanza tra il capotasto e il ponte. Quindi data una lunghezza e scelto il materiale posso agire sulla tensione per accordare sulla nota che desidero. Possiamo però anche ragionare in modo diverso. Abbiamo una corda e la fissiamo ai due estremi di un supporto di legno. Questi punti simulano il capotasto e il ponte della chitarra. La corda è ben tesa, ha una lunghezza x tra i due punti e toccandola vibra con una determinata frequenza. Quella sarà la nostra nota. Per ora non ci interessa sapere quale sia. Sappiamo che in una scala musicale la frequenza di una nota è la metà della stessa nota, un’ottava superiore. Per esempio se prendiamo il La del diapason sappiamo che la sua frequenza è di 440 Hz, quindi il La dell’ottava superiore -il successivo La sulla tastiera di un pianoforte, sarà di 880 Hz. Come vediamo dalla formula per raddoppiare la frequenza basta dimezzare la lunghezza. Per dividere l’ottava in note, e quindi in frazioni della corda, sono stati usati tantissimi metodi. Ci hanno provato cinesi, Psicologia giapponesi e in parallelo la scuola di Pitagora. Lo strumento utilizzato era proprio quello che abbiamo descritto: un monocordo. Alla fine fu Gioseffo Zarlino, nel 1558, che riuscì a definire quali erano queste frazioni e costruì quella che si chiama la scala naturale. Nota Lunghezza della corda Do1 Re8/9 Mi 4/5 Fa 3/4 Sol 2/3 La 3/5 Si 8/15 Do 1/2 Cosa vuol dire questa tabella? Se abbiamo una corda lunga 1, intonata sul Do e schiacciamo nel punto che la divide in 3/4 e ¼, otteniamo dalla parte lunga il Fa e dalla parte corta il Do di due ottave superiori (essendo 1/4 della lunghezza base). Se premiamo poi la corda esattamente in mezzo, pizzicando una qualsiasi delle due metà otterremo un altro Do di un’ottava superiore. Nel disegno qui sotto è indicata la posizione dei punti di pressione, la frazione che rappresenta la parte destra della corda -in rosso alcuni esempi della parte sinistra- e la nota corrispondente. Ovviamente con lo stesso strumento possiamo giocare in vari modi. Possiamo trovare tutte le ottave di una stessa nota dividendo con frazioni (1/2)n. Ovvero dividendo la corda a 1/2, 1/4 , 1/8… Oppure possiamo costruire scale diverse, con distanze (e quindi frazioni) diverse tra le varie note. Forse non sarà proprio intonata come quella che si usa di solito ma poco importa, l’importante è sperimentare. Poi alla fine arrivò Bach, che sistemò bene la scala risolvendo alcuni problemi lasciati aperti dalla scala naturale. Ma questa è un’altra storia. Per approfondimenti: N. Chiriano. Pitagora e la musica. Alice & Bob dicembre 2009;15: 32-36. N. Chiriano. Il restauro della scala. Il “temperino” di Bach. Alice & Bob dicembre 2010; 16: 17-22. “Noi esseri umani, come specie, siamo creature Musicali non meno che linguistiche, e questo aspetto della nostra natura assume molte forme diverse… A questo approccio strutturale, in larga misura inconscio, si aggiunge poi una reazione emozionale spesso intensa e profonda.” (Oliver Sacks) Sono molte le ricerche fatte che rivelano che quando il cervello non riceve input da una modalità sensoriale è in grado di riorganizzarsi per sostenere e potenziare gli altri sensi. Altre ricerche hanno confermato che le persone non vedenti dalla nascita, nei loro sogni, visualizzano le immagini proprio come noi, seppur non ne La poltrona AcusticA abbiano mai avuto esperienza. Nell’ambito di una proposta musicoterapeutica, il suono e la musica possono aprire canali comunicativi, incrementare la creatività, sviluppare capacità relazionali, aiutare ad elaborare vissuti. La persona non vedente, anche quello che non ha ricevuto un’educazione musicale, ha comunque una propria esperienza di vita che tramite la musica viene risvegliata, prende forma e crea emozioni che evocano delle immagini tramite: la conoscenza di canti; il ricordo di eventi sonori per lui significativi; la ninna nanna ascoltata quando era bambino; , le pratiche sociali inerenti la musica come il ballo, le serenate, i cantastorie, gli strumenti musicali. Questo bagaglio musicale che la persona si porta dentro diventa materiale su cui lavora il musicoterapeuta/musicoterapista. Ogni persona è dunque una persona ricca di potenzialità da attivare, di speranze da alimentare, e di desideri da rispettare. La musicoterapia ha come obiettivo primario quello di valorizzare tutte le funzionalità residue dell’essere umano: la musica diventa così un mezzo per prendersi cura, in un modo nuovo, delle persone non vedenti. La musica può rasserenare l’animo, risvegliare la forza di volontà, stimolare la concentrazione, migliorare le funzioni intellettive, stimolando al contempo la creatività. Esiste una correlazione diretta tra musica, cuore e sistema circolatorio: la musica è un pacemaker naturale, cosicché a seconda della sua velocità il cuore stesso si adatta, aumentando o diminuendo le pulsazioni. La musica rilassante favorisce la forza e l’elasticità muscolare: la tensione dei muscoli diminuisce, liberando la pressione esercitata a carico delle articolazioni. Si riscontrano effetti anche a livello della temperatura corporea: la musica rilassante favorisce l’abbassamento termico, mentre musica compulsiva ne favorisce un incremento. Una strutturata forma ritmica delle vibrazioni proposte riveste un ben preciso significato. La capacità ritmica è primariamente radicata nel corpo: alcune funzioni fisiologiche, come il battito cardiaco o la frequenza respiratoria, sono infatti caratterizzate da un funzionamento ritmico. Sul legame tra suono e movimento recenti ricerche hanno dimostrato la stretta interconnessione tra area motoria e uditiva e hanno dato avvio a una serie di studi molto proficui sull’utilizzo del ritmo nella riabilitazione dei disturbi del movimento (ad es. Morbo di Parkinson, aprassia, emiparesi). Negli ultimi 10 anni infatti, sta prendendo corpo anche un nuovo utilizzo della musica in ambito terapeutico, si tratta di una nuova disciplina che somministra la musica in senso fisico-vibrazionale. Sappiamo tutti che la musica viene usata in senso terapeutico con la disciplina della musicoterapia, non tutti però sanno che la musica, oltre ad avere un’azione emotiva, ha una funzione anche fisiologica sull’essere umano. Il suono, o più precisamente l’onda sonora, è in grado di attraversare i corpi fisici e tramite la vibrazione sonora, Ta ka din - ta ka di na tam Correlazione tra ritmo e linguaggio Ugo Rodolico Psicologia induce un movimento all’oggetto che investe, detto movimento è chiamato effetto di risonanza. La terapia vibro-acustica, tramite l’effetto di risonanza, agisce su tutte le fasce muscolari e sulle connessioni nervose riequilibrando le tensioni e donando una migliore reattività. Il concetto scientifico che sta alla base è che le vibrazioni sonore percepite dal corpo fanno sì che il suono si trasformi in energia. È come se il corpo umano ricevendo delle vibrazioni sonore venisse esposto a una sorta di “massaggio interno”, che lo rivitalizza, producendo energia per la messa in movimento dei tessuti coinvolti dalle vibrazioni sonore. Molti sono gli strumenti che vengono utilizzati a questo scopo. I più conosciuti sono le campane Tibetane o i Djiridoo. Nel mercato della stimolazione sonora e sensoriale esistono anche dei lettini sonori e poltrone di vario genere. Io vi accennerò ad un modello che spicca per la sua versatilità e capacità terapeutica. Si tratta della poltrona sonora “AcusticA”. La tecnologia utilizzata nella poltrona “AcusticA” è stata scoperta e brevettata grazie agli studi di un’equipe medico scientifica. Questo brevetto ad oggi risulta essere la migliore soluzione nella conversione del suono in vibrazione, delle informazioni armoniche e delle frequenze sonore presenti nella musica. La sperimentazione su numerosi utenti e lo studio incrociato dei dati con altri ricercatori, hanno consentito la messa a punto definitiva della poltrona sonora “AcusticA”. Costruita come uno strumento musicale, artigianalmente e interamente in legno, si presenta con superfici curve ed arrotondate, priva di angolazioni nette a 90°. La forma della poltrona è stata concepita imitando quella di una chitarra classica ma adeguandola alla struttura del corpo umano seguendo la postura della famosa Chaise longue disegnata da Le Corbusier. La poltrona “AcusticA” funge da cassa armonica senza l’utilizzo di altoparlanti e subwoofer. È un vero e proprio strumento musicale per far suonare il corpo, il suono viene trasformato in impulso fisico da apparecchiature professionali capaci di coprire uno spettro di frequenza compreso tra 20 e 20.000 Hz. In funzione dei suoni, dei ritmi e delle melodie, il corpo entra in risonanza con la struttura e tramite la conduzione ossea, beneficia di un massaggio che coinvolge le fasce muscolari e tutte le terminazioni nervose del corpo. Scuola “AcusticA” è uno strumento ideato per far entrare in risonanza ogni cellula del corpo in relazione alle frequenze sonore tramite la trasformazione fisica del suono. Chi riassume con un’analisi acuta questo fenomeno è il prof. Leipp del laboratorio di acustica dell’Università di Parigi: “Il corpo dell’uomo nell’ambito del proprio codice di comunicazione interno, attraverso ritmi e vibrazioni proprie, crea forme musicali, come una vera e propria emanazione di se stesso”. Come dice Denis Gaita: “Il simbolo musicale diventa un sogno che trasforma. Le note in movimento sul corpo ricordano al corpo stesso che la musica fa tacere i pensieri logici e risveglia le esperienze affettive “tracciate sul corpo prima del linguaggio verbale”. Nelle culture musicali extraeuropee, come quella araba, turca e indiana, l’organizzazione del ritmo segue formule “additive”: con questo termine si vuole indicare il fatto che in queste musiche sono presenti dei patterns ricorrenti, il cui modulo temporale che si ripete non costituisce una durata da dividere necessariamente in parti uguali (come la battuta occidentale), ma un gruppo di elementi più lunghi e più corti, come dei segmenti temporali o modi ritmici che si ripresentano ciclicamente e che ricordano i piedi ritmici della poesia greca. Nella musica araba, ad esempio, esistono numerosi modi ritmici (circa un centinaio) che possono avere durate, in termini di “unità temporali” , da 2 fino a 176. I suoni che costituiscono questi modi sono due e hanno uguale durata; essi sono chiamati con sillabe onomatopeiche: “dumm” (D) e “takk” (T). Il primo si ottiene percuotendo la pelle dei tamburi a cornice arabi al centro, il secondo vicino al bordo. La cosa che qui ci interessa è che la sillabazione, oltre ad avere un carattere imitativo dei timbri dei tamburi, serve principalmente ai musicisti per memorizzare ed eseguire i frammenti ritmici attraverso la pronuncia verbale che non è casuale ma finalizzata a ricreare, con un’articolazione fonetica adeguata, il movimento ritmico, nella maniera più fedele possibile: tanto è vero che, per rendere l’articolazione più fluente e darle anche una direzione e un senso, il “dumm” che segue immediatamente (cioè con una suddivisione più stretta) un altro “dumm” si chiama “mah” e il “takk” immediatamente successivo ad un altro “takk” si dice “kah”: Figura 1. Masmudi In figura 1 è riportato un pattern ritmico arabo detto masmudi con relativa notazione occidentale. I suoni sono indicati dalle lettere D (dumm) e T (takk, pronuncia “tec”) mentre i silenzi sono rappresentati dai trattini. Suoni e silenzi sono temporalmente equidistanti. Qui di seguito riporto una variazione del ritmo precedente con un raddoppio del “takk” che diventa “kah” (pronuncia “ca”); la nuova unità risultante sarà “takkah” (“tecca”): Figura 2. Variazione Masmudi Ulteriori analogie in merito ad un’organizzazione additiva del ritmo appaiono tra la tradizione arabo-turca e quella indiana, quest’ultima ancora più antica, complessa e varia. Il sistema metrico indiano è sintetizzato nel termine “tala”. Ogni tala, inteso come complessa struttura ritmica, caratterizza un brano e ricorre al suo interno conferendogli unità e contribuendo a organizzarlo formalmente. I tala non solo possono essere molto più lunghi delle nostre battute, ma si caratterizzano anche per una peculiare suddivisione interna, che vede la somma di raggruppamenti non tutti uguali. Come avviene per la cultura araba anche la ritmica indiana si fonda sull’uso di un sistema di sillabazione peraltro più complesso di quello mediorientale, le cui sequenze verbali, come abbiamo già detto, non solo hanno un carattere onomatopeico, ma sono strettamente legate ai frammenti ritmici che rappresentano e hanno il compito di rafforzarne la fluidità e di conferirgli un senso e una struttura. Figura 3. Alcuni pattern su una struttura di 32 pulsazioni (adi tala) In figura 3 notiamo la presenza di gruppi ritmici formati da elementi associati a sillabe diverse; anche qui i silenzi sono indicati dai trattini. Nella terza battuta, per esempio, un gruppo di tre pulsazioni seguita da un silenzio è scandito con la sequenza “ta ka din-”. Nella quinta battuta e fino all’ottava si susseguono gruppi da cinque pulsazioni identificate da altrettante sillabe diverse “ta ka di na tam” che si collocano a cavallo di battuta. Isoliamo il gruppo da cinque “ta ka di na tam-” e scopriamo un’analogia con un rudimento per tamburo della tradizione percussiva occidentale: “il rullo a cinque colpi”: Scuola Figura 4. Rudimento “rullo a cinque” Il rullo a cinque è un frammento ritmico suonato sul tamburo ed è formato da cinque colpi di cui l’ultimo è accentuato. L’idea è quella imparare tutti i rudimenti memorizzandoli come sequenze verbali che identifichino unità ritmiche autonome, esistenti a prescindere dalla notazione divisionale o suddivisionale (le griglie della battuta musicale occidentale) e indipendentemente da una pulsazione di riferimento sovraordinata (cioè gli accenti metrici della battuta: il diffuso “one, two, three, four” del batterista prima di cominciare un brano). Imparare a scandire la sequenza sillabica “ta ka di na tam-“ ci permette, prima di tutto, di fissare il frammento ritmico-verbale. Solo in un secondo momento il frammento potrà essere individuato e collocato in vari modi che dipendono dalla suddivisione di riferimento e dalla pulsazione di riferimento (il tempo): possiamo avere suddivisioni larghe e strette ovvero più veloci e più lente, ma il gruppo ritmico e la sua sequenza verbale restano sostanzialmente gli stessi. Le lettere tra parentesi quadre rappresentano la pronuncia dei foni quelle tra stanghette rappresentano i fonemi cioè le unità minime del linguaggio: “ta” [t][a] è formata da una consonante dentale sorda (non risuona nelle cavità nasali) e da una vocale di massima apertura: la lingua fa una decisa resistenza contro l’arcata dei denti superiori (occlusiva) producendo un suono deciso che grazie all’ apertura della /a/ suggerisce l’attacco, l’inizio, l’accento. “ka” [k][a] (pronuncia come “casa”) è formata da una consonante velare sorda occlusiva cioè che non risuona nelle cavità nasali (la “c” dura) e la /a/ aperta: essa si articola con la radice della lingua contro l’estremo limite del velo palatino duro, ottenendo così un arresto del fiato; il velo palatino poi si alza di scatto, dopo una momentanea contrazione. L’articolazione di questa sillaba è in una direzione opposta a quella precedente; le due articolazioni potrebbero essere considerate antagoniste, come se la seconda fosse la continuazione speculare della prima. - “di” [d][i] è formata da una consonante dentale sorda occlusiva con l’attacco leggermente più in alto della /t/ nella zona iniziale del palato duro (alveolo) e da una vocale anteriore chiusa la [i] . Notiamo che su questa terza sillaba l’articolazione fonetica comincia a tornare indietro (cioè in avanti verso il palato duro), verso l’inizio. - “na” [n][a] è dentale sonora perché risuona nelle cavità nasali: il punto di attacco è come quello della [d] e la vicinanza tra le due (sorda-sonora) suggerisce una chiusura di fraseggio ritmico “tam”[t][a][m] è formata dalla “t” che è consonante dentale (stesso attacco della sillaba “ta”) ma con l’aggiunta della [m] che è bilabiale sonora nasale, Figura 5. Diverse “basi di scansione” del rullo a cinque si articola con una lieve resistenza dei bordi interni delle In figura 5 constatiamo che il rullo a 5 assume diverse labbra e risuona ampiamente nella cavità nasale. scansioni (dalla semiminima alla biscroma) ma è sem Uno spartito ritmico prima di essere letto può essere pre indicato dalla sequenza “ta-ka-di-na-tam”. I trattini “parlato” e memorizzato attraverso una serie di combinariportati nei primi due esempi (A e B) stanno ad indicare zioni sillabiche che formano una mappa mnemonica. le pause musicali, i silenzi. Negli esempi C e D non ho Ma ancora meglio sarebbe andar a scovare delle corririportato i trattini perché, aumentando la velocità nella scansione sillabica, accade che l’ultima sillaba, formata da spondenze tra i ritmi delle poesie italiane e i frammenti due consonanti con una vocale al centro, assorbe il valore ritmici percussivi. Il vero poeta conosce bene il dilemma corrispondente, che si fa via via più piccolo; l’ultima sillaba di scegliere le parole adatte in base al loro suono , al loro ritmo e al loro colore. Tutta la poesia è un ricercare il ritmo “tam”, essendo più lunga delle altre quattro, suggerisce anche l’accentuazione. L’utilizzo di diverse sillabe e la loro giusto, il più fluente, il più unitario il più musicale appunto. La parola, i foni, le sillabe, le frasi hanno una sonorità, pronuncia suggerisce una direzione nell’articolazione e una ritmicità che va scovata, raffinata, levigata. Nel moquindi, successivamente, nel gesto e nel fraseggio. mento in cui la parola si distanzia dalla sua “musicalità”, Analizziamo la pronuncia e l’articolazione delle sillabe perde la sua caratteristica ritmico-melodica e diventa proutilizzate che nascono a loro volta dai “foni” (suoni). sa ma solo in parte... Quando la parola torna nella poesia, torna nella musica. Si capisce dalla corrispondenza tra segni musicali e grafemi (fonemi) che il solfeggio divisivo è solo un “calco” limitato delle potenzialità ritmiche della parola pura. Il linguaggio (che è una forma di movimento: nasce dall’ articolazione fonetica dei muscoli della bocca) rafforza il ritmo e viceversa e, come abbiamo visto nelle millenarie culture musicali indoeuropee che hanno avuto un rapporto dicontinuità con la civiltà greca e quindi europea, il linguaggio funge da veicolo del ritmo perché lo rende fluido ma anche da strategia mnemonica per la memorizzazione di gruppi ritmici. Si può quindi pensare ad una triade e chiamarla “PAROLA —> GESTO —> SUONO” (Napoli M., Psicopedagogia della metologia Orff- Schulwerk). Questa triade è reversibile e la si può leggere al contrario come “SUONO —> GESTO —> PAROLA”. Da questa considerazione deriva una possibilità interdisciplinare che si traduce nella possibilità di entrare nei versi della poesia italiana, di possederli veramente a partire dal loro suono: imparare il suono e il ritmo degli endecasillabi (il verso “principe” della nostra poesia) con l’obiettivo ulteriore di trasformare i versi in clavi ritmiche cioè chiavi di lettura del ritmo da suonare sugli strumenti a percussione. Viceversa il musicista che si confronta con cellule ritmiche non semplici potrebbe sfruttare le articolazioni fonetiche (o i versi della poesie) come tavolozze mnemoniche per avere una maggiore sicurezza nell’ improvvisare. Con in mente questi presupposti ho scritto lo spartito ritmico dell’ “Infinito” di Giacomo Leopardi (fig. 8) ricavato dagli accenti di ogni verso (l’italiano è una lingua intensiva), dal ritmo sintattico (cioè dalle unità di senso compiuto), dai segni di interpunzione (virgole, punti...), dalla quantità di sillabe e lettere (prosodia), dalle cesure (l’endecasillabo si divide in quinari e settenari o viceversa e lì spesso ci sono pause), dai sintagmi lessicali (cioè dalle unità strutturali di frase che si attraggono) e infine da un confronto di letture di quattro grandi artisti (e di ciò che di queste letture riuscivo a sentire più mio): Vittorio Gassman, Carmelo Bene, Enrico Papa e Arnaldo Foà. Solo i segni di tempo sono orientativi e rimandano al solfeggio classico che ha la necessità di organizzare matematicamente il ritmo (impoverendolo). Nonostante il Leopardi abbia utilizzato endecasillabi sciolti il ritmo di questa poesia eccezionale rappresenta un unico respiro che va ben al di là della divisione in versi: il ritmo è appunto infinito, scorre al di là di barriere convenzionali (il poeta supera sia la metrica che la forma: è un sonetto ma non è un sonetto). È interessante notare come un musicista che ha a che fare con la lettura ritmica può memorizzare subito il testo e il canto leggendo solo la musica. Viceversa un lettore a digiuno di ritmica può entrare in confidenza con figure complesse che vengono di solito insegnate in una sorta di progressione di apprendimento molto discutibile. La parola è memoria del ritmo (e del movimento), il ritmo (movimento) è memoria della parola. È incredibile notare come, trasformando in segno ritmico (i simboli delle note) ogni sillaba o raggruppamento sillabico, le figure ritmiche che ne derivano seguono il significato e la parafrasi del testo, infittendosi e incalzando, per esempio, dal verso 8 in poi: “E come il vento odo stormir tra queste piante” quasi come a voler sottolineare la velocità e il rumore del vento (un meccanismo questo simile al procedimento che nel 500 si chiamava madrigalismo ma era sempre un processo contrario che andava dalla musica alla parola e non viceversa determinando quella tirannia della parola sulla musica: al contrario, sono un tutt’uno! E Leopardi lo sapeva bene!), per andare a rallentare e quasi scomparire nell’ultimo verso: il naufragare è appunto lento e la parola “nau-fra-gar” codificata ritmicamente in una terzina di crome suggerisce la quiete, il fermarsi, il rallentare, il perdersi. I ladri di carrozzelle: ottimismo e buonumore a suon di rock Storia della band che sfida l’indifferenza Paolo Falessi Territorio I ladri di carrozzelle sono una band composta in gran parte da artisti con disabilità che hanno festeggiato da poco il loro venticinquesimo anno di attività mantenendo inalterato lo spirito che da sempre li anima: divertirsi e divertire proponendo un mix vincente di leggerezza, ottimismo e buonumore condito da tanta ironia e amore per la musica che propone di vivere la diversità come valore e non come problema. Tutto cominciò nel 1989, quando un gruppo di amici, costretti in carrozzina da una malattia genetica, decisero di dar vita ad un sogno apparentemente impossibile: formare un gruppo musicale. Attraverso le proprie canzoni e s’impegna per realizzarli. I Ladri esprimono il proprio talento esibendosi sui palcoscenici di tutta la penisola, mostrando con naturalezza la loro particolarità e sorprendendo il pubblico con l’energia che mettono in scena. Un unico progetto, tante formazioni Purtroppo i fondatori della band, tutti affetti da una patologia genetica progressiva, devono inesorabilmente lasciare l’attività musicale, ma il progetto non si ferma. Da gruppo musicale l’esperienza si trasforma in laboratorio musicale aperto a ogni forma di fragilità sia fisica sia psichica e psichiatrica. Attualmente si tratta di una formazione multiforme, che varia, si evolve e si spezzetta Concerto dei Ladri in Svizzera dando il meglio di loro stessi, divertendosi e divertendo, ma soprattutto emozionando puntualmente la platea. Come dice uno dei cantanti, Lorenzo, non vedente: «Le emozioni non si vedono con gli occhi ma si sentono con il cuore». E proprio al cuore del pubblico arriva la forza della band che sul palco comunica un’energia inaspettata e coinvolgente. Ogni anno i Ladri girano l’Italia in lungo e in largo, con qualche puntata anche all’estero per suonare dovunque vengono invitati; recentemente hanno avuto il piacere e l’onore di suonare di fronte al Presidente della Repubblica On. Mattarella e la Presidente della Camera On. Boldrini, mentre non si ferma una delle attività preferite della band: suonare nelle scuole di ogni ordine e grado per incontrare gli studenti e proporre loro un differente punto di vista sulle diverse abilità. Parallelamente si sta lavorando al nuovo disco che sarà pronto per l’estate e sarà presentato durante il tour estivo: una ventina di canzoni inedite e non per raccontare in musica una bella storia. Attualmente i ladri di carrozzelle sono un’attività laboratoriale della Cooperativa Arcobaleno di Frascati che coinvolge una ventina di persone con disabilità, numero in costante aumento, come quello dei volontari che li accompagnano ed assistono nelle loro necessità. L’integrazione tra le persone è uno dei punti di forza di questa esperienza unica, senza retorica o approcci paternalistici: chi vuole divertirsi e dare una mano è il benvenuto chi Pubblico al concerto dei Ladri la band lanciò una vera e propria sfida all’indifferenza, ai luoghi comuni e ai pregiudizi opponendosi fermamente al concetto di normalità. Accettare e superare i propri limiti, sorridere ironizzando sul mondo e soprattutto cambiare prospettiva, trasformando la paura in coraggio ed il disagio in risorsa, sono infatti le idee sentite e tradotte in musica dalla band che vuole promuovere un’immagine nuova delle diverse abilità, fatta di integrazione, competenza e professionalità condite da ottimismo e sacrificio. I sogni non conoscono ostacoli, sono il lusso di chi ci crede mettendo in scena non semplici concerti, bensì spettacoli multimediali che affrontano tematiche sociali e culturali non necessariamente legate al mondo della disabilità. Un repertorio scanzonato e coinvolgente che spiazza il pubblico costringendolo o saltare, ballare e cantare tutti insieme. Un repertorio e una formazione che cambia per consentire la presenza dell’ idea Ladri di carrozzelle all’interno delle situazioni più diverse, dall’aula magna della scuola, al pub, al teatro… Così, di volta in volta il numero dei musicisti può cambiare… ma il vero numero, i Ladri di Carrozzelle lo fanno sul palco, ogni volta che si esibiscono, vuole piangersi addosso, disabile o no, può rimanersene a casa. Un ultimo pensiero va ai volontari e alle famiglie che supportano e sopportano i ladri tutto l’anno con un entusiasmo e una disponibilità esemplare. Per ulteriori informazioni: www.ladri.com Gianluca con la Presidente della Camera dei deputati Boldrini I Fiocchi Canterini L’esperienza del 1 Circolo Didattico di Scafati Fare, studiare o produrre musica I migliori software per gli amanti della musica Eleonora Di Martino Alfredo Capozzi Territorio Oggi è cresciuta l’attenzione ai diritti universali e alla realizzazione delle aspirazioni di ogni persona anche con bisogni educativi speciali e con disabilità, nonché all’accoglienza di tutti nella società. Creare Inclusione in un contesto scolastico richiede prassi sempre nuove, soluzioni originali, adattate ai singoli bambini e ai contesti, dal punto di vista didattico-pedagogico, comunicativo e relazionale. La musica può essere considerata un linguaggio universale, una forma di arte espressiva, ma anche strumento socializzante soprattutto per i bambini che presentano “Bisogni Equo Sostenibili”. Nel libro “La musica è un tutto. Etica ed estetica”, il famoso pianista e direttore d’orchestra Daniel Barenboim ci consegna alcune interessanti riflessioni: «Un brano musicale è un tutto organico, dove ogni aspetto si relaziona all’altro. La musica non può essere smembrata nei suoi elementi costitutivi; non può esistere melodia senza ritmo, melodia senza armonia, armonia senza ritmo e così via. […] Nel fare musica, se un elemento si disconnette dagli altri, automaticamente viene meno l’idea di un tutto. Non appena questo tutto integrato svanisce, il pezzo non può più essere considerato musica nel senso più pieno e profondo del termine». Un brano musicale rappresenta la metafora ideale per esplicitare l’idea di inclusione che si intende realizzare al 1° Circolo Didattico di Scafati, un’idea di relazioni e scambi indispensabili e non facoltativi, dove l’altro è membro costruttore paritetico di bellezza, dove la diversità crea armonia, dove il singolo è funzionale al gruppo, dove se un bambino si “disconnette” dagli altri viene meno l’idea del tutto, dove per realizzare la comunità si tiene conto del singolo e dove l’idea di “società equa” si intende esportare all’esterno per contaminare la vita vera! Il coro per l’inclusione “I Fiocchi Canterini” è nato pensando al coinvolgimento di tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali e/o Complessi, o semplicemente Bisogni che fossero pensati in virtù di una progettualità che desse loro una risposta adeguata. Creare, naturalmente, un gruppo che fosse eterogeneo anche per età e che si sviluppasse su uno “scaffolding” modellabile al contesto, un ambiente dove il “social learning” permettesse di realizzare quell’energia che solo le emozioni possono produrre; i coristi, infatti, danno vita ad un organismo nuovo che stabilisce un equilibrio proprio, che ha una propria timbrica, che respira sincronizzando i respiri, che diffonde armonicamente vibrazioni, trasmette emozioni, sentimenti, bellezza. Tecnologie Gli alunni coinvolti sono scelti in base al loro interesse e alla loro voglia di provare, è accertato che l’essere stonati non rappresenta un limite, ma il più delle volte significa semplicemente che non si è abituati a cantare, soprattutto con gli altri. È importante ribadire che “Intonati non si nasce, si diventa, bisogna avere la pazienza di attendere”. I coristi scelti in tutte le classi della scuola primaria, sono 67 e partecipano per il terzo anno a questo “progetto di vita”, avendo un obiettivo comune cioè quello di realizzare un “contesto” da generalizzare. L’importanza che si promuove non è il prodotto finale, ma il percorso entro il quale i bambini maturano quei comportamenti autentici, entro il quale si realizzano situazioni sorprendenti, dove l’alunno in difficoltà fa da mentore o sostiene l’altro. Il contesto del macro-gruppo, dove ci sono alcuni compagni “collaudati”, diventa una sorta di piccola comunità, e dove si ridefiniscono identità, ruoli e dinamiche, per cui allargando il contesto cambia anche la visione del singolo di percepire e di percepirsi. Il coro dei Fiocchi Canterini ha realizzato due manifestazioni natalizie e un intervento rappresentativo del Circolo Didattico alla rassegna sul risparmio energetico, promossa dal Comune di Scafati , in programma per il prossimo 11 aprile ci sarà uno spettacolo: ”Dedicato a …”, con lo scopo di raccogliere fondi per l’organizzazione umanitaria internazionale CBM Italia, che si occupa della prevenzione e cura della cecità e disabilità evitabile nei paesi del Sud del mondo. Le possibilità per una persona di studiare musica oggi sono pressoché illimitate grazie ai tanti software e applicativi disponibili. Anche per le persone non vedenti abbiamo le stesse opportunità? L’avvento degli smartphone e dei tablet ha dischiuso un potenziale enorme non solo per gli sviluppatori di software, ma anche per gli utenti alla ricerca del gadget tecnologico più immediato e facile da usare. Resta il fatto, però, che sia la piattaforma Windows che quella OSX restano le più appetibili se si vuole avere garanzia di stabilità e comodità d’uso. Questo vale per chi a fronte di un sistema meno trasportabile, hanno a disposizione software molto più potenti e performanti, ma anche per le persone non vedenti che, grazie al consolidato Jaws ma anche all’italianissimo NVDA, hanno garanzie di una sintesi vocale più efficace rispetto alla controparte mobile. Inoltre, la tastiera del computer resta ancora il mezzo più efficace per l’inserimento dei comandi se rapportato alla gestione tattile e vocale di un dispositivo tascabile. Infine, se consideriamo seppur solo numericamente, i software a disposizione per tali dispositivi fissi, ecco che l’ago della bilancia si sposta inesorabilmente verso i computer desktop e i notebook. Premesso ciò, vediamo quali possano essere alcune delle risorse a disposizione della persona non vedente per fare, studiare o produrre musica, elencandone alcune delle più importanti e recenti: Music4VIP: ovvero Music for visually impaired peoples (studi musicali per persone con disabilità visiva). Un consorzio di Paesi Europei (Italia, Francia, Regno Unito, Polonia), finanziati dalla Comunità Europea, che hanno sviluppato la piattaforma omonima per consentire al disabile visivo un approccio alla musica più semplice rispetto alla notazione Braille. Ad alcuni degli stessi partner coinvolti nel progetto Music4VIP, fanno capo anche altri precedenti progetti come PLAY, eBRASS e CONTRAPUNCTUS. Progetti questi con i quali, a partire dal 2002, si sono sviluppate e proposte altre soluzioni funzionali allo studio della musica (sito web: www.music4vip.org). BME2: Braille Music Editor versione 2. Sviluppato dalla Arca Progetti, società di Verona, anch’essa partner del consorzio sopra descritto, è probabilmente il software più efficace per chi vuole scrivere musica in autonomia (sito web: www.veia.it). Dancing Dots (USA): dal 1992 propone, principalmente con il software GOODFEEL, una efficace soluzione per convertire la musica stampata in formato Braille, in modo accurato ed automatico, oltre ad avere l’opportunità, tramite JAWS, di poter gestire le partiture con la voce. Dancing Dots è anche partner di sviluppo di CakeTalking, un software che si integra a Cakewalk Sonar per poterlo usare tramite sintesi vocale. Sonar è una DAW, ovvero un software per la produzione audio professionale. Attenzione però: CakeTalking è compatibile fino alla versione 8.5 di Sonar, ma non con le più recenti versioni serie X1, X2 ed X3 (sito web: www.dancingdots.com). Musica Parlata: è un personalissimo progetto che vedrà la luce durante questo 2016. Si tratta di un completo sistema metodologico, a cui fa capo anche il software MPPlayer, sviluppato su presupposti completamente differenti da quelli sopra indicati. Musica Parlata, infatti, integra una nuova sintesi vocale, chiamata Dizione Musicale, che accompagna tanto lo studente quanto l’appassionato di musica ad utilizzare originali contenuti musicali del tutto nuovi e coinvolgenti. Per maggiori particolari, vi rimando alla lettura dell’articolo di Giuseppina Mansi, presente su questo stesso numero di Orione. Per inciso, Musica Parlata consentirà la fruizione di qualsiasi genere musicale, sia classico che moderno, senza distinzione di strumenti che l’utente potrebbe già saper suonare o vorrebbe imparare (sito web: www.musicaparlata.it). Buona musica a tutti! Soundbeam: uno strumento per tutti Il laboratorio musicale del Centro Ricerca Arte Musica Spettacolo (CRAMS) di Lecco Musica Parlata Un software per musicisti non vedenti Francesco Panzeri Giuseppina Mansi Tecnologie Il laboratorio con il Soundbeam® è valutato molto più che positivo. I ragazzi in principio molto titubanti e curiosi nei confronti del nuovo strumento, nel corso del tempo hanno imparato a conoscerne le potenzialità e hanno saputo così integrarsi tra loro e raggiungere un notevole benessere psicologico. Hanno imparato a gestire le loro paure, a relazionarsi fra loro in maniera non competitiva ma collaborando e dimostrando interesse e passione verso il nuovo. Hanno saputo esprimere i loro pareri personali e confrontarsi fra loro in maniera pacifica e civile.” (testimonianza di un educatore) Dal 2005 il C.R.A.M.S. (Centro Ricerca Arte Musica Spettacolo) di Lecco, che nelle sue molteplici attività utilizza l’arte, specialmente la musica, per connettere il mondo della disabilità al normale contesto sociale, collabora con il musicista David Jackson, interessato alla tematica della disabilità ed impegnato nello studio degli aspetti riabilitativi ed espressivi attraverso l’uso del SOUNDBEAM. Il Soundbeam è un rilevatore di movimento, il cui funzionamento è simile a quello di un radar: i suoi sensori proiettano nello spazio un fascio di ultrasuoni che, incontrando un ostacolo, rimbalzano indietro alla sorgente. In questo modo i movimenti corporei, compiuti all’interno del raggio, vengono intercettati e tradotti in segnali Midi, a seconda della direzione e della velocità dell’oggetto in movimento (nel nostro caso, una mano, un piede, la testa, ecc.) e quindi trasformati in suoni. Il Soundbeam è stato utilizzato positivamente nei bambini con gravi problemi di comprensione e disabilità nell’apprendimento e i migliori benefici sono stati riscontrati con bambini e adulti affetti da una varietà di sindromi come autismo, ADHD (Attention Deficit Hiperactivity Disorder), demenza, sindrome di Down, sindrome di Rett, depressione, Alzheimer. Questi soggetti, inseriti normalmente in un contesto terapeutico e di cura, vedono fortemente limitate le proprie capacità ludico espressive. Il Soundbeam, invece, crea un’interazione con il mondo esterno, soprattutto con persone normodotate, difficile da ottenere nei soggetti con una grave forma di disabilità. Infatti, coloro che sono stati coinvolti nell’utilizzo del Soundbeam hanno imparato ad ascoltarsi, esprimersi tramite la composizione di suoni e con delle espressioni facciali rivelatorie hanno mostrato una risonanza estetica. Tuttavia il risultato più importante è che le persone hanno cominciato a esplorare, esprimere e comunicare i loro sentimenti; inoltre sono diventati più consapevoli di sé e Tecnologie del mondo circostante, incominciando a sviluppare così i rapporti interpersonali mostrando la loro forma artistica interiore. Questi risultati sono stati ottenuti nei laboratori che il C.R.A.M.S. ha realizzato con i principali centri e Associazioni del territorio lombardo e della Svizzera, che si occupano di disabilità. Tutte queste esperienze si sono consolidate nel progetto Interreg Il raggio del suono, 2007 -2013, di cui il C.R.A.M.S. era capofila, ottenendo un importante riconoscimento nell’ambito del Programma di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Svizzera. Nel progetto Interreg, tramite una ricerca tecnologica, si è arrivata alla creazione di nuovi ausili; è stata condotta, altresì, una ricerca scientifica che ha approfondito la tematica della musica connessa con il mondo della disabilità. Tutto ciò ha portato alla creazione di una rete di istituti e centri specializzati, che sono stati coinvolti, in primo luogo, nella formazione dei loro operatori e, successivamente, nel coinvolgimento di parte delle persone disabili, che si erano interfacciati con il Soundbeam, per la realizzazione di due grandiose performance musicali (The House that Cried e Twinkle). In essi musicisti e cantanti professionisti hanno avuto modo di misurarsi con il Soundbeam utillizzato dalle persone con disabilità (www.soundbeam.it), arrivando così a ottenere i positivi risultati sopraelencati. Al progetto Il raggio del suono è seguito il progetto Crysalis tuttora in corso con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente le tematiche e gli aspetti portati avanti nel progetto Interreg. In definitiva le esperienze sviluppate con l’utilizzo del Soundbeam ci portano a considerare ancora di più l’arte come motore di trasformazione sociale condiviso. Atrezzatura completa del Soundbeam,composta da: Sensori,Tavolette ,Pc e tastiera. Come è noto, per uno studente di musica non vedente è difficile, se non impossibile, avere una comprensione immediata di una partitura, che per poter essere suonata, deve essere prima di tutto letta a frammenti e memorizzata. Sono una musicista non vedente che ha voluto intraprendere gli studi di pianoforte al conservatorio con tutto ciò che ne consegue, soprattutto i tempi da rispettare per poter dare gli esami nelle giuste sessioni. Le difficoltà sono aumentate soprattutto nell’ultimo periodo di studio, cioè quello più avanzato. Spesso, purtroppo, le partiture in Braille risultavano irreperibili e dovevo accontentarmi di ciò che era presente nei vari cataloghi delle biblioteche, o richiedere una trascrizione personale per la quale potevano trascorrere mesi. Negli ultimi anni, la trascrizione in Braille delle partiture ha registrato un sensibile aumento, ma soprattutto nell’ambito della musica corale e moderna, si registra ancora una forte carenza. Per far fronte alle scadenze temporali, la persona non vedente deve sobbarcarsi una grossa mole di lavoro mnemonico oltre che tecnico, oltre alla possibilità più che concreta di non trovare le partiture trascritte in Braille di cui ha bisogno. La partitura Braille, poi, risente della assoluta impossibilità della verticalizzazione nella scrittura musicale, cosa che ai vedenti garantisce, attraverso la presenza del pentagramma, una immediatezza nel comprendere le caratteristiche essenziali della partitura. Per tutti questi motivi appena esposti, è evidente che affinare l’ascolto, è fondamentale. Un ascolto consapevole dovrebbe essere una prerogativa di tutti i musicisti, visto che la musica ha una valenza soprattutto uditiva. L’ascolto, quindi, per uno studente non vedente, può essere considerato alla stessa stregua della lettura a prima vista, se l’orecchio è predisposto e successivamente ben allenato. In questo contesto si inserisce Musica Parlata, una metodologia di studio ideata dal Prof. Alfredo Capozzi. Musica parlata si avvale di un software da scaricare e installare sul proprio pc (MP Player) e di tracce audio programmate appositamente con tutte le informazioni riguardanti la partitura. Il software si installa facilmente e interagisce senza problemi con i principali screen readers utilizzati, come NVDA e JAWS. I brani di Musica Parlata, sono compilati per essere riprodotti dal player. La particolarità di questa metodologia è nelle tracce audio, che vengono realizzate da musicisti veri, con la relativa registrazione di strumenti acustici reali. Ciò, abbastanza spesso, non avviene neanche nei metodi di studio creati per i normodotati. Accanto alle tracce strumentali, sono presenti anche tracce vocali che cantano la partitura indicando le note da eseguire con relativa durata, intensità, ed interpretazione dei fraseggi. Le tracce vocali, chiamate Dizione Musicale, sono riprodotte in modo sincronizzato con quelle strumentali e come per le altre possono essere attivate o spente a piacimento. Il player, attraverso la tastiera del PC, permette in modo semplice di isolare le singole tracce, creare frammenti dei brani ponendoli in loop. Consente anche di rallentare o velocizzare il brano, di salvare le impostazioni e di riprenderlo da dove lo si abbandona per continuarne lo studio in seguito. Musica Parlata non intende sostituirsi al Braille, ma affiancarlo. L’apprendimento del Braille, e nello specifico della notazione musicale, resta un elemento fondamentale per lo studio. Questa metodologia può appassionare un ragazzino allo studio della musica, fornendogli un approccio quasi ludico, oltre ad un ben più importante sprone nel perfezionare il proprio ascolto. Musica Parlata può ancora essere un incentivo per persone che hanno abbandonato gli studi musicali, ma che desiderano riprenderli in modo più leggero. Musica Parlata permette di avere una comprensione immediata del brano che si sta studiando. Affidate all’orecchio la lettura a prima vista fornendo in un unico ascolto tutte le informazioni necessarie al corretto studio di una partitura. Il player di Musica Parlata, i brani musicali e tutti i materiali informativi, saranno presto a disposizione degli utenti interessati su www.musicaparlata.it, sito ancora in costruzione, ma di prossima apertura. Educazione sonora della voce Il consiglio del logopedista A tambur battente Vi racconto come ho spazzato via la mia timidezza Paola Magaldi Antonio Celano Educazione Educazione Svolgo la mia professione di logopedista principalmente nell’ambito della produzione e riabilitazione della voce parlata, professionale e artistica. Le patologie della voce possono interessare la voce parlata e in quel caso si definiscono disfonie, mentre le difficoltà, sempre patologiche, nello specifico del canto prendono il nome di disodie. In virtù di questo, la musica intesa come suono, sia perché principale attrice nella voce parlata, sia perché è il “tappeto” su cui il cantante cammina con la sua voce, sono sempre immersa in essa e da essa traggo spunti per il lavoro riabilitativo. La voce acusticamente è il suono prodotto dalla vibrazione delle corde vocali messe in moto dalla corrente aerea in espirazione. Questo suono viene modulato timbricamente nelle cavità di risonanza dando alla voce le peculiarità che poi permettono all’ascoltatore di distinguere una voce dall’altra. Il messaggio musicale viene veicolato dall’energia sonora e i parametri della musica sono: • Frequenza; • Natura delle vibrazioni sonore; • Intensità; • Timbro e colore; • Tempo. Parametri che sono assolutamente sovrapponibili a quelli che definiscono la voce. Inoltre, il ritmo e la melodia, elementi costitutivi della musica sono presenti nel linguaggio e nella voce nei caratteri sovrasegmentali, nella prosodia, nell’intonazione. Senza addentrarsi nel campo della patologia, può succedere che alterandosi anche solo uno di questi parametri o qualità si alteri una parte della produzione vocale, innescando un circolo vizioso che procede verso un’alterazione vocale sia nella voce parlata che in quella prodotta artisticamente nello specifico del canto. La prassi logopedica è di solito concentrata sulla produzione vocale a livello laringeo e sovraglottico ad opera delle cavità di risonanza, ma la voce è il prodotto di un intero corpo non solo di una parte di esso, quello stesso corpo che agisce poi nel mondo, si muove, vive. La voce, inoltre, anche nella sua produzione artistica, non può essere disgiunta dalle emozioni e la correlazione voce/emozioni è ampia ed articolata. Spesso, basta ascoltare solo la voce per capire lo stato d’animo della persona con cui dialoghiamo e ancor più spesso non c’è aderenza tra il contenuto del messaggio verbale e la voce con cui viene formulato, svelando un’incongruenza che può avere varie motivazioni. A mio avviso, tutto questo è musica, certo, non nell’accezione tradizionale, ma se pensiamo alla voce e al linguaggio è costituito da pause, variazioni di frequenza, variazioni di intensità, il colore e la latimbrica che si modificano, proprio come se stessimo suonando uno strumento. In realtà è proprio così, perché il cantante cantando suona il proprio strumento, che a differenza degli altri musicisti, è all’interno del suo corpo e parte del suo sé corporeo ed emozionale, e in virtù di questo, molto più esposto ad usura e traumi. Nella mia pratica logopedica la sovrapposizione voce/ musica non è quasi mai chiara alle persone che si rivolgono a me per il recupero vocale, ed è mio personale pensiero credere che se ci fosse una maggiore educazione alla musica e all’ascolto le problematiche di voce sarebbero quantitativamente meno numerose e qualitativamente importanti. Paradossalmente questa similitudine tra la voce e la musica non è chiara nemmeno a chi fa un uso professionale della voce, cantanti e attori. Esercitare all’ascolto e al riconoscimento dei parametri musicali è un deterrente in più nell’educazione all’uso della voce e nella risoluzione dei quadri patologici a essa collegati, oltre a rendere il programma terapeutico molto più interessante, piacevole e istruttivo. All’interno del percorso abilitativo e riabilitativo logopedico legato alla voce, si possono proporre attività come: • separazione silenzio/sonorità; • separazione suono continuo/suono impulsivo; • separazione suono/rumore; • separazione tra le sonorità continue e le sonorità con tinue con una interruzione regolare; • riconoscimento delle diversità timbriche a parità di fre quenza e intensità; • riconoscimento dinamiche di altezza; • riconoscimento dinamiche di intensità. Questa educazione fornisce e amplia una maggiore coordinazione uditivo-motoria, maggiore capacità nella discriminazione figura- sfondo, permette al soggetto di adeguare i parametri della voce a seconda dell’utilizzo e dell’ambiente in modo efficace ed efficiente, ed è un buon allenamento propriocettivo che aiuta, spesso, ad individuare i primi campanelli di una patologia vocale. Ero un bambino timido e quando un adulto mi rivolgeva la parola riuscivo a stento a dire sì oppure no. Giocavo con altri bambini ma con una strana paura che mi pestassero i piedi e mi sbattessero a terra. Avevo incubi e un sogno ricorrente: cadere da un letto altissimo. Vennero altri sogni in cui cominciai a volare nella mia stanza, sulla piazza del mio paese, sui dirupi anche con cadute improvvise. Poi comparvero in casa scatole e scatoloni di tutti i tipi e cominciai a percuoterli da solo ed in compagnia. Uno zio mi regalò una batteria giocattolo e cominciai ad organizzare il mio percuotere. Mio padre (musicante polistrumentista e macchiettista) mi comprò la prima batteria. Mio fratello alla fisarmonica guidava le esecuzioni e io di quattro anni lo seguivo con cura; il suo suonare mi dava fiducia e mi trascinò col liscio e le canzonette napoletane anni 50 e 60. Quel bambino timido stava cercando, esplorando un mondo affascinante con poca tecnica e tanta emozione in gola; suonava anche in pubblico e spesso controvoglia per l’eccessiva attenzione che gli spettatori davano a quei due piccoli che riuscivano a far ballare e intrattenere simpaticamente. Una volta, intervistato su di un palco da un noto presentatore televisivo, alla prima domanda scoppiai a piangere e suonai in lacrime tutto il pezzo successivo coi fotografi addosso che riprendevano la strana esibizione. Quel bambino ha smesso di piangere, gli scatoloni della sua infanzia si sono trasformati in un ricco strumentario fatto di decine di tamburi e percussioni di tutti i tipi che accompagnano il suo lavoro di animatore musicale e di formatore. Ha fatto incontri significativi e bellissimi grazie a suoni e rumori che lo hanno sedotto e inseguito per tanti anni. Musica acerba, ruspante, imperfetta, popolare. Musica da ballo, funzionale, a volte rituale, in anni in cui sposalizi, battesimi, cresime erano ancora eventi comunitari e non solo familiari. Musica senza studio. Studi d’altro tipo son poi venuti, perché quel ragazzo timido aveva altre curiosità e ha incontrato la disabilità in persone assai vicine, decidendo che con quelle persone si poteva far musica: relazioni in musica, autobiografia e carta d’identità musicale, produzioni originali, improvvisazioni canore, ascolto, gioco…e che musica! Non quella esibizionistica e narcisistica che caratteriz- za spesso il professionista concertista ma musica altra, dell’altro che si aspetta non solo emozioni ma un aiuto concreto nel suo percorso di crescita. Studiare musicoterapia ha sollecitato ulteriori interessi non per fare il terapeuta ma per navigare meglio tra i suoni e imparare a pensare attraverso suoni, immagini e movimento. Quei tamburi hanno viaggiato e fatto incontri importanti. Le pelli di quei tamburi hanno toccato, sfiorato, graffiato tante persone in difficoltà ed hanno accolto la gioia, la sofferenza, il sudore e le lacrime di chi tenta una qualche forma di comunicazione, un contatto autentico. La nostra pelle, confine con l’esterno e la pelle dei tamburi territorio da esplorare da solo e con altri. Pelle a pelle, un suono profondo che ti scuote, ti anima e insegue una relazione anch’essa profonda. Risonanza cercata con sofferenza, a volte in solitudine. Quel bambino nascosto dietro i tamburi mi guarda da lontano e non più in lacrime mi dice …Meno male che c’è musica a questo mondo! Musica senza barriere Quando la musica arriva Il coro delle Mani Bianche Intervista a Massimo Tagliata Giovanna Martinelli Gabriella Sorrentino Testimonianze La storia del nostro coro delle Mani Bianche inizia circa 6 anni fa. Giovanna Marini, fondatrice della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, dopo essere stata al premio Nonino nel Friuli, rimase af-fascinata da Naybeth Garcia e dal suo gruppo di ragazzi e quelli del Firuli che muovevano le mani a suon di musica. Tornando a Roma, Giovanna ci invitò ad intraprendere quel cammino che oggi ci ha portato ad un grande risultato. La nostra scuola è stata da sempre aperta a tutti, nessun limite di età, di stato e di origine. Quale miglior progetto quindi di un coro che desse la possibilità a tutti, ma proprio a tutti, di godere della musica? L’origine delle “Manos Blancas” è da ricercare in Venezuela dove nel 1975 José Abreu crea uno dei più grandi modelli di educazione musicale: “El Sistema”. La musica, ottimo vettore educativo, diventa così accessibile a tutti anche e soprattutto a quei ragazzi e bambini che non se la possono permettere. Poco dopo nasce Educacion Especial per includere nel programma anche i ragazzi di-sabili e sordi. Grazie all’esperienza di Jhonny Gomez e Naybeth Garcia, fondatori della prima ver-sione del coro Manos Blancas, è cresciuto come un progetto destinato a tradurre in lingua dei segni le trascrizioni canore. Chi ha difficoltà di comunicazione perciò è in grado di trasmettere l’emozione della musica attraverso i segni. Il nostro coro delle mani bianche nasce da un corso sperimentale di coro integrato nel quale i ra-gazzi cantano insieme ad altri che disegnano una coreografia gestuale ispirata alla lingua dei segni (LIS). È dedicato ai ragazzi disabili con deficit sensoriali, sindrome di Down, Dgs, con ritardi cognitivi e disagi sociali. La nostra non è terapia, ma una vera e propria attività musicale dove Il metodo Dalcroze e la LIS si intrecciano aiutando, con il movimento, lo sviluppo della consapevolezza corporea. Attraverso il movimento arriviamo alla musica renden- L’intervista dola accessibile a chiunque, abbattendo le barriere della disabilità. L’approccio emotivo e istintivo è di grande importanza, dalla spontaneità si arriva poi all’analisi e alla comprensione dei parametri musicali e allo sviluppo delle proprie capacità di movimento, di libera espressione, di osservazione e di imitazione. La nostra di-dattica prevede anche lo studio delle scale musicali, delle campane sonore e dei canti segnati. In ogni lezione un interprete LIS ci aiuta con i ragazzi più bisognosi e nelle traduzioni dei canti. Attualmente sono circa 15 gli elementi presenti nel coro. Quattro ci seguono degli inizi gli altri sono i nuovi arrivati. Facciamo e abbiamo fatto in passato molti concerti ed esibizioni in vari contesti. Le performance sono una parte molto importante della nostra attività. Mettono alla prova i ragazzi e li rendono più attenti e motivati. Lo spirito del gruppo viene rinforzato e arricchito facendo da stimolo per le famiglie che partecipano. Non ci sono costi di iscrizione per i ragazzi, il nostro è un nucleo de El sistema non finanziato e a lavorarci siamo tre insegnanti e l’interprete Lis. I ragazzi del coro Mani Bianche impegnati nelle attività di laboratorio Massimo Tagliata In un piovoso pomeriggio di febbraio, chiamo la mia amica Simona e le chiedo di accompagnarmi a Bologna per l’intervista a Massimo Tagliata. Sì, proprio lui, il tipino siciliano di nascita ma emiliano di adozione, che suona il pianoforte, la fisarmonica con Biagio Antonacci, e fa il produttore. Massimo ha iniziato a fare musica perché la musica ad un certo punto è arrivata, forse per caso, nella sua vita. Anzi, è lei che lo ha scelto. Nell’estate del 1986, a soli tredici anni, accetta un contratto per 90 serate con un’orchestra di liscio. «Devo tantissimo a mia madre e a mio padre, sono loro che mi hanno invogliato e supportato sin da giovanissimo». Inizia così il suo racconto, affiancato dal primo ricordo all’inizio della carriera: «Non fui preso al conservatorio: mi dissero che avevo scarsa musicalità. In realtà era un modo per dirmi che non avrebbero inserito una cattedra con un insegnamento speciale. Poi dopo mi sono tolto la soddisfazione di lavorare con i conservatori italiani.» Perché suoni? «Perché ti accorgi che la musica ti da tutto senza chiederti niente in cambio. Ti chiede solo di esserci. L’arte ti arriva perché ti arriva. Anche le parole. Le canzoni, la musica. Ti arrivano». La musica abbatte le barriere? «Io credo che le barriere vengano abbattute con la conoscenza, lo studio, la competenza. Approfondire i generi musicali che interessano e quelli che non si conoscono è un buon modo per ampliare gli orizzonti». Come si fa a essere un buon musicista? «Io non credo che il fatto che non ci vedi ti aiuti a diventare un musicista migliore. La cecità non c’entra nulla. Ci sono questioni caratteriali che sono fondamentali per saper fare una cosa e farla bene. Bisogna studiare, c’è bisogno di competenza, di impegno, di sacrificio. Bisogna spendere il proprio tempo per se stessi prima dell’attesa del risultato, e non solo in funzione del risultato. Ci scontriamo con un mondo non preparato alla velocità con cui va. Ci sono differenze nell’approccio alle cose». Il mondo della musica è flessibile alla diversità? «Ho sempre trovato una grossa accoglienza nel mondo della musica e dell’arte in generale. L’ambiente della musica è sempre riuscito ad abbattere abbastanza bene le barriere. Il mondo dell’arte è più predisposto alla diversità: “non è uguale ma mi piace, è diverso ma va bene”. Altre discipline hanno ancora da imparare dal mondo musicale e artistico. L’etichetta conta, ma fino a un certo punto». Come si lavora su se stessi? «Ti accorgi a un certo punto che hai delle paure di vita e pensi che siano legate alla tua disabilità o a quello che la tua disabilità pensi che ti abbia lasciato in eredità a livello di insicurezza. Poi scopri che non è vero, che queste paure le hanno tutti. Tutti abbiamo paura di non farcela, tutti abbiamo paura di non aver fatto la cosa giusta… anche tu, non ti sei mai chiesta se avevi imboccato la strada giusta? Non bisogna convincersi che questo tipo di problemi derivi dal fatto che non ci vedi». A parlar con te mi sembra che sia tutto semplice. Hai paura di qualcosa? «Non è semplice. È che le cose si possono fare. Non ho paure legate alla mia condizione, perché ho fatto pace col fatto di non vederci. Io sono quello che sono oggi anche perché non ci vedo. Non dico che questa sia diventata la mia forza ma è sicuramente una parte di me. Questo mi ha messo il sereno. L’accettazione della realtà è fondamentale. Inoltre, bisogna imparare a gestire i propri sensi con consapevolezza. Questo è un lavoro per chi non vede -ma è difficile anche per chi ci vede (ndr)». Quante difficoltà ci sono nel mondo di oggi? «Purtroppo ci scontriamo con un mondo che non è per niente preparato alla velocità con cui va. Ci sono delle differenze talmente grandi tra le sensibilità delle persone che spesso è agghiacciante. Vedere quanta differenza c’è nell’approccio alle cose. Se apriamo quella porta e fermiamo una ragazza di 30 anni, non penserebbe mai di partire da 600 km per venire a fare un’intervista qui, capisci? Sono visioni diverse di come uno pensa di volersi arricchire, di come pensa di poter farsi migliore. Quando tu fai un lavoro e non sai perché lo stai facendo. Questa è la cosa più grave. Capisci?» L’intervista Qual è il consiglio che dai ai ragazzi di oggi? «Mantenere una parte di sé semplice, facile. Non avere la vista è sicuramente un problema, ma se lo viviamo più grande di quanto non lo sia, ne creiamo tanti altri. La fortuna di avere molti mezzi di comunicazione in casa non li fa uscire. I ragazzi parlano con mezzo mondo ma non c’è un rapporto di vicinanza, di contatto, di prossimità fisica. Vedo nei ragazzi che non vedono un po’ di paura verso la realtà. Smitizzate le cose e sdrammatizzatele. Uscite, toccate, conoscete, annusate. Vivete!» Io sono arrivata nello studio di Massimo grazie ad un amico di un mio amico, Angelo, una cosa tipo quelle catene di persone che sembrano infinite e non sai dove iniziano e dove finiscono. Una coincidenza del tutto fortuita, ma che mi ha confermato ancora una volta che il mio lavoro è bello perché produce ricchezza -sia ben chiaro, non quella intesa nel senso capitalistico del termine. Quella ricchezza che deriva dalle relazioni, dai contatti tra le persone, dall’impagabile forza di una persona che ti racconta la sua storia, scavalcando le distanze spaziotemporali. Eventi e attività 1 Corso di formazione Teoria e pratica della percezione ottica e tattile di Opere d’arte Loretta Secchi aiuta Giuliana a vedere con le mani il bassorilievo che riproduce il dipinto di Guido Reni “Atalanta e Ippomene” Insegnanti e gli operatori al corso di formazione tenuto da Loretta Secchi. Eventi e attività 2 Progetto Apprendimento Cooperativo 2016 È partito il progetto di ricerca-azione con metodologia di cooperative learning presso il I Circolo Didattico di Scafati per l’anno 2016. Le classi interessate son una sezione della scuola dell’infanzia del plesso Mariconda e una Prima classe della Scuola Primaria del plesso Capoluogo. Il progetto si realizza attraverso un Protocollo d’intesa stipulato tra la Fondazione Sinapsi, l’Università del Salento e il I Circolo di Scafati. Il gruppo che ha partecipato al corso di scultura con Felice Tagliaferri, sessione pratica Insegnanti e operatori che modellano la creta con le indicazioni di Felice Tagliaferri. I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte e quella musica distante diventò sempre più forte chiusi gli occhi per tre volte, mi ritrovai ancora lì chiesi a mio nonno: «È solo un sogno?», mio nonno disse «Si» (Fabrizio de Andrè) Fondazione SInAPsi Corso Mazzini, 116 84013 Cava de’ Tirreni (SA) tel 089 30 61 029 fax 089 30 55 385 [email protected] Via del Gallitello, 93 85100 Potenza Tel 0971 65 0421 fax 0971 44 06 98 www.fondazionesinapsi.it Via IV novembre, 12 f 75100 Matera [email protected]